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Asparagi

 

tipologie di asparagi

Famiglia: Liliaceae

Genere: Asparagus

Specie: Asparagus officinalis L.

 

Storia degli asparagi

Gli asparagi (Asparagus officinalis) sono ortaggi la cui origine è collocata nell’est del bacino del Mediterraneo e nell’Asia Minore.

 

Attualmente a livello mondiale i maggiori produttori sono Cina, Perù, Messico, Stati Uniti e Sudafrica, in Europa Spagna, Francia, Germania e Italia, che presenta le maggiori rese unitarie.

 

Nel Mediterraneo si prediligono gli asparagi verdi, mentre nell’Europa del Nord e nel Veneto dominano i turioni bianchi; il turione è la parte commestibile della pianta.

 

Tipologie di asparagi

Sul territorio italiano esistono diversi Riconoscimenti IGP (Indicazione Geografica Protetta) o DOP (Denominazione di Origine Protetta).

 

I Riconoscimenti IGP

L’”Asparago Bianco di Cimadolmo IGP” presenta dei turioni totalmente bianchi, interi, di aspetto e odore freschi, sani, puliti e praticamente esenti da ammaccature.

Possiede un odore e un sapore particolarmente delicati, è tenero e privo di fibrosità.

La zona di produzione è formata dal territorio di 11 Comuni situati lungo il corso del fiume Piave, in Provincia di Treviso.

 

L’”Asparago di Cantello IGP” ha ottenuto il Riconoscimento UE con Regolamento 26/01/2016 e presenta turioni bianchi, con eventuale punta leggermente rosata, dall’altezza massima di 22 cm.

L’odore è intenso ma delicato nel complesso. Il sapore è dolce, con un lievissimo retrogusto amaro, con aroma di asparago che può variare da medio a deciso.

L’Asparago di Cantello IGP, a differenza di quello di altre zone, se molto fresco può essere utilizzato anche crudo, perché manca quel retrogusto amaro, tipico degli altri asparagi.

La coltivazione dell’Asparago di Cantello IGP ricade nel territorio del comune di Cantello, in provincia di Varese, nella regione Lombardia.

 

L’“Asparago di Badoere IGP” presenta dei turioni di colore bianco-rosato o verde intenso.

Il sapore è dolce e aromatico. Questi asparagi devono essere ben formati, dritti, con apice serrato, interi e non devono essere vuoti, spaccati, pelati o spezzati.

La zona di produzione e di confezionamento comprende delle zone delle province di Padova, Treviso e Venezia.

 

L’“Asparago Verde di Altedo IGP”, che ha ottenuto il Riconoscimento con il Regolamento CE n. 492 del 18.03.2003 (GUCE L. 73 del 19.03.2003), deve essere prodotto esclusivamente nell’ambito delle zone della Provincia di Bologna e di Ferrara.

 

I Riconoscimenti DOP

L’”Asparago Bianco di Bassano DOP” presenta dei turioni di colore bianco-rosato.

Questi inoltre devono essere ben formati, dritti, interi, con apice serrato e non devono essere vuoti, né spaccati, né pelati, né spezzati. Inoltre sono di bassa fibrosità e teneri, in quanto non sono ammessi turioni con principi di lignificazione.

La zona di produzione e di confezionamento ricade nella provincia di Vicenza nei territori dei comuni di Bassano del Grappa, Cartigliano, Cassola, Mussolente, Pove del Grappa, Romano D’Ezzelino, Rosa’, Rossano Veneto, Tezze sul Brenta e Marostica.

 

Proprietà nutrizionali degli asparagi

tabella con i valori nutrizionali degli asparagi

Valori nutrizionali degli asparagi

Gli asparagi sono noti per le loro proprietà diuretiche, attribuibili al loro contenuto in acqua che supera il 90% ed all’effetto di un aminoacido abbondantemente contenuto nell’asparago, l’asparagina.

È proprio questo aminoacido a conferire all’ortaggio il suo particolare odore pungente, ma non è il responsabile dell’altro odore caratteristico che si avverte in bagno dopo un pasto a base di asparagi.

I responsabili sono da definirsi i composti contenenti zolfo che si formano nel nostro organismo.

 

A livello di macro nutrienti, i grassi sono quasi del tutto assenti, mentre buona è la concentrazione di fibra, ferro e vitamina C.

 

Benefici degli asparagi

Per quanto riguarda le molecole, gli asparagi ne contengono due particolarmente importanti: la quercetina, con potenziali effetti di protezione sul sistema cardiovascolare e di interazione con alcuni geni della longevità, e il glutatione, composto che il nostro organismo utilizza per neutralizzare i radicali liberi.

 

La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a ½ piatto.

 

Una porzione di asparagi crudi copre più della metà del fabbisogno giornaliero di vitamina K e quasi tutto il fabbisogno di acido folico facendo riferimento alla popolazione adulta.

 

L’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina K per la popolazione adulta è di 140 µg (sia per gli uomini che per le donne); per i folati invece è di 400 µg (sia per gli uomini che per le donne).

 

Interazioni degli asparagi

Gli asparagi potrebbero interferire con l’azione dei farmaci diuretici.

 

Produzione e tecnologia degli asparagi

Caratteri botanici dell’asparago

L’asparago è una pianta erbacea perenne.

Presenta un apparato radicale costituito da due tipi di radici: principali, disposte a raggiera sulla “corona” che possono raggiungere notevoli profondità e fungono da organo di riserva, e secondarie, fibrose e più sottili, sono presenti lungo le radici principali e specialmente nella parte terminale e hanno funzione di assorbimento.

I fiori sono posti in posizione ascellare, solitari, piccoli, giallo-verdastri.

 

L’asparago è una pianta dioica, ovvero una specie che ha individui maschili e femminili, e l’impollinazione avviene ad opera di insetti.
La pianta maschile è più vigorosa, precoce e produttiva rispetto a quella femminile, ma produce turioni più sottili.

 

Il germoglio, che è la parte commestibile della pianta, si chiama turione ed è di taglie differenti.

Il turione inizia ad accrescersi e a svilupparsi alla fine dell’inverno.

Quando non è ancora spuntato dal terreno è bianco, tozzo, con l’apice tondeggiante; una volta fuoriuscito diventa sempre più rosato fino a diventare violaceo e infine verde per effetto della fotosintesi.

La forma è allungata, più o meno spessa, e si ha la presenza di alcune foglioline caratterizzate dalla forma a scaglie.

 

Coltivazione degli asparagi

La coltivazione dell’asparago è costituita da diverse fasi:

 

  1. i primi due anni l’allevamento, caratterizzato da un forte sviluppo vegetativo;
  2. il terzo e quarto anno la produttività crescente, che corrisponde ai primi due anni di raccolta;
  3. dal quarto al dodicesimo anno la produttività stabile;
  4. ed infine dal dodicesimo al ventesimo anno la produttività decrescente.

 

L’asparago quindi, per la sua permanenza nel terreno per più anni, non può essere inserito in una normale rotazione agraria, ma deve essere coltivato fuori rotazione.

 

La preparazione del terreno viene effettuata in autunno o, al massimo, nell’inverno precedente l’impianto dell’asparagiaia arando ad una profondità di circa 60 cm.

Successivamente si effettua l’impianto creando fosse parallele profonde 20-30 cm e larghe 50-70 cm, alternate a strisce della larghezza di 1-2 m dove viene accumulato il terreno rimosso.

 

L’impianto dell’asparagiaia può essere effettuato mediante:

 

  • semina diretta, metodo poco utilizzato in Italia,
  • con zampe di uno o due anni che possono essere messe a dimora sia in autunno sia all’inizio della primavera,
  • oppure mediante plantule in cubetto dell’età di 60-70 giorni, tecnica sempre più utilizzata in cui dopo 12-18 giorni si ha la germinazione e dopo circa 2 mesi le piantine sono pronte per essere trapiantate in pieno campo.

 

La semina si esegue a marzo, raramente in giugno, in un terreno sciolto e sabbioso.

Si predispongono solchi tracciati ad una distanza di 30-35 cm e profondità di 3-4 cm che, dopo la semina, vengono coperti in modo da formare una “costa” esposta al sole. In questo modo si facilita il riscaldamento del terreno, stimolando la germinazione del seme.

 

Durante la coltivazione vengono utilizzate delle tecniche di forzatura.

La più importante è la pacciamatura con film plastici che, riscaldano gli strati superficiali del terreno, favorisce una produzione anticipata.

La pacciamatura con film nero è utile anche per l‘imbiancamento dei turioni.

 

Inoltre, soprattutto finito il periodo di raccolta, vengono eseguite una serie di cure colturali quali diserbo chimico o meccanico, irrigazioni e concimazioni azotate (distribuite in tutto il periodo estivo) che hanno lo scopo di stimolare la ripresa vegetativa.

 

Produzione dei turioni

La produzione di turioni varia moltissimo da regione a regione (da 30 a 140 q.li/ha) in funzione di vari fattori tra cui la varietà, il tipo di turione, ecc.

 

La raccolta dei turioni è scalare, praticata giornalmente o a giorni alterni.

Si esegue manualmente con un coltello a sgorbia appena il turione è emerso per 10-12 cm o, nel caso dell’asparago bianco, appena spunta dalla baulatura. Se si effettua la raccolta meccanica si utilizzano macchine agevolatrici, alcune anche adatte per la raccolta integrale.

 

Nella raccolta integrale i turioni vengono tagliati ad una certa profondità, sollevati e convogliati su nastri trasportatori ed infine scaricati in appositi contenitori.

Il prodotto raccolto con questi macchinari è destinato soprattutto all’industria conserviera in quanto i turioni non si presentano con una forma ottimale.

 

Dopo la raccolta, i turioni vengono selezionati, dividendoli in scarto, e commerciabili.

Quelli commerciabili a sua volta vengono suddivisi in classi in funzione della lunghezza, del calibro e della presentazione.

In seguito vengono legati in mazzi cilindrici uniformi, del peso di 1-2 kg, e di 20 cm di lunghezza e poi lavati.

Nella grande produzione la selezione viene effettuata con degli appositi macchinari selezionatori.

 

Il prodotto deperisce molto rapidamente e pertanto si ricorre sempre più spesso all’idrorefrigerazione, immergendo i turioni in acqua a 0,5-1°C.

Questa tecnica è indispensabile per poter abbassare in fretta la temperatura aumentando così la conservabilità del prodotto.

 

Il prodotto può essere destinato sia al consumo fresco che all’industria surgelato oppure inscatolato e cotto a vapore.

 

Stagionalità degli asparagi

In Italia gli asparagi sono di stagione da marzo a giugno.

 

Preparazione e Conservazione degli asparagi

Al momento dell’acquisto vi consigliamo asparagi che siano solidi al tatto e di colore verde chiaro, con le punte serrate.

Le punte dal color verde scuro o con un tocco di viola sono sinonimo di qualità, mentre se sono ingiallite o secche, l’asparago non è fresco.

In generale vi consigliamo di evitare quelli avvizziti, macchiati o rovinati, ma se vi servono solo per una zuppa allora potete anche acquistarli.

 

È importante adottare degli accorgimenti in cucina per beneficiare di ciò che apportano gli asparagi.

Anzitutto, devono essere conservati in frigorifero per un massimo di tre giorni, oppure possono essere congelati e successivamente cotti senza bisogno di scongelamento.

 

Per limitare la perdita di nutrienti è sufficiente sbollentarli per meno di 5 minuti in poco liquido e, per massimizzare l’assorbimento di vitamina K e quercetina, servirli sempre con una sostanza grassa prediligendo l’olio extravergine di oliva.

 

Le nostre proposte di ricette con gli asparagi

Aceto

 

tipi di aceto

Storia dell’aceto

La denominazione aceto o aceto di vino in Italia è riservata al “prodotto ottenuto dalla fermentazione acetica dei vini che presenta un’acidità totale espressa in acido acetico non inferiore a grammi 6% (g/100 ml) e un quantitativo di alcol non superiore all’1,5% in volume […]” (D.P.R. 12.2.1965 n° 162, art. 41).

 

L’utilizzo dell’aceto risale a tempi antichi, si trova infatti riscontro negli scritti risalenti all’antica Roma dove veniva impiegato come condimento; con molta probabilità solo molti anni più tardi iniziò ad essere usato anche come conservante del cibo.
Tutt’oggi rimane un elemento importante nelle cucine europea, asiatica e tradizionale di tutto il mondo.

 

Il nome aceto deriva dal verbo latino “aceo”, che significa inacidire, e veniva indicato con il termine “vinum acre”; in francese antico tale prodotto veniva chiamato “vinagre”, in inglese vinegar.

 

Tipi di aceto

Nel tempo è stato riconosciuto ad alcune tipologie di aceto la Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) e l’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.).

 

L’Aceto Balsamico di Modena I.G.P. nel giugno 2009 ha ottenuto il riconoscimento I.G.P. dalla Commissione Europea a Bruxelles.

L’ Aceto Balsamico di Modena I.G.P. in base al Disciplinare di produzione deve essere prodotto esclusivamente nelle acetaie delle province di Modena e Reggio Emilia con i mosti ottenuti dai 7 vitigni più coltivati in Emilia Romagna – Lambrusco, Sangiovese, Trebbiano, Albana, Ancellotta, Fortana e Montuni – che garantiscono acidità e zuccheri perfetti.

A questi mosti si aggiungono aceto di vino e una percentuale di aceto di vino invecchiato almeno 10 anni. L’Aceto Balsamico di Modena I.G.P. matura in recipienti di legno pregiato all’interno delle acetaie, ambienti con temperatura e aerazione ideali.

 

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P. ho ottenuto il riconoscimento D.O.C. con decreto ministeriale 5 aprile 1983 e il Disciplinare di produzione con decreto ministeriale 9 febbraio 1987.

Tale denominazione è riservata al prodotto ottenuto da mosti di uve provenienti dai vigneti composti in tutto o in parte dai vitigni Lambrusco, Ancellotta, Trebbiano, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino, Occhio di Gatta e dalle uve dei vigneti iscritti alle DOC in provincia di Modena.

All’atto dell’immissione al consumo deve avere un colore bruno scuro, carico e lucente, una densità apprezzabile in una corretta, scorrevole sciropposità, un profumo di bouquet caratteristico, fragrante, complesso ma bene amalgamato, penetrante e persistente, di evidente ma gradevole ed armonica acidità, ed un sapore caratteristico.

 

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia D.O.P. ho ottenuto il Riconoscimento con il Regolamento CE n. 813/2000.

Deve essere ottenuto dalle uve prodotte nel territorio idoneo della provincia di Reggio Emilia e provenienti dai vigneti composti in tutto o in parte dai vitigni Lambrusco, Ancellotta, Trebbiano, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di Gatta. Il disciplinare prevede che venga ottenuto “da mosto cotto a fuoco diretto proveniente dalla pigiatura di uve tradizionalmente coltivate in provincia di Reggio Emilia” con l’invecchiamento che avviene in batterie (mai inferiore a tre) di botti di legni differenti (legni di rovere, castagno, gelso, ciliegio, frassino e ginepro) per un periodo di tempo mai inferiore a 12 anni.

L’Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia all’atto dell’immissione al consumo deve avere un colore bruno scuro, limpido, lucente, una densità apprezzabile e di scorrevole sciropposità, un profumo penetrante e persistente, fragrante con gradevole acidità e bouquet caratteristico anche in relazione ai legni utilizzati e ai lunghi invecchiamenti ed un sapore: dolce ed agro ben amalgamato di apprezzabile acidità ed aromaticità in armonia con i caratteri olfattivi.

 

Esistono diversi tipi di aceto oltre a quello di vino:

 

  • l’aceto di malto, prodotto dall’orzo da maltaggio,
  • l’aceto d’orzo,
  • l’aceto di mele che viene prodotto dall’affinamento del sidro o del mosto di mela attraverso il processo di acidificazione e spesso viene venduto non filtrato;
  • l’aceto di pere che è il prodotto della fermentazione del mosto di pere delle varietà a più alto contenuto zuccherino;
  • l’aceto di miele si ottiene per fermentazione dell’idromele, ha un sapore acidulo, colore dorato e profumo intenso ed è ricco di enzimi e sali minerali;
  • l’aceto della noce di cocco, prodotto dalla linfa, o “toddy”, della palma da cocco, è usato frequentemente nella cucina dell’Asia sudorientale;
  • l’aceto di canna, prodotto dal succo della canna da zucchero, è molto popolare nelle Filippine e viene prodotto anche in Francia e negli Stati Uniti;
  • l’aceto di birra ha un gusto maltato distintivo ed è prodotto in Germania, in Austria e nei Paesi Bassi.

 

Proprietà nutrizionali dell’aceto

tabella con i valori nutrizionali dell'aceto

Valori nutrizionali dell’aceto

Grazie al limitato apporto calorico è un condimento che si presta a essere presente spesso a tavola, in aggiunta all’olio extravergine di oliva.

 

L’aceto balsamico presenta un buon contenuto di sali minerali, soprattutto potassio, calcio e magnesio, mentre le vitamine risultano scarse.

 

Benefici dell’aceto

Ha importanti proprietà antibatteriche ed antivirali e grazie al contenuto in polifenoli dell’uva è un alimento antiossidante in grado di rafforzare il sistema immunitario, di combattere l’azione dannosa dei radicali liberi e di rallentare l’invecchiamento cellulare.

 

Inoltre l’aceto di mele è utile in caso di alterazione del gusto, un possibile effetto avverso causato dal trattamento oncologico.

 

Interazioni dell’aceto

Se ne sconsiglia l’uso ai soggetti con diabete poiché può influenzare la quantità di glucosio e di insulina nel sangue e potrebbe quindi avere un effetto additivo se combinato con altri farmaci per il trattamento di questa patologia.

 

L’aceto balsamico sembrerebbe essere anche in grado di abbassare la pressione sanguigna, per cui ne è sconsigliato l’uso a chi è in trattamento con farmaci antipertensivi (per scongiurare possibili effetti additivi).

 

Il consumo di aceto è in genere sconsigliato a chi soffre di gastrite o di reflusso gastro-esofageo, perché in alcuni casi potrebbe esacerbare i sintomi connessi a questi disturbi.

 

Produzione e Tecnologia dell’aceto

L’aceto può essere prodotto da diverse materie prime contenenti alcol o zucchero.

 

Le tre fasi della produzione sono la fermentazione alcolica, l’ossidazione acetica e l’invecchiamento.

 

  1. Nel primo stadio di fermentazione gli zuccheri vengono scomposti in assenza di ossigeno dal lievito per produrre alcol e anidride carbonica.
  2. Nella seconda fase l’aggiunta di ossigeno consente ai batteri acetici, appartenenti al genere Acetobacter ed aerobi obbligati, di ossidare l’alcol etilico in acido acetico.
  3. La fase successiva riguarda l’invecchiamento che avviene in botti di legno per diversi anni.

 

Diversi sono i metodi utilizzati per la produzione dell’aceto.

 

metodi di produzione dell’aceto

 

Il metodo più antico è quello di Orléans, in cui il vino, in origine Bordeaux o Borgogna, viene diluito e quindi utilizzato per riempire in parte delle botti.

Si inocula la madre e si lascia fermentare, rimuovendo periodicamente un poco di aceto e rabboccando con del nuovo vino.

In genere sono necessari due mesi per produrre dell’aceto che grazie alla lenta ossidazione ha un aroma e un gusto molto ricchi.

 

Il metodo industriale più utilizzato è quello a fermentazione in superficie, che utilizza tini di grandi capacità nei quali il vino, versato su trucioli di legno di quercia, cola lungo il tino e viene recuperato alla base; il processo richiede dai 5 ai 9 giorni.

 

Nel metodo a fermentazione sommersa si utilizzano invece tini di acciaio contenenti la materia prima.

Gli acetobatteri sono immersi nel liquido e l’ossigeno necessario al processo di ossidazione è costantemente insufflato grazie a turbine di areazione; l’aceto così prodotto è molto torbido e va chiarificato e filtrato.

 

L’aceto industriale prima di essere posto in commercio viene pastorizzato per eliminare i batteri residui e renderlo stabile nel tempo.

Gli aceti comuni possono essere conservati soltanto per qualche mese, poiché sul lungo periodo si registra perdita dei caratteri organolettici per azione dell’ossigeno. Gli aceti di pregio hanno vita più lunga e possono essere conservati fino a 2 o 3 anni.

 

metodo di produzione dell’aceto balsamico

 

L’aceto balsamico tradizionale di Modena e Reggio Emilia viene prodotto utilizzando solo determinati vitigni con l’uva che viene raccolta a maturazione avanzata ed il mosto che viene sfecciato, quindi cotto a fuoco diretto, in vasi aperti.

La temperatura di cottura non deve mai superare i 90°C per evitare la formazione di composti indesiderati.

Il mosto si concentra divenendo un terzo del volume iniziale e posto in damigiane di vetro dove viene lasciato per l’inverno.

In primavera viene utilizzato per riempire i vaselli delle botti che sono riempite per i 2/3 per permettere una buona areazione e quindi un’azione ottimale dei batteri acetici.

 

L’acetaia è sempre in un sottotetto per permettere le forti escursioni termiche necessarie alla maturazione dell’aceto. Le botti hanno capacità decrescente e formano delle batterie costituite da 5-10 vaselli di legni differenti, ognuno dei quali cede delle essenze indispensabili a conferire il bouquet finale e a determinare il colore del prodotto.

La produzione è al rincalzo, ogni anno si recupera un poco di aceto balsamico dalla botte più piccola, andando a rabboccarla con aceto prelevato da quella precedente. Questa operazione continua fino ad arrivare alla prima botte in cui si va ad aggiungere mosto cotto fresco.

Dopo dodici anni d’invecchiamento l’aceto balsamico è pronto e, prima di essere commercializzato, viene sottoposto al giudizio di una commissione di degustatori per garantire massima qualità dal prodotto sul mercato.

Esistono infatti bollini di diverso colore che indicano il punteggio ottenuto.

 

L’aceto balsamico di Modena si produce invece aggiungendo aceto di vino a mosto concentrato, con la possibilità di utilizzare caramello, per dare colore, fino al 2%.

Si utilizzano sia tecniche che prevedono concentrazione del mosto e successiva acidificazione, sia tecniche di fermentazione in superficie con rincalzi costanti di mosto.

Segue un affinamento in botti di legno per 60 giorni, anche se sul mercato si possono trovare prodotti invecchiati in legno fino ai tre anni.

 

Preparazione e Conservazione dell’aceto

È tradizionalmente usato come condimento, sia di ricette dolci che salate e può essere utilizzato anche in sostituzione dell’olio d’oliva, ma soprattutto del sale, al fine di ridurre l’utilizzo di quest’ultimo.

 

L’aceto presente in commercio viene spesso utilizzato nella creazione di marinature, condimenti e altre salse; è noto anche come rimedio popolare e come prodotto naturale per la pulizia della casa e come diserbante.

Mozzarella

mozzarella di bufala

 

Definizione, storia e aspetto della mozzarella

La mozzarella è un formaggio fresco a pasta filata, molle prodotto con l’utilizzo del latte di bufala; se invece viene prodotto con il latte di vacca si parla di fior di latte.

 

Il nome fa riferimento alla modalità di lavorazione, la cosiddetta “mozzatura” (dal verbo “mozzare”), con cui si intende un’operazione praticata ancora oggi in molti caseifici che consiste nel taglio manuale della pasta filata con indice e pollice.

 

Le origini di questo formaggio in Italia sono legate alla presenza dei bufali sul territorio. Attorno all’XI secolo, con l’impaludamento delle pianure costiere del basso versante tirrenico (del Volturno e del Sele), si sono create caratteristiche ambientali più adatte all’allevamento del bufalo.

 

La mozzarella si riconosce per la sua consistenza elastica, si presenta con una superficie esterna liscia di colore bianco e lucido ed è caratterizzata dalla presenza di una lacrima di siero, la cosiddetta “occhiatura”, che indica la corretta applicazione del procedimento.

 

La mozzarella viene commercializzata immersa in liquido di governo costituito da acqua, eventualmente acidulata e salata, e viene conservata ad una temperatura compresa tra 0 e 4°C.

 

Riconoscimenti DOP  e STG della mozzarella

In commercio si trovano prodotti con riconoscimento DOP (Denominazione di Origine Protetta) e STG (Specialità Tradizionale Garantita).

 

La mozzarella DOP

La “Mozzarella di Gioia del Colle” DOP ha ottenuto il Riconoscimento UE nel 2020.

La zona di produzione, di trasformazione del latte e confezionamento comprende il territorio di alcuni comuni della provincia di Bari, di Taranto e parte del comune di Matera in Basilicata.

Si presenta in tre diverse forme (sferoidale, di nodo e di treccia) e il peso può variare dai 50 ai 1.000 grammi a seconda della forma e delle dimensioni.

Ha una superficie liscia o lievemente fibrosa, lucente, di colore bianco, con eventuali sfumature stagionali di colore paglierino.

Al taglio la pasta, che deve avere consistenza elastica ed essere priva di difetti, presenta una leggera fuoriuscita di siero di colore bianco.

Il sapore e le note odorose sono di latte/yogurt bianco con eventuali sfumature di burro.

 

La “Mozzarella di Bufala Campana” DOP ha ottenuto il Riconoscimento del marchio il 12 giugno 1996 per effetto del Reg. CE 1107/96 ed è prodotta esclusivamente con latte di bufala intero fresco.

La zona di produzione comprende alcune province della Campania (Caserta, Salerno, Napoli e Benevento) e del Lazio (Latina, Frosinone e Roma).

Si presenta sotto diverse forme (tondeggiante, bocconcini, trecce, perline, ciliegie, nodini) e ha un peso variabile tra 20 e 800 grammi a seconda della forma.

Ha una crosta sottilissima dotata di una superficie liscia di colore bianco porcellanato.

La pasta ha una struttura leggermente elastica nelle prime otto-dieci ore dalla produzione che tende a divenire più fondente.

 

La mozzarella STG

La Mozzarella STG ha ottenuto il riconoscimento S.T.G. (Specialità Tradizionale Garantita) dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali in con decreto del 28 giugno 2001.

Per la sua produzione viene impiegato latte vaccino e caglio bovino liquido; si presenta sotto diverse forme (sferoidale o a treccia) e il peso può variare da 125grammi -per la forma a treccia- a 250 grammi.

Ha una superficie con consistenza tenera, superficie liscia e lucente, omogenea, di color bianco latte con possibile presenza di distacchi ma non di occhiatura.

La pasta ha una struttura fibrosa, a foglie sovrapposte, che al taglio e per leggera compressione rilascia liquido lattiginoso; la consistenza è morbida e leggermente elastica.

Il sapore e l’odore sono caratteristici, delicati, di latte lievemente acidulo.

 

Proprietà nutrizionali della mozzarella

tabella con i valori nutrizionali della mozzarella di vacca e della mozzarella di bufala
Tabella con i valori nutrizionali della mozzarella di vacca e della mozzarella di bufala.

Valori nutrizionali della mozzarella di vacca e della mozzarella di bufala

Dal punto di vista nutrizionale, la mozzarella di vacca e quella di bufala presentano un profilo piuttosto simile.

Come in tutti i formaggi freschi, il contenuto di acqua è molto elevato e questo comporta una maggiore deperibilità.

 

A livello di macronutrienti possiamo dire che i carboidrati sono quasi nulli, il lattosio infatti è stato utilizzato dai batteri lattici durante la fermentazione. Le proteine invece sono più presenti nella mozzarella vaccina a discapito di un minore contenuto di grassi, soprattutto acidi grassi insaturi, invece più presenti nella mozzarella di bufala.

 

Il colesterolo non supera i 50/60 mg, inferiore quindi sia alla carne che alle uova.

 

I micronutrienti più interessanti che contiene sono il calcio e, soprattutto, il fosforo.

 

Benefici della mozzarella di vacca e della mozzarella di bufala

La mozzarella apporta proteine ad alto valore biologico. Queste sono proteine che contengono gli aminoacidi che devono essere assunti nell’organismo con la dieta.

 

Tra i minerali il calcio e il fosforo sono contenuti in una discreta quantità. Il calcio partecipa alla formazione ed il mantenimento delle ossa e dei denti, è essenziale per la funzionalità dei muscoli, dei nervi e per la coagulazione del sangue, mentre il fosforo rappresenta un elemento strutturale di ossa, denti e cellule; è essenziale per il buon funzionamento del sistema nervoso, dei muscoli e per la produzione di energia.

 

La porzione di riferimento per la mozzarella è di 100 grammi, che corrisponde a una piccola mozzarella. Il suo consumo deve rientrare nelle 3 volte a settimana indicati dalle linee guida per una sana alimentazione.

 

Una piccola mozzarella contiene 2,1 µg di vitamina B12 e 350 mg di fosforo, ricoprendo per la vitamina B12 quasi completamente la dose giornaliera raccomandata RDA (di 2,4 µg) e per il fosforo la metà della RDA (di 700 mg), facendo riferimento alla popolazione adulta.

 

Interazioni della mozzarella

I latticini in generale possono interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

In particolare se si assume la tetraciclina durante i pasti e se si avverte mal di stomaco, bisognerebbe evitare il consumo di latte e latticini un’ora prima o due ore dopo.

 

Produzione e Tecnologia delle mozzarelle

Produzione della Mozzarella di Gioia del Colle

La “Mozzarella di Gioia del Colle” viene prodotta utilizzando il latte proveniente da allevamenti in cui le vacche in lattazione devono essere allevate facendole pascolare per almeno 150 giorni per anno su pascoli naturali di erbe spontanee, ovvero erbai monofiti o polifiti autunno-primaverili, composti da essenze leguminose (trifoglio, veccia, favino e pisello proteico) e cereali (avena, orzo, frumento duro, frumento tenero e loietto).

 

Alimentazione del bestiame

L’alimentazione del bestiame è costituita da erba e/o fieno di erbaio polifita, concentrati di cereali (mais, orzo, frumento, avena) carrube e loro sottoprodotti di lavorazione (crusca e cruschello di grano tenero, farinaccio di grano duro), leguminose (soia, fave, favino, pisello proteico), loro farine/fioccati tal quale o sotto forma di mangimi complementari e complessi minerali e vitaminici (integratori).

I prodotti per l’alimentazione degli animali devono provenire per non meno del 60% dalla zona geografica del Disciplinare di produzione.

 

Tecniche di produzione

Per la produzione viene utilizzato solo latte raccolto in due diverse mungiture.

All’arrivo al caseificio il latte non deve essere stato trattato termicamente, deve avere un titolo in grasso minimo del 3,4 % e titolo proteico minimo del 3,2 %, e deve essere trasformato entro 48 ore dalla prima mungitura.

 

Segue il processo di lavorazione in caldaia in cui avviene l’acidificazione mediante aggiunta di siero-innesto naturale detto “cizza” al latte.

In seguito al latte riscaldato (34°C – 36°C) viene aggiunto del caglio di vitello in quantità tale da far avvenire la coagulazione entro 20 minuti.

Dopo alcuni minuti che il latte è rappreso per l’intervento del caglio, si procede alla rottura dei grumi caseosi con un attrezzo denominato “spino” che li riduce fino ad una grandezza di poco più di una noce.

A partire da questo momento si verifica la separazione tra la fase solida -cagliata- e la fase liquida -siero dolce- del latte (sineresi).

 

La cagliata è lasciata acidificare sotto siero fino a quando sarà definita “matura” o “pronta” per la filatura (tempo non inferiore alle 2 ore a partire dall’aggiunta dell’innesto). È vietato l’uso di additivi e conservanti.

 

In seguito si eseguono i processi di filatura, formatura e salatura.

L’estrazione della cagliata infatti avviene in prossimità del raggiungimento del pH di filatura (5.1- 5.4). Al termine della maturazione, la cagliata viene posta sul tavolo spersoio, ridotta in strisce e collocata in appositi contenitori per la filatura.

La filatura viene effettuata con acqua calda (> 85°C ) e con aggiunta di sale. Dopo la modellatura il prodotto viene immesso in acqua fredda per ottenere il rassodamento.

 

Produzione della Mozzarella di bufala campana

La lavorazione della “Mozzarella di bufala campana” prevede l’utilizzo di latte crudo, eventualmente termizzato o pastorizzato, proveniente da bufale allevate nella zona prevista dal Disciplinare.

 

Il latte deve possedere un titolo in grasso minimo del 7,2% e un titolo proteico minimo del 4,2%; deve essere consegnato al caseificio, opportunamente filtrato con mezzi tradizionali e trasformato entro 60 ore dalla prima mungitura.

 

L’acidificazione del latte e cagliata è ottenuta per addizione di siero innesto naturale, derivante da precedenti lavorazioni di latte di bufala; la coagulazione, previo riscaldamento del latte (330°-390°C.) è ottenuta per aggiunta di caglio naturale di vitello.

 

La maturazione della cagliata avviene sotto siero per circa cinque ore dalla immissione del caglio. Al termine della maturazione, dopo sosta sul tavolo spersoio, la cagliata viene ridotta a strisce, tritata e posta in appositi mastelli, anche in acciaio o in filatrici.

 

La cagliata, dopo miscelazione con acqua bollente, viene filata, quindi mozzata e/o formata in singoli pezzi nelle forme e dimensioni previste. Questi ultimi, vengono posti in acqua potabile, per tempi variabili in funzione della pezzatura, fino a rassodamento.

La salatura viene eseguita in salamoia per tempi variabili in base alla pezzatura ed alla concentrazione di sale delle salamoie, a cui segue immediatamente la fase di confezionamento. Se il prodotto viene affumicato solo con procedimenti naturali e tradizionali la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura “affumicata”.

 

Produzione della Mozzarella STG

La Mozzarella STG (Specialità Tradizionale Garantita) viene prodotta utilizzando latte vaccino e caglio bovino liquido.

 

Il lattoinnesto naturale si ottiene per arricchimento selettivo della microflora presente naturalmente nel latte crudo. La filatura viene fatta con acqua calda eventualmente addizionata di sale.

 

La mozzarella in commercio

La mozzarella viene commercializzata preconfezionata all’origine in buste termo-saldate, vaschette e bicchieri; in commercio si trova tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione della mozzarella

La mozzarella di bufala DOP in commercio si riconosce solo se l prodotto è confezionato recante i marchi del Consorzio di Tutela, della DOP e la denominazione “Mozzarella di Bufala Campana”, oltre le indicazioni di legge.

 

In tavola invece si può verificare dal colore bianco porcellana, dalla superficie liscia, dalla consistenza elastica in superficie. Al taglio ci deve inoltre essere la fuoriuscita di sierosità biancastra dal profumo di fermenti lattici con sapore deciso ma delicato.

 

Come conservazione, per la mozzarella fresca di bufala, si consiglia di consumarla il giorno stesso dell’acquisto; altrimenti sarebbe necessario conservarla in ambiente fresco (10°-15°), sempre immersa nel suo liquido.

Se messa in frigo, occorre tirarla fuori con molto anticipo per consumarla a temperatura ambiente e gustare tutto il suo sapore.

 

Un piatto molto apprezzato in estate è la “caprese”: mozzarella, pomodoro, basilico, olio extravergine d’oliva.

Un consiglio è sempre quello di abbinare alla mozzarella delle verdure di stagione: oltre ai pomodori, anche melanzane e zucchine.

Il potassio contenuto negli ortaggi infatti contrasta il sodio presente nella mozzarella, purché ridotto nel caso di quella di bufala.

Quinoa

 

quinoa

Famiglia: Chenopodiaceae

Genere: Chenopodium

Specie: Chenopodium quinoa Willdenow

 

Cos’è la quinoa e storia

La quinoa è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae.

Conosciuta e coltivata da tempi antichi soprattutto nel Sud America, da noi si è diffusa piuttosto recentemente; è ormai diffusa in Inghilterra, Germania, Danimarca, Spagna, Italia, Francia, Russia, Portogallo, l’Himalaya, Sud Est Asiatico, e la Namibia.

In generale la produzione di quinoa è aumentata negli ultimi anni.

 

Pur non appartenendo alla famiglia botanica delle graminacee o poacee (le sole piante e i loro prodotti sono ascrivibili nei cereali), la quinoa è classificata merceologicamente come pseudocereale.

 

Rispetto agli altri cereali possiede un alto contenuto proteico e può essere consumata dai celiaci per la sua totale assenza di glutine.

Viene utilizzata in grani come un normale cereale e può essere utilizzata per minestre, insalate, crocchette e polpette.

 

Prima di poter utilizzare la quinoa bisogna eseguire un’operazione di desaponificazione, per eliminare la saponina ed evitare il gusto amaro.

 

Varietà di quinoa

Esistono più di 200 varietà di quinoa e quella più utilizzata è la quinoa Real per il suo basso tenore di saponina.

In commercio si trovano anche altre varietà quali: Bear, Cherry Vanilla, Cochabamba, Dave 407, Gossi, Isluga, Kaslala, Kcoito, Linares, Rainbow, Red head e Temuco.

 

Proprietà nutrizionali della quinoa

tabella con i valori nutrizionali della quinoa

Quinoa valori nutrizionali

I semi della pianta sono ricchi di carboidrati complessi ma in quantità inferiori rispetto agli altri cereali.

 

Si differenzia per l’elevato contenuto di proteine, fino al 14% in 100 grammi, oltre che per la qualità biologica di queste. La lisina, aminoacido generalmente carente nei cereali, è presente in quantità doppie rispetto al grano.

La composizione proteica infine è ideale anche per chi è celiaco, non è difatti presente la frazione del glutine. Come mostrato in alcuni studi, l’introduzione della quinoa in una dieta senza glutine è stata bene tollerata dalle persone che presentano tale condizione.

 

Anche la sua composizione in fibra è molto buona, infatti una porzione copre circa un quarto della quantità consigliata dalla Società Italiana di Nutrizione Umana.

 

Per quanto riguarda vitamine e sali minerali, la quinoa è fonte di vitamine del gruppo B, fosforomagnesio, ferro e zinco.

 

Le foglie giovani prima della fioritura, sono ricche in vitamine, minerali e proteine e quindi idonee al consumo umano.

 

Quinoa benefici

Il consumo di quinoa quindi arricchisce l’alimentazione di fibre che promuovono il buon funzionamento dell’intestino, contrastando la stitichezza e riducendo l’esposizione delle cellule intestinali a sostanze tossiche.

Inoltre aiutano a regolare l’assorbimento di colesterolo e zuccheri, aiutando così a combattere l’ipercolesterolemia e l’ipoglicemia.

 

Anche i minerali contenuti nella quinoa apportano benefici all’organismo. A questo proposito, infatti, il magnesio partecipa a molte reazioni cellulari ed è utilizzato per la produzione di energia del metabolismo, il ferro è un componente dell’emoglobina e della mioglobina, mentre lo zinco è un componente di molti enzimi coinvolti nelle reazioni metaboliche.

 

La porzione standard consigliata è di 80 grammi, che corrisponde a circa 4 cucchiai di quinoa.

 

Una porzione di quinoa contiene 366 mg di fosforo, ricoprendo così più di metà della RDA (Recommended Daily Allowance) di questo minerale per la popolazione adulta (che è di 700 mg).

 

Inoltre il consumo di questo pseudocereale può essere utile in caso di anemia sideropenica.

 

Quinoa interazioni

Vi ricordiamo infine che la quinoa non lavata contiene saponina, che può causare problemi gastrointestinali, mentre le foglie della pianta contengono acido ossalico; prima di essere consumate devono essere scottate in acqua bollente.

 

Produzione e Tecnologia della quinoa

Caratteri botanici della quinoa

La quinoa è una pianta erbacea annuale a radice fittonante, molto profonda, con un sistema altamente ramificato, che le dà una buona stabilità e le permette un’ottima resistenza alla siccità

Le radici assumono un colore differente a seconda del terreno in cui crescono.

 

Il fusto è legnoso, eretto, può essere ramificato o non ramificato, di altezza variabile dai 30 cm fino ai 3 m a seconda della varietà.

Il colore è diverso a seconda delle varietà e delle fasi fenologiche, (può assumere colorazioni dal verde al rosso, spesso mostra striature). All’interno è presente un midollo che scompare alla maturazione, lasciando il gambo secco e vuoto.

 

Le foglie sono alternate. La lunghezza dei piccioli e la forma delle foglie (a forma di diamante, di triangolo, lanceolata, piatta o ondulata) sono variabili a seconda della varietà e possono variare anche sulla pianta stessa a seconda della posizione in cui si trovano. Anche il colore delle foglie è molto variabile (dal verde al rosso con sfumature diverse).

La pianta resiste bene alla siccità in quanto all’interno delle foglie sono contenuti cristalli di ossalato di calcio che riducono la traspirazione eccessiva.

 

L’infiorescenza è una tipica pannocchia con un asse centrale, uno secondario e uno terziario con i pedicelli che tengono i glomeruli. La lunghezza della pannocchia è variabile a seconda del genotipo, il tipo di quinoa e delle condizioni di fertilità del suolo.

I fiori sono molto piccoli, privi di petali, costituiti da una corolla composta da tepali e solitamente da cinque sepali di colore verde. I fiori possono essere ermafroditi (il fiore presenta entrambi gli organi sulla stessa pianta) oppure possono esserci piante dioiche. Inoltre sono autofertili e l’impollinazione in genere è anemofila (tramite il vento).

 

Il frutto è un achenio indeiscente molto piccolo, rotondeggiante, appiattito, con un diametro di circa 2 mm, protetto dal perigonio, che è dello stesso colore della pianta. Il seme è appiattito, ottenuto dai frutti maturi senza perigonio, può avere una forma ellissoidale, conica o sferoidale e può essere di colore bianco, beige, giallo chiaro, marrone chiaro, rosso o nero.

 

Coltivazione della quinoa

Per la coltivazione la quinoa richiede una temperatura media di circa 15-20 °C, anche se si sviluppa bene a temperature medie di 10°C sia di 25°C.

Il terreno ideale è quello limoso, ben drenato e ben dotato di sostanza organica.

 

Le condizioni ottimali per la semina si hanno quando il terreno ha una temperatura compresa tra 7°-10°C fino a un massimo di 18-20°C e una buona umidità per facilitare la germinazione dei semi; nel nostro emisfero il periodo ottimale è tra aprile e maggio.

 

Per quanto riguarda la raccolta è difficile individuare l’epoca più idonea in quanto i pannicoli presenti sulla stessa pianta maturano in tempi diversi. Solitamente si inizia nel momento di caduta delle foglie, quando i semi cadono facilmente e le piante secche assumono colorazioni giallo pallido o rosse.

Il periodo generalmente è compreso tra agosto e settembre nell’emisfero boreale e tra aprile e maggio nell’emisfero australe.

 

Produzione della quinoa

Le operazioni di raccolta possono avvenire manualmente o utilizzando trebbiatrici fisse, e sono composte da cinque fasi: Taglio, Trebbiatura, Vagliatura della granella, Essiccazione e cernita e Confezionamento e stoccaggio.

 

Durante la vagliatura la granella è posta su appositi setacci e viene lanciata in aria, quindi, sfruttando le correnti d’aria vengono rimosse le impurità (ovvero i residui della pianta come pezzi di foglie, pedicelli, infiorescenze e piccoli rami) ottenendo una buona pulizia.

 

L’essiccazione per rimuovere l’umidità residua si ottiene usando flussi di aria calda; si ritiene che la quinoa sia secca quando i semi non contengono più del 10-12% di umidità.

 

Una volta che la granella è completamente asciutta, si esegue l’operazione di desaponificazione che può avvenire con il metodo secco, con il metodo umido o combinando i due metodi.

Questa operazione serve per eliminare le saponine, sostanze antinutrienti che hanno un sapore amaro e impediscono l’assorbimento di alcuni fondamentali sali minerali, come ferro e zinco.

 

Al termine di questo processo si procede alla selezione e alla classificazione per dimensione variando il diametro delle maglie dei setacci attraverso cui devono passare i semi.

Ogni varietà ha una diversa composizione e dimensione dei semi e, i semi di grandi dimensioni sono utilizzati come semi perlati, mentre quelli più piccoli per la produzione di farina, fiocchi e altre trasformazioni.

 

In seguito alla cernita dei semi si procede alla fase di confezionamento e stoccaggio del prodotto che deve avvenire in luoghi freschi e asciutti in contenitori adeguati, preferibilmente silos di metallo.

 

Stagionalità della quinoa

In commercio la quinoa è disponibile tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione della quinoa

Prima di pensare a come cucinarla, bisogna scegliere la varietà di quinoa adatta; in commercio infatti si trova la quinoa bianca, rossa e nera.

La bianca è quella con il sapore più neutro, adatta ai neofiti oppure per preparare dei dolci. Le versioni rossa e nera, invece, hanno un gusto più distinto e nocciolato.

 

Per consumare la quinoa è fondamentale sciacquare sempre accuratamente i chicchi sotto abbondante acqua corrente: a proteggere questo finto cereale c’è la saponina, una sostanza amara dal sapore sgradevole che non è bene ritrovarsi nel piatto.

 

Per cuocerla in maniera corretta dovete aggiungere ad ogni bicchiere di quinoa ben sciacquato due bicchieri di acqua o brodo e lasciarla cuocere per 10-12 minuti, dopo i quali il liquido verrà assorbito. Non ci sarà bisogno di scolare e rischiare di distruggere i piccoli semi.

 

La quinoa può entrare a far parte di zuppe durante la stagione più fredda, in estate è ottima da accompagnare con verdure in insalata. Per colazione invece si possono consumare chicchi soffiati o fiocchi, utili anche per arricchire le ricette di biscotti o dolci apportando più fibra.

 

Le proposte di ricetta di FBO con la quinoa

    • Lovato G. “Quinoa (Chenopodium quinoa Willd.)”, Università degli Studi di Padova, Corso di laurea in Scienze e tecnologie alimentari, aa 2011/2012
    • USDA – Food composition databases
    • Zevallos V.F. et al. (2014) “Gastrointestinal effects of eating quinoa (Chenopodium quinoa Willd.) in celiac patients.”, The American Journal of Gastroenterology ;109(2):270-8.
    • www.agraria.org
    • www.celiachia.it
    • www.humanitas.it

    San Pietro

     

    pesce san pietro

    Famiglia: Zeidae

    Genere: Zeus

    Specie: Zeus faber

     

    Il pesce di san Pietro

    Il San Pietro è un pesce di acqua salata conosciuto anche come pesce di san Pietro o pesce sampietro.

     

    È un animale solitario che predilige fondali sabbiosi e che spesso è presente anche al livello costiero.

    Si trova nelle acque temperate e tropicali dell’Oceano Indiano, dell’Oceano Pacifico, dell’Oceano Atlantico orientale, dalla Norvegia al Sud Africa, del Mar Mediterraneo e del Mar Nero. In Italia, è diffuso in particolare nell’Adriatico.

    Spesso non è raro catturarlo in acque basse.

     

    La caratteristica che lo rende unico è la presenza di una macchia scura sulle squame a sfondo chiaro posizionata centralmente sui fianchi, la cui particolarità ha dato spunto a molteplici leggende.
    La leggenda narra infatti che San Pietro in persona avrebbe catturato questo pesce imprimendogli così l’impronta del pollice e dell’indice.

     

    In commercio si trova fresco o congelato.

     

    Proprietà nutrizionali del pesce san Pietro

    tabella con i valori nutrizionali del pesce san pietro

    Valori nutrizionali e benefici del pesce san Pietro

    Le proteine contenute in questo pesce sono di alto valore biologico e la presenza di acidi grassi essenziali della famiglia Omega 3 ne fanno un alimento buono per il cuore.

     

    Buono è anche il contenuto di potassio che regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule, è fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso. Un buon apporto alimentare è associato alla riduzione della pressione negli ipertesi.

     

    Il consumo del pesce san Pietro non presenta controindicazioni a meno che non si soffra di allergia a questo pesce.

     

    La porzione di consumo consigliata è 150 grammi di pesce fresco.

     

    Produzione e Tecnologia del pesce di san Pietro

    Caratteristiche del pesce san Pietro

    Il pesce San Pietro ha una forma ellissoidale e particolarmente schiacciata; solitamente ha una lunghezza tra i 30 e i 40 cm ma può raggiungere anche i 90 cm e gli 8 kg di peso.

    La testa possiede diverse protuberanze e spine e la bocca è larga.

    Dalla spina dorsale si propagano lunghe appendici filamentose.

    Le pinne pettorali sono di dimensioni medie, quelle ventrali piuttosto lunghe, mentre quella caudale è trasparente e tondeggiante.

     

    Presenta un colore grigio violaceo o verdastro con riflessi argentati su cui ci sono delle striature scure o giallastre.

    La caratteristica che rende unico questo pesce è la presenza di una macchia scura, un ocello nero cerchiato in grigio collocato centralmente sui fianchi che ha dato spunto a molteplici leggende.

     

    Habitat e riproduzione del pesce san Pietro

    L’habitat ideale per questi pesci sono i fondali sabbiosi di acque temperate e tropicali; solitamente si trovano ad una profondità di circa 200 metri.

     

    È un animale solitario che si nutre principalmente di piccoli pesci, cefalopodi e crostacei, catturandoli con un’improvvisa apertura della bocca.

     

    Si riproduce in diversi periodi dell’anno, in base al luogo in cui vive; nel Mediterraneo la riproduzione avviene fra novembre e maggio.

    Inizialmente le uova pelagiche galleggiano, successivamente, durante il periodo di due settimane di incubazione, diventano più pesanti e schiudono in acque profonde.

    Le forme larvali fanno parte del plancton mentre i giovani che hanno la forza d’opporsi alle correnti sono bentonici. La maturità sessuale viene raggiunta verso il quarto anno di vita, a 23-29 cm per i maschi e 29-37 cm per le femmine.

    Il ciclo riproduttivo è lungo: per raddoppiare la popolazione occorrono, secondo la zona, dai 4,5 ai 14 anni.

     

    La pesca del pesce san Pietro

    Viene generalmente pescato sia con attrezzi di pesca professionale, come reti a strascico o palangari, che con reti da posta della piccola pesca artigianale.

    Il periodo migliore è quello estivo perché il pesce si avvicina alle coste pur restando comunque a profondità non inferiore a 50 metri.

     

    Anche se è una specie molto diffusa la sua carne pregiata è molto richiesta, quindi bisognerebbe limitarne la pesca fissando la larghezza minima delle maglie delle reti a 37 cm, per permettere ad ogni esemplare di riprodursi almeno una volta.

     

    Stagionalità del pesce san Pietro

    Il periodo migliore per acquistarlo è tra gennaio e aprile.

     

    Preparazione e Conservazione del san Pietro

    Il San Pietro è un pesce considerato pregiato; le sue carni sono molto saporite, è tenero e semplice da pulire.

    Oltre ad avere un sapore ricco della carne possiede un valore nutrizionale ottimale: infatti per il suo valore nutritivo piuttosto contenuto viene prediletto da chi è attento alla linea e, spesso, inserito all’interno di diete ipocaloriche e piatti light.

     

    Prima di consumarlo è necessario pulirlo accuratamente, lavandolo ed eviscerandolo. Si consiglia di consumarlo nella sua interezza, anche se molti preferiscono cucinare esclusivamente i filetti più carnosi.

     

    Questo pesce si conserva a -18° fino alla data di scadenza, a -12° per un mese, a -6° per una settimana e per tre giorni nello scomparto del ghiaccio. In frigorifero può essere conservato per un giorno e si consuma entro le 24 ore, previa cottura.

     

    Per il suo gusto deciso, è un alimento estremamente versatile ed al centro di numerose ricette della cucina italiana.

    Scalogno

     

    scalogno

    Famiglia: Liliaceae

    Genere: Allium

    Specie: Allium ascalonicum L.

     

    Scalogno cos’è e storia

    Lo scalogno o scalogna (Allium cepa var. aggregatum) è un ortaggio a bulbo appartenente alla famiglia delle Liliaceae con caratteristiche simili a quelle dell’aglio e della cipolla ma, a differenza di questi due ortaggi, presenta un gusto delicato e di conseguenza ha una maggiore versatilità in cucina.

    Lo scalogno in particolare è costituito da un 2-3 bulbilli avvolti da una unica tunica.

     

    Per alcuni è una specie originaria della Palestina, per altri delle regioni dell’Asia Centrale; si tratta di una pianta erbacea originaria del Medioriente che si diffuse poi nel Mediterraneo.

    Il nome scientifico (Allium ascalonicum L.) deriva da Ascalon, antica città della Palestina dove veniva diffusamente coltivato.

     

    Ad oggi è un’importante specie commerciale coltivata in tutti i continenti.

     

    Varietà di scalogno o scalogna

    Sono diverse le varietà di scalogno coltivate:

     

    • l’Olandese di Jersey o cipolla ascalogna è una varietà precoce, di ridotta vigoria vegetativa, anche se presenta bulbi piuttosto grossi di forma sferica. L’involucro è rossiccio o giallognolo. Il sapore è molto delicato.

     

    • Lo Scalogno comune è una varietà molto rustica e produttiva, con maturazione tardiva e facile conservazione durante il periodo invernale. I bulbi sono di forma molto allungata, l’involucro violaceo, il sapore pungente e aromatico.

     

    • Lo Scalogno di Romagna IGP (Indicazione Geografica Protetta) presenta foglie lunghe e slanciate, un bulbo a forma di fiaschetto piuttosto contorto, l’apparato radicale ben sviluppato, le guaine di colore scuro dorato, la polpa con sfumature rosa-lilla e il sapore un po’ piccante.
      Questa varietà ha ottenuto il riconoscimento IGP con il Reg. CE n. 2325/97 e la zona di produzione stabilita nel disciplinare si estende a numerosi comuni nella provincia di Ravenna (Brisighella, Casola, Valsenio, Castelbolognese, Faenza, Riolo Terme, Solarolo), di Forlì (Modigliana, Tredozio) e di Bologna (Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Castel del Rio, Castel Guelfo, Dozza, Fontanelice, Imola, Mordano).

     

    Lo scalogno può essere commercializzato fresco o secco.

     

    Proprietà nutrizionali dello scalogno

    tabella con i valori nutrizionali dello scalogno

    Valori nutrizionali dello scalogno

    Lo scalogno dal punto di vista nutrizionale è migliore delle cipolle, grazie al suo apporto di vitamine, minerali e antiossidanti tra cui l’allicina derivante da quercetina e kaempferolo, in grado di intervenire efficacemente su alcuni tipi di tumore.

     

    Per quanto riguarda le vitamine, lo scalogno è particolarmente ricco di vitamina C, A e quelle del gruppo B. Per poter trarre i benefici di queste proprietà si consiglia di consumare lo scalogno crudo, in quanto con la cottura le vitamine tendono a disperdersi.

     

    Benefici dello scalogno

    Nello scalogno è presente l’allicina, una molecola che sembra anche essere in grado di ridurre i livelli ematici di colesterolo, sembra essere dotata di proprietà antidiabetiche, antibatteriche, antitumorali, antivirali e antimicotiche e sembra inibire l’aggregazione delle piastrine riducendo così il rischio di contrarre patologie di natura cardiovascolare.

     

    In esso inoltre troviamo la vitamina A, il selenio e il manganese che contribuiscono ad aiutare le difese antiossidanti dell’organismo.

    Ricordiamo anche i folati (o vitamina B9) che rendono questa verdura indicata per promuovere lo sviluppo corretto del sistema nervoso durante la gestazione.

     

    Produzione e tecnologia dello scalogno

    Caratteri botanici dello scalogno

    Lo scalogno è un ortaggio a bulbo di tipo perenne, con la pianta che può raggiungere anche un’altezza di 30 cm.

    La parte aerea è costituita da foglie erette, cave e cilindriche (come quelle della cipolla, anche se più numerose) e quelle giovani sono commestibili. La parte sottoterra è formata da bulbi globosi, allungati e tunicati, ossia fasciati alla base da un involucro comune, dal diametro massimo di 3-4 cm, dalla forma a fiaschetto allungato e di colore bianco-viola sfumato.

    I singoli bulbilli sono piccoli e allungati, con alcune differenze a seconda della varietà.

     

    Lo Scalogno di Romagna IGP presenta dei bulbi di forma regolare a fiaschetto di dimensioni non superiori ai 2 cm con buccia coriacea, gustosi, aromatici e delicati; colorazione, profumi, sapori, aromaticità e finezza lo differenziano da tutte le altre varietà coltivate.

     

    La riproduzione avviene per via vegetativa, ossia attraverso l’interramento del bulbillo, esattamente come avviene per l’aglio, e non per impollinazione in quanto questa specie non fa fiori.

     

    Coltivazione dello scalogno

    È una pianta da orto resistente, non richiede cure particolari e viene coltivato con ciclo annuale.

    Non si può però coltivare in successione a sé stesso o ad altre Liliacee, né Solanacee, barbabietole o cavoli, e si può tornare a piantare lo scalogno sullo stesso terreno solo dopo 5 anni.

     

    La messa in dimora dei bulbilli va effettuata a novembre-dicembre, mentre la raccolta si inizia da metà giugno, per il prodotto da consumare fresco e dalla seconda metà di luglio per quello da conservare e trasformare.

     

    Il singolo bulbo deve essere interrato a una profondità di circa 10 cm, mantenendo una distanza di 20 tra l’uno e l’altro e di 30-40 cm tra le fila.

     

    Produzione dello scalogno fresco e secco

    La raccolta avviene generalmente all’inizio dell’estate quando le foglie iniziano ad ingiallire.

    Si estirpano i bulbi dal terreno, aiutandosi con una forca o con una vanga, si fanno seccare al sole e poi si conservano per alcuni mesi in un luogo buio, fresco, asciutto e ventilato.

    Per un mantenimento ottimale dei bulbi sono raccomandati luoghi con una temperatura intorno ai 12-15 gradi.

     

    Stagionalità dello scalogno

    In commercio lo scalogno è disponibile tutto l’anno e si trova all’interno delle classiche trecce o retine.

     

    Preparazione e Conservazione dello scalogno

    Lo scalogno ha un sapore molto più delicato e aromatico rispetto agli altri due ortaggi della stessa famiglia, ovvero la cipolla e l’aglio.

    Come la cipolla, può essere caramellato, oppure cucinato in agrodolce. Può anche essere utilizzato crudo per arricchire e aromatizzare fresche insalate. Lo scalogno è ottimo, in particolare, per esaltare il gusto dei piatti con peperoni, cetrioli, pomodori, radicchio, fave, patate e melanzane.

     

    Si conserva fuori dal frigorifero in un ambiente buio, fresco e asciutto (l’ideale sarebbe in una cantina), mentre, una volta tagliato, va conservato avvolto nella pellicola per alimenti, in frigorifero, dove può rimanere al massimo per una settimana.
    Un altro metodo di conservazione dello scalogno è quello di metterlo in un contenitore, sbucciato e coperto con olio d’oliva, il quale ne assorbirà il sapore e potrà a sua volta essere usato per cucinare.

    • • Arpornchayanon W. et al. (2019) “Antiallergic activities of shallot (Allium ascalonicum L.) and its therapeutic effects in allergic rhinitis”, Asian Pac J Allergy Immunol. 2019 Aug 18.

      • Mohammadi-Motlagh H-R., Mostafaie A., Mansouri K. (2011) “Anticancer and anti-inflammatory activities of shallot (Allium ascalonicum) extract”, Arch Med Sci;7(1):38-44.

      • www.agraria.org

      www.bda-ieo.it

      www.coltivazionebiologica.it

      www.humanitas.it

      www.politicheagricole.it

      Semi di girasole

       

      semi di girasole

      Famiglia: Asteraceae

      Genere: Helianthus

      Specie: Helianthus annuus L.

       

      Girasole: storia e varietà

      Il girasole (Helianthus annuus L.) è una pianta di origine americana, secondo alcuni studiosi peruviana, secondo altri messicana che si diffuse in Europa solamente agli inizi del 1500.

      A livello mondiale oggi è largamente coltivata, si trova infatti al secondo posto, dopo la soia, tra le piante produttrici di olio. In Italia è presente soprattutto nell’Italia centrale.

       

      Le varietà coltivate sono diverse e sono suddivise in due gruppi:

       

      1. l’uno idoneo per la produzione di semi e per foraggio, comprendente piante monocefaloiche e con acheni grandi,
      2. l’altro per la produzione di fiori ornamentali, caratterizzato da piante ramificate e policefale.

       

      Quelli che comunemente vengono definiti semi di girasole sono, in realtà, i frutti secchi, detti acheni. Ogni achenio è costituito da un guscio duro esterno e da una mandorla interna, chiamata impropriamente “seme” e le attuali varietà selezionate danno acheni contenenti anche più del 45% di olio.

       

      Per olio di girasole si intende un grasso vegetale ottenuto dalla spremitura dei semi di girasole.

       

      Proprietà nutrizionali dei semi di girasole

      tabella con i valori nutrizionali dei semi di girasole

      Valori nutrizionali dei semi di girasole

      A livello di micronutrienti sono presenti minerali e vitamine. I minerali più rappresentati sono il ferro, il magnesio, il fosforo, il potassio e lo zinco, mentre tra le vitamine spiccano la vitamina E e i folati.

       

      La presenza di acidi fenolici (acido caffeico, acido gallico) e flavonoidi (quercetina) rendono i semi di girasole ulteriormente utili per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.

       

      Benefici dei semi di girasole

      A livello di minerali quelli più rappresentati sono il ferro, il cui compito è quello di legare l’ossigeno alla molecola di emoglobina, presente nei globuli rossi, il magnesio fondamentale per la normale funzionalità del tessuto muscolare del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso, il fosforo, elemento strutturale di ossa, denti e cellule, il potassio, che regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule, ed infine lo zinco coinvolto nella produzione, deposito e liberazione dell’insulina, partecipa al metabolismo degli ormoni tiroidei.

       

      I semi di girasole sono utili al mantenimento di una buona salute cardiovascolare, grazie alla presenza di acidi grassi mono e polinsaturi che contribuiscono ad abbassare i livelli di colesterolo cattivo LDL e diminuire la pressione arteriosa.

       

      L’abbondanza di folati, vitamine essenziali per la regolazione dei processi di proliferazione e differenziamento cellulare, della sintesi di DNA e proteine e per la formazione di emoglobina, fanno dei semi di girasole un cibo ideale da inserire nell’alimentazione delle donne incinte o che si stanno preparando ad una gravidanza.

      I folati, infatti, prevengono l’insorgenza delle malformazioni neonatali, in particolare quelle a carico del tubo neurale, come la spina bifida.

       

      Tra le vitamine ricordiamo anche la vitamina E, che ha funzione antiossidante. Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

       

      La porzione di consumo giornaliera consigliata è 30 grammi.

      Una sola porzione di semi di girasole è in grado di fornire quasi tutto il fabbisogno giornaliero di vitamina E, facendo riferimento alla popolazione adulta.

       

      Produzione e Tecnologia dei semi di girasole

      Caratteri botanici del girasole

      Il girasole è una pianta annuale di grande sviluppo, con una lunga radice fittonante, il cui fusto nelle varietà da olio può raggiungere fino a 2 metri di altezza.

      Sullo stelo sono presenti le foglie, che si presentano ruvide su entrambe le facce, munite di un lungo picciolo e di forma diversa a seconda della posizione. Il culmo è eretto e solo a maturità si curva nella parte terminale per l’aumento del peso dell’infiorescenza o calatide.

      L’infiorescenza esternamente è una corona di fiori sterili dentro cui sono inseriti gli altri fiori, più piccoli, fertili e ermafroditi (da 500 a 3.000). In seguito alla fecondazione si forma un frutto secco indeiscente, detto achenio, costituito in media dal 40-50% di olio. Ogni achenio è costituito da un guscio duro esterno e da una mandorla interna, chiamata impropriamente “seme”.

       

      Una caratteristica del girasole è l’eliotropismo, ovvero il fatto di seguire il movimento della luce durante il giorno; tale fenomeno riguarda l’infiorescenza durante la fase di sviluppo e le giovani foglie e cessa al sopraggiungere della fioritura.

       

      Coltivazione del girasole

      Il ciclo della pianta di girasole è primaverile-estivo e ha una durata variabile, da un minimo di 85-95 giorni per le nuove varietà o i nuovi ibridi a 130-140 giorni fino a un massimo di 180, per le vecchie popolazioni.

      È costituito da diverse fasi: germinazione, emergenza, formazione delle foglie, differenziazione dei bottoni fiorali, crescita attiva, fioritura, formazione e riempimento del seme e maturazione.

       

      Il girasole è una pianta caratterizzata da un elevato consumo idrico che tollera sia le basse che le alte temperature. È una pianta da rinnovo adatta alla coltura asciutta, è un ottimo preparatore del frumento e tra una coltura e l’altra è consigliabile lasciare un intervallo di 6-7 anni.

      Le varietà e gli ibridi presenti sul mercato sono divisi, in funzione della durata del ciclo biologico, in precoci, medi e tardivi.

       

      In Italia la semina viene effettuata nella prima metà di aprile al Nord, verso la fine di marzo al Centro e non oltre la metà di marzo al Sud, e viene fatta a file distanti 60-70 cm con seminatrice di precisione.

       

      Produzione dei semi e dell’olio di girasole

      La raccolta, effettuata con mietitrebbiatrici, inizia quando si verifica la caduta spontanea degli involucri fiorali portati dal frutto, il viraggio al bruno della calatide e la completa secchezza delle foglie basali e di parte di quelle mediane.

       

      Dai semi di girasole si ottiene l’olio, che possiede un buon valore alimentare, una buona conservabilità e stabilità ed è disponibile sul mercato tutto l’anno.

      Dall’estrazione dell’olio si ha come residuato un panello molto ricco di proteine che viene impiegato nell’alimentazione zootecnica.

       

      Preparazione e Conservazione dei semi di girasole

      La tecnologia più adeguata a preservare il valore nutrizionale del frutto del girasole per lungo tempo è l’essiccazione, ma per asciugare il seme è possibile utilizzare:

       

      • Essiccatori speciali: Se ci sono molti semi, allora questo metodo è il più adatto. I dispositivi hanno diverse modalità che consentono di tenere conto del contenuto di umidità del frutto e del contenuto di olio in essi contenuto.
      • Essiccatoio elettrico: A casa è utile. I semi di girasole vengono lavorati in esso da un quarto d’ora a venti minuti ad una temperatura di 50-80 gradi. La durata dipende dall’umidità del frutto.
      • Forno. I semi vengono essiccati su una teglia allo stato desiderato a una temperatura di 130-150 gradi per venti o venticinque minuti. La porta del forno deve rimanere socchiusa.
      • Aria fresca: Per asciugare i semi di cui hai bisogno, stendendoli in uno strato sottile su garza o carta. Se il giorno è caldo e soleggiato, il prodotto sarà pronto in tre o quattro ore. I semi devono essere miscelati periodicamente ad asciugare uniformemente.

       

      Dopo l’essiccazione, i semi di girasole sono disposti in sacchetti di carta o in tessuto. I contenitori in polietilene non possono essere usati: in esso il prodotto diventerà rapidamente rancido. Pacchetti o sacchetti riempiti con semi di girasole possono essere collocati:

      – In una stanza asciutta e fresca. Condizioni di conservazione ideali: temperatura fino a 10 gradi; umidità – 7%. In tali locali, i semi possono essere conservati per un massimo di sei mesi.

      – Nel frigorifero in luoghi riservati per le verdure con frutta. I semi rimarranno in buone condizioni fino a un anno.

       

      I semi di girasole possono essere per esempio aggiunti allo yogurt, magari con della frutta e dei fiocchi d’avena, oppure aggiunti ad una macedonia come merenda; ancora per arricchire l’impasto e la superficie del pane o cosparsi nelle insalate o sulle vellutate.

       

      Le proposte di ricetta di FBO con i semi di girasole

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        • Guo S et al. (2017) “A review of phytochemistry, metabolite changes, and medicinal uses of the common sunflower seed and sprouts (Helianthus annuus L.)”, Chemistry Central Journal; 11: 95.
        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
        • Rauf S et al. (2017) “Progress in modification of sunflower oil to expand its industrial value.”, Journal of the Science of Food and Agriculture;97(7):1997-2006.
        • www.agraria.org
        • www.bda-ieo.it
        • www.humanitas.it

        Semi di canapa

         

        semi di canapa

        Famiglia: Cannabinaceae

        Genere: Cannabis

        Specie: Cannabis sativa L.

         

        Canapa: storia e specie

        La canapa (Cannabis sativa L.) è una pianta originaria delle regioni a nord e a sud dell’Himalaya.

        La Cina è il Paese in cui viene coltivata da più tempo; a livello mondiale si coltiva soprattutto in Asia (Cina e India), Europa dell’Est e Russia.

         

        Esiste anche la canapa indiana (Cannabis indica), una pianta originaria del Kafiristan, a sud dell’Hindukush, che fornisce una qualità di fibra mediocre e che in Oriente viene coltivata per l’estrazione di alcune droghe dalle estremità fiorite e dalle foglie essiccate.

         

        In commercio la canapa si trova sotto forma di semi o olio.

         

        Proprietà nutrizionali dei semi di canapa

        tabella con i valori nutrizionali dei semi di canapa

        Valori nutrizionali dei semi di canapa

        I semi di canapa, così come quelli di sesamo o di girasole, sono composti prevalentemente da lipidi, che costituiscono quasi il 50% del loro peso.

        I grassi più rappresentati sono quelli insaturi, in particolare acidi grassi polinsaturi della serie omega-6 ed omega-3.

        Nei semi di canapa, inoltre, gli omega-6 e gli omega-3 si trovano in rapporto 3:1 che, secondo gli studi, è la proporzione utile per ridurre il rischio di patologie correlate all’eccesso di colesterolo nel sangue.

         

        Questi semi sono inoltre fonte di fibre, proteine e importantissimi micronutrienti, comeil magnesio, un minerale fondamentale per la funzionalità di cuore, muscoli e sistema nervoso.

        Buono è anche il contenuto di zinco, potassio, ma soprattutto di ferro, essenziale per un efficiente trasporto dell’ossigeno nel sangue.

         

        Benefici dei semi di canapa

        Nei semi di canapa si trovano gli omega-3, acidi grassi considerati essenziali. In merito ad essi sono presenti studi che dimostrano che regolano il colesterolo nel sangue, agiscono positivamente a livello cardiovascolare e in gravidanza.

         

        Il cuore ed il sistema vascolare vengono inoltre protetti, oltre che dai grassi polinsaturi anche dai flavonoidi contenuti nei semi di canapa. Anche i fitosteroli sono presenti in buona quantità, questi composti, hanno una struttura simile a quella del colesterolo e quindi competono con esso per essere assorbiti dal nostro intestino. Consumare alimenti ricchi di fitosteroli, pertanto, può contribuire a tenere sotto controllo la colesterolemia.

         

        Tra i minerali spiccano il potassio, il magnesio, lo zinco e il ferro. Il potassio contribuisce a regolare la pressione arteriosa e i fluidi; il magnesio è un minerale utilizzato sia da parte di numerosi enzimi sia per creare energia sia nel controllo di glicemia e pressione sanguigna.

        Una porzione da 30 g, circa 3 cucchiai, copre quasi interamente il fabbisogno giornaliero di magnesio.

         

        Lo zinco invece fa parte di enzimi che prendono parte a numerose reazioni metaboliche, è coinvolto nella sintesi del dna, nei processi di divisione cellulare e nella riparazione dei tessuti mentre il ferro si trova nell’emoglobina e nella mioglobina, è implicato nel trasporto dell’ossigeno, è usato da alcuni enzimi dell’organismo ed è utile al corpo per la produzione di ormoni e tessuto connettivo.

         

        La dose giornaliera consigliata è 30 grammi, che corrisponde a 3 cucchiai di semi di canapa.

         

        Il consumo di questi semi oleosi può essere utile in caso di anemia sideropenica, un’anemia causata da una mancanza di ferro nell’organismo.

         

        Produzione e Tecnologia dei semi di canapa

        Caratteri botanici della canapa

        La canapa è una pianta annuale, con radice fittonante e fusto eretto, più o meno ramificato, robusto, che può arrivare fino a 4 metri di altezza.

        Le foglie sono prevalentemente opposte, picciuolate, palmatosette; le infiorescenze, dette pannocchie, maschili e femminili sono presenti su piante diverse e, per questo motivo, è una specie dioica.

         

        Il frutto è un achenio, comunemente chiamato seme di canapa o canapuccia; contiene un unico seme racchiuso in un pericarpo sottile di consistenza cornea, indeiscente, bivalve.

        L’achenio presenta una forma ovoidale, a volte quasi sferica, e non ha un colore uniforme, presenta infatti varie macchie. Solitamente è bruno, talora olivastro o tendente al rossiccio; alcune volte i frutti sono più chiari, biancastri e verdognoli.

         

        Coltivazione della canapa

        La canapa predilige zone umide, temperature di 20-25°C durante tutto il ciclo, terreni argillosi e fertili ed è una coltura da rinnovo.

         

        La semina viene fatta a fine aprile-primi maggio a file distanti 15-18 cm.

        La raccolta avviene in tempi diversi: se riguarda esclusivamente la bacchetta viene effettuata in corrispondenza della fioritura femminile, ovvero nella prima metà di agosto, se si vuole ottenere anche la produzione di acheni, viene posticipata alla fine di settembre.

         

        I prodotti ottenuti dalla canapa

        Dalla canapa si ottengono diversi prodotti.

        Dalla bacchetta verde, che subisce il processo di stigliatura per separare la parte legnosa, o canapulo, dalla fibra si preparano carte speciali. La fibra ottenuta viene impiegata per la fabbricazione di tessuti, filtri e isolanti termo-acustici.

        Dalle piante femminili si può utilizzare anche il seme, utilizzato per l’estrazione o spremitura di olio impiegato per la produzione di colori e vernici.

         

        Gli oli di canapa di qualità migliore sono quelli spremuti a freddo e non raffinati; in commercio si trova anche il meno pregiato olio di canapa raffinato.

        In generale l’olio di canapa è di colore verde con sfumature che vanno da tonalità più chiare a tonalità più scure.

         

        Preparazione e Conservazione dei semi di canapa

        I semi di canapa integrali o decorticati si possono acquistare nelle erboristerie, nei negozi che trattano alimentazione naturale e prodotti biologici oppure su siti web specializzati. Sono presenti in alcuni supermercati e vi consigliamo di valutare sempre la qualità del prodotto, che sia povero di additivi e possibilmente biologico.

         

        I semi di canapa si possono trovare in commercio integrali o decorticati e si possono consumare al naturale o dopo tostatura.

        Questi semi possono essere utilizzati su insalate o sui primi piatti o utilizzarli per arricchire la colazione, magari abbinandoli a uno yogurt e un frutto di stagione.

         

        La canapa sativa alimentare andrebbe conservata con cura, in un contenitore ermetico e lontano da fonti di umidità oppure in frigorifero.

        Oltre ai semi di canapa, in commercio è possibile trovare l’olio di semi di canapa e la farina di canapa, che può essere utilizzata insieme ad altre farine per la preparazione di pasta, focaccia e pizza.

          • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
          • Prociuk et al. (2008) “Cholesterol-induced stimulation of platelet aggregation is prevented by a hempseed-enriched diet”, Can J Physiol Pharmacol.;86(4):153-9.
          • Yalcin H., Konca Y., Durmuscelebi F. (2017) “Effect of dietary supplementation of hemp seed (Cannabis sativa L.) on meat quality and egg fatty acid composition of Japanese quail (Coturnix coturnix japonica).”, Animal Physiology and Animal Nutrition ;102(1):131-141.
          • www.agraria.org
          • www.bda-ieo.it
          • www.humanitas.it

          Semi di chia

           

          semi di chia

          Famiglia: Lamiaceae

          Genere: Salvia

          Specie: Salvia hispanica L.

           

          Chia: cos’è e storia

          La chia è una pianta originaria del Guatemala e del Messico centrale e meridionale; ad oggi viene coltivata in Messico, Bolivia, Argentina, Ecuador, Nicaragua, Guatemala e Australia.

           

          La pianta appartiene alla famiglia delle Lamiaceae, di cui fanno parte molte piante aromatiche come menta, origano, rosmarino, timo e salvia, con cui condivide la capacità aromatica.

          Della chia si consumano i semi interi o la farina, ottenuta dagli stessi semi, e entrambi trovano un largo impiego in cucina.

           

          Proprietà nutrizionali dei semi di chia

          tabella con i valori nutrizionali dei semi di chia

          Valori nutrizionali dei semi di chia

          I semi di chia sono composti da un buon quantitativo di fibra, all’incirca un 34% che dona loro la capacità di assorbire acqua fino a 15 volte il proprio peso.

          Possiedono anche una discreta quantità di proteine e di minerali come calcio, ferro e selenio. 

           

          Questi semi sono anche ricchi in acidi grassi omega 6 ed omega 3, definiti essenziali in quanto non sintetizzabili dall’organismo e perciò da introdurre necessariamente con la dieta.

          Contengono anche diversi polifenoli, trai quali la più apprezzabile in quantità è la quercetina, fitocomposto utile al sistema cardiovascolare.

           

          Benefici dei semi di chia

          Studi di laboratorio e trials clinici hanno indagato le prospettive terapeutiche dei semi di chia, tra le quali si evidenziano gli effetti cardioprotettivi (riduzione della pressione arteriosa, azione ipocolesterolemizzante), il controllo del diabete e la regolarizzazione del transito intestinale.

           

          I semi di chia hanno un rapporto ideale di omega 6 e omega 3 che contribuisce a ridurre i problemi cardiovascolari (come scritto precedentemente) e previene alcune forme tumorali. Oltre a queste caratteristiche, i semi di chia hanno anche proprietà antinfiammatorie e antiossidanti.

           

          La porzione giornaliera consigliata è 30 grammi.

          Una sola porzione di semi di chia è in grado di fornire circa un terzo del fabbisogno giornaliero (riferito alla popolazione adulta) di selenio, elemento utile a proteggere le cellule dallo stress ossidativo e mantenere in salute il sistema immunitario, la funzione tiroidea, cardiovascolare e cerebrale.

           

          Produzione e Tecnologia dei semi di chia

          Caratteri botanici della pianta di chia

          La chia è una pianta erbacea annuale che può raggiungere un metro di altezza.

          I fiori sono viola o bianchi, si presentano come infiorescenze composte (racemo), ermafroditi (ovvero presentano sia organi maschili che femminili) che fioriscono da luglio fino a settembre inoltrato.

          I semi sono ovali e lucidi, di colore marron/grigiastro o marron scuro, ricchi di acidi grassi polinsaturi, che misurano circa 2 mm di lunghezza per 1,5 mm di larghezza

           

          Coltivazione della chia

          La pianta di chia per essere coltivata necessita di zone soleggiate, temperature miti, un suolo ben drenato e a medio impasto o terreni sabbiosi. Solitamente la chia viene coltivata in zone tropicali o subtropicali ma oggi esistono anche specie più resistenti al freddo che riescono ad adattarsi nelle zone temperate.

          Nelle coltivazioni la produzione di chia avviene in file distanziate 70 – 80 cm e possono essere seminate in ambiente protetto fin dall’inizio di marzo.

           

          Il ciclo di coltivazione è strettamente legato al clima e all’altitudine di coltivazione: nel suo habitat ideale il ciclo (inteso dalla semina al raccolto) dura dai 100 ai 130 giorni; la durata si spinge oltre i 180 giorni nei campi situati ad altitudini di 900 – 1500 metri.

           

          Stagionalità dei semi di chia

          In commercio sono disponibili tutto l’anno.

           

          Preparazione e Conservazione dei semi di chia

          I semi di chia sono molto piccoli ed hanno un gusto piuttosto neutro, pertanto possiamo impiegarli in piatti sia dolci che salati.

          Ad esempio possiamo aggiungerli ai cereali per la colazione che useremo nel latte o nello yogurt, nell’ insalata, alle zuppe di legumi, alle vellutate, ai risotti o alle macedonie di frutta. Possono anche arricchire un contorno o possono essere usati per preparare il pane, taralli, biscotti o anche semplicemente come elemento decorativo dei piatti.

          L’importante è che non vengano cotti troppo a lungo.

           

          Inoltre i semi di chia, un po’ come quelli di lino, se lasciati in ammollo in acqua assorbono molti liquidi e rilasciano un gel (pudding), che può essere assunto di prima mattina, anche per favorire il transito intestinale e limitare il senso di fame.

           

          I semi di chia rappresentano anche un importante alleato per i celiaci: la farina che se ne ricava, infatti, è utilizzata per la preparazione di prodotti senza glutine, sia per le sue proprietà addensanti che per il valore nutrizionale aggiunto in termini di proteine, fibra e acidi grassi omega-3.

          Oltre a migliorare la consistenza ed il profilo nutrizionale delle farine comunemente impiegate per i prodotti senza glutine, la fibra apportata con i semi di chia contribuisce a ridurre l’impatto glicemico.

           

          Questi semi possono essere conservati a lungo nelle nostre dispense, a patto che siano disposti in un contenitore a chiusura ermetica ed al riparo dalla luce. Quando fa caldo, è preferibile trasferire il contenitore in frigo.

            • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
            • Parker J et al. (2018) “Therapeutic Perspectives on Chia Seed and Its Oil: A Review.”, Planta Medica;84(9-10):606-612.
            • Ullah R et al. (2016) “Nutritional and therapeutic perspectives of Chia (Salvia hispanica L.): a review.”, Journal of Food Science and Technology;53(4):1750-8.
            • www.agraria.org
            • www.bda-ieo.it
            • www.celiachia.it
            • www.humanitas.it

            Semi di sesamo

             

            semi di sesamo

            Famiglia: Pedaliaceae

            Genere: Sesamum

            Specie: Sesamum indicum L.

             

            Sesamo: cos’è e varietà

            Il sesamo è una pianta appartenente alla famiglia delle Pedaliaceae originaria delle Indie Orientali. È diffusa in Asia e Africa e viene coltivata in India, Cina, Birmania e, per quanto riguarda la zona europea, solamente in Grecia.

             

            Esistono numerose varietà di sesamo che si distinguono per la colorazione dei semi; sono presenti cultivar a semi bianchi, neri e rossastri.

             

            I semi vengono utilizzati come spezia.

             

            Proprietà nutrizionali dei semi di sesamo

            tabella con i valori nutrizionali dei semi di sesamo

            Valori nutrizionali dei semi di sesamo

            I semi di sesamo contengono buone quantità di fibra, proteine, acido folico e inoltre molto ricchi in alcuni tipi di minerali, in particolare ferro, fosforo, magnesio e soprattutto calcio, utile nella prevenzione dell’osteoporosi.

            I semi sono costituiti per il 45-55% da sostanza grassa, e l’olio che si ottiene è di ottima qualità, inodore, con scarsa tendenza ad irrancidire per l’elevato contenuto di acidi grassi insaturi (oleico e linoleico, ciascuno per circa il 40% circa).

             

            Altra caratteristica di questa tipologia di semi è il loro contenuto in particolari composti bioattivi come lignani, fitosterolo b- sitosterolo, sesamina e sesamolina.

            L’assenza di glutine, infine, rende questo prezioso alimento perfetto anche per la preparazione di alimenti per celiaci. Vi consigliamo per questo di aggiungerli tostati e sminuzzati su primi e secondi piatti o sui contorni.

             

            Benefici dei semi di sesamo

            I benefici di questi semi sono da attribuire ai micronutrienti, ai composti bioattivi e agli acidi grassi insaturi in essi presenti.

            Tra i micronutrienti spiccano la vitamina E, insieme al selenio e al manganese contenuti nei semi di sesamo, svolgono funzione antiossidante; le vitamine del gruppo B favoriscono il buon funzionamento del metabolismo; il calcio, il fosforo e il magnesio favoriscono la salute di ossa e denti, il potassio regola la pressione arteriosa, mentre il ferro è utilizzato per la produzione dei globuli rossi.

             

            I composti bioattivi contenuti, quali lignanifitosterolo b- sitosterolosesamina e sesamolina, migliorano il profilo lipidico con azione ipocolesterolemizzante.

             

            La porzione giornaliera consigliata è di 30 grammi, che corrisponde a 3 cucchiai rasi di semi di sesamo.

             

            Interazioni dei semi di sesamo

            Il sesamo può interferire con l’azione di alcuni farmaci (ad esempio gli antidiabetici, i farmaci che aumentano il rischio di emorragie, quelli che provocano sonnolenza o che vengono metabolizzati dal citocromo P450).

            Inoltre in alcuni soggetti possono causare forti reazioni allergiche, per via di specifiche proteine contenute.

             

            Produzione e Tecnologia dei semi di sesamo

            Caratteri botanici del sesamo

            Il sesamo è una pianta annuale brevidiurna che presenta un fusto eretto, semplice o ramificato, che può arrivare fino ad un’altezza di 80 cm circa.

            Le foglie sono opposte, ovali oblunghe; quelle basali si presentano larghe e dotate di picciolo lungo, quelle apicali invece sono strette e con picciolo corto.

            I fiori, ascellari e di solito isolati, con petali bianchi punteggiati di nero. La fecondazione è autogama.

             

            Coltivazione del sesamo

            È una pianta che non resiste al freddo (soffre a 10°C) e abbastanza resistente alla siccità. Non ha particolari esigenze sulla tipologia di terreno e può essere coltivata dove cresce l’arancio; ha uno sviluppo rapido e per questo motivo ha bisogno di trovare un terreno ricco di elementi nutritivi, facilmente assimilabili, specialmente azotati.

            Si tratta di una coltura da rinnovo che solitamente viene seminata in marzo-aprile a file distanti 60-70 cm.

            Dopo 20-25 giorni dalla semina, quando le piantine hanno raggiunto i 15-20 cm di altezza, si procede al diradamento lasciando 20-30 cm di distanza sulla fila.

             

            Prodotti ottenuti dal sesamo

            La raccolta avviene all’ingiallimento delle foglie, prima della completa maturazione delle capsule per evitare la deiscenza. Le piante tagliate vengono disposte in andane per completare la maturazione e trebbiate.

             

            Dai semi si ottiene un olio di ottima qualità, inodore, con scarsa tendenza ad irrancidire per l’elevato contenuto di acidi grassi insaturi (oleico e linoleico) che viene impiegato nell’alimentazione umana, nell’industria alimentare per la preparazione di margarine, in quella cosmetica per la produzione di saponi e in quella farmaceutica. Il panello che residua dall’estrazione dell’olio viene destinato all’alimentazione zootecnica.

             

            Stagionalità dei semi di sesamo

            In commercio i semi di sesamo si trovano tutto l’anno.

             

            Preparazione e Conservazione dei semi di sesamo

            Una delle più note ricette che vede come ingredienti principali i semi di sesamo è il Gomasio. Consiste in un condimento preparato con semi di sesamo e sale marino, ottimo da utilizzare al posto del sale assoluto per migliorare il condimento dei vostri piatti e beneficiare al tempo stesso di tutte le proprietà salutari di questi piccoli semi.

             

            Altra salsa famosissima in cui vengono utilizzati i semi di sesamo è quella Tahina. Questa salsa è ricavata dalla farina di semi di sesamo mescolata con il suo olio, spesso usata come condimento.

             

            Avendo al loro interno oli molto delicati, che rischiano di irrancidirsi, è consigliabile conservare i semi di sesamo al riparo dalla luce, in un luogo fresco ed asciutto ed all’interno di un barattolo di vetro con tappo o di un contenitore a chiusura ermetica.

              • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
              • Majdalawieh AF et al. (2017) “A comprehensive review on the anti-cancer properties and mechanisms of action of sesamin, a lignan in sesame seeds (Sesamum indicum).”, European Journal of Pharmacology; 815:512-521.
              • Pathak N et al. (2014) “Value addition in sesame: A perspective on bioactive components for enhancing utility and profitability.”, Pharmacognosy Reviews; 8(16): 147–155.
              • www.agraria.org
              • www.bda-ieo.it
              • www.humanitas.it

              Miglio

               

              Famiglia: Gramineae o Poaceae

              Genere: Panicum

              Specie: Panicum miliaceum

               

              Cos’è il miglio

              Il miglio (Panicum miliaceum L.) è il cereale più antico nella storia dell’alimentazione umana anche se rientra nel raggruppamento dei cereali minori.

               

              È originario del Nord Africa e tutt’oggi la maggior parte della produzione mondiale proviene da Asia e Nordafrica.

               

              Un cereale molto simile al miglio è il panico (Panicum italicum L.), anch’esso pianta erbacea annuale.

               

              Il miglio essendo un cereale privo di glutine può essere consumato anche dai celiaci.

               

              Varietà di miglio

              Esistono diverse varietà di miglio.

              Il miglio bianco o Panicum miliaceum album è la varietà più comune in Italia ed Europa; altre varietà di miglio adatte a climi molto caldo-aridi sono ad esempio il Panicum miliaceum luteum, il P. miliaceum nigrum e il P. miliaceum bicolor.

               

              Proprietà nutrizionali del miglio

              tabella con i valori nutrizionali del miglio

              Miglio valori nutrizionali

              Il miglio è composto prevalentemente da carboidrati complessi e presenta un buon contenuto di proteine e fibre.

               

              Privo di glutine, è ideale per l’alimentazione dei celiaci, che spesso fanno fatica ad assumere il giusto quantitativo di fibra.

               

              Grazie al suo elevato apporto di fibra, il miglio possiede un indice glicemico inferiore rispetto ad altri cereali. Per questo motivo gli scienziati stanno studiando l’impiego della sua farina in prodotti che abbiano un ridotto impatto sulla glicemia, adatti quindi anche a soggetti diabetici.

               

              Tra i micronutrienti il più rappresentato è il ferro e a seguire il magnesio.

              Buono è anche il contenuto di vitamine del gruppo B, soprattutto niacina.

               

              Miglio benefici

              Il miglio ha particolari effetti positivi sulla salute cardiovascolare. I responsabili di questi benefici sono gli acidi grassi polinsaturi, le fibre e i minerali.

               

              Come detto precedentemente, tra i micronutrienti spiccano il ferro, utile nel corretto trasporto dell’ossigeno da parte dei globuli rossi, e il magnesio, fondamentale per la funzionalità del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso.

               

              Le fibre in particolare controllano i livelli di colesterolo e zuccheri nel sangue agendo, di conseguenza, con attività preventiva nei confronti del tumore al colon.

               

              Il miglio aiuta anche a ridurre malattie cardiovascolari e calcoli alla cistifellea.

               

              La porzione di consumo giornaliera consigliata è 80 grammi, che corrisponde a circa 4 cucchiai di miglio.

               

              Una porzione di miglio decorticato contiene 128 mg di magnesio, ricoprendo così più di metà della dose giornaliera raccomandata di questo minerale per la popolazione adulta (che è di 240 mg).

               

              Produzione e Tecnologia del miglio

              Caratteri botanici della pianta di miglio

              Il miglio è una pianta erbacea annuale con portamento cespitoso, di altezza variabile dai 50 cm ai 150 cm, caratterizzato da foglie larghe lanceolate, pelose sul lembo e sulla guaina.

              L’infiorescenza è una pannocchia, lunga 15-20 cm, pendente su un lato, formata da racemi di spighette. Ciascuna spighetta porta superiormente un fiore ermafrodita ed interiormente uno maschile o neutro.

              Il frutto è una cariosside lucida, liscia, ellittica, compressa, di colore bianco oppure variabile dal grigio al bruno al nero. Il peso di 1000 cariossidi è di 5-7 grammi.

               

              Coltivazione del miglio

              Il miglio ha un ciclo colturale relativamente breve (circa 3-4 mesi) ed è caratterizzato da una prolungata e notevole capacità di accestimento.

              Resiste alla siccità ed alle elevate temperature, è invece sensibile al freddo, all’eccessiva umidità e ai ristagni idrici; per questo motivo viene coltivato nelle regioni temperate, a ciclo primaverile-estivo.

               

              Per le sue particolari caratteristiche biologiche questa specie viene in genere impiegata come coltura intercalare in terreni leggeri e sabbiosi, scarsamente dotati di umidità durante l’intero periodo estivo.

               

              La semina si effettua a partire dalla primavera avanzata (fine aprile). Visto il ciclo produttivo breve il miglio si presta per la semina in secondo raccolto in estate, dopo la raccolta di un cereale o di un erbaio autunno-primaverile.

              La semina può essere fatta con seminatrice a righe a file distanti 20-40 cm.

               

              Produzione del miglio

              La maturazione delle pannocchie è scalare e la raccolta avviene in modo diverso a seconda della destinazione d’uso.

              Come cereale da granella il miglio va raccolto prima della maturazione finale in quanto la maturazione è scalare e la pannocchia sgrana facilmente.

              Va perciò mietuto precocemente e trebbiato dopo la completa essiccazione.

               

              Come cereale da foraggio va raccolto all’inizio della spigatura se utilizzato come foraggio verde, oppure alla maturazione cerosa se destinato all’insilamento. Il prodotto infatti può essere consumato allo stato verde o conservato in silo.

               

              Stagionalità del miglio

              Il miglio è disponibile sul mercato tutto l’anno.

               

              Preparazione e Conservazione del miglio

              In commercio è disponibile anche il miglio soffiato, senza zuccheri e sale aggiunti, che può rappresentare una buona alternativa ad altri cereali per la colazione. Insieme ad uno yogurt, vaccino o vegetale, una manciata di frutta a guscio e un frutto fresco è ideale per una colazione completa e equilibrata.

               

              La preparazione del miglio decorticato è molto importante.

              Non è necessario l’ammollo ma è indispensabile lavarlo accuratamente sotto acqua corrente per molte volte fino al raggiungimento della totale limpidezza dell’acqua stessa, al fine di essere certi di aver eliminato tutte le scorie, le impurità e la polvere che ricoprono i chicchi.

              Dopo questo passaggio, vi suggeriamo di riporre il miglio in un colino a maglie strette, lasciandolo scolare e asciugare per circa 15 minuti.

              Trascorso questo tempo si può procedere alla cottura: va pesata la quantità di miglio necessaria (dai 50 agli 80 g a persona, a seconda della ricetta) e va messa in una pentola di acciaio dal fondo spesso, portando il tutto su fiamma media e facendolo tostare per qualche minuto.

              Quando nell’aria si sarà sprigionato un profumo deliziosamente fragrante, sarà possibile aggiungere acqua, di volume pari al doppio di quello del miglio (es. una tazza di miglio – due tazze d’acqua) e pochissimo sale, alzando la fiamma e lasciandola alta fino al raggiungimento del bollore.

              A questo punto il fuoco può essere abbassato e il miglio lasciato cucinare per circa 20 minuti, dopo i quali vi suggeriamo di spegnere il fornello e porre un coperchio sulla pentola, facendo riposare il cereale per qualche minuto.

               

              Il miglio è versatile per una moltitudine di preparazioni in cucina: è famosissimo, ad esempio, come ingrediente principale di deliziose polpette, crocchette o sformati, realizzati cuocendolo come indicato sopra, e poi aggiungendovi verdure a piacere.

              • • Bora P, Ragaee s., Marcone M. (2019) “Characterisation of several types of millets as functional food ingredients”, International Journal of Food Sciences and Nutrition;70(6):714-724.

                • Chhavi A., Sarita S. (2012) “Evaluation of composite millet breads for sensory and nutritional qualities and glycemic response”, Malaysian Journal of Nutrition; 18(1):89-101.

                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                USDA – Food composition databases

                www.agraria.org

                www.celiachia.it

                • www.humanitas.it

                Paprica o Paprika

                 

                paprica o paprika

                La paprica o paprika: cos’è e varietà

                La paprica (o paprika) è una spezia ottenuta dai peperoni, ovvero i frutti delle piante della specie Capsicum annuum L. originaria dell’America Tropicale.

                 

                Per ottener questa polvere i peperoni vengono tagliati, essiccati ed infine macinati. Inoltre a seconda dei peperoni scelti è possibile ottenerne varietà dolci oppure piccanti.

                 

                Le due varietà di peperoni da cui si ottiene la paprika sono i peperoni a forma allungata (Capsicum annuum var. longum) e i peperoni a forma di grossa ciliegia (Capsicum annuum var. longum grossum).

                 

                Le due componenti di piccantezza, valutata in base al contenuto di capsaicina, e colorazione, in relazione alla quantità di pigmenti presenti, rivestono un ruolo importante soprattutto nel momento della vendita del prodotto finale.

                Infatti più la paprika risulta piccante, più il suo colore vira verso il giallo-arancione vivo in quanto il contenuto di capsaicina è maggiore. La capsaicina avendo un effetto antiossidante previene l’ossidazione della frazione gialla a pigmento rosso.

                 

                La paprica si differenzia dal peperoncino per la varietà di peperone utilizzata, per la lavorazione del prodotto macinato e per il grado di piccantezza.

                 

                Proprietà nutrizionali della paprica

                tabella con i valori nutrizionali della paprica

                Valori nutrizionali della paprica

                La paprica o paprika dal punto di vista nutrizionale, come molte spezie ed erbe secche, è ricca di minerali e vitamine, ma data la poca quantità impiegata in cucina non può essere considerata una fonte di nutrienti.

                 

                Molto importante invece è il suo contenuto in vitamina C, infatti, se aggiunta per esempio ad un piatto di legumi, può aiutarne l’assorbimento del ferro.

                 

                Come tutte le spezie, la paprika, può essere utilizzata per dare sapidità alle pietanze, riducendo l’utilizzo del sale, fattore di rischio per ipertensione, malattie cardiovascolari e oncologiche.

                 

                La capsaicina è responsabile della sensazione piccante in bocca. Per allievare tale percezione, essendo liposolubile, è sufficiente mangiare del pane con olio così da ripulire i recettori ingannati.

                Se da un lato determina una sensazione spiacevole per alcune persone, la capsaicina è stata studiata per i suoi effetti sulla salute.

                Sembra essere coinvolta nell’inibizione dei geni dell’invecchiamento. Inoltre evidenze mostrano una riduzione di trigliceridi nel sangue dopo un pasto ricco di grassi.

                 

                Benefici della paprica

                La paprica apporta numerosi benefici: contribuisce a mantenere la salute cardiovascolare grazie ai grassi insaturi e al potassio che regola la pressione; contribuisce a mantenere la salute delle ossa e dei denti grazie alla presenza di minerali come calcio, fosforo e magnesio; contribuisce alla produzione dei globuli rossi per l’apporto di ferro e rame che contiene.

                Inoltre è composta da molecole che svolgono azione antiossidante come la vitamina C, la vitamina E, la vitamina A, il selenio e il manganese. Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                La paprica contiene anche vitamine del gruppo B che contribuiscono a mantenere il benessere dell’organismo.

                 

                Interazioni della paprica

                La paprica potrebbe interferire con i farmaci anticoagulanti e gli ACE inibitori.

                 

                Produzione e Tecnologia della paprica

                La paprika si ottiene da due differenti varietà di peperoni: varietà a forma allungata (Capsicum annuum var. longum) e varietà a forma di grossa ciliegia (Capsicum annuum var. longum grossum).

                 

                Fasi di produzione della paprica: raccolta e post-maturazione dei peperoni

                I peperoni destinati alla produzione di questa spezia vengono raccolti dalla fine di agosto fino a metà settembre attraverso una raccolta manuale con i frutti che devono aver raggiunto una maturazione uniforme e completa.

                Dopo la raccolta, segue un periodo di post-maturazione di 10-40 giorni con i baccelli tenuti in reti, casse o appesi con spaghi.

                 

                Fasi di produzione della paprica: preparazione dei peperoni

                Segue la fase di preparazione in cui i peperoni crudi vengono lavati accuratamente con getti d’acqua e tagliati a pezzi di 12-15 mm per favorire una migliore asciugatura.

                È importante che gli steli siano solidi dopo il taglio, in modo da poterli rimuovere e prevenire il degrado qualitativo.

                 

                Durante l’asciugatura il contenuto d’acqua deve ridursi al 6-8%, per cui il peperone viene sottoposto a getti di aria calda in modo da ottenere un prodotto semilavorato con una pigmentazione stabile cercando di non deteriorare i carotenoidi, pigmenti responsabili della colorazione e sensibili al calore.

                L’aria calda provoca un sapore amaro con caramellizzazione dello zucchero e un colore marrone.

                 

                Dopo l’asciugatura, i peperoni vengono raffreddati e suddivisi in piccoli pezzi di 2-3 cm in modo che possano essere confezionati in sacchetti per riporli in un luogo fresco, buio e asciutto.

                 

                Fasi di produzione della paprica: fresatura

                In seguito avviene la fresatura, fase in cui i peperoni vengono macinati con un macinino a martelli (primo frazionamento) e in seguito ulteriormente macinati in una linea elettrica di mulini con ruote in pietra, in cui l’ultima pietra è la pietra più ruvida.

                Le ruote di pietra ruotano lentamente in modo che la polvere frantumata dei peperoni non si riscaldi e non rischi di perdere il colore originale.

                Nella macinazione a pietra, l’ultima fase è chiamata “arrossante”, durante la quale il contenuto di olio del seme di peperone si libera a causa dello sfregamento, dissolvendo il contenuto e colorando uniformemente tutti i grani.

                 

                Nel momento della vendita il grado della piccantezza e della colorazione rivestono un ruolo importante.

                 

                Stagionalità della paprica o paprika

                In commercio la paprica è reperibile tutto l’anno.

                 

                Preparazione e Conservazione della paprica

                Per trarne il miglior contenuto in nutrienti, vi consigliamo di aggiungerla a fine cottura.

                 

                La paprika è disponibile in più varietà con caratteristiche diverse che possono valorizzare o snaturare un piatto. È consigliabile apprendere come ognuna di queste varietà differisce dalle altre e per assicurarsi di ottenere ciò che si desidera dalla spezia.

                Ad esempio, ci sono varietà sia dolci che piccanti, con maggior capsaicina, di paprika ungherese e spagnola.

                Ci sono anche dei tipi di paprika affumicati.

                Le diverse varietà potrebbero non funzionare ugualmente bene in tutte le ricette.

                 

                Come con tutte le spezie in polvere, bisogna fare attenzione a come si conserva. L’ideale è tenerla in un contenitore ermetico, al riparo dalla luce.

                La finezza della polvere aumenta notevolmente l’esposizione del singolo granello, rendendola più esposta alle intemperie che potrebbero far “svanire” il tipico colore e il sapore della paprika.

                 

                Se non si utilizza tutta una confezione di paprika in sei mesi, conviene scartarla e sostituirla con della paprika fresca per assicurarsi il miglior sapore e colore possibile.

                 

                Tutta la paprika è rossa, ma esistono diverse tonalità che vanno da un rosso arancio molto pallido a un rosso scarlatto profondo. Si dice che più rossa è la paprika, più leggero è il sapore; la paprika più piccante è infatti fatta con peperoncini di Cayenna, il cui colore non è solitamente troppo scuro.

                  • Lv J et al. (2015) “Consumption of spicy foods and total and cause specific mortality: population based cohort study”, British Medical Journal;351:h3942.
                  • Teucher B, Olivares M, Cori H. (2004) “Enhancers of iron absorption: ascorbic acid and other organic acids.”, International Journal for Vitamin and Nutrition Research;74(6):403-19.
                  • www.agraria.org
                  • www.bda-ieo.it
                  • www.humanitas.it

                  Amaranto

                   

                  amaranto proprietà

                  Famiglia: Amaranthaceae

                  Genere: Amaranthus

                  Specie: Amaranthus Spp.

                   

                  Storia dell’amaranto

                  L’amaranto (Amaranthus caudatus) è il seme di una pianta appartenente al genere Amaranthus che comprende circa 60 specie, alcune delle quali suddivise in base alla tipologia di utilizzo.

                   

                  La pianta ha origini antiche ed è originaria dell’America centrale e del Messico.

                  Ad oggi negli Stati Uniti, Cina e India viene coltivato su grandi superfici ed è considerato ormai al pari di altre colture industriali.

                   

                  I semi di amaranto sono piccoli, assomiglianti a dei granelli, di colore tendente al giallo.

                  Tra tutte le specie conosciute solo tre sono ritenute buone produttrici di semi: Amaranthus caudatus, Amaranthus cruentus e Amaranthus hypochondriacus.

                   

                  Dell’amaranto, oltre ai semi, si possono consumare anche le foglie che vengono utilizzate alla stregua degli spinaci.

                   

                  Proprietà nutrizionali dell’amaranto

                  tabella con i valori nutrizionali dell'amaranto

                  Valori nutrizionali dell’amaranto

                  I carboidrati complessi ne caratterizzano la composizione, mentre basso è il contenuto di grassi.

                   

                  Le principali caratteristiche sono l’elevato contenuto di proteine (15-18%), di lisina e di calcio rispettivamente con medie di 5,2 e 0,37 g/100 g di sostanza secca.

                   

                  In particolare il contenuto di lisina, amminoacido essenziale importante per la formazione delle proteine, è superiore ad alcuni alimenti di origine vegetale (ad esempio cereali, fagioli, soia) e animale (come carne, latte, uova).

                  Per questo motivo l’amaranto ha elevate potenzialità di mercato soprattutto dove, fino a questo momento, è confinato quasi esclusivamente nel settore salutistico.

                   

                  Tra i minerali spiccano ferro, potassio, calcio e magnesio.

                   

                  Nei semi è contenuto l’olio di amaranto (in media per il 6,0%) contenente tocoferoli, composti generalmente indicati come vitamina E, che insieme allo squalene, trovano impiego nell’industria cosmetica soprattutto nel settore della cura di pelle e capelli.

                   

                  Il seme è anche un’ottima fonte di fibra. Per questo motivo l’amaranto contribuisce a soddisfare l’apporto raccomandato di circa 25-30 grammi, soprattutto se consumato in abbinamento a verdure.

                   

                  Benefici dell’amaranto

                  L’amaranto è privo di glutine e quindi idoneo all’alimentazione dei celiaci e dei soggetti intolleranti ad esso.

                   

                  La farina di amaranto non contiene zuccheri semplici permettendo così il suo utilizzo nella dieta di obesi e diabetici (considerato comunque l’elevato contenuto di amilopectina e di zuccheri complessi).

                   

                  Il latte di amaranto invece per l’ottimo bilanciamento a livello di aminoacidi e per l’elevato contenuto di calcio è indicato per l’alimentazione di bambini, anziani e intolleranti al lattosio.

                   

                  Ricordiamo anche che per via dell’elevato contenuto di fibra l’amaranto garantisce il miglioramento del transito intestinale, favorendo il processo digestivo.

                   

                  Interazioni dell’amaranto

                  Nell’amaranto sono contenute discrete quantità di acido ossalico e, per questo motivo, la sua assunzione può complicare l’assimilazione da parte dell’organismo di alcuni minerali; il consumo di questo alimento è pertanto sconsigliato a chi è affetto da patologie renali.

                   

                  Produzione e Tecnologia dell’amaranto

                  Caratteri botanici dell’amaranto

                  L’amaranto è una pianta erbacea annuale di altezza variabile a seconda della specie (da 0,5 a 3,5 m) con foglie che possono avere diverse forme, da ovali a lanceolate.

                   

                  I fiori sono riuniti in infiorescenze (panicoli) che possono essere erette o pendenti, ramificate, lunghe sino a 90-100 cm dalla colorazione tipica rossa, verde o giallognola.

                  I semi sono di piccole dimensioni (1-1,5 mm di diametro) dalla forma circolare schiacciata e dal colore che può variare dal bianco-latte, al giallo-oro, dal bruno al nero.

                   

                  Nelle aree di origine, Messico e Centro America, la pianta viene coltivata anche in altitudine fino a circa 2.800 m slm utilizzando soprattutto le specie A. caudatus e A. hypocondriacus; in altre aree con clima temperato la specie A. cruentus viene coltivata utilizzando una tecnica colturale adatta a un’agricoltura industriale.

                  In Italia l’amaranto è una tipica coltura primaverile-estiva che si può inserire in rotazioni con cereali, leguminose e ortaggi.

                   

                  Coltivazione dell’amaranto

                  L’amaranto predilige un clima temperato-caldo in zone molto ben soleggiate; è una pianta rustica che necessita di alcuni elementi come l’azoto, il fosforo e il potassio.

                  Le irrigazioni devono essere molto oculate perché soffre terribilmente l’umidità e i ristagni idrici ed esige terreni abbastanza sciolti con pH compreso tra 6 e 7,5.

                   

                  La semina si effettua a fine aprile in sud Italia e a fine maggio nelle regioni del nord, quando il pericolo delle gelate è lontano.

                  La tecnica più impiegata è quella a file distanti 50-60 cm e si può procedere a fila continua o alla semina di precisione con densità variabile secondo l’architettura della varietà impiegata.

                   

                  Quando le piante hanno raggiunto un’altezza di circa 20-25 cm si procede con una sarchiatura che talvolta deve essere ripetuta insieme a una rincalzatura soprattutto se le piante sono molto alte e con panicoli lunghi e ricadenti.

                  Il ciclo della specie è variabile tra 100 e 160 giorni dalla semina.

                   

                  Produzione dell’amaranto

                  La maturazione è scalare e la raccolta, fase più delicata di tutta la tecnica agronomica, si effettua alla fine della fioritura che avviene in estate.

                   

                  I semi quando sono maturi si distaccano facilmente dal panicolo, provocando perdite di una certa consistenza soprattutto se si procede con la raccolta meccanica.

                  Per ridurre queste perdite si deve raggiungere un compromesso tra maturità e umidità del panicolo oppure procedere tagliando le piante, essiccandole ed infine eseguendo la trebbiatura.

                   

                  Nelle varietà sottoposte a raccolta meccanizzate viene ricercato il «dry down», ovvero la parziale caduta delle foglie in concomitanza con la maturazione del seme.

                   

                  L’amaranto viene impiegato per la formulazione di barrette, snack, muesli, semi soffiati, estrusi e altri prodotti come biscotti e pane, miscelandolo con farine di altri cereali. Dall’amaranto, oltre la farina, viene prodotto anche il latte e l’olio.

                   

                  Stagionalità dell’amaranto

                  In commercio l’amaranto si trova tutto l’anno in forma essiccata.

                   

                  Preparazione e Conservazione dell’amaranto

                  L’amaranto è un seme ricco di acidi grassi insaturi, facilmente ossidabili se a contatto con luce e calore.

                  È quindi buona norma conservare farina, semi o amido di amaranto in luoghi freschi e lontano da fonti di luce.

                   

                  Un ottimo posto dove conservarlo è il frigorifero o il congelatore. Se si prevede di non utilizzare il prodotto per lungo tempo, buona norma è la conservazione sottovuoto.

                   

                  Una volta cotto, come tutti i cereali, può essere conservato in frigorifero ad una temperatura inferiore ai 4°C un paio di giorni ben chiuso oppure può essere conservato sottovuoto nel congelatore e rigenerato nel momento del bisogno come un qualsiasi cereale.

                  Come per tutti gli alimenti cotti, è bene non tenere gli alimenti fuori dal frigorifero per oltre 2 ore, per scongiurare la prolificazione batterica.

                   

                  In diverse ricette viene preparato con le stesse modalità del cous cous, cioè sfruttando una cottura per assorbimento, calcolando una parte di cereale per due parti di acqua. Ovviamente i tempi di cottura sono notevolmente diversi, nel caso dell’amaranto si attestano sui 40 minuti.

                  Una volta pronto il suo volume sarà raddoppiato, per cui una porzione corrisponde a circa 40 grammi di prodotto secco.

                  Margarina

                   

                  margarina

                  Definizione di margarina

                  La legislazione italiana con il DPR del 1954 n. 131 raggruppa nella definizione di grassi alimentari solidi diversi dal burro e dal grasso suino tutti i grassi di origine vegetale e animale, sia al naturale, sia che abbiano subito modifiche alle caratteristiche fisiche, fisico-chimiche e chimiche del grasso primitivo.

                   

                  Le margarine sono definite per legge come miscele ed emulsioni confezionate con grassi alimentari di origine animale e vegetale diversi del burro e dai grassi suini, contenenti più del 2% di umidità ed un contenuto di materia grassa non inferiore all’80% (legge 1316 del 1951).

                   

                  La margarina è costituita dal 16% di acqua e dall’84% di materia grassa.

                  Recentemente sono state introdotte anche altre tipologie di margarina in base al contenuto di sostanza grassa: margarina leggera a ridotto contenuto di grassi (materia grassa 60-62%) e margarina leggera a basso tenore di grassi (materia grassa 40-42%).

                   

                  Storia della margarina

                  Venne inizialmente prodotta, dopo la metà del 1800 per opera del chimico francese Mège Mouriés (da cui prese il nome), utilizzando grasso bovino (sego) miscelato con il latte.

                   

                  Ad oggi in sostituzione del grasso animale vengono adoperati grassi e oli vegetali estratti da semi e frutti oleosi, quali olio di palma, di cocco, di palmisto, di colza, di arachide, di cotone, di sesamo, di soia, di mais, di girasole.

                   

                  La margarina può essere monoseme, se prodotta da un unico tipo di olio, o poliseme, se gli oli utilizzati per la produzione sono di tipo diverso.

                  In Italia l’olio più usato per la produzione di margarina è l’olio di mais.

                   

                  In Italia circa il 60% della margarina viene consumata in modo indiretto, attraverso dolci di produzione industriale.

                  La margarina utilizzata in campo industriale può essere anche mista ovvero ottenuta da una miscela di grassi di origine animale e vegetale.

                   

                  Proprietà nutrizionali della margarina

                  tabella con i valori nutrizionali della margarina

                  Valori nutrizionali della margarina

                  Così come il burro, la margarina è un’emulsione di acqua dispersa in una matrice lipidica (ovvero grasso).

                   

                  Per legge, la miscela di grassi può essere di origine vegetale o animale, esclusi quelli suini o derivati dal latte.

                  Se nel passato il processo d’idrogenazione promuoveva la formazione dei famigerati acidi grassi trans, oggi le tecnologie avanzate hanno permesso di sviluppare prodotti migliori dal punto di vista dell’impatto sulla salute.

                   

                  Questo è stato possibile anche grazie all’uso di materie prime migliori che hanno portato alla diffusione di margarine prive di grassi animali e prevalentemente composte da una miscela di oli vegetali non idrogenati.

                   

                  Vista la varietà dei prodotti, per conoscere la composizione lipidica di una specifica margarina si consiglia di leggere ingredienti e tabella nutrizionale presenti in etichetta.

                   

                  Da evitare le confezioni che presentano i grassi idrogenati tra gli ingredienti, fattori di rischio confermati per le malattie cardiovascolari.

                  Controllare inoltre il contenuto di grassi saturi, se in eccesso possono determinare un aumento di colesterolo nel sangue incrementando il rischio di patologie del sistema circolatorio.

                   

                  Alcune margarine possono riportare sulla confezione un particolare contenuto di vitamine liposolubili, come le vitamine A o E.

                  Tuttavia la quantità e soprattutto la frequenza di consumo della margarina, in una dieta sana ed equilibrata, non permettono di considerare l’alimento come una fonte di queste vitamine.

                   

                  Produzione e Tecnologia della margarina

                  L’idrogenazione dei grassi

                  Per ottenere la margarina gli oli di vari semi (soia, mais, girasole, arachide, palma, ecc.) vengono sottoposti ad un processo industriale di idrogenazione.

                   

                  L’idrogenazione è un’operazione in cui gli acidi grassi degli oli da insaturi diventano saturi (o con un grado minore di insaturazione) assumendo così una consistenza solida.

                  Si ottiene così un prodotto simile al burro, con un punto di fusione a circa 40°, superiore agli oli di partenza.

                   

                  Esistono inoltre delle margarine ottenute da grassi non idrogenati ma interesterificati, ricche di grassi polinsaturi, più digeribili e con un punto di fumo intermedio.

                  In alcuni casi vengono addizionate di caseina per dare una consistenza simile a quella del burro, permettendo una lavorazione più breve.

                   

                  Le margarine possono avere consistenza diversa a seconda del grado di idrogenazione dei grassi presenti:

                   

                  • dure contengono circa il 20% di grassi saturi,
                  • morbide circa il 13%,
                  • spalmabili con consistenza più cremosa; hanno i grassi idrogenati che vengono addizionati in quantità idonee e con lavorazione adatta.

                   

                  Processo di produzione della margarina

                  Nella produzione della margarina è ammessa solo l’aggiunta di sale e di alcuni additivi quali emulsionanti, antiossidanti, gallati di ottile e dodecile, antimicrobici, coloranti (solo nel consumo diretto), aromatizzanti (aromi vegetali) e conservanti (acido sorbico).

                  I grassi derivati dal latte o idrocarburi di origine animale devono essere assenti e l’umidità deve essere superiore al 2%.

                   

                  Il processo di produzione della margarina è costituito da diverse fasi:

                   

                  • estrazione dell’olio o del grasso o dal seme/frutto oleoso che lo contiene,

                   

                  • raffinazione ed eventuale frazionamento dell’olio vegetale ottenuto,

                   

                  • preparazione della fase grassa con aggiunta di additivi liposolubili ovvero coloranti, aromatizzanti, emulsionanti (lecitine 0,5% avente funzione “antispattering” -antischizzo-) e vitamine.

                   

                  • Segue la preparazione della fase acquosa costituita da acqua sterile (per evitare lo sviluppo di batteri) con l’aggiunta di additivi idrosolubili quali cloruro di sodio, acido citrico, acido tartarico e acido fosforico.

                   

                  • Nella successiva fase di emulsionamento, la fase grassa e quella acquosa si miscelano fino a raggiungere la consistenza desiderata,

                   

                  • segue l’eventuale pastorizzazione, ovvero una fase di riscaldamento per garantire l’igienicità del prodotto nel tempo.

                   

                  • Dopo il riscaldamento e la miscelazione l’emulsione viene inviata ad un alimentatore che continua a omogeneizzarla.

                   

                  • In seguito avviene la cristallizzazione, fase in cui avviene la stabilizzazione dell’emulsione, ottenuta tramite una repentina refrigenerazione seguita da riposo. Infatti la formazione di nuclei cristallini consente l’aumento della viscosità del grasso favorendo la stabilità dell’emulsione.

                   

                  • Infine avvengono le fasi di confezionamento e di controllo analitico e chimico prima di inviare il prodotto alla commercializzazione. Il peso massimo delle confezioni destinate al commercio al dettaglio deve essere di 250g.

                   

                  Preparazione e Conservazione della margarina

                  Una buona margarina dovrebbe avere un contenuto di saturi al di sotto del 18%, vale a dire 18 grammi su 100 di prodotto.

                   

                  Le etichette delle margarine riportano i grassi utilizzati ma spesso la pubblicità mette in evidenza una “leggerezza” che non esiste: il valore calorico è del tutto simile a quello del burro anche se non contiene colesterolo.

                   

                  Gli acidi grassi polinsaturi contenuti negli oli vegetali con cui si produce la margarina sono sicuramente migliori di quelli presenti nei grassi di origine animale come il burro.

                  Il problema, però, è che essi perdono gran parte delle proprietà nutrizionali nel corso dei processi di lavorazione.

                   

                  La margarina eventualmente può anche essere congelata, aumentandone la durata di conservazione.

                  Il modo più semplice per congelare la margarina è metterla in un sacchetto di plastica sigillato e poi nel congelatore. Assicurati di aver rimosso quanta più aria possibile dal sacchetto.

                  Puoi anche tagliare la margarina in blocchi più piccoli e metterli in un sacchetto di plastica richiudibile. In questo modo puoi estrarre piccoli pezzi alla volta senza dover scongelare un intero blocco.

                   

                  Potresti anche avvolgere la margarina in un foglio di alluminio e riporlo in frigo per conservarlo più a lungo.

                   

                  Quando sarà il momento di usare la margarina tenuta nel congelatore, dovrai scongelarla adeguatamente.

                  Un modo per scongelare la margarina è metterla in una ciotola e lasciarla riposare a temperatura ambiente; questo richiederà circa 4 ore.

                  Se hai più tempo a disposizione puoi lasciare la margarina a scongelare in frigorifero. In questo caso ci vorranno circa 8 ore.

                  Bacche di Goji

                   

                  bacche di Goji proprietà

                  Famiglia: Solanaceae

                  Genere: Lycium

                  Specie: Lycium barbarum L. (e Lycium chinense L.)

                   

                  Storia delle bacche di Goji

                  Le bacche di Goji sono i frutti prodotti da due varietà differenti di arbusti appartenenti alla famiglia delle Solanaceae (di cui fanno parte anche la melanzana, il peperoncino, la patata, il pomodoro), ovvero il Lycium barbarum ed il Lycium chinense.

                   

                  Crescono spontaneamente nelle valli dell’Himalaya, della Mongolia, del Tibet ad una altezza di circa 3.000 metri e nelle province cinesi dello Xinjiang e del Ningxia.

                  Il L. barbarum cresce anche alle nostre latitudini specie se le temperature invernali non sono troppo rigide (fino a 10-15°C).

                   

                  Varietà di Goji

                  Esiste anche il Goji giallo (varietà Amber Sweet Gold), una varietà di Goji a frutto giallo ambrato originaria della Cina che produce frutti più grandi e più dolci delle comuni varietà di Goji rosso, senza retrogusto amarognolo. È una varietà autofertile.

                   

                  In Italia in commercio si trovano sotto forma di bacche essiccate.

                   

                  Proprietà nutrizionali delle bacche di Goji

                  tabella con i valori nutrizionali delle bacche di Goji

                  Valori nutrizionali delle bacche 

                  Le bacche di Goji sono frutti disidratati e come tutti i frutti disidratati hanno perso la gran parte del loro contenuto d’acqua mentre rimangono molto concentrati in zuccheri.

                  Buono è il loro contenuto di fibra.

                   

                  A livello di micronutrienti sono ricche di vitamina A e non meno importante è il contenuto in vitamina C.

                   

                  Le bacche di Goji sono ricche anche di numerosi composti bioattivi, come i carotenoidi e flavonoidi.

                   

                  Benefici delle bacche 

                  La presenza di fibra contribuisce a ridurre l’aumento della glicemia dopo il pasto ed a mantenere nella norma i livelli di colesterolo.

                   

                  La vitamina A  è essenziale per la visione, la crescita e il normale sviluppo dei tessuti. Una porzione di bacche consente di superare il fabbisogno giornaliero per un anno.

                  La vitamina C è invece fondamentale per la sua attività antiossidante e per il suo ruolo nell’assorbimento del ferro.

                   

                  Oltre alla presenza di carotenoidi e flavonoidi, recenti studi evidenziano anche il loro contenuto in particolari polisaccaridi.

                  In questi studi di laboratorio, è stata mostrata una buona attività antiossidante a carico di questi polisaccaridi che sarebbe in grado di prevenire tumori, malattie neurodegenerative e migliorare il metabolismo di zuccheri e lipidi. In ogni caso sono necessari ulteriori studi sull’uomo per saperne di più.

                   

                  La porzione consigliata è 28 gr di bacche.

                   

                  Interazioni delle bacche 

                  I soggetti che utilizzano il warfarin, un anticoagulante, dovrebbero prestare attenzione nel consumare le bacche di Goji.

                   

                  Produzione e Tecnologia delle bacche di Goji

                  Caratteri botanici delle bacche 

                  È una pianta perenne a portamento arbustivo che può raggiungere i 3 m di altezza, con foglie lanceolate verde brillanti o grigio-verdi e fiori di color lavanda o porpora tenue.

                   

                  I frutti sono piccole bacche tenere, dalla forma allungata, di color arancione-rosso contenenti da 10 a 60 semi appiattiti gialli e con un diametro di 1-2 cm.

                  Le bacche di Goji sono frutti prodotti da due varietà differenti di arbusti caducifogli, il Lycium barbarum e il Lycium chinense, entrambe originarie del Tibet e delle regioni temperate della Cina.

                   

                  • Il Lycium barbarum è la pianta a cui si fa riferimento quando si parla di bacche di Goji; viene coltivata nella regione autonoma cinese dello Ningxia, ha foglie lunghe e strette, frutti grandi e più dolci rispetto a quelli del Lycium chinense.

                   

                  • Il Lycium chinense è caratterizzato da foglie più corte e larghe ed è coltivato nelle zone meridionali della Cina; le bacche di questa varietà sono più aspri e per questo meno gradevoli al palato.

                   

                  La pianta di Goji ha bisogno di luce e calore per poter crescere ed è in grado di resistere anche a temperature inferiori allo zero; il terreno più adatto è quello sabbioso e ben drenato.

                   

                  Coltivazione delle bacche 

                  La stagione ideale per iniziare la coltivazione delle piante di Goji è in primavera, lasciando 2 metri di distanza tra una pianta e l’altra.

                  La fioritura avviene tra i mesi di maggio e luglio e le bacche maturano tra luglio e ottobre.

                   

                  Due volte all’anno, rispettivamente durante la primavera e in autunno, può essere effettuata una potatura in modo tale che i fiori crescano di più, con maggior vigore e dimensioni maggiori.

                   

                  Produzione delle bacche 

                  Una volta raccolte le bacche di Goji possono essere essiccate al sole oppure al forno, venendo così disidratate per consentirne la conservazione. Questo processo conferisce loro un aspetto simile a quello dell’uva passa.

                  In alternativa le bacche possono essere mangiate al naturale o lavorate per ottenere un succo.

                   

                  I frutti si prestano sia per il consumo fresco che essiccati.

                   

                  Stagionalità delle bacche di Goji

                  Si trovano sul mercato tutto l’anno dopo aver subito il processo di disidratazione.

                   

                  Preparazione e Conservazione delle bacche di Goji

                  Esistono diverse qualità di bacche di Goji ma la migliore  è rappresentato dai frutti di Goji Prima Qualità Salugea.

                  Si tratta di bacche raccolte manualmente, fatte essiccare al sole e confezionate in incartamenti sicuri e nel rispetto della materia prima, con adeguati controlli di qualità.

                   

                  Preferibile inoltre escludere bacche essiccate vendute in confezioni trasparenti e per questo non al riparo dalla luce, accorgimento che dovrebbe essere indispensabile per un’adeguata conservazione del prodotto.

                   

                  Le bacche, specie quelle secche, dopo l’apertura della confezione vanno conservate in un luogo fresco e asciutto e lontano da fonti di calore. Le bacche fresche si possono conservare in frigorifero e mangiare entro due o tre giorni.

                   

                  La vitamina C, di cui sono ricche, è sensibile al calore. Per cui è preferibile non cuocerle, ma consumarle magari come spuntino, insieme a della frutta a guscio, o utilizzarle per arricchire un’insalata, uno yogurt o una macedonia di frutta fresca.

                  • • Jin M et al. (2013) “Biological activities and potential health benefit effects of polysaccharides isolated from Lycium barbarum L.”, Int Journal of Biological Macromolecules;54:16-23.

                    • Ma ZF et al. (2019) “Goji Berries as a Potential Natural Antioxidant Medicine: An Insight into Their Molecular Mechanism of Action.”, Oxid Med Cell Longev.;2019:2437397.

                    www.agraria.org

                    www.humanitas.it

                    • www.usda.gov

                    Pinoli

                     

                    pino da pinoli

                    Famiglia: Pinaceae

                    Genere: Pinus

                    Specie: Pinus pinea L.

                     

                    Pinoli: storia e produttori

                    I pinoli sono i semi di piante di pino, albero originario del Mediterraneo, ora diffuso nelle foreste fredde dell’emisfero nord, ovvero in Siberia e Canada, in Asia e in Italia, soprattutto nel Lazio e nella Toscana (pineta di Classe a Ravenna e le pinete di Migliarino e San Rossore a Pisa, di Cecina a Livorno, di Duna Feniglia a Grosseto e di Castel Fusano nel Lazio).

                     

                    Il maggiore produttore mondiale di pinoli è la Cina, che esporta un prodotto di qualità inferiore rispetto a quello del bacino del Mediterraneo; gli altri produttori sono Spagna, Turchia, Italia, Portogallo e Pakistan.

                     

                    Specie di pino

                    Esistono due specie di pino europeo adatte alla coltivazione che producono semi commestibili:

                    il Pinus pinea, miglior pino domestico chiamato anche pino da pinoli e considerato l’albero simbolo dell’Italia, e il pino cembro che cresce bene anche in zone disagevoli.

                     

                    Altre varietà note di pini sono il pino nero, che cresce sulle Alpi Orientali e sull’Appennino Abruzzese, e il pino laricio, una varietà presente in varie regioni dell’Italia meridionale, specialmente in Calabria e in Sicilia, che fornisce legname di buona qualità, ricco di resine.

                    Altra specie mediterranea nota è il pino d’Aleppo, presente anche in Italia nelle regioni costiere e nelle isole.

                     

                    Proprietà nutrizionali dei pinoli

                    tabella che contiene i valori nutrizionali dei pinoli

                    Pinoli valori nutrizionali

                    I pinoli sono ricchi di grassi polinsaturi, proteine, fibra e minerali. La porzione di riferimento da considerare è quella di circa 3 cucchiai, visto e considerato comunque il loro elevato potere calorico, come quello di tutta la frutta secca.

                     

                    Tra i grassi polinsaturi spicca l’acido linoleico, capostipite della serie omega-6 ed essenziale, ovvero vale a dire che il nostro organismo non è in grado di sintetizzarlo e perciò deve per forza essere introdotto con la dieta.

                    Il consumo nelle corrette quantità di questa tipologia di grassi sembrerebbe contribuire alla riduzione del colesterolo totale e LDL, la frazione cosiddetta cattiva. Tutto ciò ha come risvolto pratico una protezione nei confronti di eventi cardiovascolari, come infarto e ictus.

                     

                    Per quanto riguarda le vitamine, quelle più presenti sono la vitamina E, con azione antiossidante, e la vitamina K, coinvolta nei processi di coagulazione del sangue, entrambe liposolubili.

                    Ma veniamo ora alla vera ricchezza dei pinoli: i minerali. Tra i più spiccano il manganese, componente di un enzima endogeno con attività antiossidante, il magnesio e lo zinco.

                     

                    Pinoli benefici

                    I pinoli promuovono la salute cardiovascolare grazie al contenuto di minerali, vitamine e acidi grassi insaturi che li compongono.

                    Come citato nei valori nutrizionali, questi frutti hanno funzione antiossidante che svolge proprietà positive a livello dell’organismo. A questo proposito le molecole responsabili di questa funzione nei pinoli sono la vitamina E e il manganese.

                     

                    La vitamina K invece è coinvolta nei processi di coagulazione del sangue, mentre il magnesio e lo zinco vengono utilizzati, uno come cofattore in molte reazioni cellulari e l’altro come componente di molti enzimi, rispettivamente.

                     

                    Questo frutto è costituito da una molecola, l’acido pinoleico, che conferisce senso di sazietà ai soggetti che consumano i pinoli.

                     

                    La porzione di consumo standard consigliata è 30 grammi di pinoli, che corrisponde circa a 3 cucchiai come detto precedentemente.

                     

                    Pinoli interazioni

                    I pinoli potrebbero interferire con l’attività dei farmaci anticoagulanti a causa del modesto contenuto degli omega-6 che apportano.

                    Questi frutti, inoltre, potrebbero dare reazioni allergizzanti o causare cacogeusia, ovvero rilasciare sapore metallico in bocca. Questa ultima problematica però tende a risolversi naturalmente.

                     

                    In casi di convulsione bisogna prestare attenzione all’utilizzo di olio di pinoli, anche se, in generale, gode di proprietà positive (come la riduzione del colesterolo, dell’appetito o della pressione).

                     

                    Produzione e Tecnologia dei pinoli

                    Caratteri botanici del pino da pinoli

                    Il pino da pinoli è una conifera sempreverde che può arrivare fino a 30 metri di altezza, che solitamente si attesta tra i 12 e i 20 metri, con un diametro massimo di quasi 2 metri.

                    Ha una caratteristica chioma ad ombrello, formata da rami che si concentrano nella parte alta del tronco terminando con le punte rivolte verso l’alto.

                    Il tronco è diritto e spesso biforcato nei vecchi alberi ad una certa altezza; la corteccia dapprima grigia e finemente rugosa, diventa poi profondamente solcata in placche bruno-grigiastre.

                    Gli aghi sono lunghi da 12 a 15 cm, rigidi, di colore verde vivo, pungenti all’apice e avvolti alla base da una guaina trasparente e persistente.

                     

                    Il pino essendo un gimnosperme, è una pianta che non produce fiori, ma formazioni dette sporofilli che maturano tra aprile e maggio.

                     

                    Alcune foglie portano gli sporangi, cioè gli involucri che contengono e dove si differenziano le spore, che per i due sessi sono portati in strutture separate. Quelli maschili (microsporangi o sacche polliniche) si formano in microsporofilli piccoli e squamiformi che cadono dopo l’impollinazione, quelli femminili (macrosporangi) custodiscono gli ovuli e formano i macrosporofilli bratteiformi e disposti a elica su un asse centrale.

                     

                    Le pigne o strobili e i pinoli

                    Gli sporangi crescendo andranno a costituire le classiche “pigne” o più correttamente gli “strobili” o coni, da cui deriva il nome di “conifere”, dalla forma ovoidale e lunghi 8–15 cm.

                     

                    Gli strobili proteggono gli ovuli e i semi non maturi e l’impollinazione avviene ad opera del vento.

                    Due anni dopo l’impollinazione avviene la fecondazione, quindi le pigne impiegano 3 anni per giungere a maturità e solo allora si aprono e lasciano i semi liberi di uscire.

                     

                    I pinoli maturi sono di forma ovoidale, lunghi un paio di centimetri, con un guscio bivalvo marrone chiaro ricoperto da una fine polvere nera che è il residuo resinoso, ormai essiccato, formato dalla pigna per preservare il seme. Attorno alla parte carnosa del seme è presente un tegumento sottilissimo di colore giallo-biancastro, dalla consistenza gommosa, non croccante.

                     

                    Coltivazione del pino da pinoli

                    Il pino richiede posizioni soleggiate, non teme il freddo, si adatta alla siccità e all’inquinamento, non teme forti venti e salsedine.

                     

                    È una specie che popola boschi puri e che predilige suoli sabbiosi acidi o neutri.

                    Un rimboschimento di pino domestico presenta una densità elevata, con piante che tendono alla ramosità; nelle pinete da pinoli da produzione invece la densità è minore, si va dalle 100 alle 200 piante ad ettaro.

                    La densità influenza la durata della pineta, infatti pinete più dense hanno raccolte immediate più abbondanti ma veloce declino, invece pinete più rade permettono una maggiore durata della produzione. Una pineta da pinoli può arrivare a 100 – 120 anni dopodiché viene effettuato un taglio raso e conseguente rinnovo.

                     

                    Produzione dei pinoli

                    Il periodo di raccolta dei pinoli va da novembre alla fine del mese di maggio dell’anno successivo, quando il frutto, detto la pigna o pina, è ancora chiuso.

                     

                    Le pigne vengono raccolte con il metodo dello scuotimento dei pini, vengono poi sottoposte a essiccazione e quindi si procede all’estrazione dei pinoli; in estate si effettua l’essiccazione naturale stendendo le pigne al sole, in inverno invece le pigne vengono riscaldate artificialmente.

                     

                    Stagionalità dei pinoli

                    Il prodotto essiccato è disponibile sul mercato per tutto l’anno.

                     

                    Preparazione e Conservazione dei pinoli

                    I pinoli possono essere trovati sia già sgusciati che con il guscio.

                     

                    All’interno del guscio riescono ad essere conservati per molto tempo prima di andare a male. Cosa diversa, invece, nel caso si acquistino già sgusciati. In questo caso il tempo di conservazione non va oltre i due mesi.

                    Per conservarli al meglio occorre tenerli in un recipiente di plastica o vetro e messi in frigorifero. Meglio ancora se il contenitore sia sotto vuoto.

                     

                    I pinoli sono un frutto molto utilizzato in cucina in vari paesi del mondo: ricette con la presenza di pinoli si trovano in Europa ma anche in Nord America, Asia e Africa.

                    Consumati anche tostati, sono impiegati davvero in un’infinità di ricette: tanto per citarne quelle note più vicine a noi, i pinoli sono presenti nel pesto alla genovese e nel castagnaccio.

                     

                    La proposta di ricetta di FBO con i pinoli

                      • Bolling BW et al. (2011) “Tree nut phytochemicals: composition, antioxidant capacity, bioactivity, impact factors: a systematic review of almonds, Brazils, cashews, hazelnuts, macadamias, pecans, pine nuts, pistachios and walnuts.” Nutrition Research Reviews;24(2):244-75.
                      • EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition, and Allergies (NDA) (2010) “Scientific Opinion on Dietary Reference Values for fats, including saturated fatty acids, polyunsaturated fatty acids, monounsaturated fatty acids, trans fatty acids, and cholesterol.” EFSA Journal; 8(3):1461.
                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                      • www.agraria.org
                      • www.bda-ieo.it
                      • www.humanitas.it

                      Curry

                       

                      tipi di curry

                      Cos’è il curry

                      Il curry (in hindi masala) è una miscela di spezie tostate e ridotte in polvere dal colore giallo intenso, profumata e piccante.

                       

                      Originaria dell’India, la miscela venne poi importata in Europa dagli Inglesi durante il periodo del colonialismo.

                       

                      Composizione del curry

                      La colorazione del curry normalmente è di una tonalità gialla ma la composizione di tale miscela di spezie è variabile (sono state stimate 660 varianti).

                      Per questo motivo si possono avere sfumature cromatiche diverse, tendenti all’arancione, al rosso o al verde.

                       

                      Le percentuali degli ingredienti che lo compongono variano in base alla regione di produzione e i principali sono:

                       

                      • curcuma (che solitamente ne è il costituente principale e che conferisce il caratteristico colore giallo alla miscela),
                      • coriandolo,
                      • pepe nero,
                      • cumino,
                      • peperoncino,
                      • noce moscata,
                      • chiodi di garofano,
                      • zenzero,
                      • cannella
                      • e fieno greco (Helba).

                       

                      Le composizioni più conosciute sono il tandoori masala e garam masala.

                       

                      Proprietà nutrizionali del curry

                      tabella con i valori nutrizionali del curry

                      Valori nutrizionali del curry

                      Come detto in precedenza, il curry racchiude in sé, in base alle diverse miscele, prevalentemente curcuma, coriandolo, pepe nero, cumino, peperoncino, noce moscata, chiodi di garofano, zenzero, cannella e fieno greco.

                       

                      A livello di micronutrienti spiccano alcuni minerali e alcune vitamine.

                      Tra le vitamine sono presenti soprattutto la vitamina E e le vitamine del gruppo B, mentre a livello di minerali sono presenti buone quantità di potassio, calcio, fosforo e ferro.

                       

                      Il pigmento responsabile del colore giallo ocra è la curcumina, molecola presente nella curcuma.

                       

                      Benefici del curry

                      Le recenti evidenze mostrano un potenziale ruolo della curcumina nel controllo dell’espressione dei geni dell’invecchiamento, oltre alla sua azione sullo stato infiammatorio.

                       

                      Per di più, la piperina presente nel pepe amplifica le attività della curcumina.

                      Pertanto, la probabile azione positiva di curry sulla salute è data dalla quantità di curcuma impiegata nella preparazione.

                       

                      Il pepe inoltre stimola la circolazione sanguigna e combattere la ritenzione idrica.

                       

                      Il cumino è utile contro meteorismo e gonfiore addominale.

                       

                      Grazie alla presenza di zenzero e peperoncino, il curry stimola l’attività gastrica e favorisce il consumo di calorie, mentre la cannella lenisce il senso di fame.

                       

                      Inoltre, una spolverata può essere aggiunta in diverse preparazioni, non solo nel classico pollo al curry. Questo può favorire la riduzione del consumo di sale, promuovendo la salute di arterie e cuore abbassando il rischio di ipertensione.

                       

                      L’utilizzo di questa miscela di spezie può essere utile in caso di alterazioni del gusto causate dalle terapie oncologiche.

                       

                      Interazioni del curry

                      Le persone che soffrono o sono soggette a ulcere gastriche e gastriti dovrebbero evitare il consumo del curry in quanto nella miscela è presente sia il pepe che il peperoncino.

                       

                      Produzione e Tecnologia del curry

                      Il curry è un prodotto poliforme che può essere preparato e utilizzato in modi differenti.

                       

                      Il curry può essere utilizzato sotto forma di polvere o di pasta.

                       

                      La distinzione tra i due è che nella pasta di curry è assente la curcuma, elemento invece principale della forma in polvere, e per questo motivo la colorazione della pasta di curry varia dal verde, al rosso, al giallo.

                      La pasta di curry inoltre tende ad avere un sapore estremamente potente.

                       

                      Tipi di curry

                      I tipi di curry più diffusi sono:

                       

                      – il Curry indiano/anglosassone, che contiene gli ingredienti di base del curry con l’aggiunta di uno o più elementi secondari in proporzioni differenti;

                       

                      – il Curry tailandese, che utilizza ingredienti simili a quelli della tradizione indiana ma con un sapore e un aroma più speziati, avendo quantità più alte di semi di coriandolo e peperoncini, soprattutto sotto forma di pasta.

                       

                      – Il Curry africano e caraibico, in polvere preparato con senape piccante, grani di pepe e peperoncini, è noto per la sua intensa piccantezza;

                       

                      – il curry trinidadiano è una miscela più mite.

                      In Sud Africa la pietanza caratteristica è il Durban Curry, con colorazioni sui toni del rosso, indice della quantità delle spezie presenti (da piccante a piccantissimo) che accompagna pesce o patate morbide; in Nord Africa invece è presente la “Ras El Hanout”, una miscela di circa 30 diverse piante (non esclusivamente spezie) con numerosissime varietà a seconda dei gusti tutte riconducibili a tre tipi di miscele di Ras el Hanout chiamate Lamrouzia, L’msagna e Monuza.

                       

                      – Il curry giapponese si chiama karē e viene proposto in tre varianti: con il riso (karē raisu o karē), con gli udon, simili agli spaghetti (karē udon) o come farcitura di una specie di bombolone fritto (karē-pan).

                       

                      Stagionalità del curry

                      In commercio il curry è reperibile tutto l’anno.

                       

                      Preparazione e Conservazione del curry

                      È impossibile determinare una definizione o ricetta standard per il curry in polvere, poiché ogni miscela è completamente distinta e creata con una miscela unica di spezie per adattarsi alle preferenze del singolo.

                       

                      Il curry in polvere ordinario che si trova maggiormente in commercio è quello composto principalmente da curcuma, dall’aspetto decisamente giallo, peperoncino, cumino e coriandolo, che spesso incorpora anche paprika, semi di finocchio, senape e altro ancora.

                      Da questo elenco di ingredienti fondamentali, è possibile produrre numerose varietà di polvere, come la polvere di curry marrone, che include chiodi di garofano e altri peperoni.

                       

                      Questa miscela può anche essere combinata con l’acqua per creare una sorta di pasta, ma differisce da ciò che si potrebbe pensare comunemente come pasta di curry. Infatti, la polvere viene aggiunta in piatti che sono già in fase di cottura, anziché essere utilizzata come base del piatto, come si usa fare con il curry a base di olio.

                       

                      Il curry in polvere deve essere conservato in un luogo fresco e buio a temperatura ambiente.

                      Se si è acquistata una miscela di spezie sfusa, si può trasferirla in un contenitore con un coperchio aderente, dove durerà da tre a quattro anni. Ma, quando l’aroma del curry è debole e il sapore a malapena si avverte è bene provvedere a sostituirlo.

                       

                      Le proposte di ricette di FBO con il curry

                        • Anderson CA et al. (2015) “Effects of a behavioral intervention that emphasizes spices and herbs on adherence to recommended sodium intake: results of the SPICE randomized clinical trial”, The American Journal of Clinical Nutrition ;102(3):671-9.
                        • Patil VM, Das S and Balasubramanian K (2016) “Quantum Chemical and Docking Insights into Bioavailability Enhancement of Curcumin by Piperine in Pepper.”, The Journal of Physical Chemistry ;120(20):3643-53.
                        • USDA – Food composition databases
                        • www.humanitas.it

                        Anacardo

                         

                        anacardo frutto

                        Famiglia: Anacardiaceae

                        Genere: Anacardium

                        Specie: Anacardium occidentale L.

                         

                        Storia degli anacardi

                        L’anacardo (Anacardium occidentale L.) è un albero da frutta tropicale originario dell’Amazzonia in Brasile. La pianta poi si è diffusa in India, Sudamerica, Europa e, non temendo la siccità viene coltivata anche in Asia e in Africa.

                         

                        Nel mondo i Paesi produttori sono 32 e attualmente i principali produttori sono India, Brasile, Mozambico, Tanzania e Nigeria.

                         

                        Tipi di anacardo

                        Non esistono vere e proprie cultivar, la distinzione avviene in base alla colorazione del pomo, gialla o rossa, e in base alla tipologia commerciale, americana e indicum.

                         

                        L’anacardio americano è caratterizzato da un pomo grosso e succoso, mentre l’anacardio indicum è dotato di un pomo piccolo, utilizzato esclusivamente per la sua noce.

                         

                        Proprietà nutrizionali dell’anacardo

                        tabella con i valori nutrizionali dell'anacardo

                        Valori nutrizionali dell’anacardo

                        Dal punto di vista nutrizionale gli anacardi sono ricchi di grassi, per la maggior parte monoinsaturi.

                        Una porzione di anacardi apporta anche proteine, carboidrati complessi e fibra alimentare.

                         

                        A livello di micronutrienti i più presenti sono fosforo, magnesio e vitamina K.

                         

                        Benefici dell’anacardo

                        Gli acidi grassi monoinsaturi contenuti negli anacardi hanno proprietà protettive nei confronti della salute cardiovascolare e il loro consumo, in base ad una revisione condotta dall’EFSA, sarebbe in grado di promuovere l’aumento dei livelli di colesterolo HDL, comunemente chiamato “colesterolo buono”.

                         

                        Gli anacardi potrebbero inoltre favorire la salute delle ossa grazie al magnesio contenuto nei loro semi, che aiuta anche a controllare il tono nervoso e muscolare combattendo così pressione alta, spasmi muscolari, emicrania, tensioni e affaticamento.

                         

                        Il consumo di questo alimento risulta utile nel caso di perdita di peso o perdita di appetito causata dalle terapie oncologiche.

                         

                        La porzione consigliata è di 30 grammi, che corrisponde a 3 cucchiai rasi di anacardi.

                         

                        Per questo vi consigliamo di consumarli nelle giuste quantità e non considerarne esclusivamente il loro contributo calorico, in quanto apportano nutrienti di alta qualità.

                         

                        Interazioni dell’anacardo

                        Gli anacardi contengono però anche ossalati che, in concentrazioni elevate, possono causare la formazione di calcoli; per questo motivo il loro consumo potrebbe essere sconsigliato in caso di problemi a reni o cistifellea.

                         

                        Il loro consumo inoltre potrebbe interferire con l’azione di farmaci antidiabetici.

                         

                        Produzione e Tecnologia degli anacardi

                        Caratteri botanici degli anacardi

                        L’anacardo è un albero tropicale che può raggiungere anche i 15 metri di altezza e tollera temperature fra i 5° e i 45°C.

                        La pianta trova il su habitat naturale nei Paesi tropicali e non necessita di molta acqua, dimostrando una forte resistenza alla siccità, ma è bisognosa di luce, tanto che non fruttifica nelle parti di chioma ombreggiate.

                        Nelle zone tropicali vicino all’equatore la coltivazione dell’anacardio si spinge oltre ai 1000 metri di altitudine, invece nelle aree subtropicali più distanti arriva ai 600 metri.

                         

                        Presenta una caratteristica forma di fruttificazione, ovvero fornisce un doppio frutto intimamente unito: uno è il frutto fresco, chiamato la “mela d’anacardio (in Brasile “mela di acagiù”), e uno è il frutto secco, chiamato la “mandorla o nocciola d’anacardio (in Brasile “noce di acagiù o mandorla di acagiù”) che la pianta custodisce all’interno di una noce.

                         

                        La mela d’anacardio dal punto di vista botanico è un falso frutto in quanto nasce dall’ingrossamento del peduncolo fiorale, arriva a raggiungere le dimensioni di una mela e ha una superficie liscia, sottile e fragile, con un colore che varia dal giallo al rosso vivo e con una massa polposa ma fibrosa.

                         

                        La mandorla o nocciola d’anacardio invece è il vero frutto ed è una noce reniforme provvista di un duro pericarpo, contenente un seme oleoso e commestibile.

                         

                        Produzione degli anacardi

                        La produzione dei frutti va da novembre a gennaio.

                         

                        La raccolta avviene alla fine della stagione secca, a cui segue una procedura di lavorazione dei frutti molto complessa.

                         

                        Il seme viene staccato dal frutto, bollito e fritto in olio vegetale, scolato e spremuto per ricavarne il succo che viene bevuto dopo essere stato leggermente fermentato. Successivamente, si estrae la noce dal seme, a mano, con un martelletto.

                         

                        Una volta estratte, le noci sono essiccate in forno a 250°C. Il seme infatti contiene un olio irritante che deve essere eliminato con il calore prima che il seme possa essere estratto con molta cura per evitare di contaminarlo.

                         

                        Dopo tre giorni, si toglie la pellicola che le avvolge e si mettono di nuovo le noci ad asciugare al sole. Solo a questo punto, gli anacardi sono pronti per essere tostati. La produzione è così complessa che solo il 10% dei frutti arriva alle fasi di trasformazione e al confezionamento.

                         

                        Inoltre l’anacardo è un frutto che tende a irrancidire molto facilmente per cui, per ben conservarlo, occorre limitare il contatto con l’aria.

                         

                        Stagionalità dell’anacardo

                        In Italia l’anacardo è reperibile sul mercato tutto l’anno.

                         

                        Preparazione e Conservazione dell’anacardo

                        Sono venduti crudi e salati. Se sono confezionati viene indicata la data di scadenza.

                        Tuttavia, dopo aver strappato la confezione, gli anacardi devono essere mangiati durante il giorno, anche se messi in frigorifero, e in generale non possono essere conservati per più di pochi giorni.

                         

                        Dal punto di vista della conservazione, bisogna sottolineare come tale alimento si caratterizza per una buona percentuale di grassi che spesso possono subire l’irrancidimento.

                        Di conseguenza, dopo averli comprati bisogna provvedere alla conservazione in un posto piuttosto fresco, privo di luce e asciutto.

                        Per quanto riguarda la conservazione in frigo, si consiglia di utilizzare sempre un contenitore con chiusura ermetica e, in questo modo, possono durare anche fino ad un anno. In caso contrario, si può sempre provvedere alla conservazione in freezer.

                         

                        Si suggerisce anche di frullare gli anacardi utilizzando un robot da cucina oppure un normale frullatore.

                        In questo modo si ottiene un vero e proprio burro di anacardi che si può consumare specialmente al mattino a colazione, magari spalmandolo su delle fette di pane integrale tostate.

                        In alternativa si possono aggiungere uno o due cucchiaini di anacardi ad una bella insalata fresca. Infine, dopo averli fatti a granelli, tali semi si possono aggiungere allo yogurt, oppure si possono sfruttare come una vera e propria impanatura.

                         

                        Le nostre proposte di ricette

                         

                          • EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition, and Allergies (NDA) (2010) “Scientific Opinion on Dietary Reference Values for fats, including saturated fatty acids, polyunsaturated fatty acids, monounsaturated fatty acids, trans fatty acids, and cholesterol.”, EFSA Journal, 2010.
                          • Fitzpatrick J. (2011) “Cashew nut processing equipment study-summary.”, African Cashew initiative, Germany, September 2011.
                          • www.agraria.org
                          • www.bda-ieo.it
                          • www.humanitas.it

                          Cicoria

                           

                          tipi di cicoria

                          Famiglia: Compositae

                          Genere: Cichorium

                          Specie: Cichorium intybus L.

                           

                          Storia della cicoria

                          La cicoria è un ortaggio del genere Cichorium, a cui appartiene anche l’indivia, originaria delle aree temperate di Europa, Asia e Africa del Nord.

                           

                          Ad oggi è diffusa in Africa Meridionale e nelle Americhe, è molto comune allo stato spontaneo.

                           

                          Tipi di cicoria

                          Esistono numerose forme coltivate:

                          cicoria da foglia (Cichorium intybus L. v. foliosum Bischoff); cicoria da radici (Cichorium intybus L. v. sativus Bischoff).

                           

                          Diversi tipi di cicoria sono conosciuti anche con il nome “cicoria asparago”, caratterizzati da cespo a costa dall’altezza variabile e sapore amaro (più o meno forte a seconda delle tipologie).

                          Una particolare tipologia di cicoria asparago viene chiamata “puntarella” ed è caratterizzata da germogli bianchi, compatti e croccanti.

                           

                          I differenti tipi di cicoria presenti sul mercato si possono suddividere per forma, per colore della foglia o per modalità di raccolta.

                           

                          Della cicoria si consumano le foglie e le radici che possono essere cotte o in insalata.

                           

                          Proprietà nutrizionali della cicoria

                          tabella con i valori nutrizionali della cicoria

                          Valori nutrizionali della cicoria

                          La cicoria presenta un contenuto di acqua superiore al 90% e un basso apporto calorico.

                           

                          Molto buona è la quantità di fibra alimentare e, tra le molecole degne di nota, vi è l’inulina, una particolare tipologia di fibra definita “prebiotica”.

                           

                          Tra i sali minerali è da sottolineare la presenza di calcio, mentre tra le vitamine spicca la vitamina A. 

                           

                          Infine, come tutti i vegetali a foglia verde, la cicoria è ricca in folati. Studi recenti dimostrano come siano utili per la prevenzione del tumore al seno e del pancreas.

                           

                          Benefici della cicoria

                          La fibra conferisce alla cicoria un buon potere saziante, rallentando anche lo svuotamento gastrico.

                          Si ricorda che in ½ piatto si trovano 7,2 grammi di fibra e che il livello di assunzione giornaliera ideale per la popolazione adulta è di 25 grammi.

                          È presente anche l’inulina, che come detto è una fibra “prebiotica”, poiché in grado di nutrire selettivamente alcuni microrganismi intestinali positivi per la salute.

                           

                          La vitamina A risulta fondamentale per un buon funzionamento della vista, per la crescita delle ossa, per la funzione testicolare e ovarica e per un sano sviluppo embrionale.

                           

                          I folati invece hanno un ruolo fondamentale nella crescita e nella riproduzione delle cellule, in particolare dei globuli rossi, per la formazione del sistema nervoso centrale nell’embrione e nel feto. Intervengono anche nella sintesi del DNA e nel metabolismo degli aminoacidi.

                           

                          Questo alimento potrebbe essere utile per contrastare la stipsi o costipazione, un effetto avverso causato dalle terapie oncologiche.

                           

                          La porzione consigliata è di 200 grammi, che equivale a ½ piatto di cicoria.

                           

                          Una porzione di cicoria contiene 438 µg di vitamina A (retinolo equivalenti) e 4,5 mg di vitamina E, soddisfando così parte della dose giornaliera raccomandata.

                          Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina A (retinolo equivalenti) per la popolazione adulta è di 700 µg per gli uomini e 600 µg per le donne; per la vitamina E invece è di 13 mg per gli uomini e 12 mg per le donne.

                           

                          Produzione e Tecnologia della cicoria

                          Caratteri botanici della cicoria

                          La cicoria è una pianta che presenta fiori riuniti in gruppi di 2-3 capolini, terminali o ascellari, e frutti di forma obovata-piramidale che sono acheni, impropriamente detti semi.

                           

                          Le diverse tipologia di cicoria si adattano bene a diversi tipi di clima e terreno, sono resistenti al freddo ma mal sopportano i ristagni d’acqua.

                          La temperatura adatta alla crescita e allo sviluppo è di 15-20°C, con la temperatura minima attorno ai 5°C.

                           

                          Coltivazione della cicoria

                          Il periodo della semina e le tecniche utilizzate sono diverse a seconda del tipo di cicoria e del prodotto che si vuole ottenere.

                           

                          La cicoria a foglie verdi o da taglio (ad esempio Spadona, Migliorata) si semina a righe, a strisce o a spaglio, in tutti i mesi dell’anno eccetto i più freddi.

                          Il terreno deve essere fresco e molto fertile, ben concimato ed irrigato frequentemente.

                          La crescita delle piantine è rapida, per cui le foglie si possono tagliare più volte (5 o 6) quando sono ancora tenere e destinarle al consumo fresco come insalata.

                           

                          La cicoria a foglie colorate o radicchio (Rosso di Treviso, Rosso di Verona, Sanguigno di Milano, Variegato di Castelfranco, Variegato di Chioggia) si semina o si trapianta in giugno-luglio, a strisce o a righe.

                          Richiede terreni fertili, freschi e profondi, lavorazioni profonde e numerose cure colturali quali diradamento (se la semina è stata fatta sul posto), sarchiatura, scerbature ripetute, irrigazioni e concimazioni azotate ripetute.

                           

                          La cicoria da foglie e steli (Brindisina, Catalogna, Pan di zucchero, Bianca di Milano) si semina in luglio-agosto per avere la produzione in autunno-inverno, con 7-10 piante a metro quadrato.

                           

                          La cicoria da radici (la cicoria di Bruxelles o belga o Witloof, di Brabante, di Brunswich, di Magdeburgo) si semina a file a 20-30 cm da fine inverno all’estate, diradando in modo da avere 30-50 piante a metro quadrato.

                           

                           

                          Produzione della cicoria

                          La raccolta per la cicoria a foglie colorate avviene in autunno-inverno quando i cespi hanno raggiunto lo sviluppo completo e le piantine possono essere così destinate al consumo oppure sottoposte a forzatura.

                          La forzatura è una pratica che consiste nel disporre le piantine complete di radice in ambiente caldo-umido, in modo tale che dopo 10-15 giorni ci sarà l’emissione di nuove giovani foglie tenere e colorate del colore tipico della varietà.

                           

                          Per la cicoria da radici del tipo Bruxelles le piante complete di radice vengono estirpate in ottobre-novembre, e lasciate appassire per 8-15 giorni.

                          In seguito le foglie vengono tagliate e le radici disposte in una trincea o in un cassone, ricoperte di terriccio e da uno strato di paglia.

                          Le radici si consumano lessate in insalata o si utilizzano per la “forzatura” o come surrogato del caffè.

                          In questo caso la forzatura può essere accelerata mediante riscaldamento dei cassoni. In tali condizioni le piccole foglie del cuore si sviluppano andando a costituire il tipico “grumolo” bianco, a forma di sigaro.

                           

                          Per la varietà cicoria da foglie e steli si consumano i cespi interi, costituiti dalle foglie e dai giovani germogli (puntarelle).

                           

                          Stagionalità della cicoria

                          La cicoria si trova sul mercato tutto l’anno.

                           

                          Preparazione e Conservazione della cicoria

                          Cercate le foglie croccanti e scartate quelle con le punte molto verdi, che sono molto amare. Se la punta è molle e bianchiccia bisogna tagliarla e poi eliminate le foglie che stanno per staccarsi.

                          A seconda dell’occorrenza, usate le foglie intere, tagliate in due parti o in quattro.

                           

                          La cicoria può essere conservata in frigorifero, nello scompartimento per le verdure, per 4-5 giorni.

                          Se si vuole conservare in congelatore sarebbe meglio cuocerla prima. In questo caso vi consigliamo di lavarla accuratamente sotto l’acqua corrente, cuocerla al vapore o lessarla per 3 minuti circa. Far raffreddare in acqua e ghiaccio per fermare la cottura, scolare, asciugare e lasciare raffreddare completamente prima di congelarla.

                           

                          Bisogna fare attenzione ai metodi di cottura utilizzati per la cicoria, in quanto i folati sono sensibili al calore e si disperdono in acqua. Occorre, quindi, abituarsi a cuocere le verdure rapidamente e in poca acqua.

                           

                          Le proposte di ricette di FBO con i vari tipi di cicoria

                            • Chen P et al. (2014) “Higher dietary folate intake reduces the breast cancer risk: a systematic review and meta-analysis”, Br J Cancer. 2014 Apr 29;110(9):2327-38.
                            • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                            • Wang R. et al. (2014) “Folate intake, serum folate levels, and prostate cancer risk: a meta-analysis of prospective studies”, BMC Public Health. 2014 Dec 29;14:1326.
                            • www.agraria.org
                            • www.bda-ieo.it
                            • www.humanitas.it

                            Vaniglia, bacche

                             

                            vaniglia bacche

                            Famiglia: Orchidaceae

                            Genere: Vanilla

                            Specie: Vanilla planifolia

                             

                            Storia della vaniglia

                            La vaniglia (Vanilla planifolia) è la pianta più coltivata ed è la sola della famiglia botanica delle Orchidaceae che dà frutti commestibili, i baccelli di vaniglia.

                             

                            È una pianta originaria dell’America Tropicale, in particolare del Messico. Ad oggi il primo produttore al mondo è il Madagascar, seguito da Messico e Polinesia.

                            Viene coltivata soprattutto nelle zone tropicali umide, territori in cui è naturalmente presente l’insetto responsabile dell’impollinazione. Nelle zone in cui non è presente tale insetto le impollinazioni vengono effettuate manualmente ancora oggi.

                             

                            Varietà di vaniglia

                            Esistono diverse varietà di vaniglia, le più conosciute sono:

                             

                            • La vaniglia Bourbon è la vaniglia di riferimento caratteristica del Madagascar. La bacca è nera grassa e elastica, l’aroma è floreale e forte sulle note di cacao. Viene utilizzata in pasticceria, gelateria e per i desserts.

                             

                            • La vaniglia Messico è una bacca nera e lucida dalle note calde, resistenti, speziate e forti, con chiodi di garofano; è la vaniglia dagli aromi più differenti e sottili. Viene usata in pasticceria, gelateria, per i desserts e per piatti caldi salati con note speziate.

                             

                            • La vaniglia Tahiti è una bacca carnosa, spessa e grassa, lucida, marrone scura. Ha un profumo delicato, caldo dalle note di pane speziato e un sapore forte con note di fondo di liquirizia e violetta. Consigliata in pasticceria, gelateria.

                             

                            • La vaniglia Papua Nuova Guinea è una vaniglia morbida e carnosa dalle note di bosco, speziate e pepate. È usata in pasticceria, gelateria e per i dessert.

                             

                            • La vaniglia India si presenta marrone scuro, abbastanza sottile con note speziate di cioccolata. Viene usata sia in ricette salate con pesce e carni bianche sia in macedonie di frutta.

                             

                            • La migliore qualità è rappresentata dalla vaniglia Brinata (o vanille Grivè), chiamata così perché la vanillina è cristallizzata in superficie. È la vaniglia con la profumazione più intensa e delicata.

                             

                            In commercio si trovano sia i baccelli di vaniglia, venduti in capsule di vetro o plastica, che l’estratto di vaniglia.

                            La vanillina (o aroma alla vaniglia) è invece il prodotto di origine industriale che ha un costo inferiore rispetto alla vaniglia naturale e che viene utilizzata in ambito industriale.

                             

                            Proprietà nutrizionali della vaniglia

                            tabella con i valori nutrizionali della vaniglia (estratto alcolico)

                            Valori nutrizionali della vaniglia

                            Nella vaniglia sono contenuti in buona quantità alcuni minerali come il calcio e il fosforo che contribuiscono a mantenere in salute le ossa, il magnesio che prende parte all’attività nervosa e muscolare e il potassio che regola la pressione.

                             

                            Benefici della vaniglia

                            La vaniglia, oltre a essere una buona fonte di minerali,  risulta essere calmante e antistress e sembra sia in grado di combattere le infezioni, essendo un antisettico naturale.

                            Risulta anche utile nello sconfiggere l’insonnia, per esempio un buon latte caldo aromatizzato alla vaniglia è un ottimo rimedio per chi ha difficoltà a prendere sonno.

                             

                            La vanillina, la sostanza che conferisce alla vaniglia l’inconfondibile aroma dolce, è un polifenolo con proprietà antiossidanti in grado di contrastare l’azione dannosa dei radicali liberi sull’organismo.

                             

                            Alla vaniglia sono infine attribuite virtù afrodisiache. Agli inizi del Novecento i medici consigliavano l’assunzione di vaniglia per combattere la frigidità e tra i sintomi del “vanillismo” (insieme di disturbi causati da manipolazione o ingestione di vaniglia) oltre a dermatite e malesseri era annoverata anche un’irrefrenabile pulsione sessuale.

                             

                            Produzione e Tecnologia della vaniglia

                            Caratteri botanici della pianta della vaniglia

                            La vaniglia è una pianta erbacea, un’orchidea rampicante perenne che può crescere indefinitamente.

                            Le foglie sono di forma ellittica-ottusa, di colore verde scuro che possono essere lunghe fino a 15 centimetri. I fiori sono grandi e profumati di colore verde giallo o bianco, si sviluppano a gruppi di otto o dieci. Fioriscono per un solo giorno, solitamente maturano uno alla volta e hanno la struttura classica di un fiore d’orchidea; la fecondazione del fiore può avvenire solo tramite un fecondatore esterno.

                             

                            I frutti sono dei baccelli della lunghezza anche di trenta centimetri che arrivano a maturazione dopo diversi mesi e contengono numerosi semi.

                            Quando è maturo il frutto è completamente inodore; il profumo lo acquisisce restando sulla pianta e subendo un processo di fermentazione.

                            Il profumo è dovuto dalla presenza al suo interno della molecola vanillina, la cui quantità varia da pianta a pianta a seconda della sua origine (ad esempio la vaniglia Bourbon ha un tasso di vanillina compreso tra 1,6 e 2,4% ed è il più alto in natura).

                             

                            Coltivazione della vaniglia

                            La vaniglia è una specie tropicale che necessita di un clima caldo e umido, con una temperatura ideale compresa fra i 16° e i 25° C.

                            Per crescere ha bisogno di luce non diretta, di spazio (da adulta può misurare fino a 4 m di lunghezza), di tralci, di un’irrigazione non troppo abbondante ma continua e necessita del tipico substrato per le orchidee, composto da muschio, corteccia e radici di felce.

                             

                            Il periodo della fioritura è compreso tra marzo e maggio, al termine della stagione secca, e l’impollinazione della vaniglia nel suo ambiente naturale avviene grazie ad un insetto, l’ape endemica della specie Melipona, che è presente solo in Messico.

                             

                            Per ottenere i frutti dalle piante coltivate tramite talea è necessario impollinarle manualmente, non appena i fiori si aprono nelle prime ore del giorno. Questa tecnica è definita selfing, o auto-impollinazione.

                            I primi germogli di vaniglia compaiono dopo circa un anno e la pianta fruttifica ad un’età di tre anni, raggiungendo la sua massima produttività verso gli otto anni.

                             

                            Tecniche di lavorazione dei baccelli di vaniglia

                            I baccelli di vaniglia una volta colti, vengono fatti fermentare e lasciati essiccare in un luogo fresco e asciutto, assumendo il caratteristico colore scuro e il profumo.

                             

                            La lavorazione è tutta manuale e consiste nel metodo Bourbon: il processo ha inizio immergendo il baccello in acqua calda (tra 60° e 80°C) o congelandolo per ridurne la vitalità (killing del baccello).

                            I frutti sgocciolati vengono riposti ancora caldi in casse ricoperte di lana dove la temperatura raggiunge i 50°C (essiccazione) e in 24 ore le stecche prendono il caratteristico colore bruno (sweating o sudorazione).

                            Successivamente i baccelli vengono esposti al e alla sera vengono avvolti in strisce di tessuto e posti ad asciugare in contenitori chiusi.

                            Segue l’essiccatura naturale, con l’esposizione al sole dei baccelli di vaniglia ogni giorno per 2-3 settimane (slow drying, essiccamento lento), seguita dal riposo su graticci sistemati all’ombra.

                            Una volta pronti, i frutti verranno lasciati a riposare (conditioning o acclimatament) e infine verranno divisi secondo consistenza, peso e lunghezza in categorie qualitative ben definite.

                            Una volta classificati, saranno indirizzati ai rispettivi processi di trasformazione industriali (produzione di profumi o di prodotti alimentari), o alla vendita diretta.

                             

                            In commercio si trovano sia i baccelli venduti in capsule di vetro o plastica o in sacchetti, sia l’estratto di vaniglia.

                             

                            Stagionalità della vaniglia

                            La vaniglia sul mercato è acquistabile tutto l’anno.

                             

                            Preparazione e Conservazione della vaniglia

                            La vaniglia ha un sapore molto dolce e aromatico, fresco ed esotico, più intenso nella varietà Bourbon e piuttosto delicato nella tahitiana.

                             

                            L’utilizzo in cucina della vaniglia risale alla notte dei tempi, quando gli Aztechi la univano al cacao per ottenere una bevanda dolce, antenata del nostro cioccolato aromatizzato alla vaniglia.

                            La vaniglia è utilizzata principalmente nelle preparazioni dolciarie, per aromatizzare zucchero, cioccolato, latte e liquori e la crema di vaniglia è uno degli ingredienti principali di molte torte e dolci.

                            La vanillina copre il sapore di lievito e profuma torte e biscotti rendendoli ancora più allettanti.

                            In alcune cucine, come quella orientale o africana, la vaniglia è un aroma utilizzato anche per preparare pietanze salate.

                             

                            I baccelli della vaniglia contengono al loro interno dei semini che si possono utilizzare spargendoli direttamente nelle preparazioni, mentre il baccello può essere posto in un barattolo di zucchero che verrà caratterizzato dal profumo della vaniglia, ottimo per dolcificare il caffè.

                            Porro

                             

                            porro

                            Famiglia: Liliaceae

                            Genere: Allium

                            Specie: Allium porrum L. (sinonimo: Allium ampeloprasum porrum L.)

                             

                            Porro: cos’è e storia

                            Il porro è un ortaggio da foglia appartenente al genere Allium, lo stesso di cipolla, aglio e scalogno.

                             

                            È originario del Sud Europa e Nord Africa e la sua coltivazione è diffusa in Europa, America e Asia. In particolare in Italia viene coltivato in tutte le regioni, specialmente al Centro-Nord.

                             

                            Varietà di porro

                            Esistono diverse varietà di porro classificate in base alla lunghezza del “falso fusto” e in base all’epoca di produzione.

                            Si distinguono quindi in cultivar estive, con semina a dicembre-gennaio su letto caldo; cultivar autunnali, con semina in marzo-aprile e cultivar invernali, con semina in maggio-giugno.

                            Del porro viene utilizzata la parte basale delle foglie.

                             

                            Proprietà nutrizionali del porro

                            tabella con i valori nutrizionali del porro

                            Porro valori nutrizionali

                            Il porro è composto principalmente da acqua, contiene poche calorie ed ha un discreto quantitativo di fibra, che esercita effetti di tipo funzionale e metabolico che la rendono un’importante componente della dieta.

                            A livello di vitamine, buono è il contenuto di vitamina K e di vitamine del gruppo B. Per i minerali quelli più rappresentati sono il fosforo e il magnesio.

                             

                            Come tutti gli alimenti appartenenti alla famiglia delle Amaryllidacee, è di prassi un cenno alla loro composizione in solforati. Questa particolare tipologia di sostanze, in base a recenti studi scientifici, ha azione antibatterica, antitumorale e di protezione del sistema cardiovascolare.

                            Il porro inoltre contiene l’allicina, contenuta anche nell’aglio, che si forma grazie all’azione di un enzima, l’allinasi. Per permettere l’azione di questo enzima occorre rompere le strutture cellulari nelle quali è confinato, tagliando o tritando l’ortaggio. Questo processo permetterà alla molecola di esercitare azioni positive, come l’inibizione di un batterio, Helicobacter Pylori, che causa ulcere e gastriti allo stomaco e che può portare in certi casi fino allo sviluppo del tumore.

                             

                            Porro benefici

                            Tra le vitamine spiccano la vitamina K e le vitamine del gruppo B. La prima è coinvolta nella sintesi epatica dei fattori che intervengono nella coagulazione del sangue, mentre le seconde favoriscono invece un buon metabolismo; fra di esse, i folati sono particolarmente importanti per lo sviluppo del sistema nervoso durante la gestazione.

                            Buona, inoltre, è la quantità di vitamina C che svolge azione antiossidante. Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                             

                            Anche i minerali contenuti nel porro esercitano funzioni positive. In particolare il calcio e il fosforo favoriscono la salute di ossa e denti, il potassio regola la pressione arteriosa e il selenio è utilizzato dalle molecole antiossidanti.

                             

                            Per quanto riguarda il ruolo del porro nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, si attendono ulteriori studi sulle sue proprietà antiipertensive.

                             

                            La porzione di consumo standard consigliata per la verdura fresca è di 200 grammi.

                             

                            Produzione e Tecnologia dei porri

                            Caratteri botanici della pianta del porro

                            Il porro è una pianta biennale che viene coltivata a ciclo annuale e che non si trova allo stato spontaneo.

                            Presenta un bulbo poco sviluppato o assente, foglie allungate di colore da grigio verde a verde bluastro con piccioli piegati a doccia ed avvolgenti alla base, formando un falso fusto più o meno allungato (da 15 a 40 cm).

                            Ha molte radici che si possono spingere fino a 50 cm circa di profondità e il fusto è accorciato a formare un disco appiattito, da cui si dipartono le foglie e le radici.

                            Lo stelo fiorale viene emesso nel secondo anno, nel periodo tra aprile e maggio. I semi sono neri angolosi e grinzosi. La durata della germinabilità è di 2-3 anni.

                             

                            Coltivazione dei porri

                            Il porro si adatta bene sia ai climi temperato-caldi che temperato-freddi, con l’impiego di varietà e cicli colturali differenti. L’irrigazione è quasi sempre necessaria, ad esclusione del periodo invernale.

                             

                            La coltivazione viene condotta effettuando il trapianto delle piantine (alte 20-25 cm) ottenute in vivaio; la semina, effettuata con seminatrici di precisione, viene poco praticata perché si ottengono porri di pezzatura non omogenea e perché risulta più difficile il controllo delle infestanti.

                            La densità colturale varia da 20 a 40 piante al metro quadrato, distanza che è maggiore nelle colture destinate a raccolte precoci. Nelle colture tardive inoltre le piantine vengono sottoposte a rincalzatura, tecnica utile per aumentare la parte bianca del fusto e per ottenere una maggiore resistenza al freddo.

                            Il diserbo viene praticato sia in semenzaio che durante la coltura.

                             

                            Produzione dei porri

                            La raccolta ha inizio quando il diametro dei fusti raggiunge i 2-3 cm, ovvero dopo circa 3-4 mesi dal trapianto o 5-7 dalla semina.

                            Dopo l’estirpazione le foglie vecchie più esterne vengono tolte, tagliate a 15 cm sopra la parte bianca, le radici vengono accorciate e infine i porri vengono lavati.

                             

                            Del porro viene utilizzata la parte basale delle foglie; esse formano un falso fusto di 20-30 cm di lunghezza e 3-5 di diametro che, sottoposto ad eziolatura, costituisce la parte edule.

                             

                            I porri in seguito alla raccolta possono essere conservati in frigorifero, a una temperatura di 0-1°C e umidità relativa (UR) del 90-95%, fino a tre mesi.

                            Una buona produzione varia dai 400 ai 500 quintali ad ettaro.

                             

                            Stagionalità del porro

                            Il porro è presente sul mercato specialmente nel periodo autunno-invernale.

                             

                            Preparazione e Conservazione del porro

                            Acquistati interi, i porri i conservano per circa 6 giorni in frigorifero, nello scomparto della verdura: basterà avvolgere la parte bianca in carta assorbente leggermente inumidita, eliminare parte del gambo verde e chiuderli in un sacchetto da frigo.

                             

                            Per una conservazione più a lungo termine, invece, si possono congelare; in questo modo si manterranno intatti per circa 6/8 mesi.

                             

                            Per pulirli la prima cosa da fare è eliminare la cosiddetta “barba” situata alla loro base (ovvero quei filetti di colore marrone posti all’estremità più bianca) e le foglie esterne di consistenza più fibrosa. Per fare questa operazione è consigliabile utilizzare un coltello in ceramica, perché il metallo tende ad accelerare il processo di deterioramento di questo ortaggio.

                            Una volta rimosse queste parti, si possono lavare bene con acqua corrente del rubinetto così da eliminare tutte le tracce di terra e le impurità rimaste.

                              • Borlinghaus J et al. (2014) “Allicin: Chemistry and Biological Properties”, Molecules ;19(8):12591-618.
                              • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                              • Turati F et al. (2015) “Allium vegetable intake and gastric cancer: A case-control study and meta-analysis.”, Molecular Nutrition & Food Research;59(1):171-9.
                              • www.agraria.org
                              • www.bda-ieo.it
                              • www.humanitas.it

                              Gallinella di mare

                               

                              gallinella di mare

                              Famiglia: Triglidae

                              Genere: Chelidonichthys

                              Specie: Chelidonichthys lucernus

                               

                              Cos’è la gallinella di mare

                              La gallinella di mare, conosciuta anche come capone o mazzola, è un pesce di mare appartenente alla famiglia Triglidae che assomiglia nell’aspetto ad una triglia di grandi dimensioni.

                               

                              Vive nell’Oceano Atlantico, nel Mare del Nord e nel Mar Mediterraneo prediligendo i fondali sabbiosi e fangosi.

                              Generalmente è lunga 20-30 cm, ma può raggiungere anche dimensioni maggiori, fino a 75 cm per 6 kg di peso.

                               

                              La gallinella viene apprezzata per le sue carni gustose e sode e viene commercializzata fresca, affumicata o congelata, sia intera che in filetti.

                               

                              Proprietà nutrizionali della gallinella di mare

                              tabella con i valori nutrizionali della gallinella di mare

                              Valori nutrizionali della gallinella di mare

                              La gallinella rientra nella categoria dei “pesci magri” adatti al consumo in qualsiasi tipo di regime alimentare, anche ipocalorico.

                              La gallinella fornisce infatti 90 kcal ogni 100 g costituite principalmente da proteine di alta qualità e da grassi mono e polinsaturi, con una buona percentuale di omega 3, utili alla protezione del sistema cardiovascolare, ma apporta anche una modesta quantità di colesterolo.

                               

                              L’effetto protettivo della gallinella sul sistema cardiovascolare viene ulteriormente potenziato dalla concentrazione di potassio, utile nel controllo della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca.

                               

                              Altri minerali presenti in buona concentrazione sono calcio fosforo, mentre tra le vitamine sono ben presenti la vitamina Dla vitamina A.

                               

                              Benefici della gallinella di mare

                              Grazie ai suoi nutrienti, la gallinella ha molti effetti positivi.

                              Contiene infatti proteine ad alto valore biologico e un ridotto quantitativo di grassi.

                              È presente il potassio che controlla la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, il calcio, il fosforo e la vitamina D che sono importanti per il benessere delle ossa mentre la vitamina A è utile nei processi della visione, nella crescita e nel potenziamento del sistema immunitario.

                               

                              La porzione di consumo standard consigliata è 150 grammi di gallinella, che corrispondono a un pesce di piccole dimensioni o a un filetto medio.

                               

                              Produzione e Tecnologia della gallinella di mare

                              Caratteristiche della gallinella di mare

                              La gallinella ha un corpo piccolo e allungato, una testa piuttosto grande e massiccia rispetto al resto del corpo e un muso sporgente a forma smussata e appuntito.

                              Possiede pinne pettorali grandi, di colore nero tendente al blu scuro e una pinna dorsale appuntita. La linea laterale è molto marcata e le squame che la ricoprono hanno dei dentelli rivolti verso la coda.

                              Solitamente il corpo si presenta di colore bruno, a tratti rossastro, fino a degradare in un rosa aranciato nella parte dei fianchi; il ventre invece è di colore bianco sporco.

                              Le gallinelle possono raggiungere una lunghezza di 75 cm e i 6 chili di peso e le carni sono bianche e tenere.

                               

                              Habitat della gallinella di mare

                              Questa specie vive in branchi sia in acque profonde ad una profondità che va da i 50 ai 150 metri, caratterizzate da fondali di fango o sabbiosi, che fra gli scogli vicino alla costa durante il periodo estivo. Ha bisogno di temperature comprese fra i 4 e i 24°C.

                              Il periodo di riproduzione della gallinella va da dicembre ad aprile, a fine giugno nel Mar Nero, ma nel Mediterraneo la riproduzione è più estesa.

                               

                              Tecniche di pesca per la gallinella di mare

                              La tecnica di pesca più utilizzata per questo pesce è la pesca a fondo praticata prevalentemente di notte quando il pesce è più attivo, usando terminali che permettano alle esche di fluttuare liberamente sul fondo ed essere ben visibili per il pesce.

                              Dalla barca la pesca della gallinella è condotta con reti a strascico, reti da posta, palamiti e lenze.

                              L‘esca più utilizzata è il gambero, anche a pezzetti; altre esche da usare sono i pezzi di pesce di mare tipo sarde o calamaro.

                               

                              La stagione della pesca della gallinella di mare dura per tutto l’anno, anche se i periodi di maggiore concentrazione sono in estate e in autunno; in estate si pescano esemplari giovani, dalle carni dal gusto più delicato, mentre in autunno si catturano esemplari di taglia maggiore, meno gustose.

                              Le gallinelle pescate nel Mar Adriatico generalmente sono più grandi di quelle che si trovano negli altri mari del Mediterraneo.

                               

                              Stagionalità della gallinella di mare

                              La riproduzione della gallinella va da dicembre ad aprile ma è facilmente reperibile sul mercato tutto l’anno.

                               

                              Preparazione e Conservazione della gallinella di mare

                              Per conservare la gallinella, se molto fresca, è necessario lavarla e congelarla ad almeno -18 ° per un massimo di 3 mesi, altrimenti va lavata e conservata in frigorifero per un massimo di due giorni.

                               

                              D’altro canto, questo alimento mal conservato può diventare una fonte rilevante di istamina.

                               

                              La gallinella si presta alla preparazione di numerosi piatti, dalle zuppe alla pasta, ma è ottima anche marinata.

                              Arachidi

                               

                              arachidi benefici

                              Famiglia: Papilionaceae

                              Genere: Arachis

                              Specie: Arachis hypogaea L.

                               

                              Storia delle arachidi

                              L’arachide è conosciuta anche come nocciola o pistacchio di terra o nocciolina americana ed è una pianta oleaginosa originaria del Brasile.

                               

                              Le arachidi sono i semi appartenenti all’ordine delle Leguminosae (o Fabaceae), quindi dal punto di vista botanico sono legumi.

                              Dal punto di vista nutrizionale invece rientra nella famiglia della frutta a guscio.

                               

                              Il genere Arachis comprende una quarantina di specie diverse; infatti in funzione della zona di origine le specie presentano caratteri morfologici diversi.

                              L’unica ad essere coltivata è l’Arachis hypogaea L.

                               

                              Le arachidi oggi sono fra i semi da olio più coltivati e i principali produttori sono Cina, India, alcune nazioni africane e gli Stati Uniti.

                              In Europa questa coltura si trova in alcune aree della Grecia, della Spagna e dell’Italia; in particolare nel nostro Paese le regioni più produttive sono il Veneto e la Campania.

                               

                              Proprietà nutrizionali delle arachidi

                              tabella con i valori nutrizionali delle arachidi

                              Valori nutrizionali delle arachidi

                              Il seme è costituito per il 50% da grassi ed ha un elevato contenuto proteico, mentre la percentuale di carboidrati è minima.

                               

                              Il suo contenuto calorico è alto, ma non sono da ritenersi calorie vuote, anche perché l’arachide è ricca di fibra, vitamine e minerali necessari alla salute.

                              Tra i minerali spiccano particolarmente il fosforo ed il magnesio.

                               

                              Alimento che negli ultimi anni sta prendendo popolarità anche in Italia è il burro di arachidi, che a differenza di quanto si può pensare, non ha niente a che vedere con il burro.

                              Si tratta semplicemente delle arachidi frullate che grazie al contenuto di grassi formano una crema spalmabile. Perciò, senza esagerare con le quantità, via libera al burro di arachidi fatto in casa.

                              Occorre invece prestare attenzione all’etichetta del prodotto industriale, spesso addizionato di oli vegetali e sale.

                               

                              Vi consigliamo inoltre di evitare le arachidi salate, il loro contenuto eccessivo in sale, riduce drasticamente gli effetti positivi per il sistema cardiovascolare.

                               

                              Benefici delle arachidi

                              La composizione dei grassi è da riferirsi alle tipologie che hanno un impatto positivo sulla salute cardiovascolare, principalmente monoinsaturi, acido oleico, e polinsaturi, prevalentemente omega-6.

                               

                              Il buon contenuto di fibra favorisce il transito intestinale, il controllo della glicemia e, insieme ai già citati acidi grassi monoinsaturi, ha effetto ipocolesterolemizzante.

                               

                              La presenza di fosforo è fondamentale per ossa, denti e cellule mentre il magnesio è utile per la normale funzionalità del tessuto muscolare del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso.

                               

                              I benefici per il cuore derivano anche da un aminoacido abbondante nelle proteine di questo alimento, chiamato L-arginina. Nell’organismo viene trasformato in ossido nitrico in grado di fluidificare il sangue e abbassare la pressione arteriosa.

                               

                              Il consumo di arachidi risulta utile in caso di anemia sideropenica, nuetropenia e pancitopenia causate dalle terapie oncologiche.

                               

                              La porzione consigliata, come per tutta la frutta secca in guscio, è di 30 grammi che equivale a 3 cucchiai rasi di arachidi.

                               

                              Produzione e Tecnologia delle arachidi

                              Caratteri botanici delle arachidi

                              L’arachide è una pianta cespitosa annuale, ovvero costituita da numerosi steli, foglie o fiori che derivano da un’unica radice o sono strettamente uniti, alta 40-60 cm.

                               

                              I fusti sono lunghi 60-80 cm, a portamento eretto, procombente o strisciante, mentre le foglie sono alterne, paripennate, ovali.

                              I fiori possono essere maschili (visibili e caduchi) o ermafroditi (nascosti); il loro numero varia in funzione del tipo e dell’ambiente di coltivazione.

                               

                              Il frutto dell’arachide può essere mono o polispermo ed è costituito da un legume indeiscente, ovvero che giunto a maturità non si apre spontaneamente. Ha una forma reticolata, tuberosa, oblunga e presenta alcune strozzature che determinano la formazione di logge in cui sono racchiusi i semi.

                              Quest’ultimi hanno una forma cilindrica-globosa, sono rivestiti da una sottile pellicola protettiva di colore rossastro e il numero di semi contenuti nel frutto corrisponde al numero delle logge esistenti.

                              Solitamente sono in numero variabile da uno a quattro, eccezionalmente cinque.

                               

                              Coltivazione delle arachidi

                              L’arachide predilige un clima caldo e asciutto quindi, per poter crescere, necessita di una temperatura superiore a 16°C durante la germinazione, di 20°C al momento della fioritura e di 18°C durante la maturazione.

                               

                              La richiesta idrica è elevata durante le fasi di germinazione, fioritura, interramento e accrescimento dei frutti, mentre è carente durante la fase di maturazione; l’irrigazione può essere per aspersione o infiltrazione.

                               

                              Predilige terreni sciolti e sabbiosi ed è una specie miglioratrice del terreno: apporta infatti in modo naturale azoto atmosferico al terreno e lo rende disponibile per le colture successive.

                              Essendo una coltura da rinnovo è necessaria un’aratura profonda e successive lavorazioni del terreno. Inoltre è una coltura sensibile nei confronti delle infestanti, per cui dovranno essere controllate con diserbo chimico o sarchiature.

                               

                              La semina avviene in aprile-maggio, impiegando seme sgusciato ma con il tegumento arancione, a file distanti 60 cm e a 15 cm lungo la fila e il seme si sviluppa e arriva a maturazione sotto terra.

                               

                              Produzione delle arachidi

                              La raccolta in Italia viene effettuata tra settembre e ottobre, ovvero quando le foglie della pianta di arachidi cominciano a ingiallire, mediante l’utilizzo di macchine che estirpano le piante e le dispongono in andane per la successiva essiccazione.

                              La resa si aggira intorno ai 20-30 quintali ad ettaro.

                               

                              In commercio le arachidi sono presenti tutto l’anno e in diversi modi: si trovano arachidi con il guscio, arachidi sgusciate spellate e salate o arachidi tostate, largamente utilizzate nell’industria dolciaria.

                              Dall’arachide inoltre vengono ottenuti diversi derivati molto impiegati come la farina, il burro, l’olio e la granella di arachidi.

                               

                              Stagionalità delle arachidi

                              Le arachidi si trovano sul mercato tutto l’anno.

                               

                              Preparazione e Conservazione delle arachidi

                              Vi consigliamo di scegliere arachidi croccanti, con baccelli legnosi integri.

                               

                              Le arachidi fresche devono essere conservate a temperatura ambiente, in un luogo fresco e asciutto, mentre quelle tostate devono essere conservate in un contenitore a chiusura ermetica.

                               

                              La durata di conservazione delle arachidi è di circa un anno. Se conservi il prodotto senza gusci, in una stanza fresca e buia, rimarranno fresche per sei mesi.

                              Tartufo

                               

                              tartufo nero

                              Classe: Ascomycetes

                               

                              Cos’è il tartufo?

                              I tartufi sono funghi appartenenti alla classe degli Ascomiceti, genere Tuber della famiglia delle Tuberaceae; in particolare sono funghi ipogei, ovvero che crescono sottoterra, che vivono in simbiosi con le radici di piante arboree e sono a forma di tubero.

                              Sono caratterizzati da un odore penetrante e molto tipico, e ne esistono diverse tipologie: il tartufo bianco e il tartufo nero.

                               

                              Il tartufo bianco

                              Il tartufo bianco è considerato la tipologia più pregiata, presenta una scorza liscia, giallognola o bianca e una polpa bianca, rosata o marroncino chiaro. Si trova quasi esclusivamente nelle regioni del Centro e del Nord Italia e in Istria.

                               

                              Si consuma soprattutto crudo e ne esistono diverse varietà: il Tartufo d’Alba – Tartufo bianco – Tartufo del Piemonte (Tuber magnatum Pico) e il Bianchetto – Marzuolo – Marzaiuolo (Tuber albidum Pico) che ha un odore caratteristico che lo contraddistingue dal tartufo bianco, perché all’inizio è tenue e gradevole mentre in seguito diventa aglioso e nauseante.

                               

                              Il tartufo nero

                              Il tartufo nero presenta una scorza nerastra con venature rossicce più o meno marcate ed ha una forma piuttosto irregolare (appare bitorzoluto). È diffuso soprattutto in Toscana e Umbria, nella Francia del Sud e in Aragona.

                              È ritenuto il più pregiato dopo il tartufo bianco e viene consumato sia crudo che in seguito alla cottura; in questo caso con la cottura si sviluppa l’aroma caratteristico.

                               

                              Ne esistono diverse varietà: il Tartufo nero di Norcia e Spoleto – Tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vittadini) che ha un sapore e profumo aromatico ed intenso; il Tartufo nero ordinario o Tartufo di Bagnoli (Tuber mesentericum Vittadini) che in Abruzzo è chiamato “tartufo all’acido fenico” per lo spiccato odore di fenolo che prevale su quello sulfureo; il Tartufo nero liscio (Tuber macrosporum Vittadini); il Tartufo invernale (Tuber brumale Vittadini) che ha un odore caratteristico di noce moscata.

                               

                              Lo scorzone

                              Lo scorzone (Tuber aestivum Vittadini) è un tipo di tartufo simile a quello nero ma meno pregiato, di colore nero-grigio e molto verrucoso esternamente, ha polpa bianca che diventa marrone con la maturazione.

                              Lo scorzone quando giunge a maturazione sviluppa un odore tipico che ricorda quello della nocciola.

                              Viene anche chiamato “tartufo estivo” in quanto la sua raccolta avviene tra giugno e settembre.

                               

                              Proprietà nutrizionali del tartufo bianco e nero

                              tabella con i valori nutrizionali del tartufo (bianco e nero)

                              Tartufo valori nutrizionali

                              Il tartufo è una buona fonte di proteine, fibre e minerali. I minerali maggiormente presenti in questo fungo sono il potassio e il fosforo.

                              E’ bene evidenziare anche che 100 grammi di tartufo contengono 8,5 grammi di fibre e 6 grammi di proteine

                               

                              Tartufo benefici

                              Diversi sono i possibili benefici che possono derivare dal consumo di tartufo nero. Il limitato apporto di carboidrati e zuccheri fa sì che questo particolare fungo possa inoltre essere consumato da soggetti con diabete.

                              Ricco di proteine e fibre, povero di grassi e privo di colesterolo. Non contiene glutine e può quindi essere consumato da individui con intolleranza al glutine o con celiachia.

                               

                              Poiché dal punto di vista della composizione chimica sono molto simili, il tartufo bianco possiede le medesime proprietà nutrizionali del tartufo nero.

                              Per conservarne l’apporto vitaminico si consiglia di consumarlo crudo, dal momento che la maggior parte delle vitamine si disperde con le alte temperature.

                               

                              La porzione standard consigliata di tartufo è 5 grammi.

                               

                              Produzione e Tecnologia del tartufo bianco e nero

                              Caratteristiche dei tartufi

                              Il tartufo è il corpo fruttifero di una particolare categoria di funghi appartenenti al genere Tuber noti come funghi ipogei, ovvero che compiono il proprio intero ciclo vitale sotto terra.

                              Crescono a una profondità che varia dai pochi centimetri fino a un metro (in rari casi).

                               

                              Il tartufo è composto da due parti: una scorza esterna nota con il nome di peridio, che può assumere caratteristiche diverse da specie a specie e a seconda del tipo di terreno in cui cresce; e la massa interna carnosa, detta gleba, di colore variabile (bianca, nera, rosa, marrone) e percorsa da venature più o meno ampie e ramificate che delimitano degli alveoli in cui sono immerse delle grosse cellule, dette aschi, contenenti le spore.

                               

                              Come tutti i funghi, il tartufo è eterotrofo ovvero crea un rapporto di simbiosi con piante arboree o arbustive, crescendo a stretto contatto con le loro radici, e assorbendone tutte le sostanze di cui ha bisogno per produrre il prezioso sporocarpo. Questo rapporto, noto come micorriza, porta benefici sia al fungo che alla pianta.

                              Le micorrize sono una sorta di reticolo da cui si dipartono molte ife, che si strutturano in modo diverso a seconda della specie di tartufo. Ogni varietà è associata a specifiche piante con cui crea il rapporto di simbiosi; in genere le piante coinvolte sono Quercia, Lecci, Carpino, Rovere, Tiglio e Pioppo, latifoglie e conifere.

                               

                              L’insieme delle ife prende il nome di micelio e, una volta che si intrecciano, danno origine alla formazione del corpo fruttifero, nella cui gleba si differenziano le spore.

                              Solo al momento della maturazione delle spore i tartufi emettono un profumo intenso e penetrante che supera la barriera del terreno, rendendoli percepibili e attirando insetti e mammiferi, i quali cibandosi del tartufo, provvedono alla diffusione delle spore.

                               

                              La ricerca e la raccolta dei tartufi

                              La cerca e raccolta dei tartufi è regolata a livello nazionale dalla Legge 752/1985.

                              La raccolta è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, mentre i coltivatori e proprietari delle tartufaie hanno diritto di proprietà sui tartufi che vengono prodotti nelle tartufaie.

                               

                              Per praticare la raccolta del tartufo, il raccoglitore deve sottoporsi ad un esame per l’accertamento della sua idoneità che gli permetterà di ottenere il tesserino da tartufaio e praticare così l’attività.

                               

                              La ricerca invece deve essere effettuata obbligatoriamente con l’aiuto di un cane addestrato e con la vanghetta (o vanghetto del tartufaio), una zappa di dimensioni ridotte che permette di rovinare il meno possibile il terreno e le delicate radichette del fungo ipogeo. Inoltre, dopo avere estratto il tartufo, è obbligatorio riempire nuovamente la buca prodotta con il terreno asportato, in modo da permettere la crescita di nuovi corpi fruttiferi.

                               

                              Le attività di cerca e raccolta sono vietate in zone geografiche come le riserve naturali e micologiche, per quindici anni nelle aree di nuovo rimboschimento e in altre aree specifiche indicate dalle regioni di riferimento.

                               

                              Se si trovano tartufi marci o immaturi è meglio non raccoglierli perché, oltre a non essere buoni da mangiare, contribuiscono con le loro spore allo sviluppo di nuovi tartufi e la loro raccolta ne impedirebbe la moltiplicazione.

                               

                              Infine, per quanto la cerca notturna è vietata nella stragrande maggioranza dei luoghi di raccolta.

                               

                              Stagionalità del tartufo

                              Il periodo di raccolta differisce a seconda della varietà di tartufo: il tartufo bianco si raccoglie tra settembre e dicembre, il tartufo nero si raccoglie tra dicembre e marzo, mentre lo scorzone tra giugno e settembre.

                              In generale non sono prodotti di semplice reperibilità.

                               

                              Preparazione e Conservazione del tartufo bianco e nero

                              Il tartufo è chiaramente un ingrediente molto prezioso e, come tale, anche molto costoso. I prezzi variano da stagione a stagione, in base alla disponibilità del prodotto in ogni regione.

                               

                              Come tutti i funghi teme molto l’umidità. Che sia bianco o nero, la cosa migliore è conservare il tartufo fresco avvolto in una garza oppure in un foglio di carta da cucina, all’interno di un barattolo di vetro ben chiuso e porlo in frigorifero, nel cassetto della frutta e della verdura, per al massimo 8 giorni.

                              Controllate spesso che la carta o la garza non si siano inumidite: in tal caso cambiatele.

                               

                              Un altro sistema è quello di conservare il tartufo immerso nel riso, sempre all’interno di un barattolino di vetro e in frigorifero: il riso crudo, infatti, assorbirà l’umidità in eccesso.

                               

                              Volendo il tartufo si può anche congelare, all’interno di un sacchettino di plastica per alimenti: vi consigliamo però di ricorrere al congelamento solo come ultima spiaggia, se magari vi avanza un pezzetto di tartufo e non avete modo di consumarlo entro pochi giorni. Una volta scongelato, infatti, il tartufo avrò perso inevitabilmente parte del suo aroma.

                               

                              Per pulire il tartufo serve uno spazzolino a setole morbide. Bisogna spazzolarlo più volte su tutta la sua superficie, insistendo soprattutto nelle intercapedini naturali che sono più difficili da pulire. Una volta effettuato questo passaggio, strofinatelo delicatamente con un foglio di carta da cucina, per eliminare gli ultimi residui di terra.

                              Non bisogna invece bagnarlo sotto l’acqua perché, specie il tartufo bianco, potrebbe rovinarsi.

                              Altra cosa da tenere presente è che il tartufo va pulito poco prima di essere usato.

                              Quando avrete eliminato tutta la terra il vostro tartufo è pronto per essere grattugiato sui vostri piatti.

                              Castagna

                               

                              tipi di castagna

                              Famiglia: Fagaceae

                              Genere: Castanea

                              Specie: Castanea vulgaris o sativa

                               

                              Storia della castagna

                              Le castagne sono i frutti del castagno, albero originario dell’Europa meridionale, Nord Africa e Asia occidentale, che è presente anche sulle coste atlantiche del Marocco, sulle rive del mar Caspio e nel sud dell’Inghilterra.

                               

                              Le regioni in Italia in cui si trovano importanti castagneti sono la Campania, la Sicilia, il Lazio, il Piemonte e la Toscana.

                               

                              Tipi di castagna

                              Il genere Castanea comprende diverse specie: Castanea vulgaris o sativa diffusa in Europa, Castanea dentata in Nord America, Castanea mollissima in Cina e Castanea crenata in Giappone, che risulta resistente al mal dell’inchiostro e al cancro della corteccia.

                               

                              Riconoscimenti IGP e DOP delle castagne

                              In Italia sono presenti diversi Riconoscimenti IGP (Indicazione Geografica Protetta).

                               

                              La “Castagna del Monte Amiata IGP” ha ottenuto il riconoscimento con il Regolamento CE 1904/00 e la zona di produzione comprende dei comuni toscani della provincia di Grosseto e Siena nella fascia compresa tra i 350 e i 1000 m.s.l.m., in terreni derivanti in massima parte da rocce vulcaniche e arenacee, a prevalente o abbondante componente silicea. Il riconoscimento IGP designa le castagne riferibili alle varietà correntemente conosciute come Marrone, Bastarda Rossa, Cecio.

                               

                              La “Castagna di Cuneo IGP” viene prodotta in 110 Comuni della Provincia di Cuneo e rientrano le seguenti varietà di castagne, riferite alla specie “Castanea Sativa“: Ciapastra, Tenpuriva, Bracalla, Contessa, Pugnante, Sarvai d’Oca, Sarvai di Gurg, Sarvaschina, Siria, Rubiera, Marrubia, Gentile, Verdesca, Castagna della Madonna, Frattona, Gabbana, Rossastra, Crou, Garrone Rosso, Garrone Nero, Marrone di Chiusa Pesio, Spina Lunga. Attualmente il disciplinare prevede che i castagneti siano situati in posizioni soleggiate e riparati dal vento, con il periodo di raccolta che inizia a settembre e termina a novembre.

                               

                              La “Castagna di Montella IGP” è coltivata nell’area del Terminio-Cervialto e limitata in particolare ai territori dei comuni di Montella, Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, Nusco, Volturara Irpina e Montemarano (contrada Bolifano). L’Indicazione geografica protetta “Castagna di Montella” è riferita alle castagne prodotte per il 90% dalla varietà Palummina e per il restante 10% dalla varietà Verdole.

                               

                              La “Castagna di Serino/Marrone di Serino IGP” è presente in alcuni comuni della provincia di Salerno e di Avellino e la varietà utilizzata è la “Montemarano” detta anche “Santimango” o “Santomango” o “Marrone di Avellino” o “Marrone avellinese” e la varietà “Verdola” o “Verdole” autoctone dell’areale di produzione.

                               

                              È stata riconosciuta anche una DOP (Denominazione di Origine Protetta) alla “Castagna di Vallerano DOP” che viene prodotta nel territorio del comune di Vallerano in provincia di Viterbo.

                               

                              In commercio si trovano sia le castagne che la farina di castagne.

                               

                              Proprietà nutrizionali della castagna

                              tabella con i valori nutrizionali delle castagne e della farina di castagne
                              Tabella con i valori nutrizionali delle castagne e della farina di castagne

                              Valori nutrizionali delle castagne

                              Le castagne si differenziano dalle altre tipologie di frutta a guscio. Presentano infatti una percentuale minima di lipidi ed una alta di carboidrati, di cui la maggior parte sotto forma di amido.

                               

                              Presentano anche un buon apporto di fibra; a livello di micronutrienti troviamo il potassio e buono è anche il contenuto di magnesio.

                               

                              Le castagne sono inoltre una fonte di acido oleico, lo stesso acido grasso monoinsaturo cui sono imputabili diversi benefici per la salute associati al consumo di olio d’oliva.

                               

                              Benefici delle castagne

                              La fibra è utile a mantenere nella norma i livelli di colesterolo nel sangue ed a conferire alla castagna un buon potere saziante, che la rende adatta ad essere consumata anche come spuntino.

                              Il potassio presente è utile a mantenere sotto controllo la pressione arteriosa, contrastando l’azione ipertensiva del sodio.

                              L’acido oleico è un acido grasso monoinsaturo (C 18:1) in grado di abbassare i livelli del complesso lipoproteico che trasporta il colesterolo dal sangue alle cellule, detto comunemente colesterolo cattivo (LDL).

                               

                              Al contrario, rispetto ad altra frutta a guscio, questi frutti sono meno ricchi in ossalato, molecola che può favorire la formazione di calcoli renali.

                               

                              La farina di castagne, inoltre, è priva di glutine, quindi i dolci o le preparazioni che la contengono possono essere consumati anche da persone celiache.

                               

                              La porzione consigliata è di 30 grammi, che corrisponde a circa 5-6 castagne.

                               

                              Produzione e Tecnologia della castagna

                              Caratteri botanici del castagno

                              Il castagno europeo (Castanea vulgaris o sativa) è una pianta longeva, alta fino a 25 metri, con chioma espansa e molto ramificata. Le foglie sono caduche di forma ellittico-allungata a margine seghettato, quasi coriacee, di colore verde intenso e lucide, più chiare nella parte inferiore.

                               

                              Le infiorescenze maschili sono rappresentate da spighe lunghe 10-20 cm di color giallo-verdastro; quelle femminili sono costituite da fiori singoli o riuniti a gruppi di 2-3 posti alla base delle infiorescenze maschili.

                               

                              La fioritura avviene in piena estate e il frutto è rappresentato da una noce detta castagna, interamente rivestita da una cupola spinosa, detta riccio.

                               

                              Coltivazione delle castagne

                              Il castagno richiede terreni profondi, leggeri, permeabili, ricchi di elementi nutritivi, con pH tendenzialmente acido, con poco o privi di calcare.

                              È una pianta eliofila, ama i climi temperati, pur sopportando freddi invernali anche molto intensi.

                               

                              La tecnica colturale più adatta è il vaso piuttosto libero, molto vicino alla forma naturale, ottenuto con un’impalcatura piuttosto alta (120-150 cm) e successivamente una ridottissima potatura, per evitare i rischi di infezione che ogni taglio comporta.

                              In queste forme a vaso alla fine del 4° anno le piante sono in genere ben formate per cui, negli anni successivi, la potatura si potrà limitare a sfoltimenti per permettere la penetrazione della luce, l’eliminazione dei rami secchi, rotti e deperiti, e a tagli di rinvigorimento a seconda dello sviluppo raggiunto dalla pianta.

                               

                              Produzione delle castagne

                              La raccolta avviene in modo scalare, come la maturazione, mediante la raccattatura o una leggera bacchiatura.

                              La produzione può variare dai 10 q.li/ha nei castagneti delle zone marginali ai 40-50 q.li/ha in quelli intensivi.

                               

                              Una volta raccolto il prodotto dovrà subire diversi trattamenti di conservazione.

                              La conservazione può essere effettuata mediante cure in acqua fredda («cura a freddo») in appositi contenitori situati in idonei ambienti per alcuni giorni senza aggiunta di alcun additivo, o mediante sterilizzazione con bagno in acqua calda e successivo bagno in acqua fredda («cura a caldo»), sempre senza aggiunta di nessun additivo.

                               

                              Nella “cura a freddo” le castagne curate, ancora umide, vengono ammucchiate e dopo un breve periodo vengono distese al suolo e selezionate per eliminare i frutti ammuffiti. Quindi vengono stese per l’asciugatura in strati non superiore a 20 cm di spessore. Questa tecnica permette, in condizioni idonee, una buona conservazione dei frutti per almeno tre-quattro mesi.

                               

                              Nella “cura a caldo” il prodotto viene scaricato in una tramoggia e caricato, attraverso un nastro elevatore, in una vasca.
                              All’interno della vasca i frutti, in continuo movimento, vengono a contatto con acqua calda (temperatura controllata 47°-55°C) per un tempo di 35-40 minuti; dopo il lavaggio le castagne cadono in una vasca di raffreddamento in cui stazionano per circa 15-30 minuti, subendo contemporaneamente un’azione di schiumatura automatica per eliminare i frutti difettosi che vengono a galla e sono separati da un’apposita attrezzatura.

                              Un nastro trasportatore raccoglie le castagne rimaste e le convoglia immediatamente alla fase di sgocciolatura ed asciugatura per ventilazione forzata. Successivamente si ha la fase di spazzolatura, cernita, calibratura e confezionamento.

                               

                              Le castagne possono essere destinate alla trasformazione industriale (marrons glaces, marmellate di castagne, farine e frutti secchi) o al consumo fresco.

                               

                              Stagionalità della castagna

                              In Italia le castagne si trovano in commercio da ottobre a dicembre.

                               

                              Preparazione e Conservazione della castagna

                              Le castagne appena acquistate, e ancor più quelle appena raccolte, richiedono una piccola selezione all’ingresso, per scartare i frutti che già a prima vista risultano essere poco freschi o non integri.

                              Il passo successivo è immergere le castagne in acqua e lasciarle in ammollo dai 4 ai 9 giorni, cambiando l’acqua quotidianamente ed eliminando quelle che galleggiano, indizio di aria al loro interno.

                               

                              Questa operazione preliminare è utile quando si intende conservare le castagne crude, per evitare sorprese a distanza di mesi e limitare gli scarti al momento del consumo. Le castagne che superano la prova dell’ammollo vengono asciugate con cura e poi si può scegliere se conservarle in frigorifero oppure in freezer.

                               

                              Sia le castagne lessate che le castagne arrosto possono essere conservate in freezer, già sbucciate, per circa 6 mesi.

                               

                              Metodi di cottura

                              Per lessare le castagne, dopo avere sciacquate, immergerle in una pentola piena d’acqua, accendere il fuoco e portare a ebollizione. Per i tempi di cottura è necessario regolarsi in base alle dimensioni dei frutti. In media serviranno circa 40-50 minuti di bollore. I marroni, di dimensioni maggiori, potrebbero richiedere più tempo.

                               

                              Mentre per arrostirle, oltre che con l’apposita padella forata per caldarroste, le castagne possono essere cotte in forno. In entrambi i casi è necessario prima inciderle una ad una con un taglio orizzontale sulla buccia.

                               

                              Un’altra soluzione per conservarle è utilizzare un essiccatore per frutta e verdura. Le castagne disidratate si conservano fino a 12 mesi in un luogo fresco e asciutto all’interno di contenitori con tappo ermetico.

                               

                              Come avviene per tutti gli alimenti fonte di amido, i metodi di cottura e lavorazione ne modificano la struttura chimica, e questo ha un effetto differente sui livelli di glucosio nel sangue.

                              Le castagne bollite, quindi, hanno un impatto maggiore sui livelli di glicemia dopo il consumo, seguite da quelle arrostite e, per ultime, dalle castagne secche, alimento tipico della tradizione orientale ma diffuso ampiamente anche in Italia.

                               

                              I dolci o le preparazioni contenenti la farina di castagne possono essere consumati anche da persone celiache.

                               

                              Le proposte di ricette di FBO con le castagne

                                • Kan L et al. (2016) “Effect of thermal processing on the psycochemical properties of chestnut starch and chemical profile of chestnut kernel”, Carbohydr Polym;151:614-623.
                                • www.agraria.org
                                • www.bda-ieo.it
                                • www.humanitas.it

                                Aragosta

                                 

                                aragosta

                                Famiglia: Palinuridae

                                Genere: Palinurus

                                Specie: Palinurus elephas

                                 

                                Storia dell’aragosta

                                L’aragosta del Mediterraneo (Palinurus elephas), è un crostaceo diffuso sui fondali del Mar Mediterraneo, soprattutto nei mari della Sardegna, e dell’Oceano Atlantico Orientale, vivendo sui fondali rocciosi.

                                 

                                Viene pescato soprattutto in Canada, paese che attualmente gestisce più della metà della fornitura mondiale di aragoste.

                                 

                                È probabilmente uno dei crostacei più pregiati e maggiormente apprezzati tra quelli presenti sul mercato.

                                 

                                Differenza tra aragosta e astice

                                L’aragosta spesso viene confusa con l’astice, anch’essa crostaceo ma appartenente ad una famiglia diversa, da cui differisce per caratteristiche fisiche e sensoriali.

                                 

                                La principale differenza tra astice e aragosta è fisica ed immediatamente individuabile: l’astice ha delle chele ben visibili che sono inesistenti nell’aragosta, che presenta invece dei peduncoli come se fossero delle lunghe antenne.

                                 

                                Le altre differenze riguardano sapore e consistenza: il gusto dell’aragosta è più tenue, quello dell’astice è più deciso; la polpa dell’aragosta è più delicata mentre quella dell’astice è più soda ed elastica.

                                 

                                Proprietà nutrizionali delle aragoste

                                tabella con i valori nutrizionali dell'aragosta

                                Valori nutrizionali dell’aragosta

                                L’aragosta appartiene alla famiglia dei crostacei.

                                È fonte di omega 3 (acidi grassi insaturi) e contiene anche la vitamina B12. Tra i minerali ricordiamo il selenio, il rame e il ferro.

                                 

                                Benefici dell’aragosta

                                Gli omega 3 non sono solo acidi grassi amici della salute cardiovascolare, sono infatti stati associati anche a benefici a livello psicologico.

                                Uno studio indiano molto recente riferisce che gli acidi grassi possono apportare miglioramenti nei pazienti con stati depressivi lievi.

                                I ricercatori israeliani hanno condotto uno studio sugli omega 3 e il trattamento della depressione, sia nei bambini che negli adulti. I risultati hanno riferito che gli acidi grassi omega 3 hanno proprietà efficaci per il trattamento della depressione senza avere effetti collaterali.

                                 

                                Anche il selenio è importante per il buon funzionamento dell’organismo, in particolare per quello della tiroide. Rame e ferro aiutano invece a ridurre il rischio di anemia.

                                 

                                Inoltre la presenza di vitamina B12 è essenziale per la sintesi del DNA e per la produzione di energia a livello cellulare.

                                 

                                La porzione consigliata, così come per tutto il pesce fresco o surgelato, è di 150 grammi.

                                 

                                Interazioni dell’aragosta

                                Se si è in terapia con anticoagulanti come il warfarin bisognerebbe evitare di consumare aragoste per la presenza di glucosamina (principale amminomonosaccaride coinvolto nella biosintesi di lipidi, proteine e cartilagine) nel carapace, ovvero in una porzione dell’esoscheletro, che potrebbe causare un incremento del rischio di sanguinamento.

                                Questa molecola potrebbe interagire anche con l’azione di alcuni farmaci antitumorali, antidiabetici e con il paracetamolo.

                                 

                                Le aragoste, come tutti i crostacei, possono essere responsabili di reazioni allergiche.

                                Si consiglia inoltre di non consumarle troppo spesso in quanto potrebbero contenere mercurio, un metallo pesante dannoso per la salute.

                                 

                                Produzione e Tecnologia delle aragoste

                                Caratteristiche del crostaceo

                                L’aragosta ha un corpo di forma cilindrica completamente rivestito da una spessa corazza che sull’addome si divide in sei segmenti collegati da una robusta guaina cartilaginea e che, durante le varie fasi della crescita, si rinnova più volte.

                                 

                                Sulla parte frontale presenta due antenne molto lunghe e rivolte all’indietro, che fungono da sensori e da organi difensivi, mentre gli occhi sono posti alla sommità di peduncoli mobili. L’apparato boccale è tipicamente masticatore e consta di un paio di mandibole e di due paia di mascelle.

                                 

                                L’aragosta è completamente priva di chele ma ha molte zampe, di cui solo alcune con funzione deambulatoria.

                                Il dorso, detto cefalotorace, e la base delle antenne sono disseminate di spine dalla forma conica. La coda si apre a ventaglio per permettere il movimento, che avviene a ritroso, come per i gamberi.

                                 

                                Il carapace presenta un colore rosso-bruno quasi viola, con frequenti macchie bianche e gialle, quando si trova nel suo habitat ed è viva, invece diventa di colore rosso soltanto quando è cotta.

                                L’aragosta vive molto a lungo, anche oltre i cinquant’anni di età e le sue dimensioni oscillano fra i venti ed i cinquanta cm di lunghezza, con un peso che può raggiungere gli otto chilogrammi.

                                 

                                Si nutre prevalentemente di plancton, anellidi, spugne, piccoli crostacei, echinodermi e lamellibranchi, specialmente ricci e molluschi con la conchiglia bivale, come le ostriche e le cozze.

                                 

                                Habitat, riproduzione e sviluppo delle aragoste

                                Questo crostaceo vive abitualmente in gruppo su fondali rocciosi o ghiaiosi, ricchi di anfratti, a profondità comprese tra quindici ai centocinquanta metri di profondità. Sui fondali avviene anche la riproduzione, che avviene nel periodo immediatamente successivo all’estate.

                                 

                                In primavera le femmine emettono numerosissime uova di colore rosa, che si trovano ben protette sotto l’addome fino al momento della schiusa, all’inizio dell’inverno.

                                La larva dell’aragosta si chiama fillosoma, presenta un corpo depresso, trasparente, occhi peduncolari e arti lunghi e sottili e, prima di raggiungere la maturità, deve passare attraverso vari stadi.

                                 

                                La sopravvivenza di una piccola aragosta è molto problematica: è una facile preda dei pesci pelagici prima e di quelli di fondo poi, approfittando del fatto che il fillosoma è praticamente indifeso e in balia delle correnti.

                                 

                                Durante la sua vita l’aragosta, come tutti i crostacei, fa la muta.

                                Il continuo ricambio della corazza le permette di aumentare il peso da quando nasce a quando muore, anche se la corazza nuova, ha bisogno di qualche giorno per indurirsi, esponendo così l’animale agli attacchi dei predatori.

                                Un grande predatore dell’aragosta è il polpo, che la sorprende mimetizzandosi sul fondo e la immobilizza con i tentacoli.

                                 

                                Tecnica di pesca per le aragoste

                                La tecnica di pesca maggiormente utilizzata è costituita dal tradizionale sistema delle trappole attaccate alle corde, un metodo antico e laborioso, che ha il vantaggio di essere eco-compatibile in quanto non danneggia i fondali marini.

                                 

                                Esiste però il divieto di pesca dell’aragosta mediterranea nel periodo compreso tra il 1 gennaio e il 30 aprile.

                                 

                                Stagionalità delle aragoste

                                La disponibilità sul mercato dell’aragosta durante tutto l’anno è resa possibile grazie al suo allevamento.

                                 

                                Preparazione e Conservazione delle aragoste

                                L’aragosta si può comprare viva, come si usa nei ristoranti, in modo da essere sicuri della sua freschezza, oppure surgelata.

                                È bene acquistare aragoste fresche solo se sono state conservate a una temperatura non superiore ai 4 gradi e non esporle a lungo a temperature più elevate, in modo tale da ridurre il rischio di patologie di origine alimentare.

                                 

                                Prima di procedere con la cottura dovrete pulire l’aragosta. Per farlo, dovrete spazzolarne bene la corazza sotto l’acqua corrente, lavarla bene e infine eliminare il budellino nero che attraversa la coda (proprio come si fa per scampi e gamberi).

                                 

                                Metodi di cottura per le aragoste

                                Il metodo principale per la cottura è purtroppo quello di cuocerle vive in acqua bollente.

                                Questo viene consentito perché studi precedenti sostenevano che le aragoste non hanno un sistema nervoso in grado di recepire il dolore.

                                Un recente studio svizzero però, sembra smentire tale notizia. Secondo i ricercatori infatti, i movimenti del crostaceo sono da considerarsi veri e propri segnali di sofferenza. Per questo motivo, in Svizzera, dal 2018, è proibito cuocerle vive.

                                 

                                Se avete optato per un esemplare vivo, legatelo a una tavoletta di legno dopo averne disteso la coda, in modo che non si arricci, e dopo averla tuffata nell’acqua bollente chiudete subito il coperchio, in modo da evitare che si slanci fuori.

                                 

                                In alternativa, l’aragosta può anche essere cotta sulla griglia: in questo caso va divisa a metà per il lungo e cotta prima dal lato del dorso.

                                Va cotta per circa 5-10 minuti per lato o finché la carne non diventerà traslucida. Infine, se decidete di farla brasata dovete dividerla in tranci.

                                Barbabietola rossa

                                 

                                barbabietola rossa stagionalità

                                Famiglia: Chenopodiaceae

                                Genere: Beta

                                Specie: Beta vulgaris L. var. cruenta L. Salisb.

                                 

                                Storia della Barbabietola rossa

                                La barbabietola rossa, o bietola da orto, è un ortaggio da radice appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae, da non confondere con la barbabietola bianca (Beta vulgaris L. var. saccharifera L.) utilizzata per la produzione dello zucchero.

                                 

                                È originaria del bacino del Mediterraneo ed è diffusa in tutta Italia, specialmente nelle regioni del Nord.

                                 

                                Varietà di barbabietola

                                Ne esistono diverse varietà e le cultivar vengono classificate in base alla forma della radice ed alla precocità del ciclo colturale (precoci, medio-precoci, medio-tardive).

                                 

                                Sul mercato è presente sia per il consumo fresco che per l’industria in cui viene inscatolata o confezionata in contenitori di plastica sottovuoto.

                                 

                                Proprietà nutrizionali della barbabietola rossa

                                tabella con i valori nutrizionali della barbabietola rossa

                                Valori nutrizionali delle barbabietole rosse

                                Le barbabietole presentano molta acqua, poche calorie ed un buon quantitativo di fibra alimentare, caratteristiche che le rendono depurative e digestive.

                                 

                                Per quanto riguarda i micronutrienti spicca il contenuto in potassio, ferro, manganese e di folati.

                                 

                                Benefici delle barbabietole rosse

                                Grazie all’elevato contenuto di sali minerali, le barbabietole sono considerate rimineralizzanti e ricostituenti.

                                 

                                Infatti, come citato precedentemente, i micronutrienti maggiormente contenuti sono: il manganese; il potassio che regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule ed è fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso.

                                Ricordiamo anche il ferro che viene utilizzato per la costituzione dei globuli rossi.

                                 

                                Le barbabietole inoltre sono ricche di folati che hanno un ruolo fondamentale nella crescita e nella riproduzione delle cellule, in particolare dei globuli rossi, per la formazione del sistema nervoso centrale nell’embrione e nel feto.

                                 

                                A livello di molecole è opportuno citare le betalaine.

                                Diversi studi hanno fatto emergere come queste molecole, assieme ad altri composti fenolici, possano esercitare effetti protettivi nei confronti delle malattie cardiovascolari, riducendo l’effetto ossidativo dei radicali liberi sui lipidi e riducendo la pressione sanguigna.

                                In questo caso uno studio che ha valutato diverse tecniche di preparazione del vegetale conclude che la cottura sembra non ridurre il contenuto di queste sostanze.

                                 

                                Vi consigliamo, per beneficiare di queste vitamine, di consumarle crude, magari tagliate molto sottili, o previa rapida cottura per evitarne la distruzione al calore o la perdita in acqua.

                                 

                                Inoltre alcuni composti chimici presenti nell’ortaggio sembrano essere in grado di rivitalizzare i globuli rossi. Per questo motivo il consumo di barbabietole è raccomandato nei soggetti anemici.

                                 

                                La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a circa una barbabietola.

                                Consumare solo una porzione di questo ortaggio permette di soddisfare un quinto dell’apporto raccomandato di fibra che, per la popolazione adulta, è di 25 grammi.

                                 

                                Interazioni delle barbabietole rosse

                                Il consumo di questo alimento è sconsigliato sia per i soggetti con problemi renali, data la quantità di sali minerali e ossalati che contengono, che per chi soffre di acidità di stomaco, perché stimola la produzione di succhi gastrici.

                                 

                                Produzione e Tecnologia della barbabietola rossa

                                Caratteri botanici delle barbabietole rosse

                                La barbabietola rossa (o bietola da orto) è una pianta erbacea biennale, che diventa annuale in coltura.

                                 

                                Si differenzia dalla bietola da coste per la dimensione della radice, può infatti raggiungere 12 cm di diametro, e per la forma delle foglie poiché provviste di un lungo picciolo.

                                 

                                Il lembo è liscio, spatoliforme, di colore verde o verde sfumato di rosso. La radice è carnosa e può essere globosa, rotonda, appiattita o cilindrica; esternamente è di colore rosso, la polpa invece può variare da rosa a rosso a rosso-violaceo.

                                La radice ingrossata prosegue con una radichetta sottile che non raggiunge grandi profondità.

                                Le caratteristiche biologiche e riproduttive sono simili a quelle della bietola da coste.

                                 

                                Coltivazione delle barbabietole rosse

                                La sua coltivazione richiede zone a clima temperato umido; presenta una buona resistenza al freddo ma a temperature inferiori a 5°C la sua crescita si interrompe.

                                Si adatta a tutti i tipi di terreno, anche se preferisce quelli profondi, freschi, ben drenati e dotati di sostanza organica, con pH neutro o subalcalino; tollera bene elevati gradi di salinità.

                                Anche la siccità e gli stress idrici determinano un arresto della crescita delle radici e il loro indurimento.

                                 

                                È una coltura sarchiata con semina scalare da marzo a ottobre.

                                L’impianto può essere fatto per semina diretta o trapianto delle piantine, anche se quest’ultimo metodo viene utilizzato solo negli orti familiari per il pericolo di ottenere radici deformi o biforcate.

                                 

                                I semi vengono distribuiti a spaglio (se si tratta di singole aiuole) o meccanicamente, in file distanti 30-40 cm a una profondità di 1-2 cm. La densità è di circa 15-20 cm se si vogliono ottenere radici di grosse dimensioni. Ad ettaro si impiegano circa 10 kg di semente.

                                 

                                Produzione delle barbabietole rosse

                                La raccolta si effettua dopo 60-90 giorni dalla semina, nel periodo compreso tra agosto e febbraio, in relazione alla precocità della cultivar e delle condizioni climatiche.

                                La qualità migliore si ottiene con radici che hanno raggiunto un minimo di 5-8 cm di diametro.

                                 

                                Le piante, una volta raccolte, vengono ripulite dalle foglie più vecchie, lavate e riunite in mazzetti da 3-6.

                                La produzione può raggiungere e superare i 400 quintali ad ettaro in buone condizioni colturali e le radici, private delle foglie, possono essere conservate in frigo (a 0°C e 95% di umidità relativa) per circa 2 mesi.

                                 

                                Stagionalità della barbabietola rossa

                                La barbabietola rossa si trova sul mercato da agosto a febbraio.

                                 

                                Preparazione e Conservazione della barbabietola rossa

                                La barbabietola fresca ha ancora foglie e radici e può essere conservata in frigorifero o in un luogo fresco e umido per un massimo di 4 settimane.

                                 

                                Vi consigliamo di scegliere le barbabietole rosse e giovani che siano tenere, ma non morbide. Una volta pulita e sbollentata, la rapa rossa può essere conservata in freezer dai 6 agli 8 mesi.

                                 

                                Dalla spremitura delle barbabietole rosse (in particolare dalla varietà rubra) si ottiene un colorante costituito da differenti pigmenti, tutti appartenenti alla classe delle betalaine, che può essere utilizzato come additivo alimentare e deve essere indicato in etichetta con la sigla E162.

                                 

                                Le proposte di ricette di FBO con la barbabietola rossa

                                  • Direttiva 2008/128/CE della commissione del 22 dicembre 2008 che stabilisce i requisiti di purezza specifici per le sostanze coloranti per uso alimentare.
                                  • Guldiken B et al. (2016) “Home-Processed Red Beetroot (Beta vulgaris L.) Products: Changes in Antioxidant Properties and Bioaccessibility”, International Journal of Molecular Sciences; 17(6): 858.
                                  • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                  • www.agraria.org
                                  • www.bda-ieo.it
                                  • www.humanitas.it

                                   Cetriolo

                                   

                                  tipi di cetriolo

                                  Famiglia: Cucurbitaceae

                                  Genere: Cucumis

                                  Specie: Cucumis sativus L.

                                   

                                  Storia del cetriolo

                                  I cetrioli sono ortaggi appartenenti alla stessa famiglia dei meloni, ovvero quella delle Cucurbitaceae.

                                  Hanno una forma allungata, che può arrivare anche fino a 30 cm, una buccia di colore verde scuro con piccole protuberanze e una polpa acquosa di colore verde chiaro con dei semini bianchi.

                                   

                                  È una specie originaria delle pianure dell’Asia orientale e meridionale e viene coltivata in paesi a clima temperato-caldo.

                                   

                                  In Italia, le regioni interessate dalla coltivazione sono soprattutto Lazio e Veneto ma anche Puglia, Campania, Sicilia e in piccole quantità Emilia-Romagna e Calabria.

                                   

                                  Tipi di cetriolo

                                  Ne esistono diverse varietà.

                                   

                                  Tra i cetrioli a frutto grosso rientrano:

                                   

                                  • il “Cetriolo verde lungo delle Cascine”, cultivar precoce molto produttiva a frutto lunghissimo di ottima qualità,
                                  • il “Cetriolo Lungo della Cina”,
                                  • il “Cetriolo Rollison’s Telegraph”, cultivar molto vigorosa a frutto lunghissimo di colore verde scuro, liscio,
                                  • il “Cetriolo corto bianco” o “Palla di neve”, cultivar precoce a frutto bianco,
                                  • il “Cetriolo Torpedo”, cultivar precoce a frutto corto,
                                  • il “Cetriolo Marketer”, cultivar medio precoce vigorosa e produttiva di origine americana il cui frutto è di 19-20 cm, di colore verde scuro, leggermente papilloso,
                                  • il “Cetriolo Cubit”, cultivar precoce anch’essa di origine americana a frutto medio corto di 22 cm,
                                  • il “Cetriolo Ashley”, che è una delle cultivar precoci più produttive che si presta anche per la coltivazione in serra, vigorosa, resistente all’oidio, con frutti affusolati all’estremità lunghi 20 cm.

                                   

                                  Tra i cetrioli a frutto piccolo da sottaceto rientrano:

                                   

                                  • il “Cetriolino piccolo verde di Parigi”, cultivar da sottaceti rustica e molto produttiva,
                                  • il “Cetriolino bianco da sottaceti”, cultivar a frutto piccolo con polpa soda,
                                  • il “Ceto”, ibrido resistente alla antracnosi e ai virus.

                                   

                                  I cetrioli si consumano allo stato fresco o conservati sott’aceto.

                                   

                                  Proprietà nutrizionali del cetriolo

                                  tabella con i valori nutrizionali del cetriolo fresco e sott'aceto
                                  Tabella con i valori nutrizionali del cetriolo fresco e sott’aceto

                                  Valori nutrizionali del cetriolo

                                  I cetrioli presentano un altissimo contenuto di acqua e un apporto calorico molto basso.

                                  Per assicurare l’apporto di fibra devono essere consumati con la buccia.

                                   

                                  A livello di vitamine, sono prevalentemente presenti la vitamina C ed i folati, e dato che il cetriolo viene consumato principalmente crudo, non vengono assolutamente deteriorate.

                                  Apporta inoltre piccole quantità di sali minerali, tra cui fosforo e potassio.  

                                   

                                  Per quanto riguarda il cetriolo conservato sott’aceto, occorre sempre controllare l’etichetta per evitare di apportare insieme all’ortaggio un quantitativo eccessivo di sale, il cui contenuto è indicato obbligatoriamente in etichetta.

                                   

                                  Benefici del cetriolo

                                  Le fibre presenti nel cetriolo promuovono il buon funzionamento dell’intestino, aiutano a ridurre il rischio di cancro al colon e controllano l’assorbimento di colesterolo e zuccheri, aiutando così a tenere sotto controllo glicemia e colesterolemia.

                                   

                                  Il cetriolo è anche una fonte di nutrienti alleati della salute cardiovascolare, di antiossidanti e di nutrienti importanti per il funzionamento del metabolismo e per la salute delle ossa.

                                  Esercita inoltre un lieve effetto diuretico.

                                   

                                  La porzione consigliata è di 200 grammi, che equivale a 1 cetriolo medio.

                                   

                                  Interazioni del cetriolo

                                  I cetrioli potrebbero interferire con l’azione dei farmaci diuretici e anticoagulanti.

                                   

                                  Produzione e Tecnologia del cetriolo

                                  Caratteri botanici della pianta dei cetrioli

                                  Il cetriolo è una pianta annuale a fusto rampicante. 

                                  Il frutto è cilindrico di colore verde o bianco, giallo a maturità e con una polpa bianca che racchiude i semi costituita da un tessuto vitreo di sapore caratteristico. I frutti si consumano quando sono ancora immaturi, allo stato fresco o conservati sott’aceto.

                                   

                                  Coltivazione dei cetrioli

                                  Per la sua coltivazione il cetriolo richiede terreni molto fertili, freschi e irrigui ed esistono diverse tipologie di coltura.

                                   

                                  1 coltura normale

                                  Nella coltura normale il cetriolo viene seminato all’aperto tra aprile e maggio e la semina solitamente è fatta in buchette (distanti 40-50 cm) lungo i solchetti abbinati mettendo tre-quattro semi per ogni buchetta, distanziati di 2-3 cm.

                                  Quando le giovani piantine sono abbastanza sviluppate, si pratica il diradamento lasciando una sola piantina per posto.

                                  In seguito quando le piantine presentano 5-6 foglie, si cimano sopra la quarta foglia. Si formano anche dei getti che si possono lasciare sviluppare e distendere sul terreno o si lasciano attaccare a sostegni.

                                  Con l’impiego  dei sostegni i frutti sono più diritti e più colorati e l’operazione di cimatura non è più necessaria.

                                  Inoltre, soprattutto per i cetrioli lasciati senza sostegno, durante la prima fase di vegetazione si eseguono accurate sarchiature in modo tale che il terreno, successivamente coperto dalla pianta, rimanga ben pulito.

                                   

                                  Per la coltura dei cetriolini da sottaceto si seguono le stesse tecniche utilizzate nella coltura normale, ma non si cimano e la raccolta si fa molto anticipata cercando di levare frutti che abbiano raggiunto lo stesso volume.

                                  Si consiglia anche di seminarli a file semplici.

                                   

                                  2 coltura forzata o extrastagionale

                                  La coltura forzata o extrastagionale del cetriolo può essere più o meno “anticipata” in quanto la coltivazione invernale non in tutti i paesi è conveniente, soprattutto per il fatto che il prodotto trova molta difficoltà di collocamento sul mercato.

                                   

                                  3 coltura molto anticipata

                                  La coltura molto anticipata si svolge in serra fissa e in tunnel che vengono riscaldati con sistema ad acqua calda e aria calda.

                                  Nella seconda quindicina di dicembre viene effettuata la semina usando cassette di legno, ben fognate, ripiene di un miscuglio di sabbia e terriccio, tutto accuratamente sterilizzato, e messe in serra calda alla temperatura di 16-17/22-24 °C.

                                  La semina può essere fatta anche direttamente in vasetti o cubetti o in massetti di miscuglio letame-terra mettendo i semi sufficientemente profondi.

                                  Alla fine di gennaio, primi di febbraio, si esegue la piantagione in serra e le piantine si mettono in file alla distanza di 80 x 50 cm, su prodine rialzate almeno di 10-15 cm. Il terreno viene preparato con una vangatura o un’aratura profonda.

                                   

                                  4 coltura anticipata all’aperto

                                  Per la coltura anticipata in pieno campo (o all’aperto) la semina del cetriolo si esegue ai primi di marzo, in cassone su letto caldo, generalmente in fertil-pot o paper-pot.

                                  Se la semina non è fatta in vasetti, dopo un paio di settimane si fa il trapianto in altro cassone con letto semicaldo, senza dare aria finché le piantine non hanno ripreso bene.

                                  Appena passato il periodo delle gelate, si fa il trapianto all’aperto in buchette scavate alla profondità di 30-40 cm dove è stato messo del letame in fermentazione coperto da uno strato di buon terriccio mescolato a terra vergine. Su queste piantine si possono sovrapporre delle campane di vetro o di plastica o speciali chassis vetrati o tunnel in plastica.

                                   

                                  Produzione dei cetrioli

                                  Generalmente la raccolta dei cetrioli inizia verso metà-fine di marzo e i primi di aprile e si protrae fino alla fine di giugno, periodo in cui le caratteristiche costruttive delle serre in cui sono coltivati bloccano l’ulteriore sviluppo e produzione delle piante per gli eccessi della temperatura interna.

                                  Si ottengono in media 15 frutti vendibili a pianta.

                                   

                                  Per quanto riguarda il cetriolo conservato sott’aceto, si tratta di una tecnica che prevede la fermentazione del vegetale in aggiunta di sale e, a volte, di zucchero. Questo prodotto ha una durata maggiore rispetto al cetriolo fresco per via del contenuto di sale presente nel liquido di governo.

                                   

                                  Stagionalità del cetriolo

                                  In Italia i cetrioli si possono trovare in commercio da giugno a settembre.

                                   

                                  Preparazione e Conservazione del cetriolo

                                  Al momento dell’acquisto i cetrioli devono rispecchiare i seguenti parametri: la buccia deve essere verde senza nessuna striatura gialla e il cetriolo dovrà essere consistente e sodo.

                                  Inoltre conviene optare per quelli non troppo grossi in quanto saranno meno amari.

                                  Infatti a volte il cetriolo può avere un sapore amaro e questo si verifica quando si ha un accumulo di tossine, in particolare le cucurbitacine, che possono causare nausea, vomito o diarrea.

                                   

                                  Vi consigliamo di utilizzarli nel periodo estivo per arricchire le insalate.

                                   

                                  I cetrioli si conservano in frigorifero e durano circa 4/5 giorni dopo l’acquisto.

                                  Sarebbe meglio non congelarli per non perdere proprietà e soprattutto consistenza.

                                   

                                  Un consiglio per i cetrioli conservati sott’aceto è quello di sciacquare bene il prodotto prima del consumo per eliminare l’eccesso di sale o di optare per quelli con il minore contenuto di sale.

                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                    • Wilson EM, Johanningsmeier SD and Osborne JA (2015) “Consumer Acceptability of Cucumber Pickles Produced by Fermentation in Calcium Chloride Brine for Reduced Environmental Impact.”, Journal of food science;80(6):S1360-7.
                                    • www.agraria.org
                                    • www.bda-ieo.it
                                    • www.humanitas.it

                                    Ciliegie

                                     

                                    tipi di ciliegie

                                    Famiglia: Rosaceae

                                    Genere: Prunus

                                    Specie: Prunus avium

                                     

                                    Storia del ciliegio

                                    Le ciliegie sono il frutto del ciliegio dolce (Prunus avium L.), un albero originario dell’Est Europa e dell’Asia minore, molto diffuso in Italia e dal portamento assurgente.

                                     

                                    Esiste anche il ciliegio acido (Prunus cerasus L.), che è un albero con un elevato bisogno di freddo, diffuso nel Nord Italia e nell’Europa centro settentrionale, dal portamento più cespuglioso e pollonifero.

                                    I suoi frutti sono amarene, marasche e visciole, che sono drupe simili a quelle del ciliegio dolce ma dal sapore più acidulo, talvolta quasi amaro.

                                     

                                    Altra specie è il magaleppo o ciliegio di S. Lucia (Prunus mahaleb), la cui origine è collocata tra il Mar Nero e il Mar Caspio.

                                    È caratterizzato da frutti piccoli, non eduli, gialli o rossi, talvolta molto scuri.

                                    La varietà dolce è prodotta in Europa e USA, mentre la varietà acida è prodotta principalmente negli Stati Uniti. In Italia si trova soprattutto in Campania, Puglia, Veneto, Emilia-Romagna.

                                     

                                    Tipi di ciliegie

                                    Le cultivar di ciliegio si dividono in:

                                     

                                    • duracine, che produce duroni con polpa soda, in genere più facili da snocciolare e adatti al congelamento,
                                    • tenerine, dalla polpa tenera

                                     

                                    A seconda della varietà e della cultivar, la polpa della ciliegia coltivata può essere chiara o scura e la colorazione può variare dal giallo chiaro screziato di rosso (ad esempio Graffione bianco del Piemonte) al rosso scuro quasi nero (ad esempio durone nero di Vignola).

                                     

                                    La ciliegia dolce viene utilizzata sia per il consumo fresco sia per la trasformazione industriale mentre amarene, marasche e visciole sono utilizzate soprattutto per la trasformazione industriale.

                                     

                                    Esistono anche dei Riconoscimenti DOP e IGP.

                                     

                                    I Riconoscimenti DOP e IGP della ciliegia

                                     

                                    • La “Ciliegia di Marostica IGP” (Riconoscimento ottenuto nel 2012) presenta forma cuoriforme, peduncolo e ha un calibro compreso tra i 21 e i 30 mm.
                                      La buccia e la polpa sono mediamente sode, di colore variabile dal rosa al rosso scuro. È succosa, dal gusto pieno, dolce e molto gradevole.
                                      Viene prodotta nella Provincia di Vicenza nei comuni di Salcedo, Fara Vicentino, Breganze, Mason, Molvena; Pianezze, Marostica, Bassano, limitatamente al territorio che si estende alla destra orografica del fiume Brenta ed infine in parte del territorio del comune di Schiavon.

                                     

                                    • La “Ciliegia di Vignola IGP” ha una polpa consistente e croccante (ad esclusione della Mora di Vignola). La buccia è lucente di colore giallo e rosso brillante per la varietà Durone della Marca; dal rosso brillante al rosso scuro per tutte le altre varietà. Il sapore è dolce e fruttato.
                                      La zona di produzione è nella fascia formata dal tratto pedemontano del fiume Panaro e altri corsi d’acqua minori, dai 30 metri s.l.m. fino alla quota di 950 metri e comprende il territorio di diversi Comuni delle Province di Modena e Bologna.

                                     

                                    • La “Ciliegia dell’Etna DOP” (Riconoscimento ottenuto nel 2011) ha una pezzatura medio-grossa, croccante all’esterno, con una polpa compatta e un peduncolo lungo.
                                      Il colore rosso brillante è dovuto al luogo in cui viene coltivata, infatti il suolo di origine vulcanica e le notevoli escursioni termiche ne determinano la colorazione tipica.
                                      Il frutto possiede un buon tenore zuccherino e la presenza di una bassa acidità, caratteristica distintiva rispetto alle altre varietà, permette di conferire un sapore gradevole ed equilibrato senza percepire la sensazione stucchevole tipica dei prodotti ad elevata concentrazione zuccherina.
                                      Un’ altra particolarità riguarda i tempi di maturazione, ovvero più ampi rispetto ad altre ciliegie perché proporzionati al progressivo innalzamento rispetto al livello del mare (fino ad altitudini di 1 600 metri) dei terreni di coltivazione della zona del vulcano Etna.
                                      La zona di produzione si estende dal mare Ionio fino ad altitudini di 1 600 metri s.l.m. sui versanti Est e Sud-Est dell’Etna e comprende diversi comuni in provincia di Catania.

                                     

                                    Proprietà nutrizionali delle ciliegie

                                    tabella con i valori nutrizionali delle ciliegie

                                    Valori nutrizionali delle ciliegie

                                    Le ciliegie apportano acqua, zuccheri e fibra alimentare, mentre sono povere di proteine e grassi.

                                     

                                    Per quanto riguarda i micronutrienti, tra i minerali spiccano potassio, fosforo e magnesio, mentre tra le vitamine, la vitamina C.

                                    Buona è anche la percentuale di melatonina, un ormone prodotto principalmente dall’ipofisi o dalla ghiandola pineale che regola il ciclo “sonno-veglia”.

                                     

                                    Le ciliegie sono un concentrato di antocianine, responsabili anche della loro colorazione. Numerosi studi hanno approfondito il ruolo di questi composti per la salute e i risultati sembrano dire che una dieta ricca di antocianine sia utile in particolar modo per la prevenzione cardiovascolare.

                                     

                                    Non solo le antocianine, ma anche altri composti fenolici, principalmente derivati dagli acidi idrossicinnamici, sembrano mostrare un ruolo anti-proliferativo nei confronti di cellule tumorali. Tali risultati derivano da studi di laboratorio, servono conferme, intanto si possono aggiungere alla lista di buoni motivi per incoraggiare il consumo di ciliegie.

                                     

                                    Benefici delle ciliegie

                                    La fibra presente è della tipologia solubile, per questo le ciliegie sono un ottimo alimento utile per promuovere la salute dell’intestino, in quanto i microrganismi presenti in quest’ultimo sono in grado di nutrirsene, producendo composti con attività antiinfiammatorie ed antitumorali.

                                     

                                    La vitamina C, o acido ascorbico, contribuisce a rafforzare il sistema immunitario, è uno dei più importanti antiossidanti, favorisce l’assorbimento intestinale del ferro e del cromo, favorisce la cicatrizzazione delle ferite e protegge i capillari.

                                     

                                    La melatonina invece, oltrepassando la barriera ematoencefalica, sembra poter esercitare un effetto lenitivo sul sistema nervoso e aiutare a combattere problemi come il mal di testa e l’insonnia.

                                     

                                    Infine le antocianine, molecole appartenenti alla famiglia dei flavonoidi, in grado di svolgere ruoli protettivi per la salute: sono in grado di abbassare la pressione, aumentare l’elasticità dei vasi sanguigni e diminuire gli stati infiammatori.

                                     

                                    La porzione consigliata è di 150 grammi, che corrisponde a circa 20 ciliegie.

                                     

                                    Produzione e Tecnologia delle ciliegie

                                    Caratteri botanici del ciliegio

                                    Il ciliegio dolce (Prunus avium L.) è un albero che raggiunge più di dieci metri di altezza, originario dell’Asia minore e molto diffuso in Italia.

                                    Presenta rami a legno e rami a frutto.

                                    Il frutto è la ciliegia che dal punto di vista botanico è una drupa con polpa tenera e dolce.

                                     

                                    Coltivazione del ciliegio

                                    Per quanto riguarda la coltivazione ha un elevato fabbisogno in caso di freddo ed è molto sensibile ai ristagni idrici. La pioggia porta a spaccature del frutto oltre ad essere vettore di Monilia; inoltre una siccità prolungata danneggia la formazione dei fiori. È in aumento la fertirrigazione.

                                     

                                    La potatura mira a contenere lo sviluppo vegetativo rivolto verso l’alto, a rinnovare le formazioni fruttifere che hanno già prodotto e a portare luce nella chioma.

                                     

                                    La propagazione avviene principalmente per talea mentre da seme e propaggine si ottengono portinnesti.

                                     

                                    Produzione delle ciliegie

                                    A seconda del tipo di raccolta si utilizzano tipologie di coltivazione differenti.

                                     

                                    Con la raccolta meccanica si utilizzano vaso o monocono;

                                    con la raccolta manuale vi sono forme a parete come la palmetta con densità bassa, oppure bandiera, ventaglio semplificato,

                                    mentre per le forme in parete c’è il vaso a tre branche.

                                    Oggi si tende a creare impianti ad alta densità, tra 800-1.000 piante/ha utilizzando ad esempio un vasetto basso.

                                     

                                    La raccolta delle ciliegie avviene tra maggio e luglio in base al colore della buccia e del residuo secco rifrattometrico.

                                    Queste devono essere raccolte a maturazione completa in quanto una volta staccate dall’albero la maturazione si ferma.

                                    Il rendimento è maggiore effettuando la raccolta meccanica a discapito della qualità; solitamente si ottengono rese di 10 t/ha.

                                     

                                    Una volta raccolte le ciliegie devono essere sottoposte a cernita per eliminare i frutti di scarto e con pezzatura insufficiente.

                                     

                                    Fino al momento della consegna per la commercializzazione i frutti devono essere mantenuti in luoghi freschi e ombreggiati per evitare perdite di qualità e conservabilità.

                                     

                                    Per l’immissione al commercio le ciliegie devono essere confezionate in apposito contenitore di legno, plastica, cartone o altro materiale idoneo al massimo di 10 kg di prodotto.

                                     

                                    Il periodo di conservazione è limitato nel tempo e, nel caso in cui non vengano commercializzate entro 48 ore dalla raccolta, i frutti devono essere sottoposti a raffreddamento anche con la tecnica dell’idrocooling.

                                     

                                    Stagionalità delle ciliegie

                                    Le ciliegie si trovano in commercio da maggio a luglio.

                                     

                                    Preparazione e Conservazione delle ciliegie

                                    Quando scegliete le ciliegie fate attenzione ai dettagli seguendo alcuni criteri: evitate i frutti che presentano ammaccature, buchi, tagli provocati da intemperie o parassiti.

                                    La cosa migliore, per essere sicuri che le ciliegie siano davvero buone, è quella di assaggiarle: evitate quelle troppo acerbe che quindi sapranno di poco o le ciliegie sovra mature che avranno un sapore eccessivamente dolce e un leggero gusto fermentato.

                                     

                                    Una volta acquistate, le ciliegie vanno conservate in frigorifero, meglio se all’interno di un sacchetto di carta o in un cestino così che l’aria abbia modo di circolare e si eviti la formazione di muffe.

                                    Lavatele solo poco prima di gustarle e cercate di consumarle entro 3 o 4 giorni dall’acquisto.

                                      • Ballistreri G. et al. (2013) “Fruit quality and bioactive compounds relevant to human health of sweet cherry (Prunus avium L.) cultivars grown in Italy”, Food Chemistry; 140(4):630-8.
                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                      • McCune LM et al. (2011) “Cherries and Health: A Review.”, Critical Reviews in Food Science and Nutrition;51(1):1-12.
                                      • www.agraria.org
                                      • www.bda-ieo.it
                                      • www.humanitas.it
                                      • www.internosblog.it

                                      Seppia

                                       

                                      seppia

                                      Famiglia: Sepiidae

                                      Genere: Sepia

                                      Specie: Sepia officinalis

                                       

                                      Cos’è la seppia

                                      La seppia è un mollusco marino cefalopode appartenente alla famiglia delle Sepiidae, che a sua volta comprende i tre Generi Metasepia, Sepia e Sepiella.

                                       

                                      Le seppie sono presenti praticamente in tutti i mari in diverse specie e nel Mediterraneo e nell’oceano Atlantico è molto frequente la varietà Sepia officinalis.

                                      Le sue carni sono gustose al palato, pregiate dal punto di vista nutrizionale e si prestano a diverse preparazioni; è reperibile più facilmente in primavera ed in autunno.

                                       

                                      In commercio si trova fresca o congelata.

                                       

                                      Proprietà nutrizionali della seppia fresca e congelata

                                      tabella con i valori nutrizionali della seppia fresca e della seppia congelata
                                      Tabella con i valori nutrizionali della seppia fresca e della seppia congelata.

                                      Valori nutrizionali della seppia 

                                      Le seppie sono molluschi poveri di colesterolo e ricche di proteine ad alto valore biologico.

                                      Non mancano nemmeno le vitamine, presenti soprattutto la vitamina A, D, B1 e B12, mentre tra i minerali spiccano selenio, fosforo, potassio, ferro, rame e zinco.

                                       

                                      Inoltre grazie al suo basso potere calorico, è utilizzata in numerose diete.

                                       

                                      Benefici delle seppie

                                      La seppia contiene proteine ad alto valore biologico; queste proteine apportano tutti gli amminoacidi essenziali da assumere tramite l’alimentazione di cui ha bisogno l’organismo.

                                       

                                      Grazie alla presenza della vitamina D, del calcio e del fosforo, le seppie sono molto utili per la salute delle ossa e dei denti. Nondimeno, supportano anche la memoria e la concentrazione, grazie ad un’azione anti-stress rafforzata dalle vitamine B1 e B12.

                                      Per quanto riguarda la vitamina A, questa ha effetti benefici sulla vista, mentre il buon contenuto di potassio fa di questo mollusco un buon alleato del sistema cardiovascolare.

                                       

                                      La porzione di consumo giornaliera consigliata è 150 grammi, che equivale a circa una seppia di medie dimensioni.

                                       

                                      Tra i valori nutrizionali ricordiamo che una porzione di seppia contiene 6,3 mg di Zinco, ricoprendo così 2/3 della dose giornaliera raccomandata di questo minerale per le donne (RDA 9 mg) e la metà per gli uomini (RDA 12 mg), facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                       

                                      Interazioni della seppia

                                      I soggetti con problemi di gotta o iperuricemia devono prestare attenzione al consumo di questo alimento.

                                       

                                      Produzione e Tecnologia della seppia

                                      Caratteristiche della seppia

                                      La seppia è un mollusco cefalopode che presenta un corpo a forma di sacco: allungato, appiattito, largo e munito di due pinne laterali. Possiede 10 tentacoli, 8 dei quali corti e forniti di 5 o 6 file di ventose.

                                       

                                      Nel mantello è presente una conchiglia dorsale che costituisce lo scheletro, chiamata comunemente “osso di seppia” o seppione, che inizialmente è sottile e si ispessisce con il tempo.

                                      La seppia inoltre possiede il cosiddetto inchiostro, un liquido di colore nero che viene utilizzato a scopo difensivo “offuscando” l’acqua.

                                       

                                      La sua colorazione varia tra diverse tonalità permettendole di mimetizzarsi perfettamente con l’ambiente circostante; esistono seppie bianche striate di nero (nel periodo riproduttivo) o nere e i maschi si differenziano dalle femmine per una linea bianca lungo tutta la pinna.

                                       

                                      La crescita è relativamente rapida, infatti ad un anno la seppia misura circa 120 – 140 mm, a tre anni maschi e femmine misurano rispettivamente 300 e 250 mm. La maturità sessuale è raggiunta attorno agli 80 mm di lunghezza e la vita media di una seppia è di 3 – 4 anni.

                                       

                                      Habitat della seppia

                                      La seppia vive su fondali non molto profondi (fino a 100 metri) prediligendo quelli sabbiosi o melmosi o ricchi di posidonia. Solitamente vive piuttosto lontana dalle coste ma durante la stagione riproduttiva si avvicina alla costa per deporre le uova; queste sono nere, molto simili ad acini d’uva e per questo vengono chiamate uva di mare.

                                       

                                      Tecniche di pesca della seppia

                                      Viene pescata nel Mediterraneo e nell’Atlantico orientale utilizzando reti a strascico e attrezzi da posta. Dei metodi quello a strascico è il più traumatico, invece quello delle “sfogliare” ha un impatto inferiore in quanto non tocca quasi per nulla le seppie adagiate sul fondo.

                                       

                                      La pesca delle seppie si pratica durante tutto l’anno, anche se i periodi migliori sono tra settembre e aprile.

                                       

                                      Stagionalità delle seppie

                                      Il periodo ottimale per trovare sul mercato seppie fresche è tra settembre e aprile.

                                       

                                      Preparazione e Conservazione delle seppie

                                      In primo luogo è sicuramente sconsigliata la frittura.

                                       

                                      La seppia fresca, poi, va pulita con attenzione, riponendola in congelatore prima dell’uso per rendere la carne più compatta e l’inchiostro semisodo. In questo modo sarà più semplice rimuoverlo, insieme alla vescica, ai visceri ed all’osso. Durante la fase di pulizia, è importante prestare attenzione ad eliminare anche la testa, gli occhi e il becco.

                                       

                                      Per riconoscere una buona seppia inoltre bisogna controllare che abbia un bel colore iridescente, senza macchie sul corpo e con occhi di un nero lucente.

                                      In alternativa al mollusco fresco, possiamo scegliere di preparare quello congelato: un po’ meno saporito, ma più morbido.

                                       

                                      Alcune volte al mercato si vedono sui banchi del pesce delle seppie completamente nere. Si tratta di esemplari traumatizzati e conseguente rottura della sacca del nero. Esemplari con la porzione cefalica consumata e l’interno pieno o sporco di sabbia provengono dalla raccolta di esemplari spiaggiati a causa dell’abbassamento della temperatura, avvenuta durante la stagione riproduttiva, quando le seppie si spostano sotto costa.

                                      Le seppie vendute spellate sono stratagemmi per evitare che possano essere notati traumi dovuti al rotolamento a causa del moto ondoso.

                                      Inoltre l’alterazione del colore delle carni (bianco-rosa) indica perdita di freschezza del prodotto o il decongelamento.

                                       

                                      Le proposte di ricetta di FBO con la seppia

                                      clicca sulla ricetta per scoprirla

                                      Polpo

                                       

                                      polpo fresco

                                      Famiglia: Octopodidae

                                      Genere: Octopus

                                      Specie: Octopus vulgaris

                                       

                                      Cos’è il polpo

                                      Il polpo (Octopus vulgaris) è un mollusco cefalopode che si caratterizza per avere piede e testa uniti e per la presenza di estensioni (fa parte appunto della famiglia degli Octopodidae).

                                      Gli ottopodi infatti sono cefalopodi senza conchiglia interna con otto braccia cefaliche.

                                       

                                      È una specie presente in tutti i mari e oceani del mondo, prediligendo le acque calde temperate.

                                       

                                      Il polpo viene commercializzato fresco o congelato.

                                       

                                      Proprietà nutrizionali del polpo fresco e congelato

                                      tabella con i valori nutrizionali del polpo fresco e del polpo congelato
                                      Tabella con i valori nutrizionali del polpo fresco e del polpo congelato.

                                      Valori nutrizionali polpo fresco e congelato

                                      Il polpo è fonte di proteine ad alto valore biologico, sali minerali e vitamine, bassa è invece la percentuale di grassi.

                                       

                                      Per quanto riguarda i minerali fosforo e calcio sono importanti per la salute di ossa e denti; il potassio aiuta a mantenere la pressione della norma, può ridurre il rischio di calcoli renali ricorrenti e la perdita di tessuto osseo durante l’invecchiamento.

                                       

                                      Buone le quantità presenti di niacina, folati, vitamina A e vitamina B12. Attenzione invece al contenuto elevato di sodio, non è necessario infatti aggiungere sale.

                                       

                                      Benefici polpo

                                      Il polpo è costituito da una buona fonte di minerali come il calcio, il fosforo, il potassio e il selenio. I primi due sono importanti per la salute per le ossa, il potassio aiuta a regolare la pressione arteriosa e il selenio serve alle molecole coinvolte nei processi antiossidanti.

                                      Nel polpo sono presenti anche la vitamina B12 utile per lo sviluppo del sistema nervoso fetale, la vitamina A che è coinvolta nei processi visivi e la vitamina C che ha funzione antiossidante, è coinvolta nei processi del collagene e aiuta le difese immunitarie.

                                       

                                      La porzione standard consigliata è 150 grammi di polpo fresco o congelato, che corrisponde a circa un piatto.

                                       

                                      Una porzione di polpo contiene 7,7 mg di Zinco, ricoprendo così quasi la dose giornaliera raccomandata di questo minerale per le donne (RDA 9 mg) e più della metà per gli uomini (RDA 12 mg), facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                      In un piatto di polpo si trovano anche 112,5 µg di selenio, valore che rappresenta più del doppio della RDARecommended Daily Allowance, dose giornaliera raccomandata) di questo minerale per la popolazione adulta (che è di 55 µg).

                                       

                                      Interazioni polpo

                                      Il polpo potrebbe contenere piccole tracce di metilmercurio. In esso si può anche riscontrare l’Anisakis, un parassita facilmente annientabile con la cottura o dopo specifiche tecniche di congelamento del polpo.

                                       

                                      Produzione e Tecnologia del polpo

                                      Caratteristiche del polpo

                                      Il polpo è una specie priva di scheletro che presenta una testa molto grande separata dal corpo per la presenza di una strozzatura e occhi piccoli e sporgenti lateralmente. La bocca si trova sotto la testa, al centro dei tentacoli.

                                      Possiede otto appendici, chiamate tentacoli, dotate ventralmente di due file di ventose che vengono usate per catturare le prede e per la riproduzione; una delle estensioni infatti ha la funzione di organo riproduttivo maschile.

                                       

                                      Il polpo, grazie al sifone posizionato nel mantello dietro la testa, riesce ad espelle l’acqua per l’espirazione e a dirigere il movimento.

                                      Questo mollusco inoltre possiede un’alta capacità di mimetizzazione, grazie a degli speciali pigmenti, e un liquido nero prodotto da una ghiandola, chiamato “inchiostro”, che viene usato per depistare il predatore in caso di aggressione.

                                       

                                      Habitat del polpo

                                      Questa specie si può trovare nei mari e negli oceani in acque calde del Mediterraneo, dell’Oceano Pacifico, Atlantico e Indiano.

                                      Si nutre prevalentemente di crostacei, cozze, vongole e ostriche, invece i principali predatori sono cernie, gronchi e murene.

                                      Durante il periodo estivo lo si trova su fondali bassi, prevalentemente vicino alla costa; d’inverno invece migra in profondità. I fondali infatti sono un terreno utile per deporre le uova.

                                      È una specie solitaria che di giorno rimane nel nascondiglio per poi uscire di notte per andare a caccia.

                                       

                                      La pesca del polpo

                                      Nel Mediterraneo viene pescato da settembre a dicembre e da maggio a luglio, periodo nel quale è di taglia più grossa, utilizzando reti a strascico, attrezzi da posti e ami.

                                      Solitamente si trovano specie che non superano 1 kg di peso, anche se esistono alcuni polpi che raggiungono i 5-6 kg.

                                       

                                      Stagionalità del polpo

                                      In commercio si può trovare tutto l’anno sia il polpo fresco che il polpo congelato.

                                       

                                      Preparazione e Conservazione del polpo

                                      Il polpo fresco e pulito si conserva in frigorifero per un giorno.

                                      Se si vuole congelare in questo caso va pulito e poi messo in un sacchetto per alimenti chiuso ermeticamente. Può essere conservato per due mesi. Il polpo si può congelare anche da cotto. Fatelo raffreddare, tagliatelo a pezzettini, disponetelo sopra un vassoio ricoperto da carta da forno e fatelo congelare. Una volta congelato trasferite i pezzi in un sacchetto per alimenti, richiudete e riponete in freezer.

                                       

                                      È bene consumare il polpo dopo averlo cotto: la cottura infatti annienta l’Anisakis, un parassita presente anche nel Mar Mediterraneo.

                                      Invece, se si sceglie di consumarlo crudo, è importante sapere che la normativa europea Regolamento CE 853/2004, sulla «Vendita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi», obbliga chi vende o somministra pesce fresco a congelarlo a -20 gradi per almeno 24 ore. A casa è bene congelare il polpo per almeno 96 ore a -18°C in un congelatore.

                                       

                                      Il polpo si abbina a verdure come fagiolini, pomodori, patate, ed è perfetto come antipasto o come secondo.

                                      Si può cucinare in moltissimi modi; il più comune è lessarlo per poi preparare gustosissime insalate.

                                      Per fare questa operazione occorre preparare dell’acqua aromatizzata con cipolle, alloro, sedano e carota. Dovete immergere il polpo nell’acqua fredda e lasciarlo cuocere per un’ora a fuoco dolce. Una volta cotto lasciatelo raffreddare nella sua acqua, per evitare che si indurisca.

                                       

                                      La proposta di ricetta di FBO con il polpo

                                      Fichi

                                       

                                      fichi

                                      Famiglia: Moraceae

                                      Genere: Ficus

                                      Specie: Ficus carica L.

                                       

                                      Storia dei fichi

                                      I fichi sono i frutti dell’albero originario dell’Asia occidentale che venne poi introdotto, e ancora oggi coltivato, nell’area mediterranea.

                                       

                                      I principali produttori sono la Turchia, la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la California.

                                      In Italia è presente sia in forma specializzata che consociata, soprattutto in Puglia, Campania e Calabria.

                                       

                                      Tipi di fichi

                                      Le diverse cultivar vengono classificate in base a:

                                       

                                      • numero di fruttificazioni annue:
                                        unifere (una sola produzione principale di “forniti”); bifere (una produzione precoce di “fioroni”, oltre alla principale); trifere, poco diffuse (hanno una produzione precoce, una principale e una tardiva).

                                       

                                      • suscettibilità alla caprificazione:
                                        unifere caprificabili (produzione di forniti mediante caprificazione); unifere e bifere non caprificabili (produzione di fioroni e forniti in assenza di caprificazione); bifere intermedie (caprificabili per i forniti e fioroni per via partenocarpica).

                                       

                                      • epoca di maturazione:
                                        i forniti (fichi veri) si distinguono in cultivar precoci (maturazione entro agosto) e tardive (maturazione da settembre in poi).
                                        Per i fioroni invece la maturazione avviene sempre tra metà giugno e luglio.

                                       

                                      • colore della buccia:
                                        fichi bianchi (colore da verde a giallo-verdastro) e fichi neri o violetti (con buccia da marrone a rosso violetto o viola-nerastro).

                                       

                                      • destinazione della produzione:
                                        per il consumo fresco (tutte le cultivar), per l’essiccazione (cultivar caratterizzate da maturazione precoce, con produzione di forniti bianchi, buccia integra, resistente ed elastica, polpa densa e zuccherina).

                                       

                                      Fichi e i Riconoscimenti DOP

                                      In Italia sono presenti anche delle DOP (Denominazione di Origine Protetta).

                                       

                                      Il Fico Bianco del Cilento DOP viene prodotto in 68 comuni a sud di Salerno, in gran parte inclusi nell’area del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.

                                      Deriva da uno specifico ecotipo della cultivar Dottato.

                                      Deve la sua denominazione al colore giallo chiaro uniforme della buccia dei frutti essiccati, che diventa marroncino per i frutti che hanno subito un processo di cottura in forno.

                                      La polpa ha una consistenza pastosa, dal gusto molto dolce, di colore giallo ambrato, con acheni prevalentemente vuoti e ricettacolo interno quasi interamente pieno.

                                       

                                      I Fichi di Cosenza DOP vengono coltivati in una porzione pari a circa un terzo della Provincia di Cosenza. La zona è delimitata a Nord dall’ampio versante meridionale del Massiccio del Pollino, che ne impedisce il contatto con la regione Basilicata, mentre a Sud dalla Sila e dai fiumi che da questa scendono. L’area comprende terreni con altitudine da 0 a 800 metri di altitudine, escludendo però le pendenze del terreno superiori al 35%.

                                      Con tale denominazione si indicano esclusivamente i frutti essiccati di fico domestico appartenenti alla varietà “Dottato” (o “Ottato”).

                                      Il colore della loro buccia, inizialmente di colore verde paglierino, diventa poi giallo verdastro.

                                      La polpa è ambrata, mediamente soda e leggermente aromatica e il succo risulta poco denso. Il sapore dei frutti è dolce e mielato.

                                       

                                      I fichi si consumano freschi o essiccati.

                                       

                                      Proprietà nutrizionali dei fichi

                                      tabella con i valori nutrizionali dei fichi
                                      Tabella con i valori nutrizionali dei fichi freschi e dei fichi secchi.

                                      Fichi valore nutrizionale

                                      I fichi sono composti principalmente da acqua e zuccheri, come si può dedurre anche dal loro gusto particolarmente zuccherino.

                                      In realtà il contributo calorico è simile a quello di mele o kiwi, quindi non deve essere un alimento temuto per la linea.

                                       

                                      I fichi sono anche un’ottima fonte di fibra insolubile essenziale per la salute dell’intestino ed utile nel dare sazietà.

                                       

                                      Una porzione di fichi freschi apporta anche buone quantità di potassio, calcio, manganese e vitamine del gruppo B, in particolare acido pantotenico, importanti fattori coinvolti nel metabolismo dei nutrienti.

                                       

                                      La vitamina C è contenuta in piccole quantità nei fichi freschi, mentre in quelli secchi è del tutto assente poiché persa in seguito al processo di disidratazione.

                                       

                                      Fichi benefici

                                      I fichi sono costituiti principalmente sia da una buona quantità di fibra che influisce positivamente sulle funzioni intestinali sia da una buona quantità di potassio che aiuta a tenere sotto controllo la pressione sanguigna.

                                       

                                      A seguire ci sono altri micronutrienti che apportano benefici all’organismo come il calcio che favorisce la salute delle ossa e dei denti e le vitamine del gruppo B che agiscono positivamente a livello del metabolismo.

                                       

                                      La colorazione particolare dei fichi è dovuta alle antocianine, molecole fondamentali per modulare il rischio cardiovascolare, e si osserva particolarmente nei frutti ben maturi e nelle varietà con la buccia molto scura.

                                      Proprio per questo vi consigliamo di consumare i fichi con la buccia, dopo averla appositamente lavata, anche per incrementare la quota di fibra presente.

                                       

                                      La porzione di fichi freschi consigliata è 150 grammi, che corrisponde circa a 2 fichi; mentre la porzione di fichi secchi è 30 grammi, che corrisponde circa a 3 fichi secchi.

                                       

                                      Fichi interazioni

                                      Il consumo di fichi è sconsigliato nei soggetti che assumono il linezolid, un antibatterico ossazolidinonico.

                                       

                                      Produzione e Tecnologia dei fichi

                                      Caratteri botanici della pianta di fichi

                                      Il fico è una pianta molto resistente alla siccità e teme i ristagni idrici.

                                      Risente molto delle avversità climatiche, in particolare delle basse temperature (non resiste a -10°C) e della grandine, che possono distruggere completamente la produzione.

                                      Ama i terreni freschi, profondi e ben dotati di sostanza organica e si trova nelle stesse regioni della vite, dell’olivo e degli agrumi.

                                       

                                      La specie è presente in due forme botaniche definite come piante maschio o caprifico che produce il polline con frutti non commestibili, e piante femmina o fico vero che produce i semi contenuti nei frutti commestibili.

                                       

                                      Il fico domestico è caratterizzato da un apparato radicale molto espanso e superficiale, tronco robusto, con corteccia liscia grigiastra, che può raggiungere gli 8 metri di altezza.

                                      Sui rami sono presenti foglie tri-pentalobate, rugose su cui sono inserite le gemme a fiore che schiudendosi danno origine a un’infiorescenza, detta siconio.

                                       

                                      Le caratteristiche dei frutti

                                      Questo fico produce due tipi di frutti:

                                      • i fioroni, o fichi primaticci, che si formano in autunno, maturano nella tarda primavera dell’anno successivo e presentano fiori femminili sterili, e
                                      • i fichi veri che si formano in primavera, maturano a fine estate dello stesso anno e portano fiori femminili fertili o sterili a seconda della varietà.

                                       

                                      La formazione del frutto può avvenire sia per partenocarpia che per caprificazione, ovvero mediante fecondazione assicurata dall’imenottero Blastophaga psenes.

                                       

                                      Nel caprifico (pianta maschio), invece, sono presenti sia fiori maschili che femminili e, a seconda del periodo, si possono formare:

                                      • mamme (prodotti nel periodo invernale con solo fiori femminili abortiti),
                                      • profichi (prodotti in primavera con fiori femminili abortiti e fiori maschili in prossimità dell’ostiolo) o
                                      • mammoni (presentano all’interno fiori femminili sterili e fertili oltre a quelli maschili).

                                       

                                      I veri frutti commestibili, o acheni, sono riuniti in un siconio carnoso delle sole cultivar femminili; la forma dei frutti è variabile, da sferico appiattita a piriforme-allungata, e il colore della buccia è bianco-verdastro e nero.

                                       

                                      Coltivazione dei fichi

                                      Il fico domestico si propaga sia per talea (utilizzando rami di 2-3 anni), sia tramite pollone radicato.

                                      L’impianto, in genere, è effettuato a fine inverno.

                                       

                                      La potatura viene effettuata in inverno e la concimazione può essere fatta ricorrendo al sovescio di leguminose.

                                       

                                      La pianta inizia a produrre intorno al 5° anno dall’impianto, raggiungendo la massima produzione (40-60 kg di frutti) dai 30 ai 40 anni e poi, gradualmente, inizia ad avere una resa minore; può sopravvivere sino ai 60 anni e oltre.

                                       

                                      Produzione dei fichi freschi e dei fichi secchi

                                      La raccolta avviene nella prima decade di giugno al Sud o a inizio agosto al Nord per le cultivar precoci. A fine luglio-fine settembre al Sud od ottobre al Nord per le cultivar principali “forniti”, invece a novembre-aprile per le cultivar tardive “cimaruoli”.

                                       

                                      I siconi sono molto delicati per cui durante la raccolta bisogna fare attenzione nello staccare il frutto con il peduncolo evitando di lacerare la buccia.

                                      Inoltre, una volta distaccati, i siconi arrestano il loro processo di maturazione e i frutti mostrano una scarsa serbevolezza.

                                       

                                      I frutti freschi possono essere refrigerati per 10-30 giorni (1-2°C e 90% di U.R).

                                       

                                      In commercio i fichi si possono trovare freschi o essiccati.

                                      Il processo di essicazione può iniziare sull’albero oppure dopo la raccolta.

                                      Nel primo caso, in condizioni di buon soleggiamento, l’essiccazione dei siconi interi viene completata in 4-8 giorni; nel secondo caso i fichi tagliati longitudinalmente in due metà richiedono 12-16 giorni per essere essiccati.

                                      Si ricorre all’essiccazione in stufa per completare il processo o per avviarlo (ciò consente di avere un prodotto più chiaro).

                                       

                                      I fichi possono essere anche usati per produrre fichi caramellati, dolci, insalate di frutta e marmellate.

                                       

                                      Stagione dei fichi

                                      In Italia la loro produzione inizia a giugno e prosegue fino ad agosto.

                                       

                                      Preparazione e Conservazione dei fichi

                                      Eccezionali consumati freschi, i fichi si prestano benissimo anche alla conservazione, tanto è vero che, anticamente, venivano considerati una fonte di energia e di dolcezza per tutto l’anno.

                                       

                                      Se acquistate i fichi con questo obiettivo, sceglieteli né troppo duri né troppo maturi.

                                      La parte inferiore deve essere cicatrizzata e “pulita”, senza fuoriuscite di succo zuccherino. La buccia deve essere compatta e senza tagli.

                                       

                                      Nel caso voleste essiccarli per consumarli tutto l’anno, vi ricordiamo che l’essicazione è un processo che aumenta le kcal, ma potenzia le virtù lassative, visto che la fibra viene concentrata.

                                       

                                      Per prepararli, il metodo tradizionale tipico del sud Italia prevede che i fichi secchi vengano esposti al sole e poi bolliti. Perché la preparazione riesca correttamente, bisogna selezionare i frutti sodi, maturi e senza imperfezioni.

                                      Si comincia lavando delicatamente i fichi secchi e tamponandoli con un panno da cucina pulito per eliminare l’eccesso di acqua.

                                      In seguito si tagliano a metà nel senso della lunghezza, avendo cura di non recidere completamente l’estremità. Infine si posizionano su un vassoio ricoperto da carta da forno e si espongono al sole avendo cura di girarli due o tre volte al giorno.

                                      Ci vorranno dai 2 ai 7 giorni di esposizione perché siano pronti.

                                      Di notte sarà meglio portarli in casa in modo che non vengano a contatto con l’umidità serale.

                                      I fichi saranno pronti quando saranno scuri e appassiti.

                                       

                                      A questo punto si può farcire ciascuna coppia di fichi con mezza noce, una mandorla o una scorzetta di cedro candito, chiuderla e infornare a 180 gradi per circa 10-15 minuti fino a farli dorare.

                                      Per renderli ancora più morbidi e golosi, si possono spennellare, prima di metterli in forno, con uno sciroppo di acqua e zucchero per renderli caramellati.

                                        • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                        • Barolo MI, Mostacero NR, López SN (2014) “Ficus carica L. (Moraceae): An ancient source of food and health.”, Food Chemistry; 164:119-127.
                                        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                        • Santos PHS, Silva MA (2008) “Retention of Vitamin C in Drying Processes of Fruits and Vegetables – A Review.”, Drying Technology; Volume 26, 2008 – Issue 12, Pages 1421-1437.
                                        • www.agraria.org
                                        • www.bda-ieo.it
                                        • www.humanitas.it

                                        Fagiolini

                                         

                                        tipi di fagiolini

                                        Famiglia: Fabaceae

                                        Genere: Phaseolus

                                        Specie: Phaseolus vulgaris

                                         

                                        Storia dei fagiolini

                                        I fagiolini sono i baccelli non maturi della specie Phaseolus vulgaris e sono conosciuti anche come cornetti.

                                         

                                        La zona di produzione è l’area Mediterranea, dall’Italia alle coste del nord Africa.

                                        I  fagiolini da consumo fresco infatti per crescere necessitano di temperature calde, tra i 18 e i 26°C.

                                         

                                        Tipi di fagiolini

                                        Esistono diverse varietà di fagiolini che differiscono nella forma e nel colore; in Italia vengono coltivate soprattutto due tipi di fagiolini, che vengono raccolti nel periodo estivo.

                                         

                                        Le varietà coltivate hanno un baccello dalla consistenza croccante e sono prive di filo.

                                        I fagiolini più comuni presentano un baccello di colore verde e la forma allungata, più o meno sottile, mentre altre varietà locali poco diffuse hanno baccelli anche di colore giallo o violaceo.

                                         

                                        In commercio i fagiolini si trovano freschi o in scatola.

                                         

                                        Proprietà nutrizionali dei fagiolini

                                        tabella con i valori nutrizionali dei fagiolini
                                        Tabella con i valori nutrizionali dei fagiolini e dei fagiolini in scatola.

                                        Fagiolini valori nutrizionali

                                        I fagiolini sono ricchi di acqua e poveri di calorie, proprio per questo si prestano molto nella stagione estiva ad essere utilizzati nelle insalate.

                                         

                                        Anche il loro contenuto di fibra è buono, infatti una porzione soddisfa all’incirca il 25% della quantità raccomandata per un adulto.

                                         

                                        Per quanto riguarda i micronutrienti, i fagiolini sono noti per il loro contenuto in folati.

                                         

                                        Buono è anche il loro contenuto di vitamina A, vitamina C e delle vitamine del gruppo B (in particolare la vitamina B12).

                                         

                                        Fagiolini benefici

                                        I fagiolini migliorano la funzione intestinale grazie alla presenza di fibre che favoriscono il regolare funzionamento dell’intestino e aiutano a proteggere la mucosa del colon da sostanze potenzialmente dannose, riducendo così il rischio di tumore; inoltre aiutano a ridurre i livelli di glicemia e colesterolo.

                                         

                                        Anche le vitamine contenute nei fagiolini apportano benefici all’organismo. La vitamina A ha funzione antiossidante ed è utilizzata nei processi della visione; anche la vitamina C ha funzione antiossidante e aiuta le difese immunitarie. 

                                        Le vitamine del gruppo B contribuiscono a garantire il buon funzionamento del metabolismo e in particolare la vitamina B12, che è fondamentale per la sintesi del DNA e la divisione cellulare, e i folati sono essenziali per la crescita e la riproduzione delle cellule e per la formazione del sistema nervoso nel feto.

                                         

                                        La porzione di consumo consigliata per i fagiolini freschi o in scatola è di 150 grammi che corrisponde a mezzo piatto.

                                         

                                        Una porzione di fagiolini contiene 160 µg di folati (vitamina B9), ricoprendo così più di un terzo della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta.

                                        Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di folati per la popolazione adulta è di 400 µg.

                                         

                                        Produzione e Tecnologia dei fagiolini

                                        Caratteri botanici dei fagiolini

                                        I fagiolini sono i baccelli della pianta annuale a rapido sviluppo. Le prime foglie sono semplici, le altre trifogliate con foglioline cuoriformi.

                                        I fiori sono riuniti a grappoli di colore per lo più bianco e la fioritura è cleistogama.

                                        Il frutto è un legume pendulo, pluriseminato, che può essere compresso o cilindrico, di colore verde o giallo e dalla lunghezza variabile (da 60 a 220 mm).

                                         

                                        All’interno del baccello possono essere presenti o meno dei tessuti fibrosi ed è in base a questa caratteristica che si determina il tipo di utilizzazione:

                                         

                                        • nei baccelli con filo in questo caso le valve si separano con facilità proprio per la presenza di un cordone fibroso lungo le linee di saldatura (“filo”) e hanno strati di tessuto fibroso (“pergamena”) entro ciascuna valva; vengono utilizzati per seme.

                                         

                                        • I baccelli senza filo e senza pergamena, ovvero i fagiolini, sono invece teneri e carnosi a lungo.

                                         

                                        Coltivazione dei fagiolini

                                        I fagiolini vengono seminati dall’inizio della primavera fino all’estate inoltrata in quanto per crescere hanno bisogno di una temperatura che va dai 18 ai 26°C.

                                        Nel caso in cui ci si trovi in una zona particolarmente fredda, è meglio attendere il mese di maggio, quando sarà terminato il periodo delle gelate notturne.

                                         

                                        Per la semina si effettuano delle buche nel terreno, profonde circa venti centimetri e distanti almeno quindici centimetri; in ogni buca viene posto un seme.

                                         

                                        Produzione dei fagiolini

                                        Nella piccola coltura i fagiolini e i baccelli freschi si raccolgono a mano scalarmene, mentre nella grande coltura la raccolta è meccanizzata e i fagiolini si raccolgono con apposite macchine raccoglitrici (pettinatrici).

                                        Durante la raccolta manuale è importante staccare i fagiolini quando sono ancora teneri, prima che i semini all’interno si ingrossino troppo.

                                         

                                        Una volta raccolto il prodotto raggiunge lo stabilimento nell’arco di poche ore per evitare qualsiasi tipo di deterioramento.

                                         

                                        Mediante l’utilizzo di un sistema di nastri trasportatori il prodotto passa prima attraverso un sistema di ventilazione che consente la separazione dei baccelli dalle parti inerti e successivamente raggiunge un primo banco cernita vibrante, dove alcuni operatori, eseguono una cernita per separare i fagiolini intatti dalle impurità (foglie, strocchi etc.) e dai fagiolini spezzati.

                                         

                                        Successivamente il prodotto viene imbustato e confezionato in magazzino e può quindi essere conservato, se necessario, in celle frigorifere per alcuni giorni senza deteriorarsi.

                                         

                                        Stagionalità dei fagiolini

                                        In Italia i fagiolini si trovano in commercio da maggio a settembre.

                                         

                                        Preparazione e Conservazione dei fagiolini

                                        Esistono molti tipi di fagiolini, da quelli più grossi, corposi e croccanti a quelli più piccini, privi di filamento e tenerissimi, ma sceglieteli sempre in base a queste caratteristiche:

                                         

                                        • colore: i fagiolini dovranno essere verdi e privi di macchie gialle;
                                        • consistenza: il baccello dei fagiolini dovrà essere integro e sodo, se fagiolini non sono duri al tatto, non acquistateli.

                                         

                                        Pulire i fagiolini è molto semplice: eliminate con una lama liscia entrambi gli estremi e privateli dell’eventuale filetto che risulterebbe fibroso al palato.

                                         

                                        Per conservarli correttamente è importante osservare alcuni accorgimenti.

                                        Scegliete dei fagiolini verdi freschi e teneri, cercando anche di preferire le varietà prive di filo. Se i fagiolini che avete scelto sono piccoli, potete tranquillamente conservarli interi, mentre se sono più grandi potete dividerli in 3 o 4 parti.

                                         

                                        Per conservare i fagiolini al naturale il metodo più adatto è la congelazione: al momento dell’uso, è necessario solo scongelarli. Forse non tutti sanno che è possibile congelare i fagiolini sia da cotti che da crudi. In alternativa, un ottimo metodo di conservazione è il sott’olio.

                                         

                                        In commercio si trovano facilmente fagiolini surgelati i quali, una volta cotti, perdono buona parte del loro contenuto di vitamina C.

                                        Alcuni studi scientifici si sono concentrati su come i metodi di cottura influenzino questa perdita: le strategie migliori per preservare la vitamina C dell’alimento sono risultate la cottura al vapore oppure in una pentola antiaderente con poca acqua.

                                         

                                        Le proposte di ricette di FBO con i fagiolini

                                          • Baardseth P, et al. (2010) “Vitamin C, total phenolics and antioxidative activity in tip-cut green beans (Phaseolus vulgaris L) and swede rods (Brassica napus var. napobrassica) processed by methods used in catering.”, Journal of the Science of Food and Agriculture;90(7):1245-55.
                                          • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                          • Nursal B and Yucecan S (2000) ”Vitamin C losses in some frozen vegetables due to various cooking methods.”, Die Nahrung;44(6):451-3.
                                          • www.agraria.org
                                          • www.bda-ieo.it
                                          • www.humanitas.it

                                          Kefir

                                           

                                          cos'è il kefir

                                          Cos’è il kefir

                                          Il kefir è una bevanda fermentata di origine caucasica.

                                          È un prodotto ottenuto per coagulazione del latte utilizzando fermenti lattici e lieviti.

                                           

                                          I latti fermentati sono raggruppati in due grandi categorie: i latti acidi, detti anche yogurt, e i latti acido-alcolici, detti anche kefir. Queste due categorie differiscono per diversi aspetti.

                                           

                                          Il kefir, rispetto allo yogurt, presenta un leggero contenuto di alcol etilico (1-2%) e di anidride carbonica dovuto al metabolismo dei microorganismi in esso contenuti e la fermentazione avviene a temperatura ambiente. Lo yogurt invece si forma quasi esclusivamente per fermentazione lattica e, perché avvenga, necessita di calore.

                                          Nel kefir inoltre sono presenti un maggior numero di grassi e batteri rispetto allo yogurt.

                                           

                                          Negli ultimi anni si sta assistendo ad un continuo e cospicuo incremento della produzione mondiale di kefir.

                                           

                                          Il kefir presenta una consistenza cremosa e un sapore aspro.

                                          Viene consumato crudo, fresco (non conservato) e freddo, spesso associato a miele e frutta.

                                           

                                          Proprietà nutrizionali del kefir

                                          tabella con i valori nutrizionali del kefir

                                          Valori nutrizionali del kefir

                                          Il kefir è un prodotto facilmente digeribile, in grado di promuovere la salute dell’intestino: aiuta ad alleviare i sintomi intestinali, favorisce la motilità intestinale, riduce la flatulenza e può aiutare la salute della flora intestinale.

                                           

                                          Il kefir esercita un’azione antagonista nei confronti di vari patogeni come Salmonella, Shigella, Staphylococcus, Helicobacter pylori, Escherichia coli, Bacillus subtilis, Micrococcus luteus, Listeria monocytogenes, Streptococcus pyogenes e anche contro il lievito Candida albicans.

                                          In particolare, Lactobacillus kefiri è in grado di inibire l’adesione e l’invasione da parte di Salmonella enterica.

                                           

                                          Dal punto di vista nutrizionale il kefir prodotto a partire dal latte è una fonte di proteine di buona qualità e dall’effetto saziante.

                                          Inoltre è ricco di vitamine e minerali che aiutano a mantenere in salute il sistema immunitario, a promuovere il buon funzionamento del metabolismo e a proteggere la salute di ossa e denti.

                                           

                                          Per quanto riguarda la composizione vitaminica, troviamo vitamine del gruppo B (soprattutto B1,B2, B5), C, A e K.

                                          Inoltre, le concentrazioni di piridossina (vit.B6), vitamina B12, acido folico, biotina (vit.B8), tiamina (vit.B1) e riboflavina (vit.B2) aumentano durante il processo di fermentazione.

                                           

                                          È anche una buona fonte di minerali come Magnesio, Calcio, Fosforo, Ferro e Zinco.

                                           

                                          Benefici del kefir

                                          Le proprietà benefiche del kefir sono già note da molto tempo.

                                           

                                          I benefici riguardano attività antimicrobica, antitumorale, antiinfiammatoria, trattamento dell’obesità, abbassamento del colesterolo, effetti antiossidanti, miglioramento della tolleranza al lattosio e miglioramento della flora batterica intestinale.

                                          Infine, sembra esercitare un effetto rilassante sul sistema nervoso.

                                          Assunto all’interno di una dieta varia, equilibrata e sana potrebbe quindi aiutare a combattere problemi di insonnia e disturbi dell’umore.

                                           

                                          Interazioni del kefir

                                          Il kefir potrebbe interferire con l’azione delle tetracicline o della ciprofloxacina.

                                           

                                          Produzione e Tecnologia del kefir

                                          Il kefir è un latte fermentato che mantiene una piccola parte del lattosio iniziale, non viene prodotto per coagulazione delle proteine caseine e pertanto è considerato un latticino.

                                           

                                          I latti fermentati: latti acidi e acido-alcolici

                                          I latti fermentati, di cui fa parte il kefir, sono prodotti ottenuti per coagulazione del latte ad opera di microrganismi della fermentazione acida (yogurt) o acido-alcolica (kefir).

                                           

                                          Il latte viene omogeneizzato, pastorizzato, concentrato fino al 14% di residuo secco (per conferire al prodotto una certa consistenza) e inoculato con batteri lattici lasciati incubare per alcune ore, fino ad ottenere pH 4,0.

                                          Il prodotto può poi essere addizionato di frutta fresca o surgelata (con aggiunta di saccarosio).

                                           

                                          Per ottenere lo yogurt vengono innestati batteri quali lo Streptococcus thermophilus e il Lactobacillus bulgaricus, che trasformano il lattosio in acido lattico.

                                          Nei granuli di kefir vengono utilizzati batteri del genere Acetobacter, Lactobacillus (kefiri, parakefiri, kefiranofaciens subsp. kefiranofaciens e subsp. kefirgranum), Lactococcus e Leuconostoc, e lieviti del genere Candida, Kluyveromyces e Saccharomyces. Tali starter biologici sono reciprocamente simbionti tenuti assieme dalle proteine coagulate.

                                          Durante i primi stadi della fermentazione il batterio dominante è L. kefiranofaciens, mentre negli ultimi stadi Leuconostoc mesenteroides. La concentrazione di esopolisaccaridi, inoltre, aumenta con il tempo di fermentazione.

                                           

                                          Il prodotto così ottenuto si presenta fluido e spumoso, con sapore acidulo e debolmente alcolico (1-1,5 gradi alcolici). Se durante la preparazione si utilizza l’1% di granuli si ottiene un prodotto viscoso e poco acido, mentre se si utilizza un 10% di granuli si ottiene un prodotto acido, con una bassa viscosità e un’alta effervescenza.

                                           

                                          A livello industriale non si utilizzano i granuli, bensì specifici mix standardizzati di batteri e lieviti. Tali prodotti si distinguono per una gradazione alcolica inferiore, spesso al di sotto della soglia dell’uno percento o in alcuni casi addirittura nulla.

                                           

                                          Produzione del kefir

                                          L’attuale processo di produzione prevede la preparazione iniziale di una “coltura madre” preparata incubando il latte con granuli di kefir (2% –3%) utilizzando dei sacchi di pelle che vengono agitati regolarmente per ottenere una fermentazione naturale.

                                          I granuli vengono poi rimossi mediante filtrazione e la risultante coltura madre liquida viene aggiunta al latte (1% –3%), che viene fermentato per 12-18 ore a 20-25°C per ottenere il kefir.

                                          I grani di kefir rimossi per filtrazione vengono utilizzati per le successive fermentazioni asciugandoli a temperatura ambiente e conservandoli a una temperatura di 4° C.

                                           

                                          Durante il processo di preparazione è importante:

                                           

                                          • la scelta del tipo di latte da utilizzare, generalmente quello pastorizzato,
                                          • la proporzione granuli e latte, che influisce sulla viscosità e sull’acidità del prodotto,
                                          • il tempo della fermentazione, solitamente 18-24 ore di incubazione,
                                          • e la temperatura di fermentazione, il cui range è tra i 18 e i 30°C con la temperatura ottimale che si ha a 25°C.

                                           

                                          Con il processo di fermentazione si ha la produzione di alcuni metaboliti quali esopolisaccaridi, acidi formico, propionico, succinico, vitamine e batteriocine, che contribuiscono al particolare aroma, sapore e alle proprietà benefiche della bevanda.

                                          I principali prodotti della fermentazione sono acido lattico, anidride carbonica e etanolo.

                                           

                                          Stagionalità del kefir

                                          Il kefir è reperibile sul mercato in qualsiasi momento.

                                           

                                          Preparazione e Conservazione del kefir

                                          Se è un alimento che vi piace ed alla base della vostra nutrizione, vi consigliamo di prepararvi il vostro kefir in maniera artigianale a casa.

                                           

                                          Per la preparazione del kefir servirà il kefiran, o granuli di kefir, un polisaccaride ricco di colonie di batteri e lieviti, un barattolo di vetro da 1 litro e un tappo traspirante. Potete utilizzare anche carta stagnola, da cucina, oppure uno strofinaccio pulito e un colino a maglie strette.

                                          Avrete poi bisogno del cosiddetto “terreno di coltura“, grazie al quale verranno nutriti i microorganismi presenti nei granuli di kefir.

                                          Solitamente si utilizza il latte intero, di vacca o di capra: otterrete così un classico kefir dal sapore acidulo e dalla consistenza quasi cremosa, simile a quella dello yogurt.

                                          In alternativa potete preparare il kefir con il latte vegetale come quello di soia, di riso o il latte di cocco naturale: assicuratevi però che sia privo di zuccheri aggiunti e di agenti chimici.

                                           

                                          Versate i granuli di kefir nel barattolo di vetro da 1 litro, aggiungete il latte facendo attenzione a non riempire il vaso fino all’orlo: lasciate 1/3 di vaso libero, in quanto la fermentazione ha bisogno di ossigeno.

                                          Coprite il vaso e lasciatelo a temperatura ambiente: la temperatura ideale è 20°C. Lasciate fermentare per 24 ore, mescolando almeno per un paio di volte, e filtrate poi il kefir con il colino.

                                          Dopo averlo filtrato conservate il kefir in frigo per almeno un paio d’ore. Il vostro kefir sarà pronto da bere e sarà possibile utilizzarlo per le vostre preparazioni.

                                           

                                          Una volta pronto potete conservare il kefir in frigorifero fino a 15 giorni, chiuso in un contenitore ermetico.

                                           

                                          La sua peculiare composizione lo rende un alimento particolarmente adatto in caso di intolleranza al lattosio.

                                            • de Oliveira Leite AM et al. (2013) “Microbiological, technological and therapeutic properties of kefir: a natural probiotic beverage”, Brazilian journal of microbiology;44(2):341-9.
                                            • Farnworth ER (2005) “Kefir – a complex probiotic”, Food Science and Technology Bulletin: Functional Foods 2 (1) 1-17.
                                            • Rosa D.D. et al. (2017) “Milk kefir: nutritional, microbiological and health benefits”, Nutrition Research Reviews, Volume 30, Issue 1, June 2017, pp. 82 – 96.
                                            • Seher Arslan (2015) “A review: chemical, microbiological and nutritional characteristics of kefir, CyTA”, Journal of Food, 13:3, 340-345.
                                            • www.agraria.org
                                            • www.bda-ieo.it
                                            • www.humanitas.it
                                            • www.microbiologiaitalia.it

                                            Totani

                                             

                                            totani

                                            Famiglia: Ommastrephidae

                                            Genere: Todarodes

                                            Specie: Todarodes sagittatus

                                             

                                            Cos’è il totano e differenza con il calamaro

                                            Il totano (Todarodes sagittatus) è un cefalopode che appartiene alla famiglia dei molluschi, come il calamaro e la seppia.

                                            È una specie che vive sui fondali sabbiosi nelle acque dell’Oceano Atlantico, del Mare del Nord e del Mar Mediterraneo.

                                             

                                            Viene spesso confuso con il calamaro (Loligo vulgaris) da cui si distingue per forma e dimensione delle pinnette o ali, per la presenza di un paio di “uncini” sui tentacoli, per il colore e per le dimensioni molto più grandi.

                                             

                                            Le carni del totano sono tenere e squisite e viene commercializzato fresco o congelato.

                                             

                                            Proprietà nutrizionali dei totani

                                            tabella con i valori nutrizionali dei totani

                                            Totani proprietà nutrizionali

                                            I totani presentano proteine di elevata qualità ed acidi grassi della serie omega 3.

                                             

                                            A livello di micronutrienti spiccano il contenuto in potassio, calcio, fosforo e magnesio.

                                            Per quanto riguarda le vitamine, le più presenti sono quelle del gruppo B.

                                             

                                            Ricchi anche di sodio, non richiedono quindi aggiunta di sale durante le preparazioni.

                                            Inoltre questo pesce contenendo grassi saturi, sodio e colesterolo, non bisognerebbe consumarlo in quantità eccessive.

                                             

                                            Totani benefici

                                            Il totano è una buona fonte di proteine, acidi grassi insaturi e per la precisione di omega-3, e di minerali.

                                            I minerali maggiormente presenti sono il potassioalleato della salute cardiovascolarecalcio, fosforo e magnesioimportanti per la salute di ossa e denti.

                                            Tra le vitamine spiccano quelle del gruppo B alleate del buon funzionamento del metabolismo, inclusi i folati e la vitamina B12.

                                             

                                            La porzione standard consigliata è 150 grammi di totani freschi.

                                             

                                            Produzione e Tecnologia dei totani

                                            Caratteristiche del totano

                                            Il totano presenta un corpo allungato, piuttosto stretto, con testa grossa e una bocca dotata di due mascelle.

                                            La parte caudale è affusolata ed è provvisto di due pinne triangolari che lo aiutano nel nuoto formanti una punta a lancia.

                                            I dieci tentacoli sono dotati di ventose pungenti e due di essi si protraggono all’esterno; i tentacoli aiutano il totano ad imprigionare le prede di cui si nutre, ovvero crostacei e piccoli pesci.

                                            Presenta una colorazione a striature rosso-violacee dorsalmente che diviene più pallida, con sfumature giallastre, ventralmente.

                                             

                                            Generalmente sono lunghi 30/40 centimetri ma in alcuni casi si possono raggiungere delle lunghezze che sfiorano anche il metro; il peso varia a seconda della dimensione dai 500gr per i piccoli totani, a esemplari in alto mare che arrivano anche a 15 kg.

                                             

                                            Habitat del totano

                                            Il totano, come il calamaro, vive su fondali misti, fangosi e sabbiosi e si sposta molto rapidamente sia strisciando sul fondo servendosi dei tentacoli che in sospensione sfruttando la pressione dell’acqua che immagazzina ed espelle dal corpo con un meccanismo di propulsione.

                                            Questa specie nei mesi freddi, da novembre a marzo, si avvicina a riva per riprodursi e si muove soprattutto di notte.

                                            Sono proprio le ore notturne, con il mare calmo, il momento più favorevole per pescarlo, soprattutto da dopo il tramonto fino a poco prima dell’alba; tuttavia è possibile riuscire a pescare i totani anche di giorno, tra le 4 del pomeriggio e poco dopo il tramonto.

                                             

                                            Tecniche di pesca

                                            Viene pescato nel Mediterraneo per mezzo di reti a strascico dette “totanare”.

                                            Questo tipo di pesca consiste in un oggetto luminoso che all’estremità è costituito da una serie di ganci a punta circolari molto pungenti. Tale strumento si lega ad un pezzo di lenza molto lunga che viene calata in mare fino al fondale; quando la lenza viene tirata su i totani, attirati dalla luce, rimangono impigliati a questi spunzoni.

                                            I grandi pescherecci utilizzano invece delle reti apposite per la pesca del totano.

                                             

                                            Stagionalità dei totani

                                            In genere i totani si pescano dall’inizio di giugno alla fine di agosto.

                                             

                                            Preparazione e Conservazione dei totani

                                            Quando acquistate dei totani valutate con attenzione il loro aspetto: riconoscere quelli freschi non è difficile. La pelle dei totani freschi è infatti lucente e integra; un colore opaco e poco brillante, invece, è in genere indice di poca freschezza.

                                             

                                            Se siete poco avvezzi ad acquistare il pesce potreste inoltre avere delle difficoltà a riconoscere un totano da un calamaro: in effetti questi 2 molluschi hanno un aspetto molto simile, ma alcune differenze sostanziali fanno evitare di cadere in errore.

                                            Anzitutto, i calamari hanno pinne laterali più lunghe di quelle del totano: le pinne di quest’ultimo sono, fra l’altro, più terminali che laterali, perché poste in fondo alla sacca. Inoltre, il totano ha più tentacoli del calamaro e in genere sono più dritti e sviluppati in lunghezza, mentre quelli del calamaro risultano maggiormente arricciati.

                                            Un’altra differenza riguarda la consistenza della carne: quella del totano è in genere più dura rispetto a quella del calamaro.

                                            Tuttavia i totanetti, ovvero i totani più piccoli, sono di solito molto teneri.

                                             

                                            Per pulirli la prima cosa è tirate via la pelle: per essere facilitati in questa operazione, effettuatela sotto un filo di acqua corrente. Praticate un piccolo taglietto sul corpo del totano, quanto basta per alzare un piccolo lembo di pelle, che poi andrete a tirar via con le mani.

                                            Ora togliete gli occhi del totano: è sufficiente infilzarli con la punta del coltellino, per poi schiacciare con le dita per farli fuoriuscire. Sempre con il coltellino tirate via anche i tentacoli e il dente. Pulite quindi l’interno del totano: con il coltellino eliminate la cartilagine interna, dopodiché, infilando un dito, estraete le interiora e, se presente, anche la sacca dell’inchiostro.

                                            Sciacquate quindi con cura il totano sotto un getto di acqua corrente, eliminando ogni eventuale rimanenza di viscere interne.

                                             

                                            Una volta puliti, i totani possono essere cucinati subito (o al massimo entro un giorno, se conservati in frigorifero, coperti da pellicola trasparente) oppure possono essere congelati: in tal caso, si conservano per circa 3-4 mesi.

                                            Surgelati mantengono le caratteristiche nutrizionali, i molluschi difatti resistono bene alle basse temperature. Al contrario le alte temperature, ad esempio la frittura, inducono la perdita di alcuni nutrienti, che invece si preservano con le cotture a vapore o al forno.

                                             

                                            È bene non esagerare con il consumo di totani perché contengono grassi saturi, colesterolo e sodio in una certa quantità.

                                            Calamari

                                             

                                            calamari proprietà

                                            Famiglia: Loliginidae

                                            Genere: Loligo

                                            Specie: Loligo vulgaris

                                             

                                            Storia dei calamari

                                            Il calamaro è un mollusco appartenente alla famiglia Loliginidae che vive nelle zone costiere su fondali fangosi.

                                             

                                            È una specie comune del Mediterraneo, soprattutto occidentale, dell’alto Adriatico, dell’area tunisina – libica e dell’Atlantico orientale delle Isole britanniche.

                                             

                                            Tipi di calamari

                                            Esistono diverse varietà a seconda delle dimensioni.

                                             

                                            I calamaretti solitamente sono lunghi dai 3 ai 7 centimetri. Quelli che vivono in Europa possono raggiungere anche i 30 centimetri mentre quelli che vivono nell’oceano Atlantico dai 300 ai 600 metri di profondità sono esemplari enormi che riescono a raggiungere i 18 metri di lunghezza, il peso di 2 tonnellate e diventano spesso preda di campidogli.

                                             

                                            I calamari (Loligo vulgaris) vengono spesso confusi con i totani (Todarodes sagittatus) ma queste due specie mostrano delle differenze.

                                             

                                            La prima differenza è visibile nella coda dove, le due pinnette (dette anche ali) si distinguono nella forma e nella dimensione.

                                            Il calamaro infatti ha due piccole alette che si dipartono dall’estremità del corpo sino ad arrivare a circa 3/4 del corpo, il totano invece presenta una pinna che all’apice della coda forma un triangolo e rimane separata dal corpo.

                                             

                                            Un’altra differenza si nota nei tentacoli.

                                            Entrambi ne hanno 10, ma il calamaro presenta due tentacoli più lunghi; inoltre entrambe le specie sui tentacoli presentano delle ventose ma il totano possiede anche un paio di “uncini”.

                                             

                                            Calamari e totani possono essere distinti anche dal colore; il calamaro infatti varia le tonalità del suo corpo dal grigio al rosa mentre il totano dal bianco al rossiccio.

                                             

                                            Risultano inoltre importanti le dimensioni dei due cefalopodi. I calamari non superano quasi mai i 40 cm, mentre i totani possono crescere sino ai 15/20 Kg e superare il metro di lunghezza.

                                             

                                            Le carni del calamaro sono buone, delicate e gustose e viene commercializzato fresco o congelato.

                                             

                                            Proprietà nutrizionali dei calamari

                                            tabella con i valori nutrizionali dei calamari

                                            Valori nutrizionali dei calamari

                                            I calamari sono molluschi poveri di calorie e grassi, per lo più polinsaturi. Il loro consumo apporta principalmente acidi grassi a lunga catena della serie omega-3.

                                             

                                            Come tutti i molluschi sono ricchi di micronutrienti, tra i quali vitamine del gruppo B e zincofosfororame e selenio.

                                            Vi ricordiamo che come tutto il pesce, i calamari sono ricchi in sodio, proprio per questo non richiedono quindi aggiunta di sale durante le preparazioni.

                                             

                                            Benefici dei calamari

                                            Gli acidi grassi omega-3 sono essenziali per il corretto sviluppo del sistema celebrale e per la protezione di cuore e arterie.

                                             

                                            Le vitamine del gruppo B e lo zinco presenti nell’alimento favoriscono il buon funzionamento del metabolismo, il fosforo, è un alleato di ossa e denti, il rame è coinvolto nella sintesi dell’emoglobina e dei tessuti connettivi, nella pigmentazione di pelle e capelli, nel metabolismo cellulare e nel controllo della funzionalità del cuore mentre il selenio risulta utile per le difese antiossidanti dell’organismo.

                                             

                                            Trattandosi di un alimento ricco di colesterolo, l’assunzione quotidiana non dovrebbe superare i 300 mg (o i 200 mg in presenza di problemi cardiovascolari).

                                             

                                            La porzione consigliata è di 150 grammi, che corrisponde a un calamaro di medie dimensioni.

                                             

                                            Produzione e Tecnologia dei calamari

                                            Caratteristiche dei calamari

                                            Il calamaro è un mollusco carnivoro appartenente alla famiglia dei cefalopodi, ha un corpo allungato snello, cilindrico, con testa ed occhi piuttosto piccoli; solitamente raggiunge una lunghezza di 30-50 cm.

                                             

                                            È provvisto di due pinne all’estremità dorsale, di otto braccia e due tentacoli più lunghi muniti di ventose presenti attorno alla bocca.

                                            Il calamaro mediterraneo si differenzia dalle altre specie di calamari poiché le pinne laterali sono lunghe quasi quanto tutto il corpo del mollusco.

                                             

                                            All’interno del corpo inoltre è presente una conchiglia (gladio o calamo) lunga, appiattita e trasparente. La colorazione è rossastra, con puntinatura più scura sul dorso, che al buio assume una certa fluorescenza; questo serve, soprattutto in primavera, ad attrarre la specie di sesso opposto.

                                             

                                            Nel mantello è presente anche la ghiandola del nero, che secerne l’inchiostro bioluminescente, utile al calamaro per confondere le prede.

                                             

                                            È una specie pelagica che effettua migrazioni stagionali presente normalmente tra i 20 e i 300 m di profondità che predilige i fondali fangosi delle zone costiere.

                                             

                                            Pesca del calamaro

                                            Il calamaro viene pescato con reti a strascico o da traino e reti a circuizione, e sono pochi gli allevamenti di questo pesce anche se si stanno studiando nuove tecniche per svilupparne maggiormente l’allevamento.

                                             

                                            Durante l’autunno si hanno le maggiori rese in fatto di pesca, infatti la stagione tipica del calamaro inizia a settembre e termina a dicembre.

                                            Così come il calamaro, anche i calamaretti iniziano a essere di stagione a settembre, ma continuano a rimanere sul mercato fino a febbraio.

                                             

                                            Stagionalità dei calamari

                                            I calamari e i calamaretti sono di stagione da settembre a febbraio.

                                             

                                            Preparazione e Conservazione dei calamari

                                            Un calamaro fresco si distingue grazie alla pelle, che deve essere umida con tentacoli integri e sodi. Il colore della sacca che contiene l’inchiostro deve risultare metallico, mentre la sua consistenza oleosa.

                                            Generalmente quando il calamaro non è fresco tende ad ingiallire.

                                             

                                            Per pulire i calamari più giovani non occorre praticare alcun trattamento, mentre per quelli più grandi occorre togliere la pennetta, gli intestini, il fegato, eventuali uova presenti, gli occhi e il becco.

                                            Con una mano afferrate la testa del calamaro e con l’altra il corpo, tirando delicatamente la testa in modo da determinare il distacco dagli intestini.

                                            Sfilate la pennetta trasparente e privatelo della pelle e successivamente riprendete la testa per separarla dagli intestini ed eliminare la sacca con il nero.

                                            Sciacquate sotto l’acqua corrente la parte rimasta e con le forbici eliminate gli occhi e tutta la parte circostante e togliete il becco.

                                             

                                            Il calamaro come tutto il pesce è un alimento molto delicato, che deve essere consumato o congelato il prima possibile. Appena acquistato deve essere eviscerato e lavato accuratamente sotto acqua corrente.

                                             

                                            Conservarlo in frigorifero, ben coperto da pellicola alimentare o chiuso in un sacchetto freezer, per 1 o 2 giorni al massimo. Se è molto fresco, è possibile anche congelarlo, a -18°C, in appositi sacchetti ben chiusi, avendo l’accortezza di eliminare quanta più aria possibile. Si può così conservare 3 mesi.

                                             

                                            Surgelati mantengono le caratteristiche nutrizionali, i molluschi resistono bene alle basse temperature.

                                            Al contrario le alte temperature, ad esempio la frittura, inducono la perdita di alcuni nutrienti, che invece si preservano con le cotture a vapore o al forno.

                                            Indivia

                                             

                                            indivia o scarola

                                            Famiglia: Compositae

                                            Genere: Cichorium

                                            Specie: Cichorium endivia L.

                                             

                                            Cos’è l’indivia

                                            L’indivia (Cichorium endivia L.) è un ortaggio originario del bacino del Mediterraneo del genere Cichorium, a cui appartiene anche la cicoria, e comprende diverse sottospecie: l’indivia scarola (Cichorium endivia latifolium), l’indivia ricciuta (Cichorium endivia crispum) e l’indivia belga.

                                             

                                            Tipi di indivia

                                            Esistono diversi tipi di indivia.

                                             

                                            – L’indivia scarola è la più importante delle indivie sia per qualità che per diffusione ed è coltivata per le produzioni autunno-invernali.

                                            Il cespo a rosetta è formato da foglie allungate di colore verde chiaro o scuro, con margine intero o dentato e nervatura marcata di colore bianco.

                                            Ha un sapore leggermente amarognolo e una discreta croccantezza.

                                            È diffusa soprattutto nel centro-sud Italia e esistono diverse varietà di indivia scarola, tra cui: la Bubikopf, la Bionda a cuore pieno, la Cornetto di Bordeaux, la Dilusia, la Full Heart, la Gigante degli ortolani e la Verde Fiorentina.

                                             

                                            – L’indivia ricciuta è un’insalata di tipo invernale con foglie di colore bianco-giallo e verdi, lembi sfrangiati ed arricciati e i cespi non formano un grumolo.

                                            Rispetto alla scarola, la riccia ha un sapore più amarognolo ed è molto croccante.

                                            Le varietà si distinguono in precoci e tardive e le più diffuse sono: la Mantovana, la Riccia d’Italia, la Riccia fine d’estate, la Riccia romanesca, la Riccia a cuore d’oro, la Riccia grossa di Pancalieri, la Ruffec, la Riccia d’inverno.

                                             

                                            – L’indivia belga è un ortaggio originario del Belgio e viene anche chiamata Cicoria witloof, che in olandese significa “a foglia larga”.

                                            Ha un tipico sapore amarognolo e le foglie si presentano sode e croccanti, piuttosto affusolate, di colore bianco chiaro con le punte tendenti al verde.

                                             

                                             

                                            L’indivia, insieme alla lattuga, costituisce il gruppo di da foglie per consumo crudo in insalata; l’indivia può essere consumata anche lessa.

                                             

                                            Proprietà nutrizionali dell’indivia

                                            tabella con i valori nutrizionali dell'indivia

                                            Valori nutrizionali dell’indivia

                                            L’invidia belga è composta principalmente da acqua e fibre, che la rendono un alimento ideale nei soggetti che debbano migliorare il transito intestinale.

                                            Il limitato apporto energetico la rende adatta a regimi alimentari a basso introito calorico e grazie alla consistenza croccante, aumenta il senso di sazietà.

                                             

                                            L’indivia belga è una buona fonte di vitamine A, C e del gruppo B ed un’ottima fonte di acido folico (vitamina B9). Povera di sodio e ricca di acqua, è diuretica e depurativa.

                                             

                                            Interessante anche la presenza di calcio, minerale essenziale all’organismo umano.

                                             

                                            Benefici dell’indivia

                                            Nell’indivia è presente una discreta quantità di vitamina A che ha un ruolo importante a livello visivo, e di vitamina C che ha funzione antiossidante. 

                                            Risulta un’ottima fonte di acido folico (vitamina B9), essenziale per il benessere dell’apparato cardiovascolare ed è molto importante in gravidanza per uno sviluppo ottimale del nascituro.

                                             

                                            Tra i minerali invece è presente una buona quantità di calcio che è essenziale nei meccanismi di contrazione e rilasciamento dei muscoli, nella coagulazione del sangue, nella regolazione della permeabilità cellulare e nella trasmissione dell’impulso nervoso.

                                             

                                            La porzione standard di indivia consigliata è 80 grammi, che corrisponde a una ciotola.

                                             

                                            Il consumo di questo ortaggio potrebbe essere utile in caso di gonfiore sottocutaneo o edema, un possibile effetto collaterale legato al trattamento oncologico.

                                             

                                            Produzione e Tecnologia dell’indivia

                                            Caratteri botanici della pianta di indivia

                                            L’indivia è una pianta biennale a produzione prevalentemente autunnale.

                                             

                                            Il prodotto è costituito dal “cespo” ovvero dalla rosetta di foglie che coronano il brevissimo fusto e che nell’accrescimento si sovrappongono e si serrano in un grumolo, detto cuore, più o meno compatto.

                                             

                                            I fiori solitamente sono 18-20 con colore bluastro; i frutti sono piccoli acheni (commercialmente i semi) allungati, angolari, muniti di pappo, in genere bianchi nella indivia riccia, grigi in quella scarola.

                                             

                                            Coltivazione dell’indivia

                                            L’indivia nella piccola coltura viene seminata in semenzaio e successivamente trapiantata, mentre nella grande coltura viene praticata la semina diretta, impiegando seme normale o confettato.

                                            La sua coltivazione avviene in avvicendamento con altre colture erbacee.

                                             

                                            La semina viene eseguita a file distanti 30-40 cm, con distanze tra le piante sulla fila di 25-35 cm.

                                            La lotta alle erbe infestanti viene fatta con sarchiature e diserbanti.

                                             

                                            Solitamente la semina avviene nel periodo di luglio-agosto, con la raccolta che va dall’autunno fino al termine dell’inverno a seconda del clima.

                                            Per favorire l’imbianchimento del grumolo a volte i cespi vengono legati circa 2 settimane prima della raccolta.

                                            Le rese ad ettaro variano da 200 a 300 quintali.

                                             

                                            Stagionalità dell’indivia

                                            In commercio l’indivia si può trovare da ottobre ad aprile.

                                             

                                            Preparazione e Conservazione dell’indivia

                                            Tra le insalate è l’unica che richiede un trattamento particolare per via della forma del cespo con foglie molto compatte.

                                            Per questo vi consigliamo di scegliere solo cespi freschi, nel caso siano flosci e macchiati acquistano un sapore amaro ed una consistenza fastidiosa al palato.

                                             

                                            Come prima operazione introducete un coltellino alla base facendolo penetrare e facendolo girare con un movimento circolare, togliendo il torsolo centrale.

                                            Successivamente sfogliate il cespo eliminando le prime foglie esterne, lavatelo accuratamente sotto l’acqua corrente, sovrapponetele alcune sul tagliere e tagliatele a striscioline.

                                             

                                            Come la maggior parte degli ortaggi si conserva in frigorifero per un paio di giorni, preferibilmente avvolta in un foglio di giornale, che previene l’eccessiva refrigerazione delle foglie.

                                             

                                              • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                              • www.agraria.org
                                              • www.humanitas.it

                                               

                                              Lattuga

                                               

                                              varietà di lattuga

                                              Famiglia: Compositae

                                              Genere: Lactuca

                                              Specie: Lactuca sativa L.

                                               

                                              Cos’è la lattuga

                                              La lattuga è una composita annuale.

                                              In Italia viene coltivata in diversi periodi dell’anno e in differenti ambienti climatici. Nei mesi invernali viene largamente esportata nei paesi del Nord Europa.

                                               

                                              Come l’indivia, è un ortaggio da foglie che viene consumata cruda, ma può anche essere cotta.

                                               

                                              Varietà di lattuga

                                              In Italia le varietà di lattuga più conosciute sono la lattuga cappuccio (o a palla), la lattuga romana, la lattuga gentile (o canasta o gentilina) e la lattuga iceberg.

                                               

                                              La lattuga cappuccio presenta foglie rotondeggianti che formano un grumolo serrato. Di questa lattuga le tipologie più note sono Batavia bionda, Trocadero, Regina di Maggio e Great Lakes. Viste le numerose varietà esistenti di questa lattuga, la coltura può essere primaverile-estiva, estiva, autunnale e invernale.

                                               

                                              Anche della lattuga romana esistono diverse varietà e le più note sono Bionda da inverno, Bionda da estate, Verde degli ortolani. Anche in questo caso la coltura, visto la presenza di diverse tipologie, può essere invernale, primaverile e estiva.

                                               

                                              Proprietà nutrizionali della lattuga

                                              tabella con i valori nutrizionali della lattuga

                                              Lattuga valori nutrizionali

                                              La lattuga ha un contenuto di acqua superiore al 90% ed un buon contenuto di fibra. Se consumata cruda è particolarmente ricca in folati.

                                               

                                              Inoltre, il consiglio è di spezzettare queste verdure con le mani, poiché causare la rottura in modo casuale delle fibre vegetali sembrerebbe favorire l’azione di alcuni enzimi che trasformano i folati rendendoli meglio assorbibili dal nostro intestino.

                                               

                                              Buono è anche il contenuto di vitamina K, ferro e beta-carotene.

                                               

                                              Lattuga benefici

                                              Come detto precedentemente, la lattuga ha una buona quantità di sali minerali, folati, fibra e acqua.

                                              Nello specifico, i sali minerali donano alla lattuga proprietà rinfrescanti e rimineralizzanti e tra questi è utile soprattutto evidenziare il rapporto tra il sodio e potassio che apporta alla lattuga caratteristiche diuretiche.

                                               

                                              L’acqua e la fibra permettono di migliorare la funzionalità intestinale dell’organismo.

                                               

                                              Tra le vitamine spiccano i folati, noti anche con il nome di vitamina B9, che contribuiscono alla normale crescita dei tessuti durante la gravidanza e svolgono altre funzioni di fondamentale importanza a livello cellulare. Il consumo di vitamina B9 sembrerebbe avere anche un ruolo nella prevenzione oncologica, soprattutto per quanto riguarda il rischio di tumore del pancreas.

                                               

                                              Ricordiamo inoltre la vitamina A che è utile nei processi della visione e la vitamina C che aiuta le difese immunitarie dell’organismo. Entrambe queste vitamine hanno anche funzione antiossidante.

                                              Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                               

                                              La porzione consigliata è di 80 grammi di lattuga fresca, che corrisponde circa a una scodella o a una ciotola da 500 ml.

                                               

                                              Una ciotola di lattuga riesce a soddisfare circa la metà del fabbisogno nutrizionale di vitamina C (47 mg) per la popolazione adulta (uomini 105 mg, donne 85 mg) e quasi completamente il fabbisogno di vitamina K (101 µg)sempre facendo riferimento alla popolazione adulta (140 µg).

                                               

                                              Il consumo di questa verdura sembrerebbe utile in caso di gonfiore sottocutaneo (o edema), un possibile effetto avverso causato dal trattamento oncologico.

                                               

                                              Lattuga interazioni

                                              Il consumo di quantità eccessive di lattuga dovrebbe essere evitato in soggetti che assumono anticoagulanti.

                                               

                                              Produzione e Tecnologia della lattuga

                                              Caratteri botanici della lattuga

                                              La lattuga è una composita annuale che presenta un “cespo” costituito da foglie a spatola o tondeggianti inserite in un breve fusto e serrate in modo da costituire un “grumolo” o “cappuccio” più o meno compatto.

                                               

                                              Nella lattuga cappuccio le foglie sono rotondeggianti e formano un grumolo serrato. Le diverse varietà possono essere a coltura primaverile-estiva, estiva, autunnale e invernale.

                                               

                                              Una volta ultimata la fase vegetativa, la cui durata è influenzata dalla lunghezza del giorno, i cespi formano uno scapo fiorale alto 1,3 m circa, molto ramificato, portante numerose infiorescenze di 8-10 fiori riuniti a capolino.

                                              I frutti, che vengono erroneamente chiamati semi, sono acheni oblunghi, appiattiti, leggermente striati, di colore variabile dal grigio al bruno. Le rese unitarie si aggirano sui 200-250 quintali ad ettaro.

                                               

                                              Coltivazione della lattuga

                                              Per la lattuga romana la semina viene condotta in semenzaio in diversi periodi dell’anno a seconda delle varietà: in agosto-settembre per le lattughe invernali, in gennaio-febbraio per le primaverili e in aprile-maggio per le estive.

                                               

                                              Una volta seminata in semenzaio, la lattuga viene poi trapiantata e successivamente raccolta.

                                              Le rese unitarie si aggirano sui 300-400 quintali ad ettaro e, in caso di terreni particolarmente fertili con 4-5 cicli all’anno, possono arrivare fino a 800 quintali ad ettaro.

                                               

                                              Stagionalità della lattuga

                                              La lattuga, grazie alle diverse varietà, è reperibile sul mercato tutto l’anno.

                                               

                                              Preparazione e Conservazione della lattuga

                                              La scelta della lattuga al momento dell’acquisto, potrebbe influenzare i parametri di conservazione.

                                              Se la lattuga che si sceglie ha foglie dall’aspetto fresco e sodo e successivamente ci si assicura di pulirla, eventualmente tritarla, asciugarla e refrigerarla adeguatamente, questa si può conservare in frigo fino a una settimana.

                                               

                                              L’asciugatura è un passaggio cruciale perché bisogna evitare un eccesso di umidità che creerebbe problemi per la corretta conservazione che può essere effettuata tramite una centrifuga da insalata o un panno di carta.

                                               

                                              La lattuga può essere conservata tagliata, operazione che faciliterà la rimozione di parti che nel corso dei giorni potrebbero iniziare a marcire.

                                               

                                              Dopo essere stata opportunamente asciugata, può essere riposta in sacchetti sigillati con all’interno un tovagliolo di carta la cui funzione è quella di assorbire l’umidità in eccesso. Inoltre, per migliorare l’eliminazione dell’umidità, sarebbe utile cambiare il tovagliolo di carta all’interno del sacchetto sigillato ogni due giorni oppure quando si nota che è bagnato.

                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                • Lin HL et al. (2013) “Folate intake and pancreatic cancer risk: an overall and dose-response meta-analysis.”, Public Health ;127(7):607-13.
                                                • Maharaj PPP et al. (2015) “Folate content and retention in commonly consumed vegetables in the South Pacific.”, Food Chemistry ;182:327-32.
                                                • www.agraria.org
                                                • www.bda-ieo.it
                                                • www.humanitas.it

                                                Gamberi

                                                 

                                                valori nutrizionali gamberi

                                                Definizione del termine generico “gamberi”

                                                Il termine generico “gambero” identifica diverse specie di crostacei, sia marine che d’acqua dolce, appartenenti a differenti ordini (prevalentemente all’ordine dei Decapodi).

                                                 

                                                Tra essi è presente il gambero d’acqua dolce (Austropotamobius pallipes italicus), piccolo crostaceo appartenente alla famiglia degli Astacidi, che si trova nell’Europa occidentale, dal Portogallo alla Svizzera e alla Dalmazia e dall’Inghilterra alla Francia fino alla Liguria.

                                                 

                                                Tra i gamberi d’acqua salata fa parte il gamberetto (Palaemon serratus), specie presente nel Mar Mediterraneo su fondali rocciosi e ricchi di alghe fino a circa 15 metri di profondità.

                                                Un’altra specie che si trova nel Mediterraneo ed è autoctona della zona è la mazzancolla (Penaeus kerathurus Forskäl).

                                                 

                                                Una specie simile nella pigmentazione alla mazzancolla è il gamberone giapponese (Penaeus japonicus), noto anche col nome di “mazzancolla imperiale” o “mazzancolla giapponese“.

                                                E’ allevato in Giappone, Corea del Nord e Taiwan e, tra i Peneidi, è il più allevato nell’area del Mediterraneo (Spagna, Italia, Francia, Portogallo, Grecia, Albania, Turchia ed Egitto).

                                                Grazie alla capacità di sopravvivere per tempi lunghi fuori dall’acqua, la resistenza alle basse temperature (< 5°C) ed allo stress consente agli esemplari adulti di questa specie di sopravvivere al freddo invernale ed ai vari stress di pesca permettendogli di giungere vivo sui banchi di pesca e di essere facilmente esportabile.

                                                 

                                                Esiste anche il gambero tigre gigante (Penaeus monodon Fabricius), nome che deriva dalle notevoli dimensioni raggiunte (36 cm) e per le bande verticali che percorrono i segmenti addominali.

                                                Questa specie non è presente nel Mediterraneo ed è originaria dell’Oceano Indiano e dell’Oceano Pacifico sud occidentale, con estensione dal Giappone all’Australia.

                                                E’ largamente prodotto in quasi tutti i paesi asiatici e sono state condotte delle prove di allevamento intensivo ed estensivo in Italia nell’Adriatico del Nord.

                                                 

                                                Proprietà nutrizionali dei gamberi

                                                tabella con i valori nutrizionali di gamberi e gamberetti
                                                Tabella con i valori nutrizionali di gamberi e gamberetti

                                                Valori nutrizionali di gamberi e gamberetti

                                                I gamberetti appartengono alla famiglia dei crostacei, quindi dal punto di vista nutrizionale presentano un basso apporto energetico ed un buon contenuto di proteine.

                                                La quantità di grassi è molto bassa, con prevalenza di mono e polinsaturi.

                                                 

                                                Anche se in percentuali molto ridotte rispetto al pesce azzurro, i gamberi presentano EPA e DHA, acidi grassi essenziali a lunga catena della serie omega-3 che aiutano a salvaguardare il sistema cardiovascolare.

                                                I livelli di colesterolo sono relativamente alti, per questo vi consigliamo di limitarne il loro consumo.

                                                 

                                                I gamberi sono buona fonte di vitamine del gruppo B e di minerali come selenio, iodio, zinco, fosforo e magnesio.

                                                 

                                                Benefici dei gamberi

                                                I gamberi contengono buona fonte di vitamine del gruppo B che svolgono azioni positive a livello del metabolismo.

                                                Di minerali sono presenti il calcio e il fosforo che favoriscono la salute delle ossa e il ferro che è un componente dell’emoglobina e della mioglobina. Ricordiamo inoltre il selenio, un minerale cofattore di enzimi con un ruolo importante nella difesa antiossidante dell’organismo.

                                                 

                                                La porzione standard consigliata è di 150 grammi, che corrisponde 6 gamberi e circa 20 gamberetti.

                                                 

                                                Una porzione di gamberi copre quasi la totalità del fabbisogno giornaliero di selenio (45 µg), facendo riferimento alla popolazione adulta (55 µg).

                                                 

                                                Produzione e Tecnologia dei gamberi

                                                Caratteristiche del gambero d’acqua dolce

                                                Il gambero d’acqua dolce è un gambero dall’aspetto piuttosto robusto che raramente supera i 12 cm di lunghezza totale ed i 90 g di peso.

                                                Il corpo è di colore bruno-verdastro sul dorso e sui fianchi mentre biancastro sul ventre e sugli arti e, proprio per questa caratteristica, questa specie è nota anche con il nome di “gambero dai piedi bianchi“.

                                                 

                                                I maschi rispetto alle femmine sono più grandi, hanno chele più sviluppate, l’addome più stretto con le prime due appendici (dette pleopodi) modificate in organi sessuali che, all’atto dell’accoppiamento, si uniscono a formare un unico organo copulatore. Nella femmina le appendici dell’addome sono invece tutte uguali.

                                                 

                                                Questa specie vive lungo fiumi e torrenti ed è onnivoro.

                                                Si nutre infatti di insetti, lombrichi, molluschi, larve, piccoli pesci, animali morti, radici di piante acquatiche e anche detriti vegetali e animali di vario genere. È un predatore notturno mentre trascorre la maggior parte del giorno nascosto.

                                                I gamberi giovani e gli adulti in muta sono preda di Salmonidi e anguille.

                                                 

                                                Acquacoltura del gambero di fiume

                                                L’allevamento del gambero di fiume, viene fatto utilizzando vasche con argini e fondale in terra, costruite quasi sempre in aree limitrofe ai luoghi di pesca sui circostanti fiumi.

                                                È condotto solo ai fini di ripopolamento dei corsi d’acqua in cui tale specie risulta naturalmente presente. Il gambero d’acqua dolce autoctono è una specie protetta, presente nella red list dell’ Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).

                                                 

                                                Caratteristiche del gambero d’acqua salata

                                                Il gambero d’acqua salata presenta l’intero corpo rivestito da una corazza (detta carapace).

                                                La parte anteriore del corpo (cefalotorace) è costituita dalla fusione della testa col torace; in essa sono contenuti sistema nervoso, branchie, cuore, stomaco e presenta un rostro dentato e una serie di carene, solchi e spine.

                                                Dal carapace partono le antenne, recettori meccanici sensibili alle vibrazioni e le antennule con funzione olfattiva e di equilibrio rispetto alla gravità.

                                                 

                                                La parte edibile dell’animale è l’addome, che è suddiviso in sei segmenti.

                                                Le appendici anteriori (pereiopodi) hanno funzione esplorativa e prensile, le appendici al disotto dell’addome (pleopodi) sono utilizzate per il nuoto, mentre la parte caudale formata da quattro segmenti (uropodi) hanno funzione di timone nel nuoto e di remo nella tipica fuga all’indietro.

                                                Al termine è presente una spina appuntita, il telson.

                                                 

                                                Stagionalità di gamberi e gamberetti

                                                I gamberi sul mercato si trovano in diversi periodi dell’anno a seconda della specie e della zona; in Italia ad esempio i gamberetti rosa sono tipici della primavera (da marzo a giugno).

                                                 

                                                Preparazione e Conservazione di gamberi e gamberetti

                                                In fase di acquisto i gamberi devono avere un odore delicato, gradevole, non ammoniacale.

                                                Se li acquistate freschi state attenti che i gamberi siano vivi e l’occhio, le zampe e le antenne siano mobili, il colore poi deve essere vivido e brillante.

                                                 

                                                Sono alimenti estremamente delicati, che devono essere consumati o congelati il prima possibile.

                                                Potete conservarli in frigorifero, ben coperti da pellicola alimentare o chiusi in un sacchetto freezer, per 1 giorno al massimo. Se sono molto freschi, è possibile congelarli, a -18°C, in appositi sacchetti ben chiusi, avendo l’accortezza di eliminare quanta più aria possibile. Si possono così conservare 3 mesi.

                                                 

                                                Per pulire i gamberi, per prima cosa sciacquateli sotto l’acqua corrente, posizionatevi su un tagliere e staccate la testa. Sempre utilizzando le mani staccate le zampette e il carapace, ovvero la corazza che protegge le carni.

                                                Potete decidere in questo caso, a seconda della preparazione che intendete fare, se lasciare la parte finale della coda.

                                                 

                                                Una volta pulito esternamente, procedete a compiere un’operazione molto delicata ovvero quella di togliere l’intestino interno: incidete il dorso del gambero con un coltellino ed eliminatelo tirando delicatamente, cercando di non romperlo. Potete fare questa operazione anche con uno stecchino: inseritelo nella carne del gambero, individuate l’intestino e tirate per eliminarlo.

                                                 

                                                I gamberi si possono pulire anche da cotti: sbollentateli per qualche minuto in acqua bollente, lasciateli immersi per 4-5 minuti e scolateli con una schiumarola. Quindi fateli raffreddare per un paio di minuti e poi procedete con la pulizia. Eliminate la testa, le zampe e il carapace, anche in questo caso potete lasciare anche la coda.

                                                 

                                                Poi potrete cuocerli al vapore, lessarli o saltarli in padella.

                                                Vi ricordiamo che non è necessario aggiungere sale in cottura, il loro contenuto di sodio è già di per sé alto.

                                                 

                                                Le proposte di ricette di FBO con i gamberi

                                                Farro

                                                 

                                                tipi di farro

                                                Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)

                                                Genere: Triticum

                                                Specie: Triticum monococcum, Triticum dicoccum, Triticum spelta

                                                 

                                                Cos’è il farro

                                                Il farro è un termine generico usato per indicare tre specie diverse del genere Triticum, comunemente chiamate “frumenti vestiti”, che rispondono ai nomi scientifici di Triticum dicoccum, Triticum monococcum e Triticum spelta.

                                                 

                                                Tutte e tre le tipologie hanno le stesse caratteristiche di fragilità del rachide ma ognuna mostra però delle peculirità.

                                                 

                                                In commercio si trova anche il farro di Monteleone di Spoleto DOP (Reg. UE n. 623 del 15.07.10) e il farro della Garfagnana IGP (Reg. CE n.1263/96).

                                                 

                                                In generale la coltivazione del farro è andata riducendosi nel corso dei secoli, ma grazie alla sua importanza nutrizionale, negli ultimi anni se ne sta riscoprendo il consumo.

                                                 

                                                Tipi di farro

                                                Il farro piccolo o monococco è una specie diploide ed è il farro di più antica origine e coltivazione originario delle aree montagnose dell’odierna Turchia.

                                                È il meno produttivo dei tre farri ed è anche il tipo più tardivo (spigatura e maturazione ritardano di 10-20 giorni rispetto alle comuni varietà di frumento tenero) e per questo motivo è inadatto agli ambienti caratterizzati da precoce innalzamento delle temperature accompagnato da assenza di precipitazioni.

                                                Possiede però cariossidi a frattura semi-vitrea che hanno un elevato contenuto di proteine e di carotenoidi.

                                                 

                                                Il farro medio è una specie tetraploide e, come il farro piccolo, ha una spiga compatta e generalmente aristata. Le spighette contengono di norma due cariossidi, raramente tre.

                                                Deriva dalla domesticazione della specie selvatica T. dicoccoides, la cui area di diffusione è collocabile da oriente del Mediterraneo fino al Caucaso.

                                                Il farro medio è il più importante e il più diffuso farro coltivato in Italia, nella zona centro-meridionale, tanto da essere spesso considerato il farro per antonomasia.

                                                Con il tempo si sono differenziate delle popolazioni autoctone (ecotipi) di farro e ogni ecotipo presenta delle sue peculiarità.

                                                 

                                                Il farro grande è una specie esaploide che, come il farro medio, contiene due cariossidi, raramente tre, in ogni spighetta.

                                                È il farro di origine più recente ed è originario della zona dal Mar Caspio ai territori dell’Afghanistan e del Kazakistan odierni.

                                                Rispetto al farro medio offre produzioni superiori in condizioni ambientali favorevoli ma lo spelta non è presente in Italia sotto forma di popolazioni autoctone; sono disponibili invece numerose varietà commerciali, quasi tutte selezionate in paesi centroeuropei.

                                                 

                                                Proprietà nutrizionali del farro

                                                tabella con i valori nutrizionali del farro
                                                Tabella con i valori nutrizionali del farro perlato crudo e cotto (bollito)

                                                Farro valori nutrizionali

                                                Come tutti i cereali, il farro è fonte di carboidrati complessi, fibra, proteine e lipidi.

                                                 

                                                Sebbene contenga in quantità minori, rispetto agli altri cereali, la sequenza di aminoacidi che scatena i sintomi tipici della celiachia, deve essere comunque escluso dalla dieta delle persone che presentano tale condizione.

                                                 

                                                Buono è anche il suo quantitativo in vitamine, in particolare del gruppo B e minerali come ferro, potassio e fosforo.

                                                 

                                                Farro benefici

                                                Le fibre in esso contenute contribuiscono anche a ridurre i livelli di colesterolo cattivo nel sangue e il conseguente rischio cardiovascolare (beneficio potenziato dalla presenza di niacina) e aiutano a tenere sotto controllo i livelli di zuccheri e il conseguente rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.

                                                 

                                                Le vitamine del gruppo B presenti nel farro sono utilizzate per le funzioni metaboliche del corpo.

                                                Per quanto riguarda i minerali: il ferro viene utilizzato per la produzione di globuli rossi, il potassio per regolare la pressione arteriosa e il fosforo contribuisce a mantenere in salute i denti e le ossa.

                                                 

                                                Tuttavia, i prodotti che subiscono la lavorazione di allontanamento dello strato più esterno del chicco sono più poveri in fibra, vitamine e minerali, per questo si consiglia prediligere la forma decorticata e le farine integrali, così da beneficiare degli effetti positivi per la salute.

                                                 

                                                La porzione standard consigliata è di 80 grammi, che corrisponde circa a 4 cucchiai di farro.

                                                 

                                                Una porzione di farro contiene 336 mg di fosforo, ricoprendo così quasi la metà della dose giornaliera raccomandata per la popolazione adulta.

                                                Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di fosforo per la popolazione adulta è di 700 mg.

                                                 

                                                Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile per ridurre il gonfiore addominale o la gastrite, possibile effetti avversi legati al trattamento oncologico.

                                                 

                                                Farro controindicazioni

                                                È sconsigliato il consumo di farro a soggetti celiaci a causa della presenza di glutine, ai soggetti intolleranti al glutine e ai soggetti con problemi intestinali (come la colite) dato l’apporto di fibre contenute nel cereale.

                                                 

                                                Produzione e Tecnologia del farro

                                                Caratteri botanici del farro

                                                Il farro si adatta in quei terreni dove altre varietà di frumento tenero e di altri cereali a paglia non riescono grazie alle sue caratteristiche.

                                                 

                                                È infatti una specie rustica, con modeste esigenze di terreno, resistente al freddo e con un forte potere di accestimento, che può consentire il recupero di una sufficiente fittezza delle colture.

                                                 

                                                Presenta inoltre un ciclo di sviluppo tardivo, non compatibile con profili climatici meno piovosi e più caldi di quelli di collina e montagna durante le fasi finali del processo produttivo.

                                                Ha una taglia alta della pianta e una cariosside vestita dagli involucri glumeali, valida protezione contro avversità, che di norma accompagna la granigione e la maturazione negli ambienti altocollinari.

                                                 

                                                Coltivazione del farro

                                                La preparazione del letto di semina per il farro non è così accurata come quella degli altri cereali vernini.

                                                 

                                                La semina avviene di norma in autunno, salvo in ambienti ad altitudini elevate dove viene eseguita a fine inverno per evitare i rischi connessi con le temperature molto basse di tale stagione. Se la semina è post-invernale può cadere da fine febbraio ad aprile inoltrato, a seconda delle condizioni locali.

                                                Viene effettuata a spaglio o con le comuni seminatrici per cereali.

                                                 

                                                Per la concimazione del terreno di solito è sufficiente la letamazione o la fertilità lasciata dall’erba medica; il farro ha infatti modeste esigenze nutritive.

                                                Inoltre, essendo coltivato in zone marginali dove si fa poco uso di erbicidi, difficilmente si fa ricorso a un controllo chimico delle infestanti.

                                                 

                                                Questi cereali presentano una rapida crescita iniziale e un elevato accestimento e la raccolta risulta più tardiva rispetto al frumento tenero; viene infatti effettuata a partire dalla fine della prima metà di luglio e fino a metà agosto, a seconda delle aree e del tipo di farro.

                                                 

                                                Produzione del farro

                                                A causa dell’elevata fragilità del rachide della spiga e dell’aderenza delle glume e delle glumelle alla cariosside, durante la trebbiatura si deve ridurre la velocità di avanzamento della macchina e di rotazione dell’aspo.

                                                 

                                                Inoltre, proprio per queste caratteristiche, durante la trebbiatura il rachide si disarticola facilmente liberando spighette intere contenenti cariossidi che rimangono avvolte (“vestite”) dagli involucri glumeali.

                                                Per ottenere la granella nuda è necessaria un’ulteriore lavorazione di svestitura, detta anche sbramatura o sgusciatura.

                                                 

                                                Le produzioni sono molto variabili: dai 28-30 quintali ad ettaro nei terreni di pianura ai 10-18 delle zone di montagna e marginali.

                                                 

                                                La granella possiede un elevato valore alimentare e, oltre ad essere usata (quasi interamente) nell’alimentazione umana, può essere impiegata nell’alimentazione zootecnica.

                                                 

                                                Stagionalità del farro

                                                Il farro, poiché viene commercializzato essiccato, è acquistabile tutto l’anno ed è di facile reperibilità nel mercato italiano.

                                                 

                                                Preparazione e Conservazione del farro

                                                In commercio esistono due tipi di farro:

                                                 

                                                • il farro decorticato, un farro integrale che ha bisogno di qualche ora in ammollo prima di essere cotto,

                                                 

                                                • il farro perlato che invece non presenta la pellicola e quindi non necessita di ammollo né di lunghi tempi di cottura.

                                                 

                                                Per dimezzare i tempi di preparazione si può utilizzare la cottura in pentola a pressione.

                                                 

                                                Come detto in precedenza, per non perdere i vantaggi delle fibre è consigliabile scegliere il farro decorticato in quanto durante l’operazione di perlatura vengono perse la maggior parte delle fibre.

                                                 

                                                Prima di cucinare il farro, è bene lavare accuratamente i chicchi per eliminare ogni tipo di impurità.

                                                 

                                                Il farro decorticato, dopo essere stato in ammollo per almeno 8 ore, cuoce in acqua bollente per circa 50-60 minuti, mentre il farro perlato cuoce per circa 30 minuti.

                                                 

                                                Il sapore di questo cereale risulta abbastanza neutro ed è per questo che si sposa bene con qualunque preparazione, fredda o calda. Può essere utilizzato come il riso per la preparazione di zuppe e minestre calde o per insalate fredde.

                                                 

                                                Una volta aperta la confezione, il farro deve essere conservato al riparo dall’umidità in un contenitore chiuso e consumato entro la data di scadenza. Se vi dovesse avanzare del farro bollito potete conservarlo in frigorifero per un paio di giorni in un contenitore ermetico.

                                                 

                                                Le proposte di ricette di FBO con il farro

                                                  • Gianfrani C et al. (2012) “Immunogenicity of monococcum wheat in celiac patients.”, The American Journal of Clinical Nutrition;96(6):1339-45.
                                                  • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                  • www.agraria.org
                                                  • www.bda-ieo.it
                                                  • www.humanitas.it

                                                  Ostriche

                                                   

                                                  specie di ostriche

                                                  Famiglia: Ostreidae

                                                  Genere: Ostrea

                                                  Specie: Ostrea edulis L.

                                                   

                                                  Specie di ostriche

                                                  L’ostrica piatta (Ostrea edulis L.) è un mollusco bivalve, vive attaccata alle rocce ed è la specie più diffusa e coltivata nel Mediterraneo.

                                                   

                                                  Esistono diverse specie di ostriche.

                                                   

                                                  • L’ostrica piatta (Ostrea edulis L.) è presente in tutti i mari d’Europa, nel Mar Nero e nell’ Atlantico orientale, dalla Norvegia fino al Marocco, si distingue facilmente dalle altre ostriche presenti sul mercato per la forma tondeggiante delle valve.

                                                   

                                                  • L’ostrica portoghese (Crassostrea angulata Lamarck) e l’ostrica giapponese o del Pacifico (Crassostrea gigas Thunberg), entrambe conosciute con il nome di ostriche concave, hanno invece le valve a forma di ovale allungato.

                                                   

                                                  Inoltre alcune specie di ostriche producono pregiate perle.

                                                   

                                                  Proprietà nutrizionali delle ostriche

                                                  tabella con i valori nutrizionali delle ostriche

                                                  Valori nutrizionali delle ostriche

                                                  L’ostrica è un mollusco bivalve, che contiene proteine ad alto valore biologico, sali minerali e vitamine del gruppo B.

                                                   

                                                  Benefici delle ostriche

                                                  L’ostrica è composta da diversi minerali che apportano benefici all’organismo.

                                                  Tra questi spiccano il calcio ed il fosforo, fondamentali per lo sviluppo e per la salute delle ossa e dei denti, il ferro, fondamentale per la composizione dell’emoglobina e che contribuisce alla produzione di alcuni ormoni e di tessuto connettivo.

                                                  Lo zinco invece è coinvolto nella risposta immunitaria, nella guarigione delle ferite e nella riparazione dei tessuti, mentre il potassio aiuta a mantenere la pressione della norma.

                                                   

                                                  La porzione standard consigliata è 150 grammi di ostriche.

                                                   

                                                  Il consumo di questo mollusco può essere utile in caso di carenza di vitamina D.

                                                   

                                                  Produzione e Tecnologia delle ostriche

                                                  Caratteristiche delle ostriche

                                                  L’ostrica concava è una specie di mollusco endemica costituita esternamente da una conchiglia, al cui interno si trova il mollusco.

                                                  La conchiglia è formata da due valve con forma variabile a seconda dell’ambiente in cui vive, in cui la valva inferiore è concava mentre quella superiore è piatta.

                                                  Il guscio è di colore avorio mentre la parte esterna è marroncina, con diverse varianti fino al giallino, caratterizzata da un elevato numero di striature, macchie violacee e da ampie scanalature.

                                                  L’interno della conchiglia si presenta di colore bianco e il mollusco in essa presente ha il corpo dalla forma tondeggiante con i margini dei due lembi del mantello frangiati.

                                                   

                                                  Le ostriche in genere misurano dai 6 ai 9 cm e alcune possono arrivare fino a 15 cm.

                                                   

                                                  Habitat delle ostriche

                                                  Si nutrono principalmente di alghe e vivono attaccate a rocce, conchiglie e detriti anche se alcuni esemplari si possono trovare su fondali sabbiosi e fangosi.

                                                  Prediligono acque non molto profonde con una salinità compresa tra 20 e 25‰, anche se è una specie molto resistente che riesce a sopravvivere a diverse temperature (tra -1,8 e 35°C) e con differenti livelli di salinità (inferiori al 10‰ o superiori al 35‰).

                                                   

                                                  Allevamento delle ostriche

                                                  L’ostrica è una specie ermafrodita proterandra. Nelle zone con un buon approvvigionamento alimentare si ha una prevalenza di sesso femminile, mentre dove c’è scarsa disponibilità di cibo viene riscontrato un numero maggiore di individui maschi.

                                                   

                                                  La gametogenesi ha inizio in condizioni di temperatura prossime ai 10°C e salinità compresa tra 15 e 32‰; la deposizione delle uova invece avviene generalmente a temperature superiori a 20°C.

                                                  Dopo la schiusa delle uova le larve, utilizzando il piede larvale, iniziano a cercare un luogo adatto per l’insediamento a cui vi si attaccano in maniera permanente tramite una secrezione cementizia prodotta da una ghiandola presente sul piede.

                                                  Una volta avvenuto l’insediamento inizia la metamorfosi allo stadio giovanile; la crescita è molto rapida.

                                                   

                                                  Per l’allevamento i sistemi utilizzati sono analoghi a quelli impiegati nella mitilicoltura, tanto che talvolta vengono allevate entrambe le specie.

                                                   

                                                  Il seme può essere reperito tramite captazione su banchi naturali in prossimità dell’allevamento, tramite acquisto da altri allevamenti o da schiuditoi. Le giovani ostriche vengono poste a dimora sul fondale o in appositi contenitori mantenuti in sospensione.

                                                   

                                                  Ostriche: prodotti presenti sul mercato

                                                  In commercio si trova il prodotto fresco, la cui commercializzazione risulta molto complicata a causa della shelf-life relativamente breve, mentre il prodotto trasformato e venduto in scatola, surgelato, sottovuoto o sottoforma di vari tipi di preparati o salse risulta meno complicato da conservare.

                                                   

                                                  Stagionalità delle ostriche

                                                  Sul mercato le ostriche sono disponibili tutto l’anno, in particolare da ottobre ad aprile.

                                                   

                                                  Preparazione e Conservazione delle ostriche

                                                  Per riconoscere la loro freschezza, le ostriche devono essere e rimanere chiuse quando si utilizzano.

                                                   

                                                  Le ostriche concave possono essere conservate in frigorifero per solo un giorno. Le ostriche di buona qualità possono mantenersi fino a 10 giorni dalla raccolta, tutte ben chiuse, ben vive e freschissime dalla spedizione e mantenute poi in frigo e ad un massimo di temperatura di 2–4°C, tenute in posizione orizzontale perché non perdano il loro liquido.

                                                  Per consumare l’ostrica bisogna aprirla; per fare ciò occorre inserire la punta del coltello tra le due valve dell’ostrica e affondare fino a staccare il muscolo all’interno. In seguito si deve proseguire scorrendo con il coltello lungo tutto il perimetro del guscio fino a staccare completamente il guscio interno e poi aprire le due parti facendo attenzione a non far cadere il liquido interno all’ostrica.

                                                  Una volta eliminata una parte del guscio, riponete l’ostrica sul palmo della mano e con il coltello passate sotto il mollusco per staccare anche l’altra parte del muscolo.

                                                   

                                                  Le ostriche possono essere consumate cotte o crude, anche se il calore annienta eventuali sostanze tossiche.

                                                  Vi ricordiamo che, prima di consumarle crude, al momento dell’acquisto è bene informarsi se sia stato effettuato il congelamento preventivo. Infatti il Regolamento CE 853/2004 obbliga chi vende o somministra pesce fresco a congelarlo a -20°C per almeno 24 ore.

                                                  Capesante o Cappesante

                                                   

                                                  capesante o cappesante

                                                  Famiglia: Pectinidae

                                                  Genere: Pecten

                                                  Specie: Pecten jacobaeus

                                                   

                                                  Storia delle capesante

                                                  La capasanta, conosciuta anche come cappasanta, pettine di mare o conchiglia di San Giacomo, è un mollusco bivalve.

                                                   

                                                  È costituito esternamente da una conchiglia equilaterale a forma di ventaglio mentre internamente da una parte bianca, soda e tenera, al centro e da una parte arancione, decisamente più cremosa, ai margini.

                                                   

                                                  Questo mollusco è presente in tutti i mari italiani, in particolare in alto Adriatico, e nell’Oceano Atlantico.

                                                  In Italia si trova la specie mediterranea Pecten jacobaeus mentre nel mare del nord è presente la specie Pecten maximus.

                                                   

                                                  La capasanta viene generalmente venduta viva ma si può trovare anche surgelata.

                                                   

                                                  Proprietà nutrizionali delle capesante o cappesante

                                                  capesante tabella

                                                  Valori nutrizionali delle capesante

                                                  Le capesante sono povere di grassi saturi, ovvero lipidi che se assunti in quantità eccessive possono essere pericolosi per la salute di cuore e arterie.

                                                  Sono anche una fonte di acidi grassi insaturi, gli omega 3, e di proteine di qualità elevata.

                                                   

                                                  Questi molluschi forniscono inoltre potassio, magnesiovitamine del gruppo Bfosforo e selenio.

                                                   

                                                  Tuttavia le capesante sono anche ricche di colesterolo, il cui apporto giornaliero non dovrebbe superare i 300 mg (o i 200 mg in presenza di disturbi cardiovascolari).

                                                  Inoltre sono una grande fonte di sodio, un altro potenziale nemico del sistema cardiovascolare la cui assunzione non dovrebbe superare i 2.000 mg al dì.

                                                   

                                                  Benefici delle capesante

                                                  Gli omega 3 sono acidi grassi ottimi proprio per la salute cardiovascolare e il potassio fa bene a cuore e arterie controllando la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna.

                                                   

                                                  Importanti sono anche il magnesio, che è coinvolto in numerosi processi all’interno e all’esterno delle cellule, il fosforo, fondamentale per la salute di ossa e denti e il selenio, un micronutriente dalle funzioni antiossidanti.

                                                   

                                                  Le vitamine del gruppo B presenti invece garantiscono un buon metabolismo.

                                                   

                                                  La porzione consigliata, così come tutto il pesce fresco o surgelato, è di 150 grammi.

                                                   

                                                  Produzione e Tecnologia della capesante o cappesante

                                                  Caratteristiche delle capesante

                                                  Le capesante sono molluschi bivalvi costituiti esternamente da due conchiglie dalla colorazione rosso-arancio chiuse da una cerniera mobile la cui forma ricorda quella di un ventaglio.

                                                   

                                                  Ciascuna conchiglia (o valva) possiede due espansioni laterali, dette orecchiette, dalla forma triangolare e dalle dimensioni pressoché uguali.

                                                  La conchiglia della parte superiore ha una colorazione più intensa, quella della parte inferiore è molto chiara ed è convessa. Su ciascuna valva, esternamente, sono presenti dalle 14 alle 16 costole striate che si irradiano dalla cerniera.

                                                   

                                                  All’interno delle due conchiglie è racchiuso il mollusco formato da una parte bianca soda chiamata noce al centro e da una parte color bruno-rossiccia molto morbida detta corallo nella parte più marginale.

                                                  Gli occhi di questo animale sono catadiottrici cioè basano il loro principio di funzionamento sulla riflessione.

                                                   

                                                  Le capesante sono animali ermafroditi. Si riproducono a maggio e a giugno dando vita a piccole larve di tipo planctonico fino ad arrivare mediamente a una lunghezza di 12 – 14 centimetri; possono vivere sino a 20 anni.

                                                   

                                                  Il loro habitat naturale è costituito dai fondali sabbiosi o di tipo detritico ad una profondità che varia dai 25 metri sotto il livello del mare fino a 200 metri.

                                                  Gli esemplari più giovani si ancorano al fondo con degli appositi filamenti mentre gli adulti possono spostarsi sui fondali grazie al movimento repentino di apertura e chiusura delle valve, con conseguente espulsione dell’acqua al di fuori (idropropulsione).

                                                   

                                                  Allevamento delle capesante

                                                  Le capesante immesse sul mercato provengono dalle attività di pesca o di allevamento in mare aperto.

                                                  Gli allevamenti si trovano solitamente poco lontani dalla costa e, dopo un anno di vita, le capesante vengono immesse all’interno di nasse particolari dove rimarranno sino alla raccolta.

                                                   

                                                  Essendo degli organismi filtratori non avranno bisogno di essere cibate per cui l’allevamento risulta abbastanza redditizio.

                                                  Le tecniche di allevamento utilizzate sono la molluschicoltura, la stagnicoltura e la vallicoltura.

                                                   

                                                  La pesca delle capesante viene invece praticata con le draghe o con le reti a strascico, tecnica in cui le imbarcazioni, stascicando su fondali sabbiosi, raccolgono i molluschi all’interno del grande sacco.

                                                  Una volta salpate le reti le capesante di misura non idonea vengono rigettate in mare rapidamente dato che il mollusco non riesce a sopportare bene lo stress del prelievo.

                                                   

                                                  Si tratta di un prodotto abbastanza costoso che può essere commercializzato vivo, surgelato sgusciato o preparato in conserva.

                                                   

                                                  Stagionalità delle capesante

                                                  I principali mesi in cui è possibile reperire sul mercato le capesante sono quelli compresi tra maggio e settembre e quello di dicembre, anche se la pesca può avvenire durante tutto l’anno.

                                                   

                                                  Preparazione e Conservazione delle capesante o cappesante

                                                  Quando acquistate le capesante dovete accertarvi che abbiamo un diametro di circa 10 cm e che il loro guscio sia ben chiuso. Quest’ultimo è un requisito importante per avere la certezza che il mollusco sia vivo.

                                                  Ad ogni modo chiedete al venditore di aprirvene una così da poter controllare che la carne all’interno sia di colore bianco candido ed arancione brillante, con una consistenza bella solida.

                                                   

                                                  Pulire le capesante è una fase fondamentale sia per la riuscita finale del piatto sia perché questo mollusco può essere mangiato crudo.

                                                   

                                                  La prima cosa da dover fare è lasciare le capesante in una ciotola di acqua fredda e sale grosso per almeno mezz’ora.

                                                  Con un coltellino appuntito si dovrà far entrare la lama tra le due conchiglie e staccare il muscolo che si trova nella parte piatta della conchiglia. Bisognerà staccare totalmente il frutto e rimuovere la pelle trasparente che lo avvolge e la parte nera.

                                                  Una volta separata la parte bianca da quella del muscolo arancione si potranno pulire entrambe sotto acqua corrente fredda.

                                                   

                                                  Le capesante possono essere consumate sia crude che cotte, sia come antipasto che come secondo.

                                                   

                                                  Il loro guscio, impiegato spesso come piattino, le rende molto sceniche e perfette per delle eleganti preparazioni.

                                                  Molto utilizzate in cucina, le capesante in passato erano uno dei piatti tipici di Natale (soprattutto quelle gratinate) ma oggi è facile trovarle durante tutto l’anno nei ristoranti che preparano piatti a base di pesce.

                                                   

                                                  Gratinate, al forno, in umido oppure crude, le capesante possono essere mangiate in modi diversi ma tutti necessitano di una cottura non troppo lunga per evitare che possano seccarsi.

                                                   

                                                  Le proposte di ricette di FBO con le capesante:

                                                   

                                                  Vongole

                                                   

                                                  vongole

                                                  Famiglia: Veneridae

                                                  Genere: Ruditapes

                                                  Specie: Ruditapes spp.

                                                   

                                                  Cos’è la vongola?

                                                  La vongola è un mollusco bivalvo appartenente alla famiglia dei Veneridae.

                                                  È quindi dotata di due conchiglie ovoidali-triangolari ellittiche combacianti tra loro dalla colorazione variabile (bianco, grigio o marrone).

                                                   

                                                  Tipi di vongole

                                                  Esistono diversi tipi di vongole. La vongola verace nostrana (Ruditapes decussatus) è una specie difficile da allevare e, per questo motivo, poco diffusa.

                                                  Al suo posto si trova la vongola filippina (Ruditapes philippinarum o Ruditapes semidecussatus), specie originaria del Pacifico, molto coltivata nelle lagune dell’Alto Adriatico dove ha trovato un habitat ottimale per la riproduzione.

                                                   

                                                  La vongola verace nostrana

                                                  La vongola verace nostrana (Ruditapes decussatus) ha una conchiglia robusta di colore bianco-grigio-giallastro con macchie e striature più scure. Internamente invece è biancastra con un’eventuale macchia violacea. La valva, nella parte interna, è liscia.

                                                  Questa specie può raggiungere una dimensione massima di circa 6 cm ma generalmente la dimensione media degli esemplari si aggira attorno ai 3-4 cm.

                                                   

                                                  La vongola filippina

                                                  La vongola filippina (Ruditapes philippinarum o Ruditapes semidecussatus) ha un guscio robusto di forma ovale, che può raggiungere i 6 – 8 cm di diametro, e un colore solitamente molto vivace.

                                                  Rispetto alla vongola verace, dove i sifoni appaiono separati, nella vongola filippina essi risultano uniti alla base e divisi all’estremità.

                                                   

                                                  Proprietà nutrizionali delle vongole

                                                  tabella con i valori nutrizionali delle vongole

                                                  Vongole valori nutrizionali

                                                  Le vongole contengono pochi lipidi, tracce di carboidrati ed una buona quantità di proteine ad alto valore biologico e diversi minerali, tra i quali spiccano il potassio, il calcio e il ferro.

                                                   

                                                  Sebbene le vongole siano caratterizzate da un contenuto calorico non molto elevato, è bene non consumarle spesso per via del notevole contenuto di colesterolo e sodio.

                                                   

                                                  Vongole benefici

                                                  I benefici delle vongole sono da ricondurre ai minerali che queste contengono e alla buona quantità di proteine di cui dispongono.

                                                  Tra i minerali spiccano soprattutto il potassio e il calcio. Il primo contribuisce a regolare la pressione sanguigna ed è fondamentale per mantenere un corretto bilancio idrico, mentre il secondo favorisce la salute dei denti e delle ossa, favorisce una corretta funzionalità dei muscoli e dei nervi e agisce a livello della coagulazione del sangue.

                                                   

                                                  Le vongole sono anche ricche di ferro e di vitamina B12.

                                                  Una sola porzione soddisfa ampiamente il fabbisogno giornaliero di questo prezioso minerale e di questa vitamina, sia per la popolazione maschile che femminile.

                                                  Il consumo di questo alimento può essere quindi utile in caso di anemia sideropenica e ipovitaminosi di vitamina B12.

                                                   

                                                  Ricordiamo che la porzione standard di consumo per i molluschi freschi o surgelati è di 150 grammi, che corrisponde circa a un piatto di vongole fresche o surgelate.

                                                   

                                                  Vongole controindicazioni

                                                  È bene ricordare che le vongole sono molluschi filtratori e possono quindi essere veicolo di microrganismi patogeni per l’uomo; è consigliabile dunque acquistare solo vongole dalla provenienza sicura per scongiurare il rischio di contrarre malattie come salmonellosi, tifo, epatite A e colera. Infatti, sebbene la cottura elimini la carica microbica, per ridurre al minimo il rischio di contagio è consigliabile comunque acquistare solo prodotti certificati e garantiti.

                                                  È sconsigliato inoltre il consumo del prodotto crudo, soprattutto per i soggetti con problemi di colesterolo, pressione alta e per chi soffre di epatite.

                                                   

                                                  In gravidanza e in allattamento se ne sconsiglia in generale il consumo.

                                                  Produzione e Tecnologia delle vongole

                                                  Caratteristiche e habitat delle vongole

                                                  La vongola è un mollusco bivalve che vive in acque poco profonde sepolto a 15-20 cm di profondità sotto la sabbia e sotto fondali di tipo limaccioso.

                                                  È una specie che si nutre filtrando detriti e fitoplancton dall’acqua tramite i sifoni e le sue branchie sono costituite da due coppie di piastre composte di filamenti.

                                                   

                                                  La riproduzione è esterna ed avviene prevalentemente nella stagione estiva, sia in natura che negli incubatoi.

                                                  La deposizione delle uova solitamente ha luogo in condizioni di temperatura comprese tra i 20-25°C e nel tardo autunno-inizio inverno viene comunemente osservato un periodo di riposo sessuale.

                                                  Dopo la schiusa delle uova, le larve fuoriuscite nuotano liberamente per un periodo di circa 10-15 giorni e successivamente si stabiliscono sul fondo tramite l’attacco di un bisso ad una piccola roccia o ad un pezzo di guscio.

                                                   

                                                  Allevamento delle vongole

                                                  L’allevamento delle vongole viene praticato direttamente sul fondo e la prima fase è quella del reperimento del seme.

                                                  Il sito scelto per iniziare l’allevamento delle vongole è costituito da un misto di sabbia e fango, anche se possono essere ottenuti buoni risultati su sedimenti completamente sabbiosi o fangosi a condizione che vi sia una buona ossigenazione.

                                                  Il periodo ottimale per effettuare la semina è quello primaverile, quando la temperatura dell’acqua è superiore a 14°C e cominciano a manifestarsi le prime “fioriture” di microalghe.

                                                   

                                                  La semina viene effettuata a spaglio in condizioni di bassa marea, in maniera da facilitare il lavoro e consentire di monitorare l’infossamento delle giovani vongole, che in genere avviene entro 5-15 minuti.

                                                   

                                                  La raccolta viene effettuata manualmente, con rastrelli a mano o rasche o con la rasca meccanica con fuoribordo, il rastrello vibrante, la draga turbosoffiante o la motorasca. Questi ultimi strumenti però causano danni al fondale.

                                                   

                                                  In seguito alla raccolta il prodotto viene selezionato tramite l’utilizzo di setacci manuali o meccanici.

                                                  In Italia la gran parte delle vongole allevate viene commercializzata come prodotto fresco.

                                                   

                                                  Stagionalità delle vongole

                                                  Le vongole sono disponibili durante tutto l’anno in commercio e la loro shelf-life, in presenza di condizioni esterne ottimali, appare piuttosto lunga rendendo questa specie molto gradita sul mercato.

                                                   

                                                  Preparazione e Conservazione delle vongole

                                                  Per pulire le vongole, innanzitutto fate una cernita delle vongole, eliminando quelle aperte o rotte, perchè essendo morte, potrebbero essere rischiose o comunque avere un cattivo sapore.

                                                  Poi battete su di un piano o un tagliere ogni singola vongola, in modo da far perdere già un po’ di sabbia ed impurità.

                                                  Ponetele in un colapasta poggiato su una ciotola (assicuratevi che non tocchi il fondo) e sciacquatele più volte sotto acqua corrente. Potete lasciarle a mollo per alcuni minuti, poi cambiare l’acqua più volte, fino a quando sul fondo della ciotola non ci saranno più residui di sabbia.

                                                   

                                                  Un altro metodo di pulizia è quello che prevede l’uso del sale: potete aggiungere il sale grosso alle vongole in ammollo in questo modo ricreerete una condizione simile all’acqua di mare e le vongole spurgheranno facilmente la sabbia.

                                                  Lasciatele spurgare così per almeno 5-6 ore, controllando di tanto in tanto se rilasciano la sabbia, e in caso affermativo, scuotetele e cambiate l’acqua, almeno un paio di volte e comunque fino a quando non vedrete più tracce di sabbia.

                                                   

                                                  Una volta che le vongole saranno pulite, saranno pronte per essere cucinate. Per far aprire le vongole, è necessario metterle a cuocere in un tegame capiente; solitamente si usa insaporire con uno spicchio d’aglio e un filo d’olio.

                                                   

                                                  Se le vongole non vengono consumate subito, mettetele in un recipiente coperte con acqua fredda, oppure avvolte in un panno umido e riponetele in frigorifero sino al momento della preparazione. Si consiglia di utilizzarle in giornata o al massimo entro le 24 ore.

                                                  Le vongole possono essere congelate previa cottura semplice, mettendole in un contenitore di vetro, con la loro acqua di cottura. Consumatele entro 2-3 mesi.

                                                  Cozze o Mitili

                                                   

                                                  cozze o mitili

                                                  Famiglia: Mytilidae

                                                  Genere: Mytilus

                                                  Specie: Mytilus spp.

                                                   

                                                  Storia delle cozze

                                                  Le cozze o mitili sono molluschi bivalvi appartenenti alla famiglia delle Mytilidae, molto apprezzati fin dall’antichità e oggetto di intenso allevamento industriale.

                                                   

                                                  In Italia sono diffuse lungo tutte le coste della penisola, con particolare abbondanza nel Mare Adriatico.

                                                   

                                                  Tipi di cozze o mitili

                                                  Esistono due specie mediterranee di elevato interesse economico:

                                                   

                                                  • il Mytilus edulis, presente nel bacino occidentale e
                                                  • il Mytilus galloprovincialis, presente in quello orientale.

                                                   

                                                  Queste due specie differiscono tra loro in quanto il Mytilus galloprovincialis, rispetto al Mytilus edulis, presenta un colore esterno delle valve più scuro, la forma più appiattita della zona postero-dorsale della conchiglia ed il bordo esterno del mantello di colore violaceo anziché giallo-bruno.

                                                   

                                                  Con il Riconoscimento CE nel 2013 la “Cozza di Scardovari” ha ottenuto la Denominazione di Origine Protetta (DOP).

                                                  La Cozza di Scardovari appartiene alla specie alloctona Mytilus galloprovincialis e viene prodotta con allevamenti su pali all’interno di un’area di 12 ettari data in concessione all’interno della Sacca degli Scardovari, vasto specchio d’acqua compreso tra le foci del Po di Gnocca e del Po delle Tolle (in provincia di Rovigo).

                                                   

                                                  In mare aperto, al largo delle zone di Rosolina e Scardovari, viene allevata su un’estensione complessiva di 1600 ettari, in impianti galleggianti (off-shore) con sistemi di allevamento in sospensione (long-line).

                                                   

                                                  La raccolta avviene dal momento in cui il prodotto raggiunge la taglia minima commercializzabile di 5 cm.

                                                  Le fasi di depurazione, lavorazione e confezionamento devono essere svolti in impianti situati nel territorio (nelle 3 frazioni di Scardovari, Ca’ Mello e Santa Giulia del comune di Porto Tolle) poiché prevedono l’utilizzo di acqua della Sacca di Scardovari per mantenere le peculiarità derivate dall’ambiente di produzione, la vitalità, la freschezza e la qualità del prodotto.

                                                   

                                                  Proprietà nutrizionali delle cozze o mitili

                                                  tabella con i valori nutrizionali delle cozze

                                                  Valori nutrizionali delle cozze

                                                  Le cozze o mitili appartengono alla categoria dei molluschi, fonte di proteine nobili, indispensabili per il nostro organismo, e ricchi di acidi grassi a lunga catena della serie omega-3.

                                                   

                                                  Come tutti i molluschi, sono già naturalmente ricche in sodio, per questo, quando si cucinano, non è necessario aggiungere ulteriore sale.

                                                   

                                                  Per quanto riguarda altri micronutrienti, le cozze sono molto ricche in selenio, hanno un alto contenuto di potassio e contengono molto ferro biodisponibile (ovvero assimilabile), quindi sono adatte a persone con anemia.

                                                   

                                                  La presenza di vitamina B e di minerali come iodio e magnesio consentono di combattere gli stati di affaticamento.

                                                   

                                                  Benefici delle cozze

                                                  Gli omega-3 contenuti nelle cozze sono essenziali per il corretto sviluppo del sistema celebrale e per la protezione di cuore e arterie.

                                                   

                                                  Il selenio invece è utile per un corretto funzionamento del sistema immunitario.

                                                  Non sono da trascurare le proprietà di questo mollusco nei confronti del cuore: il potassio in esse presente aiuta a controllare la pressione e la ritenzione idrica.

                                                   

                                                  A causa della presenza del guscio, la parte edibile rappresenta solamente il 30% circa.

                                                  Per poter soddisfare la porzione consigliata di 150 g, bisognerebbe quindi considerare ½ kg a persona, corrispondente a circa 25 cozze. Per questo vi consigliamo di utilizzarle principalmente come antipasto o arricchimento proteico di primi piatti.

                                                   

                                                  Il consumo di questo alimento risulta utile in caso di anemia sideropenica, che può essere un effetto avverso legato al trattamento oncologico.

                                                   

                                                  Produzione e Tecnologia delle cozze o mitili

                                                  Caratteristiche delle cozze

                                                  La cozza o mitilo è un mollusco dotato di conchiglia divisa in due parti (bivalve), tenute insieme da un meccanismo a cerniera.

                                                  La singola valva ha forma ovale, allungata, squadrata e cuneiforme, con bordo appiattito ed arrotondato su un lato ed appuntito sull’altro.

                                                   

                                                  La superficie esterna della valva è formata da sottili cerchi radiali e concentrici, mentre all’interno è liscia. Il corpo è molle, rivestito completamente dai lobi del mantello.

                                                  Il colore della conchiglia all’esterno è nero-violaceo, all’interno è madreperlaceo; il bordo del mantello è violaceo-purpureo.

                                                   

                                                  I filamenti paralleli presenti hanno la funzione di filtrare il nutrimento, costituito prevalentemente da fitoplancton e materiale organico, dall’acqua mentre un’apposita ghiandola situata al centro del corpo permette la digestione del cibo.

                                                   

                                                  Il manto è la porzione di tessuto localizzata strettamente a contatto del guscio e contiene i gameti (ovuli o spermatozoi).

                                                  La fecondazione è esterna e le uova, una volta fecondate, evolvono allo stadio di larva trocofora e successivamente di veliger, che viene trasportato dalle correnti e dalle maree. Una volta raggiunta una lunghezza del guscio pari a 0,25 mm, essi si attaccano su substrati.

                                                   

                                                  Il mitilo vive generalmente attaccato a massi e scogliere, sia in ambiente marino che lagunare, grazie a una serie di filamenti secreti da una ghiandola, chiamati filamenti del bisso. Il bisso è un composto a base di cheratina, che solidifica a contatto con l’acqua.

                                                  Essi riescono a muoversi con l’aiuto di un muscolo adattato alla funzione di locomozione.

                                                   

                                                  Mitilicoltura 

                                                  La mitilicoltura in Italia è praticata principalmente attraverso tre sistemi di allevamento, su fondale, a pali fissi e a filari galleggianti o long-line, scelti in base alle caratteristiche ambientali e meteomarine dell’area di insediamento.

                                                   

                                                    1. Il sistema su fondale è utilizzato soltanto nelle aree lagunari del delta padano. Si basa sullo spostamento del prodotto di piccola taglia raccolto in natura in alcune zone predisposte e lì lasciato crescere fino al raggiungimento della taglia minima commerciale.
                                                    2. Il sistema a pali fissi utilizzato nelle zone lagunari o nei pressi di siti costieri riparati dalle mareggiate. Consiste nella disposizione di pali in legno, cemento o metallo, a cui vengono appese le calze, ovvero reti tubolari in materiale plastico (polipropilene) contenenti i mitili. L’insieme della struttura e dei mitili è detto resta.
                                                    3. Il sistema a filari galleggianti o long-line è una struttura composta da due corpi morti di ancoraggio, posti a una distanza variabile da 100 a 200 metri, e collegati tra loro da uno o più cavi mantenuti in sospensione da una successione di galleggianti.

                                                   

                                                  Le reste sono vendute nel momento in cui i mitili raggiungono la taglia commerciale (50-70 mm di lunghezza) e sono commercializzate come prodotto fresco (in confezioni chiuse di rete, sottovuoto o in atmosfera protettiva), come conservato (bollito e conservato in salamoia sterilizzato) e surgelato con o senza guscio.

                                                   

                                                  La mitilicoltura della Cozza di Scardovari DOP

                                                  Per la Cozza di Scardovari DOP la semina e l’accrescimento del seme possono essere effettuate solo in vivai all’interno della Sacca di Scardovari e, ogni produttore posiziona le reste con il seme in acqua in modo da avere una densità di 5 -15 unità per m2.

                                                  Le reste preparate vengono immerse in acqua ad una profondità di circa 1,5 m, sostenute da impalcature opportunamente sistemate per formare un vivaio.

                                                  Il rinnovo delle reti per formare una resta avviene manualmente 2-4 volte nell’arco del periodo di accrescimento, in modo da diradare i mitili, ripulirli e selezionare le cozze differenziandole per dimensione per formare nuove reste.

                                                   

                                                  Produzione delle cozze

                                                  La raccolta si effettua manualmente dal momento in cui il prodotto raggiunge la taglia minima commercializzabile di 5 cm.

                                                   

                                                  In seguito avviene la sgranatura e la calibratura con l’ausilio di una macchina nelle tipiche “cavane”, casette su palafitte situate lungo l’arginatura della Sacca. Successivamente le cozze vengono riposte in appositi sacchi dotati di un’etichetta che riporta il numero identificativo del produttore.

                                                   

                                                  Dai punti di sbarco il prodotto viene trasportato con mezzi adatti agli impianti di depurazione. La temperatura durante il trasporto deve essere mantenuta inferiore ai 20°C, in modo da mantenere la vitalità del prodotto rendendo così efficace il successivo processo di depurazione.

                                                   

                                                  Il processo di depurazione è realizzato con un flusso d’acqua utilizzando l’acqua della Sacca di Scardovari depurata ad una temperatura inferiore ai 20°C. In seguito alla fase di depurazione il prodotto viene trasferito al confezionamento.

                                                   

                                                  Nel processo di confezionamento rientrano le seguenti operazioni: un sistema di lavaggio, un sistema di ispezione, controllo e eliminazione dei gusci vuoti e del materiale non idoneo, un sistema di pesatura e dosaggio del prodotto per ottenere i diversi formati.

                                                   

                                                  Il prodotto confezionato viene posto in cella ad una temperatura compresa tra 2 e 8°C e avviato alla spedizione entro le 48 ore; durante il trasporto bisogna mantenere la corretta temperatura di conservazione del prodotto (tra i + 2 e i + 6 °C).

                                                   

                                                  Stagionalità delle cozze

                                                  Questo mollusco è reperibile sul mercato tutto l’anno, anche se i mesi migliori per consumarlo vanno da maggio ad agosto.

                                                   

                                                  Preparazione e Conservazione delle cozze

                                                  Prima di conservarle o utilizzarle è fondamentale pulire le cozze con cura e attenzione.

                                                  Controllate sempre che le cozze siano fresche: dovranno avere i gusci ancora chiusi che non devono aprirsi facilmente al tatto. Eliminate quelle con i gusci rotti o bucati e quelle aperte quindi procedete alla pulizia.

                                                   

                                                  Per la pulizia basta sistemare le cozze in una bacinella capiente e sciacquarle sotto acqua fredda corrente.

                                                  Con il dorso della lama di un coltello o con una retina in metallo strofinate i gusci eliminando ogni incrostazione dai gusci quindi con un movimento deciso tirate via la barbetta (anche detta bisso) che fuoriesce dalla valve di ciascuna cozza.

                                                   

                                                  Se avete intenzione di conservarle, non dovrete aprirle ma, una volta pulite, lasciarle in ammollo per 30 minuti.

                                                   

                                                  Dopo aver pulito e asciugato le cozze, potete conservarle in frigo per un massimo di tre giorni, sistemandole in una zuppiera capiente o in un piatto fondo coperto con un panno da cucina bagnato e strizzato: in questo modo le cozze resteranno umide.

                                                  Il panno deve essere abbastanza stretto da impedire alle cozze di aprirsi, ma non troppo così da permettergli di “respirare”.

                                                  Ponete la zuppiera con le cozze nel ripiano più basso del frigorifero, la parte in cui la temperatura è più bassa.

                                                  Le cozze rilasceranno ogni giorno un po’ di liquido: controllate e fate attenzione a scolarlo una volta al giorno così che non si accumuli sul fondo della zuppiera o che scoli contaminando gli altri alimenti.

                                                  Prima di utilizzarle, controllate che non abbiano un cattivo odore e che i gusci siano rimasti intatti.

                                                   

                                                  Surgelate mantengono le caratteristiche nutrizionali, le cozze difatti resistono bene alle basse temperature.

                                                  Al contrario le alte temperature, ad esempio la frittura, inducono la perdita di alcuni nutrienti, che invece si preservano con le cotture a vapore o al forno.

                                                   

                                                  Non è vera la credenza che limone o aceto sono sufficienti ad eliminare potenziali microrganismi patogeni.

                                                  Prima di consumare a crudo qualsiasi tipologia di pesce è sempre bene prevederne l’abbattimento termico, in ambito di ristorazione, oppure il congelamento per almeno 96 ore per il consumo casalingo.

                                                   

                                                  Le proposte di ricette di FBO con le cozze

                                                  Datteri

                                                   

                                                  palma da dattero

                                                  Famiglia: Arecaceae (Palmae)

                                                  Genere: Phoenix

                                                  Specie: Phoenix dactylifera L.

                                                   

                                                  Storia dei datteri

                                                  I datteri sono i frutti della palma da dattero (Phoenix dactylifera L.), specie originaria del Nordafrica.

                                                   

                                                  Le palme da dattero vengono coltivate nelle aree a clima caldo di tutti i continenti.

                                                  Le possiamo trovare infatti in Nordafrica, in Arabia, nel Golfo Persico, dove forma la caratteristica vegetazione delle oasi, nelle Canarie, nel Mediterraneo settentrionale e nella parte meridionale degli Stati Uniti.

                                                  È presente anche in Italia dove viene impiegata anche come pianta ornamentale.

                                                   

                                                  Tra le varietà più coltivate ricordiamo: Majhool, Deglet noor, Ameri, Deri, Halawi e Zahidi, Berhi e Hiann.

                                                   

                                                  Proprietà nutrizionali dei datteri

                                                  tabella con i valori nutrizionali dei datteri
                                                  Tabella con i valori nutrizionali dei datteri freschi e dei datteri disidratati

                                                  Valori nutrizionali e benefici dei datteri

                                                  I datteri sono i frutti ricchi di fibre, utili a ridurre il colesterolo, a regolare l’intestino e proteggere dal cancro il colon.

                                                  I tannini sono invece antinfettivi, antinfiammatori, antiossidanti e antiemorragici.

                                                   

                                                  Per le vitamine, buono è loro contenuto di vitamina A, che protegge la vista, la pelle e sembrerebbe essere utile nella prevenzione del tumore al polmone ed alla cavità orale.

                                                   

                                                  Beta carotene, luteina e zeaxantina potrebbero invece proteggere da tumori a prostata, seno, endometrio, polmone e pancreas.

                                                   

                                                  Le vitamine B sono importanti per il metabolismo, così come la vitamina K, che inoltre favorisce una buona coagulazione.

                                                   

                                                  Fra i minerali buono è il contenuto di ferro, utile per il trasporto dell’ossigeno, di potassio, fondamentale per la salute cardiovascolare, di calcio, utile alle ossa.

                                                   

                                                  Oltre la ricchezza di fibra alimentare, di vitamine e sali minerali, i datteri sono composti da proteine ricche di aminoacidi essenziali, necessari per il corretto funzionamento del nostro organismo.

                                                   

                                                  La porzione giornaliera del dattero (frutto secco zuccherino) è di 30 grammi.

                                                   

                                                  Interazioni dei datteri

                                                  I datteri possono interferire con l’utilizzo di diuretici ed inoltre possono causare allergie crociate con i pollini delle betulle.

                                                   

                                                  Produzione e Tecnologia dei datteri

                                                  Caratteri botanici della palma da dattero

                                                  La palma da dattero presenta un tronco molto slanciato, alto fino a 30 m, coperto dai resti delle guaine delle foglie cadute.

                                                   

                                                  Le foglie sono riunite in un numero massimo di 20-30 a formare una corona apicale. Sono pennate, lunghe fino a 6 m e di colore verde-glauco; se posizionate in alto sono ascendenti mentre sul fondo sono ricurve verso il basso, con segmenti coriacei, lineari, rigidi e pungenti.

                                                   

                                                  È una pianta dioica, ovvero che possiede gli organi riproduttivi maschili su una pianta e quelli femminili su un’altra.

                                                  I fiori sono unisessuali, piccoli, di colore biancastro, fragranti, riuniti e fortemente ricurvi per il peso dei frutti.

                                                   

                                                  I frutti sono noti come datteri e sono bacche oblunghe di colore arancione scuro a maturità. Possono essere lunghe fino a 5 cm nelle varietà coltivate, hanno una polpa zuccherina e contengono un seme di consistenza legnosa.

                                                   

                                                  Coltivazione dei datteri

                                                  I frutti, perché giungano a completa maturazione richiedono temperature piuttosto elevate (40°C).

                                                   

                                                  La palma da dattero è sensibile al freddo e necessita di clima mite. Richiede una notevole disponibilità di acqua che, in coltura, viene fornita anche per irrigazione e cresce bene su terreni di qualsiasi natura.

                                                   

                                                  Viene coltivata all’aperto in posizioni esposte al sole ed è molto importante la potatura delle foglie vecchie per evitare l’insorgere di malattie e attacchi ad opera di parassiti.

                                                   

                                                  La moltiplicazione avviene per polloni o per semina in primavera.

                                                  La produzione dei primi frutti si ha tra il 6° e il 7° anno d’età.

                                                   

                                                  Produzione dei datteri

                                                  La raccolta dei datteri avviene tagliando interamente il grappolo a cui segue un trattamento per proteggere la pianta dall’attacco d’insetti dannosi.

                                                   

                                                  In seguito alla raccolta quasi tutti i datteri vengono fatti seccare al sole; in questo modo si ha un aumento della concentrazione degli zuccheri diventando così più dolci.

                                                  Tale tecnica permette di conservarli più a lungo rendendoli disponibili sul mercato tutto l’anno.

                                                   

                                                  Alcune varietà invece, come la Berhi e la Hiann, sono commercializzate fresche.

                                                   

                                                  I datteri secchi si distinguono da quelli freschi in quanto i primi sono più scuri, grinzi e di forma oblunga irregolare, mentre quelli freschi sono lisci e perfettamente cilindrici.

                                                  La palma da dattero inoltre è utilizzata anche come pianta ornamentale per via del suo portamento slanciato e del fogliame.

                                                   

                                                  Stagionalità dei datteri

                                                  I datteri sono reperibili sul mercato tutto l’anno.

                                                   

                                                  Preparazione e Conservazione dei datteri

                                                  In commercio si trovano i datteri sia freschi che essiccati. Considerando il loro elevato apporto calorico non devono essere mangiati in quantità eccessive.

                                                  Generalmente si consumano durante le festività natalizie ma è bene evitare di accompagnarli a creme di mascarpone o formaggi.

                                                   

                                                  Sono ottimi per preparare un decotto dolce e delicato, utile per lenire i sintomi infiammatori dell’apparato gastrointestinale, piuttosto comuni durante le feste natalizie.

                                                   

                                                  Si possono tenere a temperatura ambiente all’interno di un contenitore chiuso se si mangiano entro pochi giorni. Se si vuole invece conservarli più a lungo si possono mettere in frigorifero, dove durano anche per un anno, oppure in congelatore (se li hai comprati in grande quantità).

                                                  Prugne o susine

                                                   

                                                  prugne o susine

                                                  Famiglia: Rosaceae

                                                  Genere: Prunus

                                                  Specie: Prunus spp.

                                                   

                                                  Varietà di prugne

                                                  Le prugne o susine sono i frutti della specie appartenente alla famiglia delle Rosaceae.

                                                   

                                                  Esistono numerose specie di Prunus, originarie di luoghi diversi.

                                                  Le diverse specie sono raggruppate in tre categorie:

                                                   

                                                  1) Specie asiatico-europee, con i seguenti gruppi:

                                                   

                                                  • susini europei (Prunus domestica) a cui appartengono tutte le cultivar europee facenti capo ai tipi delle Regine Claudie, Prugne Vere, Goccie d’Oro, Diamantine Blu e Lombarde;

                                                   

                                                  • susini siriaci (Prunus insititia) che comprendono i gruppi delle Damaschine ovali, Damaschine sferiche, Mirabelle, Sangiuliane;

                                                   

                                                  • mirabolani (Prunus cerasifera), specie spontanea dell’Asia Minore;

                                                   

                                                  • altre specie: appartengono a questo gruppo delle specie selvatiche utilizzate sia per la coltura che come materiale per il miglioramento genetico (Prunus spinosa, prunus cocomilia, ecc.).

                                                   

                                                  2) Susini cino-giapponesi, con i seguenti gruppi:

                                                   

                                                  • giapponese puro (Prunus salicina): specie originaria dell’Estremo Oriente, probabilmente della Cina;

                                                   

                                                  • cino-giapponesi di minor interesse (Prunus simonii);

                                                   

                                                  • altre specie: vi appartengono specie di minor interesse, quali il Prunus platysepala, Prunus bokhariensis, originario dell’India orientale.

                                                   

                                                  3) Susini americani:

                                                  susini di scarso interesse con diversi gruppi tra i quali: americane pure (Prunus americana), nigra (Prunus nigra), Van Buren (Prunus americana mollis) ecc.

                                                   

                                                  Differenze tra prugne e susine

                                                  In particolare la prugna è il frutto dell’albero Prunus Domestica (susino Europeo), originario della penisola caucasica.

                                                  Ha una forma allungata, ovale, polpa dolce e succosa e, a seconda della varietà assume un colore della buccia diverso. Fresche sono presenti in estate e autunno, essiccate durante tutto l’anno.

                                                   

                                                  La susina invece è il frutto dell’albero Prunus Salicina (susino Cino-Giapponese), originario dell’estremo oriente.

                                                  Ha una forma tondeggiante, una polpa morbida e succosa che fatica a staccarsi dal nocciolo e presenta un colore giallo-rosa. Solitamente viene consumata fresca.

                                                   

                                                  La susina di Dro DOP

                                                  In commercio si trova anche la Susina di Dro che, con il Riconoscimento CE del 2011, è stata riconosciuta come DOP (Denominazione di Origine Protetta).

                                                  Tale riconoscimento designa il frutto fresco della cultivar locale Prugna di Dro (o Prugna Nera di Dro), comunemente detta Susina di Dro, coltivata nella Provincia Autonoma di Trento corrispondente alla porzione di bacino idrografico del fiume Sarca.

                                                  Presenta una buccia di colore da rosso-violaceo a blu-viola scuro, con presenza di patina pruinosa, a volte con piccole superfici verdastre; una polpa di colore giallo o verde-giallo e la DOP “Susina di Dro” si distingue per un delicato gusto dolceacidulo- aromatico e per la gradevole consistenza pastosa.

                                                   

                                                  Proprietà nutrizionali delle prugne o susine

                                                  tabella con i valori nutrizionali delle prugne o susine

                                                  Valori nutrizionali delle prugne o susine

                                                  Come per tutta la frutta in generale, anche le prugne e le susine hanno un contenuto di acqua elevato, che arriva fino al 90% della parte edibile. La restante parte è composta principalmente da zuccheri.

                                                  Le prugne contengono un buon quantitativo di fibra, per la precisione 100 grammi di prugne apportano 1,5 grammi di fibra.

                                                  Oltre a questa caratteristica, questi frutti apportano anche una discreta quantità di vitamina C che ha funzione antiossidante, di vitamine del gruppo B che favoriscono il buon funzionamento del metabolismo, di potassio che regola la pressione arteriosa e di calcio che favorisce la salute di ossa e denti.

                                                   

                                                  Benefici delle prugne o susine

                                                  Le prugne possiedono un buon quantitativo di fibra alimentare, il che le rende utili per la risoluzione di problemi di stitichezza.

                                                  Ma non è solo merito delle fibre, infatti contengono anche un particolare tipo di zucchero che non viene quasi per nulla intaccato dai processi digestivi ed è quindi libero di arrivare intatto all’intestino, il sorbitolo. Lì per osmosi inizia a trattenere e richiamare acqua, rendendo le feci di consistenza morbida e facilitando perciò l’evacuazione.

                                                   

                                                  A livello di minerali, buono è il quantitativo di potassio, fondamentale per riequilibrare il sodio derivante della dieta, mentre tra le vitamine spicca la vitamina C, che aiuta l’organismo ad assorbire il ferro e supporta il buon funzionamento delle difese immunitarie.

                                                   

                                                  Esistono diverse varietà di prugne, come la California blu Americana o la Sangue di Drago Cino-Giapponese, che apportano ulteriori benefici al sistema cardiovascolare.
                                                  Le antocianine, oltre ad essere le responsabili dei pigmenti rosso, blu o viola, sono anche in grado di abbassare il colesterolo cattivo (LDL) ed aumentare l’elasticità dei vasi sanguigni.

                                                  Infine, il consumo di prugne secche della California è stato associato a benefici per la salute delle ossa, soprattutto in termini di prevenzione dell’osteoporosi.

                                                   

                                                  La porzione di consumo standard consigliata è 150 grammi di susine fresche che corrispondono circa a 2 frutti; anche la porzione standard consigliata per le prugne secche è di 2-3 frutti.

                                                   

                                                  Il consumo delle prugne o susine potrebbe essere utile per contrastare gonfiore sottocutaneo (o edema) e stipsi (o costipazione).

                                                   

                                                  Interazioni delle prugne o susine

                                                  Le prugne secche potrebbero interferire con l’azione dei farmaci diuretici e degli antibatterici ossazolidinonici (come il linezolid).

                                                   

                                                  Produzione e Tecnologia delle prugne o susine

                                                  Caratteri botanici del susino

                                                  Il susino in generale è una pianta coltivata in tutto il mondo.

                                                  Gli Stati Uniti oggi sono fra i principali produttori e in Italia si ritrova principalmente in Emilia Romagna, Campania e in Trentino per quanto riguarda la produzione di Susina Dro.

                                                   

                                                  I susini europei sono a fioritura tardiva (il che consente una maggiore resistenza al freddo), con 1-2 fiori per gemma, mentre i susini cino-giapponesi sono più precoci e hanno 2-3 fiori per gemma; l’impollinazione è entomofila ed anemofila.

                                                  La propagazione avviene per seme, talea, margotta.

                                                   

                                                  Coltivazione delle susine

                                                  Le forme di allevamento possono essere in vaso basso, palmetta irregolare e palmetta libera.

                                                  Durante la coltivazione è fondamentale l’irrigazione e gli interventi di potatura servono come opera di contenimento delle dimensioni della pianta o per l’eliminazione di rami soprannumerari.

                                                   

                                                  La raccolta copre un periodo ampio, da giugno ad ottobre, perciò possono essere eseguite anche cinque raccolte.

                                                  Per capire se il frutto è maturo si fa riferimento al grado rifrattometrico, alla resistenza della polpa (misurata col penetrometro), al rapporto solidi solubili/acidità totale e alla variazione del colore di fondo della buccia.

                                                  La prima raccolta è sempre la migliore, mentre la terza dà frutti di seconda qualità.

                                                   

                                                  Per poter eseguire l’essiccazione la raccolta va ritardata e viene effettuata con unico passaggio.

                                                   

                                                  L’immissione al commercio delle susine

                                                  All’atto dell’immissione al consumo i frutti freschi devono essere interi, di aspetto fresco e sano, puliti, privi di sostanze ed odori estranei, di forma ovale, moderatamente allungata, con polpa compatta, ricoperti dalla caratteristica pruina biancastra.

                                                   

                                                  La conservazione in frigorifero delle susine può essere solo di breve durata in quanto questi frutti mal sopportano i trattamenti termici di conservazione essendo facilmente soggetti all’imbrunimento della polpa.

                                                   

                                                  La produzione della Susina di Dro DOP

                                                  Per quanto riguarda la Susina di Dro DOP, le produzioni non possono superare le 78 t/ha e, il controllo del carico produttivo viene eseguito attraverso operazioni di potatura che vengono effettuate manualmente tra ottobre e marzo.

                                                  La raccolta viene effettuata esclusivamente a mano nei mesi di luglio, agosto e settembre, rispettando la scalarità di maturazione tipica dei diversi microclimi vallivi e collinari e delle varietà.

                                                  Il confezionamento deve avvenire nella zona di produzione per evitare deterioramenti dei frutti e ammuffimenti della massa, inoltre una rapida chiusura della filiera influisce positivamente sul mantenimento del caratteristico strato di pruina che ricopre i frutti.
                                                  Vengono eseguiti anche dei controlli sulla conformità del prodotto e, sulle confezioni di vendita del prodotto, dovrà apparire la dicitura DOP “Susina di Dro” con il relativo logo.

                                                   

                                                  Stagionalità delle prugne o susine

                                                  In Italia la stagione delle prugne e delle susine è tipica del periodo estivo, da giugno a settembre.

                                                   

                                                  Preparazione e Conservazione delle prugne e susine

                                                  Per acquistare le prugne più dolci bisogna controllare che la buccia sia di colore rosso-viola, liscia, priva di grinze e che non siano presenti tagli o ammaccature.

                                                   

                                                  Potete anche sceglierle acerbe, come nel caso delle susine gialle, magari continuando a farle maturare in casa a temperatura ambiente, non in frigo, possibilmente lontane dal sole e distribuite equamente in un cesto da frutta.

                                                   

                                                  Solo le prugne ben maturate e in salute possono essere conservate al freddo: riponetele su un piatto o in un sacchetto aperto, e lasciatele sopra uno dei ripiani del vostro frigorifero. La loro vita si allunga fino a quasi un mese.

                                                  Che siano conservate al naturale o in frigo, il consiglio è di consumare sempre le prugne il più fresche possibile, per assaporare al meglio il frutto e beneficiare delle sue proprietà.

                                                   

                                                  Esistono comunque anche alcuni metodi semplici ed efficaci che garantiscono una vita ancora più lunga alle nostre susine come le prugne sciroppate o le prugne secche.

                                                   

                                                  Le proposte di ricette di FBO con le prugne o susine

                                                    • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                    • Igwe EO and Charlton KE (2016) “A Systematic Review on the Health Effects of Plums (Prunus domestica and Prunus salicina).”, Phytotherapy Research;30(5):701-31.
                                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                    • Williamson G. (2017) “The role of polyphenols in modern nutrition.”, Nutrition Bulletin; 42(3):226-235.
                                                    • www.agraria.org
                                                    • www.bda-ieo.it
                                                    • www.humanitas.it

                                                    Melone

                                                     

                                                    melone d'inverno

                                                    Famiglia: Cucurbitaceae

                                                    Genere: Cucumis

                                                    Specie: Cucumis melo L.

                                                     

                                                    Storia del melone

                                                    Il melone è un frutto rotondeggiante, dolce e profumato originario dell’Africa che ad oggi è diffuso in tutto il mondo.

                                                     

                                                    Attualmente i principali produttori di meloni sono la Turchia, l’Iran e l’Egitto.

                                                    In Italia viene coltivato su circa 23.000 ettari in pieno campo, in coltura semi-forzata o in serra.

                                                     

                                                    Varietà di melone

                                                    Si distinguono tre diverse varietà di melone in base alle caratteristiche del frutto.

                                                     

                                                    I meloni cantalupi hanno frutti sono globosi, con buccia liscia o leggermente verrucosa, di colore verde-grigio, con solchi ben marcati. Presentano una polpa dal colore aranciato o salmone e sono molto profumati. I meloni cantalupi sono precoci, di media pezzatura (peso da 0,6 a 1,5 Kg) e poco serbevoli, ovvero che non si conservano bene a lungo.

                                                     

                                                    I meloni retati hanno frutti ovali o tondeggianti, con buccia fittamente reticolata, e con costolatura mancante o poco marcata. La polpa è di colore verde-giallo o arancione, molto profumata; il peso dei frutti oscilla da 1 a 2,5 Kg e la serbevolezza è scarsa. Questa varietà di melone è conosciuta anche come melone americano in quanto molti di questi frutti provengono dagli Sati Uniti.

                                                     

                                                    Il melone d’inverno ha frutti lisci e senza costole di colore giallo o verde scuro, con polpa bianca, verde chiaro o gialla, dolce e poco profumata. Ha frutti di medie e grandi dimensioni (peso da 1,5 a 4 Kg) ed è coltivato principalmente nelle regioni meridionali dove l’ambiente caldo e secco favorisce la dolcezza e la serbevolezza dei frutti (possono essere infatti conservati per molti mesi, fino all’inverno).

                                                     

                                                    Proprietà nutrizionali del melone

                                                    tabella con i valori nutrizionali del melone d'inverno e d'estate
                                                    Tabella con i valori nutrizionali del melone d’inverno e d’estate.

                                                    Valori nutrizionali del melone d’inverno e d’estate

                                                    Il melone è un frutto che contiene una buona componente di acqua e la restante parte è costituita prevalentemente da zuccheri semplici. Poca è la fibra alimentare presente.

                                                     

                                                    Per i minerali quello più presente è il potassio.

                                                    Il melone è anche fonte di vitamina C, con azione antiossidante, e vitamina A, sotto forma del suo principale precursore, il beta carotene.

                                                     

                                                    Benefici del melone

                                                    Grazie alle molecole di cui è composto, il melone gode di proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.

                                                    Il minerale presente in quantità maggiore è il potassio che regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule ed è fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso. Inserire nella dieta alimenti ad alto contenuto di potassio e basso di sodio aiuta a mantenere un corretto equilibrio tra questi due minerali.

                                                     

                                                    Con il consumo del melone è associato un minor rischio di sindrome metabolica, ovvero un quadro clinico complesso caratterizzato dalla presenza contemporanea di diverse problematiche quali diabete, pressione alta e obesità.

                                                     

                                                    I fitonutrienti presenti nel melone inoltre possono migliorare il metabolismo dell’insulina e degli zuccheri nel sangue e che potrebbero, in caso di diabete, aiutare a ridurre lo stress ossidativo e a migliorare la resistenza all’insulina.

                                                     

                                                    La porzione giornaliera di consumo consigliata è 150 grammi, che corrisponde a circa 2-3 fette di melone.

                                                     

                                                    Interazioni del melone

                                                    Il consumo di questo frutto potrebbe interferire con l’azione dei diuretici.

                                                     

                                                    Produzione e Tecnologia del melone

                                                    Caratteri botanici della pianta di melone

                                                    Il melone è una pianta annuale costituita da un fusto principale strisciante che si ramifica e con radici molto sviluppate in superficie, che possono scendere di molto anche in profondità.

                                                     

                                                    La pianta di melone è di norma monoica, ovvero prima si sviluppano fiori maschili e successivamente quelli femminili (anche se non sono rari tipi andromonoici con fiori maschili e fiori ermafroditi).

                                                    Le foglie sono arrotondate, reniformi o divise in lobi, ruvide al tatto.

                                                    Il frutto è un peponide di notevoli dimensioni e peso (1-4 Kg). È costituito da una parte esterna o buccia (epicarpo) saldata a una parte intermedia (mesocarpo) carnosa, che rappresenta la parte edibile, al cui interno si forma una cavità riempita da un massa spugnosa e flaccida nella quale sono inseriti numerosi semi. I semi si presentano allungati, appuntiti a un’estremità, bianchi e di peso variabile da 20 a 70 mg.

                                                     

                                                    Coltivazione del melone

                                                    Il melone, per essere coltivato, esige alte temperature, teme l’eccessiva umidità e richiede un terreno profondo e perfettamente drenato (l’irrigazione avviene a pioggia, a solchi, a goccia o con manichette forate disposte sotto la pacciamatura).

                                                    Inoltre, per quanto riguarda l’avvicendamento, la coltura del melone non può tornare su un terreno prima che siano passati diversi anni.

                                                     

                                                    La coltivazione del melone avviene in pieno campo, in coltura semi-forzata o in serra.

                                                    La semina viene effettuata in primavera avanzata (aprile-maggio) quando la temperatura ha raggiunto i 14-15°C.

                                                     

                                                    Nella coltura in serra le piantine vengono posizionate molto vicine in quanto non vengono lasciate strisciare a terra ma sono allevate in verticale mediante fili o reti in modo da sfruttare meglio lo spazio disponibile.

                                                     

                                                    La semina in campo in pien’aria è il sistema più diffuso e si realizza con la pacciamatura di film plastico steso a terra. La coltura del melone pacciamata e semi-forzata invece si realizza con la pacciamatura e con piccoli tunnel che ricoprono ogni fila di piante.

                                                    L’obiettivo di questa tecnica colturale è quello di anticipare l’impianto di 20-30 giorni e la maturazione dei frutti di 10-20 giorni.

                                                    Questi sistemi di forzatura vengono maggiormente utilizzati nel Centro-Nord Italia e utilizzano piantine allevate in fitocelle e trapiantate attraverso i fori aperti sul film plastico della pacciamatura per la realizzazione dell’impianto.

                                                     

                                                    Produzione del melone

                                                    La raccolta inizia 90-110 giorni dopo la semina e prosegue scalarmene per 15-30 giorni. I meloni vanno raccolti ad uno stadio di sviluppo ben preciso in quanto un ritardo compromette la serbevolezza, un anticipo compromette la qualità (almeno 10% di contenuto zuccherino).

                                                    I segni visibili della maturazione sono ad esempio il distacco del peduncolo dal frutto (in certe varietà retate), la comparsa di screpolature concentriche intorno al peduncolo, la scomparsa della peluria dal peduncolo, ecc.

                                                     

                                                    Le produzioni di frutti commerciabili sono di 20-35 t/ha in pien’aria, di 30-40 t/ha in quelle semi-forzata.

                                                     

                                                    I frutti raccolti nelle ore calde dovrebbero essere prerefrigerati con acqua fredda.

                                                    Per le varietà cantalupo e retato la conservazione è superflua perché sono destinati al consumo immediato, anche se potrebbero essere conservati per 10-15 giorni a 2-5 °C con umidità relativa del 90-95%; per il melone d’inverno la conservazione arriva fino ai 5 mesi a 7-10°C e con 85-90% d’umidità relativa.

                                                     

                                                    Stagionalità del melone

                                                    La stagionalità del melone riguarda il periodo estivo, da maggio a settembre.

                                                     

                                                    Preparazione e Conservazione del melone

                                                    Quando acquistate il melone, sceglietelo sempre di stagione: esistono infatti varietà estive e invernali. Riguardo alla scelta al momento dell’acquisto, controllate la consistenza e il profumo: battete la buccia con la mano e, se avvertite un suono sordo, allora il frutto è maturo al punto giusto, se rimbomba, è ancora acerbo. Il profumo poi non deve essere troppo intenso, altrimenti vuol dire che il melone è troppo maturo.

                                                     

                                                    Il melone appena acquistato può essere conservato intero in luogo fresco o in frigo, in base alle esigenze di consumo. Se dovete consumarlo in giornata o, al massimo, il giorno seguente, potete conservarlo in dispensa o comunque in un luogo fresco e asciutto. Se invece è ancora acerbo, mettetelo nel cestino della frutta, così da farlo maturare in fretta.

                                                    In alternativa potete conservarlo in frigo: avvolgetelo nella pellicola trasparente, sigillatelo in un sacchetto frigo e mettetelo nel cassetto della frutta. In questo modo non si propagheranno cattivi odori: consumatelo comunque entro una settimana a non meno di 5°C. Tiratelo fuori dal frigo almeno mezz’ora prima di gustarlo.

                                                     

                                                    Il gusto dolce e, al tempo stesso, particolare del melone lo ha portato ad essere anche inserito in insalate e ricette salate. È ideale da consumare come spuntino, come dopo pasto, ma anche per la preparazione di antipasti, dolci e gelati per stimolare l’appetito e rinfrescare la bocca.

                                                    Per esempio potete sfruttarlo negli aperitivi. Potete anche congelare il melone già aperto: scavate nella polpa con l’apposito strumento e formate delle palline. Congelatele negli stampi del ghiaccio con un po’ di acqua e qualche fogliolina di menta, e utilizzatelo per i vostri aperitivi. Una volta congelato potrete conservarlo per tutta l’estate.

                                                     

                                                    Le proposte di ricette di FBO con il melone

                                                      • Carillon J et al. (2016) “Dietary supplementation with a specific melon concentrate reverses vascular dysfunction induced by cafeteria diet.”, Food & Nutrition Research;60:32729.
                                                      • Egoumenides L et al. (2018) “A Specific Melon Concentrate Exhibits Photoprotective Effects from Antioxidant Activity in Healthy Adults”, Nutrients; 10(4), 437.
                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                      • www.agraria.org
                                                      • www.bda-ieo.it
                                                      • www.humanitas.it
                                                      • www.issalute.it

                                                      Orata

                                                       

                                                      filetto di orata

                                                      Famiglia: Sparidae

                                                      Genere: Sparus

                                                      Specie: Sparus aurata L.

                                                       

                                                      L’orata

                                                      L’orata è un pesce di mare appartenente alla famiglia degli Sparidi, con un corpo di forma ovale, testa robusta e occhi piccoli. È presente nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico orientale.

                                                       

                                                      È un pesce che può raggiungere una lunghezza di 70 cm e un peso superiore ai 5 kg; può arrivare a vivere anche venti anni.

                                                       

                                                      L’orata è la specie che viene più comunemente allevata nell’area Mediterranea e la Grecia è il maggior produttore europeo. In Italia le regioni che dove si registrano le maggiori produzioni di orata sono Toscana, Puglia e Sicilia.

                                                       

                                                      L’orata che si trova in commercio proviene dalle attività di pesca in mare aperto o dagli allevamenti.

                                                       

                                                      Proprietà nutrizionali dell’orata

                                                      tabella con i valori nutrizionali dell'orata selvatica e dell'orata surgelata
                                                      Tabella con i valori nutrizionali dell’orata selvatica e dell’orata surgelata.

                                                      Valori nutrizionali dell’orata selvatica e dell’orata surgelata

                                                      L’orata è un pesce bianco dal limitato potere calorico, ricco in proteine e grassi insaturi, nonostante il quantitativo sia inferiore se paragonata al pesce azzurro.

                                                       

                                                      Tra i nutrienti contenuti in questo pesce sono ben presenti gli omega 3, il calcio, il fosforo, lo iodio, il ferro e il selenio.

                                                       

                                                      Benefici dell’orata

                                                      Nell’orata sono presenti gli acidi grassi omega 3, che sono fondamentali per proteggere la salute cardiovascolare.

                                                      Ricordiamo che una porzione, che corrisponde a un filetto di orata, è in grado di superare il fabbisogno medio giornaliero di omega-3.

                                                      Secondo diversi studi, questi acidi grassi sarebbero in grado di abbassare i livelli di colesterolo cattivo LDL, migliorare la sensibilità all’insulina e, probabilmente proteggere dalle malattie neurodegenerative.

                                                       

                                                      Per quanto riguarda i minerali il calcio e il fosforo sono i più concentrati, fondamentali per lo sviluppo e per la salute delle ossa e dei denti, buono è anche il contenuto di iodio, essenziale per le funzioni regolate dagli ormoni tiroidei, e di ferro, componente dell’emoglobina.

                                                       

                                                      La porzione standard consigliata è di 150 grammi, che corrisponde circa a un filetto medio di orata o a un piccola orata intera.

                                                       

                                                      Una porzione di orata contiene 105 µg di selenio, ricoprendo quasi il doppio della dose giornaliera raccomandata di questo minerale per la popolazione adulta (fissata a 55 µg).

                                                       

                                                      Interazioni dell’orata

                                                      L’orata potrebbe contenere tracce di metilmercurio.

                                                       

                                                      Produzione e Tecnologia del l’orata

                                                      Caratteristiche fisiche dell’orata

                                                      L’orata ha un corpo arrotondato con testa robusta e occhi piccoli; in mezzo ad essi presenta una fascia nera ed una dorata, che scompare dopo la morte.

                                                      Nella parte anteriore della mascella possiede da 4 a 6 denti simili ai canini e posteriormente denti progressivamente meno affilati, fino a quelli di tipo molariforme.

                                                       

                                                      La tonalità della colorazione viene influita dall’ambiente circostante in cui vive.

                                                      Il dorso dell’orata è di color grigio-azzurro, i fianchi sono argentati e percorsi da linee longitudinali grigiastre, mentre il ventre è bianco.

                                                      L’opercolo branchiale ha il margine rossastro, mentre la pinna dorsale presenta sfumature azzurrognole e quella caudale grigio-verdastre.

                                                       

                                                      L’orata si nutre prevalentemente di molluschi ed organismi bentonici.

                                                       

                                                      Habitat dell’orata

                                                      L’orata vive nelle vicinanze delle coste con fondali rocciosi o arenosi in acque non troppo profonde (al massimo 40 metri di profondità) e purché la temperatura dell’acqua non sia inferiore ai 4°C.

                                                       

                                                      È un pesce che da giovane vive in branchi e, con il passare degli anni, tende a diventare solitario. È una specie abitudinaria che si riproduce in inverno (le orate nascono da ottobre a dicembre in alto mare), mentre nei mesi caldi (quando sono diventate forme giovanili) si avvicina alle coste ed entra anche in lagune salmastre per via della maggiore presenza di cibo.

                                                      Verso la fine dell’autunno le orate tornano verso il mare aperto dove generalmente scelgono come habitat i fondali rocciosi o caratterizzati dalla presenza di praterie di Posidonia oceanica.

                                                       

                                                      Sviluppo dell’orata

                                                      È una specie ermafrodita proterandra, ovvero tutti gli esemplari che nascono sono maschi, per poi subire un cambio di sesso sopra una certa dimensione con l’età, diventando a tutti gli effetti femmine.

                                                      La maturità sessuale viene raggiunta a 2 anni (20-30cm) dai maschi, mentre la maturazione delle gonadi avviene a 2-3 anni (33-40 cm) per le femmine.

                                                      Le femmine possono deporre da 20.000 ad 80.000 uova al giorno, per un periodo di durata superiore ai 4 mesi.

                                                      In condizioni di cattività l’inversione sessuale viene condizionata dalle condizioni sociali e da fattori ormonali.

                                                       

                                                      Allevamento dell’orata

                                                      Esistono diverse modalità di allevamento dell’orata:

                                                       

                                                      estensivo, all’interno di lagune o bacini di acqua salata,

                                                       

                                                      semiintensivo, all’interno delle lagune in alcune zone che vengono delimitate con delle reti,

                                                       

                                                      intensivo, all’interno delle vasche a terra o nelle gabbie a mare.

                                                       

                                                      L’allevamento estensivo

                                                      In particolare la “vallicoltura” è una tipologia di allevamento estensivo praticata nelle lagune dell’Alto Adriatico, che si basa sulla cattura delle forme giovanili che migrano dal mare alle lagune.

                                                       

                                                      Gli avannotti (o larve) riassorbono il sacco vitellino (alimentazione endogena) dopo 3-4 giorni dalla schiusa e vengono poi alimentate con organismi vivi fino a 25-35 giorni dalla schiusa, periodo nel quale avviene la metamorfosi.

                                                      I giovanili di circa 45 giorni di età vengono trasferiti all’interno di vasche più grandi, dove la temperatura dell’acqua è di 18°C, in cui avviene la fase di svezzamento.

                                                       

                                                      Nell’allevamento estensivo i giovanili, che vengono catturati durante la migrazione dal mare alla laguna attraverso un sistema di trappole, vengono sottoposti alla fase di ingrasso utilizzando gli avannotti pescati o l’”impesciamento”, tipologia di semina che viene effettuata con materiale proveniente dalle avannotterie.

                                                       

                                                      L’allevamento semintensivo

                                                      Nell’allevamento semintensivo i giovanili introdotti, per accorciare i tempi di allevamento e ridurre la mortalità, a volte vengono precedentemente sottoposti alla fase di pre-ingrasso negli impianti di tipo intensivo.

                                                      In questo tipo di allevamenti è frequente la pratica di fertilizzazione delle acque di allevamento e, in alcuni casi, il cibo naturalmente presente viene integrato con la somministrazione di mangime artificiale ed aggiunta di ossigeno in acqua.

                                                       

                                                      L’allevamento intensivo

                                                      Nell’allevamento intensivo (ad oggi tecnologia produttiva più utilizzata per questa specie) le orate generalmente vengono allevate in vasche di calcestruzzo oppure in vasche scavate a terra ed impermeabilizzate con teli di PVC.

                                                      L’orata allevata alle temperature ottimali (18-26°C) raggiunge i 400 g in 10- 12 mesi, ma si adatta bene anche a temperature fino a 32-34°C, mentre tollera poco le basse temperature e non resiste a temperature inferiori di 4°C.

                                                       

                                                      Recentemente si sta sviluppando l’allevamento all’interno di gabbie installate in mare, in strutture che possono essere galleggianti, semisommerse o sommerse e di varie dimensioni a seconda del luogo nel quale vengono posizionate.

                                                      L’allevamento in gabbia, rispetto a quello tradizionale a terra, permette un notevole risparmio energetico in quanto non è necessario l’utilizzo di pompe per l’approvvigionamento dell’acqua né di filtri per il trattamento delle acque reflue.

                                                      La crescita degli esemplari tuttavia risulta rallentata rispetto a quella dell’allevamento in vasche, in quanto la temperatura dell’acqua non può essere modificata.

                                                       

                                                      L’alimentazione delle orate viene effettuata tramite l’utilizzo di distributori automatici di mangime oppure a mano, soprattutto nel caso degli animali più grandi.

                                                       

                                                      Stagionalità dell’orata

                                                      L’orata è disponibile sul mercato tutto l’anno.

                                                       

                                                      Preparazione e Conservazione dell’orata

                                                      Scelta e conservazione dell’orata

                                                      L’orata è fresca quando si presenta con colore vivo, con carne compatta e soda; le squame devono essere ben attaccate al corpo.

                                                      Per pulire l’orata si procede eliminando dapprima le squame partendo dalla coda utilizzando un coltello o lo squamatore, poi si devono togliere le interiora incidendo lo stomaco partendo dalla coda verso la testa, infine si tolgono le branchie e la pelle con un coltello affilato. La pelle può essere lasciata in base alle proprie preferenze.

                                                       

                                                      Per conservarla appena acquistata deve essere eviscerata e lavata accuratamente sotto acqua corrente.

                                                      Conservarla in frigorifero, ben coperta da pellicola alimentare o chiusa in un sacchetto freezer, per 1 o 2 giorni al massimo. Se è molto fresca, è possibile anche congelarla, a -18°C, in appositi sacchetti ben chiusi, avendo l’accortezza di eliminare quanta più aria possibile. Si può così conservare 3 mesi.

                                                       

                                                      Come cucinare l’orata

                                                      Quando si consuma il pesce, non si dovrebbe aggiungere sale viste le quote già presenti di sodio.

                                                       

                                                      L’orata si presta molto ad essere cucinata al cartoccio, dove la sua pancia una volta eviscerata viene riempita con aglio e aromi a piacere e poi cotta in forno avvolta in un cartoccio che può essere di carta stagnola o carta forno. Con questa cottura il pesce conserva inalterato il suo sapore e la sua morbidezza. Si usa portare a tavola l’intero cartoccio e sfilettare il pesce al momento.

                                                      Unica cosa a cui prestare molta attenzione è la cottura. La temperatura ottimale del forno dovrebbe essere tra i 200 e i 220° C. Il tempo varia ovviamente in base alla pezzatura del pesce.

                                                       

                                                      Con la cottura, e quindi il calore, si annientano le sostanze tossiche eventualmente presenti, come il parassita molto diffuso Anisakis. Per questo motivo è bene consumare l’orata solo dopo averla cucinata.

                                                       

                                                      Se invece si vuole consumare cruda, bisogna prima informarsi se il pesce ha subito il congelamento preventivo a 20°C per almeno 24 ore, come previsto dal Regolamento CE 853/2004, sulla «Vendita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi».

                                                      A casa invece, è bene congelare l’orata per almeno 96 ore a -18°C in un congelatore a tre o più stelle, prima di consumarla cruda.

                                                      Cocomero o Anguria

                                                       

                                                      cocomero o anguria

                                                      Famiglia: Cucurbitaceae

                                                      Genere: Citrullus

                                                      Specie: Citrullus lanatus (Thunb.) Matsum e Nakai

                                                       

                                                      Storia del cocomero

                                                      Il cocomero è il frutto del Cocos nucifera, una specie appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae; è conosciuto anche come anguria, nelle regioni padane, o melone d’acqua, in quelle meridionali.

                                                       

                                                      La pianta è originaria dell’Africa tropicale e ad oggi è diffusa in tutto il mondo, sia nella fascia tropicale che in quella temperata-calda.

                                                      Attualmente il principale produttore a livello mondiale è la Cina.

                                                       

                                                      Tipologie di cocomero

                                                      In commercio esistono diverse varietà di cocomero:

                                                      la Crimson sweet (medioprecoce con frutti di grossezza media), la Sugar baby (ibrida F1 precoce), la Charleston gray 133 (a frutto oblungo, tardiva), la Blue Belle (Ibrido F1 rotonda e molto produttiva), l’imperial (Ibrido F1 rotonda, precoce), la Florida Giant, La Blue Ribbon, la Ashai Miyako (Ibrido F1 precoce con frutto rotondo).

                                                       

                                                      Proprietà nutrizionali del cocomero o anguria

                                                      tabella con valori nutrizionali del cocomero o anguria

                                                      Valori nutrizionali del cocomero

                                                      Il cocomero è il frutto con maggior contenuto di acqua, molto consumato in estate per reidratare l’organismo ebuono è anche il suo contenuto in fibra alimentare.

                                                       

                                                      A livello di minerali, buono è il suo quantitativo in potassio.

                                                       

                                                      L’anguria contribuisce anche alla quota di antiossidanti derivanti dalla nutrizione, grazie al suo contenuto in vitamina C, licopene e beta-carotene, che aiutano la proliferazione di radicali liberi.

                                                       

                                                      Benefici del cocomero

                                                      Questo frutto ha proprietà diuretiche, per via dell’elevato contenuto di acqua, un modesto potere saziante, dovuto alla presenza di fibra, ed è considerato poco allergenico.

                                                       

                                                      Il potassio invece regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule, ed è fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso. Un buon apporto alimentare è associato alla riduzione della pressione negli ipertesi.

                                                       

                                                      Insieme ai pomodori, il cocomero è uno dei frutti a più elevato contenuto di licopene, carotenoide dalle proprietà benefiche nei confronti dell’apparato cardiovascolare e, secondo alcune più recenti ricerche, delle ossa.

                                                       

                                                      Inoltre questo frutto è fonte di citrullina, un aminoacido che una volta nell’organismo viene convertito ad arginina; quest’ultima può promuovere la buona salute cardiovascolare.

                                                       

                                                      La porzione consigliata è di 150 grammi, che corrisponde a circa una fettina di anguria.

                                                       

                                                      Produzione e Tecnologia del cocomero o anguria

                                                      Caratteri botanici del cocomero

                                                      Il cocomero è il frutto di una pianta erbacea annuale costituita da uno stelo che rapidamente si ramifica in altri steli striscianti sul terreno, lunghi fino ad alcuni metri, muniti di viticci.

                                                      Le foglie sono grandi, spicciolate, di colore verde grigiastro.

                                                       

                                                      I fiori maschili (solitamente la pianta di cocomero è monoica, ossia porta fiori maschili e femminili separati) compaiono per primi e superano in numero quelli femminili in un rapporto di 7:1, l’impollinazione è entomofila (api) e l’allogamia è la regola, dopo 40-50 giorni dalla fecondazione i frutti raggiungono la maturazione.

                                                       

                                                      Il frutto è un peponide in cui epicarpo, mesocarpo ed endocarpo sono un tutt’uno, che si presenta esternamente liscio e coriaceo, e internamente pieno di polpa in cui sono immersi numerosi semi appiattiti del peso di 35-100 mg.

                                                       

                                                      L’aspetto, la forma e le dimensioni dei frutti sono variabili a seconda della varietà e delle condizioni di coltura: il peso di un frutto varia da 2 a 15 Kg, la forma può essere sferica o allungata, il colore esterno verde-chiaro, verde scuro o con striature dei due colori, la polpa è generalmente rossa, ma esistono anche tipi a polpa gialla o bianca.

                                                       

                                                      Coltivazione del cocomero

                                                      Il cocomero richiede una temperatura minima di germinazione di 15°C e per questo motivo deve essere seminato in primavera avanzata, aprile-maggio, per poter essere raccolto in estate.

                                                      Inoltre, vista la scarsa piovosità durante la stagione di crescita, l’irrigazione è quasi sempre indispensabile e i terreni più adatti sono quelli profondi e sciolti.

                                                       

                                                      Il cocomero è una coltura da rinnovo ma non deve ritornare sullo stesso terreno prima di 4-5 anni per ridurre i rischi d’attacchi parassitari.

                                                       

                                                      L’impianto si fa con semina diretta in campo, metodo adottato sia per la coltura in pien’aria che per quella forzata, o con trapianto di piantine allevate in fitocella, solo per la coltura forzata. Solitamente vengono lasciati 2-3 m tra le file e 1,5-2 m tra le postarelle.

                                                       

                                                      Produzione del cocomero

                                                      I frutti una volta maturi presentano il disseccamento del peduncolo e del cirro che lo accompagna, suono cupo e sordo alla percussione, scomparsa totale della pruina che ricopre il frutto immaturo.

                                                       

                                                      La raccolta è eseguita a mano ponendo particolare attenzione per evitare ferite o abrasioni che comprometterebbero la conservabilità del frutto. Le produzioni variano da 30 a 50 t/ha in funzione dell’ambiente, della cultivar, della tecnica colturale seguita.

                                                       

                                                      La conservazione dei frutti maturi una volta raccolti è limitata nel tempo: resistono infatti per 15 giorni a 15°C.

                                                       

                                                      Stagionalità del cocomero o anguria

                                                      In Italia la stagione del cocomero è nel periodo estivo nei mesi di luglio e agosto.

                                                       

                                                      Preparazione e Conservazione del cocomero o anguria

                                                      Vi consigliamo come prima cosa di comprarlo di stagione, scegliendolo intero.

                                                       

                                                      I cocomeri maschio sono più allungati e acquosi, mentre le femmine sono più tondi e dolci.

                                                      La buccia deve essere scura e opaca: se è verde e lucida il frutto non è maturo. Le striature devono essere ravvicinate e ben definite: verde scuro anziché verde pallido, e color crema anziché giallino.

                                                       

                                                      A parità di dimensioni, scegliete quello più pesante: ha una maggiore quantità d’acqua ed è più dolce.

                                                       

                                                      Potete tagliarlo a palline scavandolo con la paletta del gelato, o in rondelle sottilissime da usare come carpaccio, ma il taglio più comodo resta in spicchi.

                                                      Per tagliarlo a spicchi vi consigliamo prima di lavare la buccia per togliere eventuali batteri, asciugarlo e metterlo su un tagliere.

                                                      Tenete fermo il cocomero con una mano e con l’altra tagliate le due estremità fino a far comparire il rosso della polpa. Ora appoggiate il cocomero su una estremità e formate una base stabile. Poi tagliate il frutto in quattro quarti nel senso della larghezza e tagliate poi ogni quarto in spicchi larghi 2-3 centimetri alla buccia

                                                       

                                                      Il cocomero è sempre più spesso usato in piatti salati, per creare un po’ di contrasto di sapore.

                                                       

                                                      Le proposte di ricette di FBO con l’anguria:

                                                        • Hong MY et al. (2015) “Watermelon consumption improves inflammation and antioxidant capacity in rats fed an atherogenic diet.”, Nutrition Research; 35(3):251-8.
                                                        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                        • Mordente A et al. (2011) “Lycopene and cardiovascular diseases: an update”, Current Medicinal Chemistry ;18(8):1146-63.
                                                        • www.agraria.org
                                                        • www.bda-ieo.it
                                                        • www.humanitas.it

                                                        Pesce spada

                                                         

                                                        pesce spada

                                                        Famiglia: Xiphiidae

                                                        Genere: Xiphias

                                                        Specie: Xiphias gladius

                                                         

                                                        Cos’è il pesce spada

                                                        Il pesce spada è un pesce di mare il cui nome deriva dal prolungamento della mascella superiore in un rostro osseo simile a una spada.

                                                        È presente nelle acque tropicali e temperate di tutti gli oceani, ma si trova anche nel Mar Nero, nel Mar Mediterraneo, nel Mar di Marmara e nel Mare d’Azov.

                                                         

                                                        Le sue carni sono poco grasse, sode, saporite e il suo sapore è delicato. È regolarmente presente sui mercati e viene commercializzato intero od a tranci, fresco, congelato o affumicato.

                                                         

                                                        Proprietà nutrizionali del pesce spada

                                                        tabella con i valori nutrizionali del pesce spada

                                                        Valori nutrizionali pesce spada

                                                        Il pesce spada è un pesce di grossa taglia, e andrebbe preferito con meno frequenza rispetto a quelli di piccola taglia.
                                                        Generalmente questi pesci accumulano più facilmente mercurio rispetto ai più piccoli, tuttavia se consumanti nelle giuste quantità e frequenze si riesce a tenere sotto controllo il rischio di eccessivo accumulo di mercurio ed a beneficiare degli importanti nutrienti del pesce.

                                                         

                                                        Il pesce spada è fonte di proteine ad alto valore biologico, ovvero è composto da proteine complete di tutti gli amminoacidi che bisogna assumere tramite la dieta.

                                                         

                                                        A livello di micronutrienti è fonte di minerali come il fosforo, il calcio, il potassio, il selenio e il magnesio, di vitamina D e di vitamina A.

                                                         

                                                        Benefici del pesce spada

                                                        Tra i benefici che apporta il pesce spada, una funzione positiva per l’organismo è sicuramente riconosciuta agli omega-3, acidi grassi insaturi, che svolgono un importante ruolo nella protezione del sistema circolatorio.

                                                         

                                                        Il pesce spada è fonte in particolare di proteine e vitamina D, che ha un importante ruolo nella mineralizzazione dello scheletro e controlla le concentrazioni di calcio e fosforo nel sangue regolandone l’assorbimento.

                                                        Per le vitamine, oltre la vitamina D, è presente anche la vitamina A che protegge la vista, favorisce lo sviluppo delle ossa e la crescita dei denti e la vitamina B12 che svolge un ruolo importante nella produzione dei globuli rossi e nella formazione del midollo osseo.

                                                         

                                                        Buona è anche la sua concentrazione in fosforo e calcio, importanti per la salute delle ossa e dei denti ed in potassio che aiuta a mantenere la pressione nella norma e può ridurre il rischio di calcoli renali ricorrenti e la perdita di tessuto osseo durante l’invecchiamento.

                                                        Il selenio, invece, permette il buon funzionamento degli antiossidanti cellulari, mentre il magnesio interviene in numerose reazioni che avvengono a livello cellulare.

                                                         

                                                        La porzione di consumo consigliata è 150 grammi di pesce fresco, che corrisponde circa a un filetto medio.

                                                         

                                                        Interazioni del pesce spada

                                                        Il pesce spada è un pesce di grande taglia predatore e come tale potrebbe quindi contenere mercurio, sia a causa della sua alimentazione sia a causa dell’ambiente inquinato in cui potrebbe vivere. Per questo motivo le donne in età fertile, in gravidanza o in allattamento e i bambini è bene che non ne consumino più di una porzione alla settimana (100 grammi).

                                                        Oltre al mercurio, è bene prestare attenzione all’Anisakis, un microorganismo dannoso per l’organismo umano, che può essere annientato con la cottura del pesce.

                                                         

                                                        Produzione e Tecnologia del pesce spada

                                                        Caratteristiche del pesce spada

                                                        Il pesce spada ha un corpo agile, muscoloso e allungato. Presenta un prolungamento della mascella superiore, la spada (o rostro), che può arrivare ad 1/3 della lunghezza del corpo, appuntita e molto robusta, costituita da materiale osseo e che viene utilizzata come arma di offesa e difesa.

                                                        Può raggiungere una lunghezza massima di 4,5 m ed un peso che supera i 400 kg.

                                                        La pinna dorsale è posizionata subito dopo il capo ed è molto alta, rigida e falciforme.

                                                        Il dorso è di colore bruno scuro, mentre il ventre chiaro.

                                                         

                                                        Si nutre principalmente di tonni di piccole dimensioni, sgombri, barracuda, pesci volanti, clupeidi e molluschi cefalopodi.

                                                        Vive in acque temperate anche molto profonde in solitaria o in piccoli gruppi; tra giugno e settembre, periodo della riproduzione, forma delle coppie che si spostano in acque più calde.

                                                         

                                                        La pesca del pesce spada

                                                        La tecnica di pesca utilizzata è la traina d’altura, ovvero quando il pesce è nelle vicinanze si lancia l’esca in acqua facendogliela passare vicino e mantenendola sempre fuori dalla scia dell’imbarcazione.

                                                        L’esca ideale è rappresentata dal calamaro, ma possono essere utilizzati anche i cefali, gli sgombri e le palamite

                                                         

                                                        In Italia la pesca di questo pesce è praticata soprattutto in Sicilia e in Calabria, da aprile a settembre. Bisogna però ricordare che in Italia non si possono catturare esemplari che non siano lunghi almeno 140 cm.

                                                         

                                                        In commercio si trova intero od a tranci, fresco, congelato o affumicato.

                                                         

                                                        Stagionalità del pesce spada

                                                        Lo spada si trova sul mercato italiano soprattutto durante il periodo di pesca, ovvero tra aprile e settembre.

                                                         

                                                        Preparazione e Conservazione del pesce spada

                                                        Pesce tipico della tradizione culinaria siciliana si presta benissimo ad essere preparato in moltissime ricette.

                                                        Per i tranci e i filetti di pesce spada è sufficiente sciacquarli sotto l’acqua corrente e poi asciugarli. A seconda della preparazione, si può decidere se eliminare o meno la pelle.

                                                         

                                                        Vi consigliamo di scegliere i tranci dalla carne compatta, di colore bianco-rosata e priva di striature rosse, indizio di poca freschezza. L’odore deve essere gradevole e delicato. La freschezza di questo pesce si riconosce anche osservando la carne posta ai lati della vertebra: si deve presentare con delle righe di colore scuro che devono formare una “X”.

                                                         

                                                        I tranci di pesce spada si conservano in frigorifero per 1-2 giorni oppure vanno consumati in giornata. Se congelato a circa -18°C si conserva per 3 mesi.

                                                         

                                                        Ricordiamo che prima di consumarlo crudo è bene informarsi se il pesce ha subito il congelamento preventivo a -20°C per almeno 24 ore, secondo quanto stabilito dalla normativa europea (Regolamento CE 853/2004) sulla «Vendita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi».

                                                        Sogliola

                                                         

                                                        sogliola

                                                        Famiglia: Soleidae

                                                        Genere: Solea

                                                        Specie: Solea vulgaris

                                                         

                                                        La sogliola: cos’è

                                                        La sogliola è un pesce d’acqua salata appartenente alla famiglia Soleidae. Questa specie è diffusa nell’Oceano Atlantico orientale, nel Mar Baltico, nel Mar Nero e nel Mar Mediterraneo, in particolare nell’Adriatico centro-settentrionale.

                                                        Le sue carni bianche sono ottime e molto ricercate e viene commercializzato sia fresco che congelato.

                                                         

                                                        Differenza tra sogliola e platessa e passera pianuzza

                                                        La sogliola (Solea vulgaris) spesso viene confusa con la passera pianuzza (Platichthys flesus) e la platessa (Pleuronectes platessa).

                                                         

                                                        Per distinguerle basta sapere che la sogliola è un pesce che vive su fondali sabbiosi fino a 150 metri di profondità e, al momento della nascita, i due occhi sono ai lati della testa mentre crescendo l’occhio sinistro comincia a spostarsi a fianco dell’altro sul lato destro del capo.

                                                        La passera pianuzza si trova nel Mar Mediterraneo nell’Oceano Atlantico, è un pesce piatto con corpo liscio ed ovale ed entrambi gli occhio sullo stesso lato della testa anche da adulta.

                                                        La platessa invece è un pesce tipico dei mari freddi; si trova infatti nell’Oceano Atlantico Orientale e nel Mar Mediterraneo è scarsamente presente

                                                         

                                                        Proprietà nutrizionali della sogliola fresca e surgelata

                                                        tabella con i valori nutrizionali della sogliola fresca e surgelata
                                                        Tabella con i valori nutrizionali della sogliola fresca e surgelata.

                                                        Sogliola valori nutrizionali

                                                        La sogliola è un pesce magro altamente proteico. Per quanto riguarda i grassi, è ricca di acidi grassi omega 3, fondamentali per la corretta struttura cellulare e per il corretto sviluppo del sistema nervoso.

                                                         

                                                        Tra i minerali troviamo il potassio ed il fosforo; tra le vitamine quelle più concentrate sono la vitamina A e B.

                                                         

                                                        La sogliola è anche uno dei pochi pesci che contengono i folati, per cui il suo consumo è consigliato anche in gravidanza. L’acido folico può, infatti, ridurre fino al 70% il rischio che il nascituro sviluppi malformazioni congenite.

                                                         

                                                        Sogliola benefici

                                                        La sogliola è un pesce a basso contenuto proteico e a basso contenuto di grassi. Queste caratteristiche fanno si che posso essere consumato in molti regimi alimentari anche in tenera età.

                                                        Il consumo di questo pesce è inoltre indicato in caso di diarrea.

                                                         

                                                        Come scritto precedentemente, i minerali maggiormente presenti sono il potassio e il fosforo. Il primo regola la pressione arteriosa ed è un ottima arma per combattere l’ipertensione, il secondo contrariamente a quello che è il pensiero comune, non serve per la memoria ma per lo più per il mantenimento di ossa e denti.

                                                         

                                                        La porzione standard di consumo consigliata è 150 grammi che corrisponde circa a un pesce piccolo o a un filetto medio.

                                                         

                                                        Ricordiamo che un filetto di sogliola contiene 1725 mg di fosforo, superando così più del doppio la dose giornaliera raccomandata di questo minerale per la popolazione adulta (fissata a 700 mg).

                                                         

                                                        Produzione e Tecnologia della sogliola

                                                        Caratteristiche della sogliola

                                                        La sogliola è un pesce piatto dal corpo ovale e compresso, con testa piccola, muso arrotondato e bocca piccola ed arcuata. Gli occhi, di cui uno si sposta a fianco dell’altro intorno ai due mesi di vita, sono situati entrambi sulla parte del corpo rivolta verso la superficie dell’acqua.

                                                        Le squame sono rettangolari, piccole e spinose ai margini. La pinna dorsale inizia all’altezza dell’occhio superiore e si collega, tramite una membrana, al peduncolo caudale; le pinne pettorali sono piccole e asimmetriche.

                                                         

                                                        La sogliola comune può raggiungere dimensioni comprese fra i 30 cm (nel Mediterraneo) e i 50 cm di lunghezza (nell’Atlantico) e il peso in media si aggira attorno ai 200 grammi.

                                                        Il colore della parte superiore varia dal bruno-grigio al rossastro, con possibile presenza di piccole macchie, mentre il ventre si presenta biancastro.

                                                         

                                                        Habitat e riproduzione della sogliola

                                                        La sogliola vive sui fondali marini melmosi e sabbiosi e, nelle ore diurne, si adagia sul fondo sul lato cieco dove scava piccole nicchie per insabbiarsi e mimetizzarsi, mentre di notte esce in cerca di cibo.

                                                        Si nutre prevalentemente di anellidi, vermi, piccoli crostacei, piccoli molluschi e piccoli pesci.

                                                         

                                                        È un pesce che si riproduce nel periodo invernale deponendo uova che si disperdono in superficie e, al momento della nascita, le larve hanno i due occhi ai lati della testa; nel momento in cui la larva raggiunge i 15mm di lunghezza (intorno ai 2 mesi di vita) l’occhio sinistro comincia a spostarsi a fianco dell’altro.

                                                         

                                                        Tecniche di pesca della sogliola

                                                        La sogliola viene solitamente pescata con attrezzi da traino come rapidi, sfogliare o ramponi ma può venir catturata anche con reti a strascico e attrezzi fissi (tremagli). Le esche utilizzate sono vongole, mitili, pezzetti di gamberetto o seppioline, vermetti; le vongole resistono bene sull’amo mentre i mitili si sfaldano facilmente e, per questo motivo, sarebbe meglio racchiuderli in ritagli di garza.

                                                        Si pesca durante tutto l’anno, in particolare nei mesi autunnali.

                                                        La sogliola viene venduta fresca, generalmente eviscerata, o surgelata.

                                                         

                                                        Stagionalità della sogliola

                                                        La sogliola è di stagione particolarmente nei mesi che vanno da luglio a dicembre.

                                                         

                                                        Preparazione e Conservazione della sogliola

                                                        Fresca o surgelata, la composizione nutrizionale della sogliola rimane pressoché identica: fonte di proteine nobili, acidi grassi omega-3 a lunga catena, vitamine e minerali.

                                                         

                                                        I migliori metodi di cottura per preservare le sue caratteristiche sono al vapore, al cartoccio o al forno.

                                                         

                                                        La freschezza della sogliola si riconosce dall’occhio che deve essere sempre sporgente con la pupilla nera, non arrossata e dal colore vivo della pelle, ben aderente al corpo.

                                                        La sogliola può essere conservata in frigorifero per un massimo di 24 ore dopo essere stata pulita e avvolta in carta da forno o di alluminio, e può essere congelata solo se molto fresca, per non più di un mese.

                                                         

                                                        Dal gusto delicato, si adatta a più di una preparazione. La carne della sogliola è piuttosto soda e saporita e potete trovare questo pesce sia intero sia in filetti. Se volete cucinare una sogliola intera, dovete solo privarla della pelle, lavarla e asciugarla per bene.

                                                        Una delle ricette più in e più delicate per cuocere la sogliola, è quella della sogliola al cartoccio. Lavate la sogliola, privatela di pelle, lische e interiora, e lasciatela cuocere in forno avvolta da un cartoccio creato con della carta forno. Aggiungete all’interno del cartoccio insieme al pesce anche dei pomodorini, del basilico, dell’aglio, un pizzico di sale e dell’olio. Cuocete in forno a 160 gradi per 50 minuti e il pesce sarà squisito.

                                                        Dentice

                                                         

                                                        pesce dentice

                                                        Famiglia: Sparidae

                                                        Genere: Dentex

                                                        Specie: Dentex dentex

                                                         

                                                        Storia del dentice

                                                        Il dentice (Dentex dentex), conosciuto anche come dentice nostrano, è un pesce d’acqua salata appartenente alla famiglia degli Sparidi, la stessa della quale fanno parte anche i saraghi e le orate.

                                                         

                                                        Esistono altre due specie piuttosto simili al dentice comune (Dentex dentex):

                                                         

                                                        • il dentice corazziere (Dentex gibbosus), caratterizzato dalla presenza di una protuberanza gibbosa che cresce sulla fronte,

                                                         

                                                        • il pagro o “dentice praio” (Pagrus pagrus).

                                                         

                                                        È diffuso nell’Oceano Atlantico orientale, in particolare dalla Patagonia al Senegal, e nel Mar Mediterraneo occidentale.

                                                         

                                                        In commercio si trova fresco o congelato.

                                                         

                                                        Proprietà nutrizionali del dentice

                                                        tabella con i valori nutrizionali del dentice

                                                        Valori nutrizionali del dentice

                                                        Il dentice è un pesce povero di grassi saturi e ricco di omega 3.

                                                         

                                                        A livello di sali minerali, il dentice è ricco in potassio ed è inoltre fonte di selenio. 

                                                         

                                                        Buona è anche la concentrazione di fosforo, importante per la salute di ossa e denti.

                                                         

                                                        Tra le vitamine ricordiamo la vitamina A, importante per la vista e per il sistema immunitario, le vitamine del gruppo B, necessarie per diversi processi metabolici e la vitamina D, anch’essa importante per la salute delle ossa.

                                                         

                                                        Il dentice non deve essere però consumato in quantità eccessive perché potrebbe aumentare la quantità di colesterolo.

                                                         

                                                        Benefici del dentice

                                                        Il buon contenuto di omega 3, acidi grassi polinsaturi considerati amici della salute di cuore e arterie, presente nel dentice lo presenta come un ottimo alleato per la salute cardiovascolare.

                                                         

                                                        Il potassio presente è fondamentale per regolare il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule e necessario al corretto funzionamento del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso.

                                                        Ricordiamo che il fabbisogno di potassio per la popolazione italiana adulta è di 3900 mg al giorno, sia per i maschi che per le femmine.

                                                         

                                                        Il selenio invece ostacola la formazione dei radicali liberi, proteggendo le cellule dai danni dell’ossidazione e che interviene nel funzionamento del sistema immunitario e nel metabolismo degli ormoni tiroidei.

                                                         

                                                        La porzione consigliata è di 150 grammi di pesce fresco.

                                                         

                                                        Produzione e Tecnologia del dentice

                                                        Caratteristiche del pesce dentice

                                                        Il dentice è un pesce magro, facilmente digeribile, dalle carni bianche, sode e dal sapore delicato.

                                                         

                                                        Presenta un corpo ovale, testa grande e occhi piccoli.

                                                        I denti sono aguzzi e, nella parte anteriore di entrambe le mascelle, ne sono presenti quattro o sei lunghi e ben sviluppati; gli altri invece sono più corti.

                                                         

                                                        La pinna dorsale è lunga con la parte anteriore dotata di aculei spinosi: la coda è possente, tipica del nuotatore di razza, ed è a forma di mezza luna. Le pinne pettorali sono strette e lunghe.

                                                         

                                                        Negli esemplari giovani il colore sul dorso è azzurro-grigiastro mentre i fianchi sono argentei e percorsi da quattro bande verticali scure; crescendo perdono la gradazione blu e diventano di un colore rosso pallido uniformemente distribuito.

                                                        Sono presenti anche macchie più scure e riflessi violacei, rosati e azzurro metallico che però spariscono dopo la morte.

                                                         

                                                        Il dentice può superare il metro di lunghezza e i dieci chili di peso. E un predatore vorace che si nutre di pesci più piccoli e di cefalopodi.

                                                         

                                                        Vive in prossimità dei fondali rocciosi, nuotando a profondità comprese tra 30 e 80 metri. In primavera, pur avvicinandosi alla costa, non sale al di sopra dei dieci metri.

                                                        Si riunisce generalmente in branchi composti da esemplari della stessa taglia.

                                                         

                                                        Tecniche di pesca del pesce dentice

                                                        La pesca del dentice è indicata nei mesi estivi e autunnali nelle ore che precedono l’alba e le tecniche di pesca utilizzate sono la subacquea o dalla costa.

                                                         

                                                        Tra le tecniche più utilizzate c’è la traina profonda.

                                                        La pesca a traina di fondo consiste nella pesca con piombo guardiano (400-900 grammi) e viene usata in abbinamento a esca viva (calamaro, occhiata, aguglia, sugarello) o, più di rado, a un’esca morta, solitamente un calamaro.

                                                         

                                                        Un altro sistema utilizzato è l’affondatore, ovvero un piombo montato su un cordino apposito sul quale è montata una pinzetta a sgancio a pressione calibrata per la lenza che proviene dalla canna. Con questo sistema possono essere utilizzati tutti i tipi di esca ma necessita di una strumentazione specifica.

                                                         

                                                        Il terzo dei sistemi d’affondamento più usati consiste nell’impiego del monel, un filo metallico, nella bobina di un grosso mulinello rotante. La pesca a traina con il monel si effettua in prevalenza usando esche artificiali tipo minnow, con paletta metallica, sondando fondali misti di roccia e posidonia a profondità non superiori a 40 metri.

                                                         

                                                        Fra le altre tecniche capaci di catturare il dentice ci sono anche quelle in verticale, più moderne, quali il vertical jigging, il inchiku e il bolentino con l’esca viva.

                                                         

                                                        Stagionalità del pesce dentice

                                                        Viene pescato tutto l’anno.

                                                         

                                                        Preparazione e Conservazione del pesce dentice

                                                        Il dentice è fresco quando presenta un colore vivo, il corpo rigido e dritto con le squame ben attaccate al corpo e una carne compatta e soda.

                                                         

                                                        Il pesce può essere conservato in frigorifero se si desidera consumarlo il prima possibile, ovvero utilizzarlo prima della scadenza dei tre giorni.

                                                        In congelatore invece va conservato solo se fresco e se messo in sacchetti con chiusura ermetica e privo di aria, per circa tre mesi.

                                                         

                                                        Il primo procedimento per pulire il dentice sta nell’eliminare le squame, utilizzando lo squamatore o un coltello, partendo dalla coda fino alla testa. Poi si effettua un’incisione nello stomaco sempre partendo dalla coda verso la testa per poi togliere le interiora e successivamente, si tagliano le branchie con un paio di forbici.

                                                         

                                                        Fresco o surgelato, la composizione nutrizionale rimane pressoché identica, in cucina questo pesce può essere utilizzato per la preparazione di risotti, minestre o di saporiti secondi piatti cuocendolo al cartoccio, al forno, al sale, alla griglia o bollito.

                                                         

                                                        I migliori metodi di cottura per preservare le sue caratteristiche sono al vapore, al cartoccio o al forno.

                                                         

                                                        Le proposte di ricette di FBO con il dentice

                                                          Pesca

                                                           

                                                          pesca percoca

                                                          Famiglia: Rosaceae

                                                          Genere: Prunus

                                                          Specie: Prunus persica (L.) Batsch.

                                                           

                                                          La pesca: cos’è e storia

                                                          La pesca è il frutto del Prunus persica ed è una specie originaria della Cina, dove tutt’oggi è ampiamente coltivata.

                                                          Questo frutto viene coltivato nelle zone con clima temperato-mite e, a livello mondiale, i maggiori produttori sono Stati Uniti, seguiti da Italia, Spagna, Grecia, Cina, Francia e Argentina. In particolare in Italia le regioni maggiori produttrici sono Emilia-Romagna, Campania, Veneto e Lazio.

                                                           

                                                          Tipi di pesca

                                                          Esistono diverse specie coltivate del genere Persica, tra cui:

                                                           

                                                          Persica vulgaris Mill. (= Prunus persica (L.) Batsch.) che produce frutti con buccia tomentosa, adatta al consumo fresco o per l’industria;

                                                          Persica laevis DC (= Prunus persica var. necturina Maxim., Prunus persica var. laevis Gray) è il pesco noce o nettarina, che produce frutti glabri da consumo fresco.

                                                           

                                                          Le cultivar di pesco, in relazione alla specie di appartenenza e al tipo di prodotto fornito, vengono distinte in pesca da consumo fresco, pesca nettarina e pesca percoca (da industria).

                                                           

                                                          La pesca da consumo fresco

                                                          Le pesche da consumo fresco vengono distinte in cultivar a polpa gialla (dalla polpa succosa, sapore dolce e pelle vellutata) e a polpa bianca (dotate di buccia vellutata e profumata, dall’interno pallido e di consistenza filamentosa).

                                                           

                                                          Tra quelle a polpa gialla ricordiamo: Earrly Maycrest, Queencrest, Maycrest, Springcrest, Spring Lady, Springbelle, Royal Glory, Flavorcrest, Redhaven, Rich Lady, Lizbeth, Red Moon, Red Topo, Summer Rich, Maria Marta, Glohaven, Pontina, Romestar, Elegant Lady, Suncrest, Red Coast, Symphonie, Franca, Sibelle, Cresthaven, Roberta Barolo, Bolero, Fayette, Promesse, Sunprice, Aurelia, Early O’Henry, Padana, Calred, O’Henry, Guglielmina, Parade, Flaminia, Fairtime.

                                                           

                                                          In quelle a polpa bianca rientrano: Primerose, Springtime, Alexandra, Felicia, Anita, Iris Rosso, Maria Grazia, Daisy, Alba, Bea, Redhaven Bianca, Maria Bianca, Fidelia, White Lady, Rosa del West, Maria Rosa, Rossa San Carlo, Maria Angela, Tendresse, Toro, Dolores, K2, Regina Bianca, Duchessa d’Este, Maria Delizia, Tardivo Giuliani, Michelini, Regina di Londa.

                                                           

                                                          La pesca nettarina

                                                          Le nettarine sonocaratterizzate dall’avere una polpa dura e soda, a tratti croccante, e una pelle liscia e anch’esse possono essere distinte in cultivar a polpa gialla e a polpa bianca.

                                                           

                                                          Tra le cultivar a polpa gialla ricordiamo May Glo, Lavinia, Armking, Rita Star, Maria Emilia, Supercrimson, May Diamond, Red Delight, Weinberger, Gioia, Early Sungrand, Big Top, Spring Red, Firebrite, Maria Laura, Independence, Flavor Gold, Pegaso, Maria Carla, Red Diamond, Antares, Summer Grand, Flavortop, Stark Redgold, Nectaross, Maria Aurelia, Venus, Maria Dolce, Orion, Sweet Red, Caldesi 84, Royal Giant, Sirio, Scarlet Red, Fairlane, Tastyfree, Caldesi 85, California.

                                                          Nella cultivar a polpa bianca rientrano Silver King, Caldesi 2000, Caldesi 2010, Silver Star, Silver Moon, Caldesi 2020.

                                                           

                                                          La pesca percoca (da industria)

                                                          Tra le pesche da industria (o pesche percoche) ricordiamo Federica, Tirrenia, Loadel, Villa Giulia, Romea, Villa Adriana, Tebana, Adriatica, Lamone, Villa Ada, Babygold 6, Villa Doria, Carson, Vivian, Andross, Jungerman, Babygold 9, Merriam.

                                                           

                                                          Proprietà nutrizionali della pesca

                                                          tabella con i valori nutrizionali della pesca

                                                          Pesca valori nutrizionali

                                                          Le pesche sono composte da più del 90% di acqua, mentre la restante parte contiene perlopiù zuccheri semplici e fibra.

                                                          Grazie proprio alla loro particolare composizione anche l’apporto calorico è limitato, all’incirca 30 calorie ogni 100 grammi.

                                                           

                                                          Tra i minerali spiccano il potassio, ferro e fluoro; tra le vitamine invece la vitamina A e la vitamina C.

                                                           

                                                          Pesca benefici

                                                          Tra i minerali quello più presente è il potassio, fondamentale per regolare il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori le cellule, per la salute del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso. Le fonti di potassio della nostra dieta sono utili a mantenere in equilibrio il rapporto con il sodio.
                                                          Spesso le diete occidentali sono sbilanciate a favore di quest’ultimo, con possibile aumento dei livelli di pressione sanguigna e conseguente incremento del rischio cardiovascolare.

                                                           

                                                          Buoni sono anche i contenuti in ferro, fondamentale per la produzione dei globuli rossi e in fluoro per la salute di ossa e denti.

                                                           

                                                          La polpa delle pesche è invece un concentrato di beta-carotene. Questo una volta assorbito può essere convertito in vitamina A, un importante micronutriente liposolubile che garantisce il corretto funzionamento del processo visivo, ma anche la salute di pelle, ossa e sistema immunitario. La vitamina A, sembrerebbe anche utile per prevenire i tumori al polmone e alla cavità orale.

                                                           

                                                          Buono è anche il contenuto in vitamina C, con una potente azione antiossidante.

                                                           

                                                          Diversi studi, infine, ne descrivono la ricchezza in composti fenolici con quantitativi che variano a seconda delle varietà e delle condizioni pedoclimatiche.

                                                           

                                                          La porzione di consumo consigliata è 150 grammi di frutto fresco, che corrispondono circa a un frutto medio.

                                                           

                                                          Produzione e Tecnologia della pesca

                                                          Caratteri botanici del pesco

                                                          Il pesco è un albero che può raggiungere gli 8 m di altezza, con una corteccia bruno-cenerina e rami radi, divaricati, rosso-bruni. Le foglie sono lanceolate, strette e seghettate. I fiori sbocciano prima della comparsa delle foglie, sono ermafroditi, ascellari, pentameri e di colore rosa.

                                                           

                                                          Il pesco è una specie autofertile e, solo uno dei due ovuli, viene fecondato e matura; il nocciolo di pesco contiene perciò un solo seme (o mandorla) solcato profondamente, dal sapore amaro per l’elevato contenuto di amigdalina.

                                                           

                                                          I frutti sono drupe carnose, tondeggianti, solcate longitudinalmente da un lato, coperte da una buccia tomentosa (pesche propriamente dette) o glabra (pesche-noci o nettarine) di vario colore.

                                                          La polpa è succulenta, di sapore zuccherino più o meno acidulo, e, a seconda della varietà, può essere gialla o bianca.

                                                          La maturazione dei frutti avviene tra la prima e la seconda decade di maggio nelle zone meridionali, fino alla fine di settembre per le cultivar più tardive.

                                                           

                                                          Coltivazione del pesco

                                                          Per la sua coltivazione il pesco richiede climi temperato-miti, si possono usare diverse tecniche colturali (classificate in forme in volume, forme a parete verticale e a pareti inclinate) e, per la scelta del sesto d’impianto, si deve tenere conto di molti elementi quali il portinnesto, la fertilità del terreno, la forma di allevamento, la disponibilità di acqua, la varietà , ecc.

                                                          Un’ operazione importante consiste nel diradamento dei frutti, che permette di ottenere frutti di pezzatura commerciale a complemento della potatura; il diradamento va eseguito alla quarta-sesta settimana (25-35 giorni) dopo la piena fioritura.

                                                           

                                                          La raccolta viene effettuata generalmente in più riprese (ad eccezione della pesca percoca se si pratica la raccolta meccanica) usando come metodo di valutazione la colorazione dell’epidermide. Tale raccolta può essere fatta ricorrendo ai sistemi tradizionali, utilizzando scale, oppure ad appositi carri raccolta opportunamente attrezzati per l’utilizzazione dei pallets.

                                                          La produttività degli impianti peschicoli varia a seconda delle cultivar: risulta minore per quelle precoci mentre tende ad aumentare per quelle tardive; nelle cultivar più produttive può giungere fino a 400 q/ha.

                                                           

                                                          Produzione delle pesche

                                                          In seguito alla raccolta le pesche vengono inviate ai magazzini di lavorazione dove si provvede alla cernita, alla spazzolatura, e al confezionamento in imballaggi standardizzati e per le varietà intermedie o tardive alla conservazione.

                                                           

                                                          La pesca oltre che essere consumata allo stato fresco è largamente utilizzata nella industria conserviera per la produzione di marmellate, succhi e pesche sciroppate, pesche essiccate, mostarda e canditi e molto altro.

                                                           

                                                          Stagionalità della pesca

                                                          In Italia sono di stagione tra giugno e settembre.

                                                           

                                                          Preparazione e Conservazione della pesca

                                                          In linea generale le pesche fresche, dopo la raccolta, hanno una vita abbastanza breve che non supera i dieci giorni, anche se conservate in frigorifero. Dipende dalla varietà e dal grado di maturazione. In certi casi non superano i tre giorni dall’acquisto, nonostante siano ancora ben sode quando le compriamo.

                                                           

                                                          In alternativa al consumo fresco, è possibile usare le pesche per preparare centrifugati o frullati.

                                                           

                                                          Alcune varietà sono particolarmente indicate per la preparazione di confetture, frutta disidratata, frutta sciroppata e succhi di frutta, sia industrialmente che artigianalmente.

                                                          Tutte queste preparazioni comportano solitamente l’aggiunta di zuccheri, o nel liquido di governo, o nel processo di trasformazione del prodotto, che ne alterano alcune caratteristiche nutrizionali, specialmente la parte calorica.

                                                          In molti casi lo stesso vale per i succhi di pesca, a cui vengono solitamente aggiunti conservanti, acqua e zuccheri semplici.

                                                           

                                                          Invece, le pesche in forma essiccata o disidratata non subiscono grosse alterazioni, se non quella di essere state private dell’acqua e di avere quindi bloccato il processo di degradazione. In questo caso, hanno lo stesso corredo di nutrienti e sali minerali delle pesche fresche.

                                                           

                                                          Nel caso delle produzioni industriali, grazie all’applicazione delle più moderne tecnologie di conservazione, la frutta viene stabilizzata con trattamenti che ne rispettano maggiormente le componenti aromatiche e in alcuni casi senza l’aggiunta di zuccheri semplici.

                                                            • Abidi W et al. (2011) “Evaluation of Antioxidant Compounds and Total Sugar Content in a Nectarine [Prunus persica (L.) Batsch] Progeny.”, International Journal of Molecular Sciences; 12(10): 6919–6935.
                                                            • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                            • Loizzo MR et al. (2015) “Prunus persica var. platycarpa (Tabacchiera Peach): Bioactive Compounds and Antioxidant Activity of Pulp, Peel and Seed Ethanolic Extracts.”, Plant Foods for Human Nutrition;70(3):331-7.
                                                            • www.agraria.org
                                                            • www.bda-ieo.it
                                                            • www.humanitas.it

                                                            Topinambur

                                                             

                                                            topinambur

                                                            Famiglia: Compositae

                                                            Genere: Helianthus

                                                            Specie: Helianthus tuberosus L.

                                                             

                                                            Cos’è il topinambur

                                                            Il Topinambur, conosciuto anche come Tartufo di canna o Patata del Canada, è la radice dell’Helianthus tuberosus, una pianta perenne di origine americana.

                                                             

                                                            Nell’Europa occidentale e nelle regioni Mediterranee il topinambur viene spesso utilizzato come se fosse una patata, sebbene risulti meno nutritivo di quest’ultima. Inoltre, rispetto alla patata, si conserva male una volta estratto da terra in quanto contiene inulina anziché amido.

                                                             

                                                            Proprietà nutrizionali del topinambur

                                                            tabella con i valori nutrizionali del topinambur

                                                            Topinambur valori nutrizionali

                                                            Spesso considerato al pari di una patata, in realtà le sue caratteristiche nutrizionali sono ben diverse. In particolare, non rappresenta un’ottima fonte di carboidrati come la patata. Tuttavia, il topinambur presenta buone quantità di una particolare tipologia di fibra, l’inulina.

                                                             

                                                            Il topinambur contiene anche vitamine come le B, A, C ed E utili per il buon funzionamento dell’organismo e tra i minerali spiccano il ferro, il calcio, il selenio e il fosforo.

                                                             

                                                            Topinambur benefici

                                                            Il topinambur ha un buon apporto di fibre di cui fa parte l’inulina, questa molecola arriva inalterata nel colon, dove i microrganismi che vi abitano possono utilizzarlo come nutrimento.

                                                            L’inulina agisce come prebiotico e aiuta a ridurre l’assorbimento da parte dell’intestino di grassi e zuccheri: in questo modo, l’inulina aiuta a proteggere la salute cardiometabolica da eccessi di glucosio e colesterolo nel sangue.

                                                             

                                                            A livello di micronutrienti il topinambur è molto ricco in potassio, utile a regolare il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule e fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso.

                                                             

                                                            Il topinambur è inoltre una fonte di antiossidanti (vitamine A, C ed E, selenio e manganese); di vitamine importanti per il metabolismo (appartenenti al gruppo B) e lo sviluppo del sistema nervoso durante la gestazione (i folati); di ferro, importante per la produzione dei globuli rossi; e di calcio e fosforo, alleati di ossa e denti.

                                                             

                                                            La porzione standard consigliata è 200 grammi, che corrisponde circa a 2 topinambur piccoli.

                                                             

                                                            Topinambur e interazioni

                                                            Se consumato in eccesso, il topinambur può causare flatulenza a causa dell’elevata quantità di fibra che contiene.

                                                             

                                                            Produzione e Tecnologia del topinambur

                                                            Caratteristiche del topinambur

                                                            Il topinambur è un tubero dalla forma irregolare dotato di radici ramificate provviste di rizomi tuberiferi.

                                                            Lo stelo è eretto e lungo, pubescente; i fiori sono gialli e riuniti in un capolino terminale.

                                                            Il frutto è un achenio, ovvero un frutto secco con un pericarpo più o meno indurito (talvolta anche legnoso) contenente un unico seme che è distinto dal pericarpo stesso.

                                                             

                                                            Non richiede grosse esigenze ambientali; resiste al freddo e al caldo ma preferisce climi temperato-caldi, tipici dell’area mediterranea, aree soleggiate e si adatta ad ogni tipo di terreno.

                                                            Essendo una pianta rustica e invadente, talvolta infestante, conviene coltivarla fuori rotazione oppure prima di una coltura sarchiata.

                                                             

                                                            Coltivazione del topinambur

                                                            Per quanto riguarda la coltivazione, la tecnica colturale è simile a quella della patata.

                                                            Il piantamento dei tuberi si esegue a righe distanti 50-60 cm (si riducono a 20-25 cm nella coltura da foraggio), pochi centimetri sotto il livello del terreno (solitamente 10 cm).

                                                             

                                                            La semina si esegue durante la metà o gli ultimi giorni dell’inverno. In seguito è sufficiente una normale rincalzatura poiché la pianta assume uno sviluppo assai rigoglioso e soffoca facilmente le erbe infestanti.

                                                             

                                                            La raccolta dei tuberi si fa quando gli steli sono ormai secchi, generalmente in autunno, garantendo così un consumo che si estende per l’intera stagione fredda. La produzione si aggira intorno ai 200-250 quintali ad ettaro. La stagione del topinambur va da ottobre a marzo.

                                                             

                                                            Il Topinambur, oltre all’alimentazione umana, viene utilizzato per l’industria e il bestiame; in quest’ultimo caso anche gli steli e le foglie della pianta forniscono foraggio.

                                                             

                                                            Stagionalità del topinambur

                                                            Il periodo migliore per acquistarlo è tra ottobre e marzo.

                                                             

                                                            Preparazione e Conservazione del topinambur

                                                            I negozi fisici sono ben forniti di tale alimento. Solitamente la scelta più indicata è rivolta alle attività bio, oppure nei grandi mercati.

                                                             

                                                            Può essere consumato crudo o cotto; nel secondo caso il procedimento può ricordare il modo di cucinare le patate. Ottimo anche mangiato così, con sale e pepe.

                                                            Naturalmente cucinato risulta più delicato da mangiare rispetto alla versione cruda, anche se quest’ultima mantiene intatte le proprietà benefiche in cucina potete realizzare molti piatti con questa specie di radice.

                                                             

                                                            Si accosta bene ai funghi, le noci, alla salsa di pomodoro e nelle insalate. Può anche essere l’ingrediente primario per realizzare una squisita purea, oppure per condire risotti; anche nelle zuppe è perfetto e molto apprezzato.

                                                             

                                                            Le proposte di ricetta di FBO con il topinambur

                                                            Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                            Ribes nero

                                                             

                                                            Famiglia: Grossulariacee

                                                            Genere: Ribes

                                                            Specie: Ribes nigrum L.

                                                             

                                                            Storia del ribes nero o cassis

                                                            Il ribes nero o cassis è il frutto del Ribes nigrum L., un arbusto originario delle zone montuose dell’Eurasia, in particolare della Siberia e del centro-nord dell’Europa.

                                                             

                                                            Le varietà più diffuse in Europa sono il ribes rosso (Ribes rubrum L.), il ribes nero (Ribes nigrum L.), il ribes bianco (Ribes sativum L.) e l’uva spina (Ribes grossularia L.); le diverse tipologie si differenziano per il colore, l’aroma, il sapore e la destinazione dei frutti.

                                                             

                                                            Varietà di ribes nero

                                                            In commercio esistono numerose cultivar di ribes nero, quali Climax, Gigante di Boskoop, Burga, Noir de Bourgogne, Tenah, Black Reward e Black Down (le due Black sono autofertili); Tifon, Troll e Andega (di più recente introduzione, autofertili e resistenti all’oidio).

                                                             

                                                            Si trovano anche numerosi ibridi, creati tra ribes nero e uva spina, che sono caratterizzati da taglia media, assenza di spine e frutti dal sapore migliore.

                                                            Tra gli ibridi ricordiamo Josta (olandese, molto vigorosa, con bacche violacee, di media grossezza), Jostine (molto vigorosa e produttiva) e Jogranda (meno vigorosa, con grosse bacche).

                                                             

                                                            Proprietà nutrizionali del ribes nero o cassis

                                                            tabella con i valori nutrizionali del ribes nero o cassis

                                                            Ribes nero valori nutrizionali

                                                            I ribes neri sono composti principalmente da acqua e zuccheri semplici, mentre i lipidi e le proteine sono presenti solo in piccolissime quantità.

                                                            Il contenuto di fibra è invece molto buono, fondamentale per mantenere in salute l’intestino.

                                                             

                                                            A livello di micronutrienti quelli più presenti sono vitamina C e potassio.

                                                             

                                                            Ribes nero benefici

                                                            I benefici apportati all’organismo sono dovuti alla presenza della vitamina C che ha una potente azione antiossidante, favorisce l’assorbimento intestinale del ferro e del cromo, interviene nella difesa immunitaria, favorisce la cicatrizzazione delle ferite e protegge i capillari.

                                                             

                                                            Molto importante è anche il contenuto in questi frutti dei polifenoli, presenti nella buccia, rappresentati prevalentemente da flavonoidi ed antocianine. Questi composti sono noti per la loro capacità antiossidante; studi recenti evidenziano il loro ruolo preventivo nei confronti delle malattie cardiovascolari.

                                                            In particolare le antocianine sembrerebbero essere efficaci nella prevenzione dell’aterosclerosi, riducendo i livelli di colesterolo cattivo (LDL).

                                                            Altri benefici apportati da questi frutti si notano a livello visivo e nei confronti dell’artrite reumatoide.

                                                             

                                                            La porzione standard di consumo consigliata è 150 grammi di ribes neri freschi.

                                                             

                                                            Ribes nero interazioni

                                                            I soggetti che assumono anticoagulanti (come il warfarin) e i soggetti che soffrono di epilessia devono prestare attenzione al consumo di ribes nero.

                                                             

                                                            Produzione e Tecnologia del ribes nero

                                                            Caratteri botanici dei ribes neri

                                                            Il ribes nero è un arbusto che può raggiungere i 2 metri di altezza, con fogliame deciduo, fusti ramosi e dalla corteccia liscia, che si presenta da chiara a rossastra nei fusti giovani per poi diviene scura nei fusti vecchi.

                                                             

                                                            Le foglie sono grandi, piane, picciolate, dotate di 3-5 lobi, dall’apice acuto e con margine dentato. I fiori, raccolti in racemi pendenti, sono pentameri, di colore verde-biancastro, poco appariscenti.

                                                            I frutti sono delle bacche globose di colore viola scuro, riunite in grappoli spargoli e brevi, ricche di semi con all’apice le vestigia del fiore, la cui maturazione avviene in agosto-settembre.

                                                             

                                                            Coltivazione dei ribes neri

                                                            La pianta di ribes resiste ai freddi invernali ma teme le gelate tardive (specie in fase di fioritura) e l’eccessivo caldo nei mesi estivi. La coltivazione del ribes viene quindi praticata in collina e montagna prediligendo le posizioni mediamente soleggiate.

                                                             

                                                            Questo frutto si adatta a tutti i terreni purché non vi sia un eccesso di ristagno idrico. La propagazione viene fatta per talea di ceppaia e il trapianto viene effettuato a macchina su file.

                                                            La coltura necessita di due o tre sarchiature tra le file per mantenere le erbe infestanti sotto l’orizzonte di raccolta. Viene effettuata anche la potatura per assicurare il rinnovo dei frutti, ricordando che fruttifica prevalentemente sui rami di un anno e poco su quelli corti e inseriti su legno vecchio.

                                                             

                                                            Il periodo di maturazione può durare anche 3 settimane, quindi la raccolta viene eseguita in 2 –3 riprese in quanto i frutti, a maturazione raggiunta, si mantengono a lungo sulla pianta.

                                                            Le operazioni di raccolta sono piuttosto rapide, poiché i grappoli vengono disarticolati alla base del peduncolo.

                                                            Il periodo di raccolta per il ribes (rosso e nero) va da giugno a settembre.

                                                             

                                                            Produzione dei ribes neri

                                                            I suoi frutti sono poco adatti al consumo fresco e vengono destinati esclusivamente all’industria di trasformazione.

                                                            Le foglie, le gemme ed i frutti sono intensamente profumati per la presenza di ghiandole contenenti oli essenziali.

                                                             

                                                            Stagionalità del ribes nero

                                                            Questo frutto è di stagione tra agosto e settembre.

                                                             

                                                            Preparazione e Conservazione del ribes nero

                                                            I ribes neri possono essere utilizzati per rendere più gustose e fresche insalate, ricette dolci o salate e possono essere aggiunti a colazione allo yogurt.

                                                             

                                                            Vi consigliamo di consumarli, in quanto ricchi di vitamina C, quando si consumano i legumi o un contorno di broccoli o spinaci per aumentare l’assorbimento del ferro non eme di questi alimenti.

                                                             

                                                            L’estratto delle gemme di ribes nero, inoltre, è efficace anche per stimolare le difese immunitarie e prevenire le malattie influenzali. La tintura madre ottenuta dalla spremitura delle foglie fresche è indicata per drenare e disintossicare l’organismo.

                                                            L’estratto delle foglie, invece, ha un utilizzo erboristico e fitoterapico specifico per la preparazione di infusi, tinture madre, decotti e tisane utili a depurare l’organismo dall’acido urico e ad abbassare i livelli di colesterolo cattivo nel sangue.

                                                              • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                              • Mattila P.H. et al. (2016) “High variability in flavonoid contents and composition between different North-European currant (Ribes spp.) varieties.”, Food Chemistry;204:14-20.
                                                              • Zorenc Z. et al. (2017) “Polyphenol metabolism in differently colored cultivars of red currant (Ribes rubrum L.) through fruit ripening.”, Planta;246(2):217-226.
                                                              • www.agraria.org
                                                              • www.bda-ieo.it
                                                              • www.coltivazionebiologica.it
                                                              • www.humanitas.it

                                                               

                                                              Ribes rosso

                                                               

                                                              ribes rosso

                                                              Famiglia: Grossulariacee

                                                              Genere: Ribes

                                                              Specie: Ribes rubrum L.

                                                               

                                                              Il ribes rosso è il frutto del Ribes rubrum L., un arbusto perenne diffuso in Europa, nell’America settentrionale e in Asia.

                                                               

                                                              Il genere Ribes include diverse specie e le più importanti e diffuse sono Ribes rubrum (ribes rosso), Ribes sativum (ribes bianco) e Ribes nigrum (ribes nero).

                                                               

                                                              Varietà di ribes rosso

                                                              Le varietà coltivate sono numerose, tutte di provenienza straniera, ma che si adattano bene anche ai nostri climi.

                                                               

                                                              Ricordiamo

                                                              • Junnifer (francese, vigorosa, produttiva sensibile alle gelate tardive);
                                                              • Perfection (olandese, molto produttiva);
                                                              • Cocagne (francese, molto resistente al freddo, con grappoli persistenti e facili da raccogliere a mano);
                                                              • Red Lake (americana, molto produttiva e di media vigoria, adatta al consumo diretto);
                                                              • Stanza (olandese, con grappoli lunghi, frutti di colore rosso cupo e di ottima qualità);
                                                              • Rondom (olandese, rustica, con grappoli molto compatti, di facile raccolta perché provvisti di lungo peduncolo, adatta all’industria di trasformazione);
                                                              • Rovada (olandese, adatta per il consumo diretto e per l’industria, con grappoli lunghi e facili da raccogliere, bacche grosse, brillanti e di ottima qualità);
                                                              • Versailles (con grappoli lunghi, bacche di colore giallo e sapore delicato).

                                                               

                                                              Il colore delle bacche del ribes rosso possono essere anche bianche o giallastre.

                                                               

                                                              Proprietà del ribes rosso

                                                              tabella con i valori nutrizionali del ribes rosso

                                                              Ribes rosso valori nutrizionali

                                                              I ribes rossi sono composti principalmente da acqua e zuccheri semplici, mentre i lipidi e le proteine sono presenti solo in piccolissime quantità.

                                                              Il contenuto di fibra è invece molto buono, fondamentale per mantenere in salute l’intestino.

                                                               

                                                              A livello di micronutrienti quelli più presenti sono vitamina A, vitamina C e potassio.

                                                               

                                                              Ribes rosso benefici

                                                              I benefici apportati dal ribes rosso sono da riconoscere a vitamine e minerali che lo compongono.

                                                               

                                                              La vitamina C, anche se risulta più presente nel ribes nero, ha una potente azione antiossidante, favorisce l’assorbimento intestinale del ferro e del cromo, interviene nella difesa immunitaria, favorisce la cicatrizzazione delle ferite e protegge i capillari.

                                                               

                                                              Molto importante è il contenuto in polifenoli, presenti nella buccia, rappresentati prevalentemente da flavonoidi ed antocianine.

                                                              Questi composti sono noti per la loro capacità antiossidante; studi recenti evidenziano il loro ruolo preventivo nei confronti delle malattie cardiovascolari. In particolare le antocianine sembrerebbero essere efficaci nella prevenzione dell’aterosclerosi, riducendo i livelli di colesterolo cattivo (LDL).

                                                               

                                                              Nel corso del tempo il ribes rosso è stato utilizzato come aiutante nel trattamento di varie problematiche. Questo perché ha molteplici funzioni positive tra cui proprietà anti-infiammatoria, antibatterica, tonica, depurativa e digestiva.

                                                               

                                                              La porzione di consumo standard consigliata è 150 grammi di ribes rossi freschi.

                                                               

                                                              Ricordiamo che una porzione di ribes rossi contiene 50 mg di vitamina C, valore che corrisponde a circa la metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta (in particolare 105 mg per gli uomini e 85 mg per le donne).

                                                               

                                                              Produzione e Tecnologia del ribes rosso

                                                              Caratteri botanici dei ribes rossi

                                                              La pianta di ribes è un arbusto perenne che può essere alto 1-2 m, deciduo, inerme, con foglie semplici, palmate con 3-5 lobi.

                                                              I fiori, generalmente autofertili, sono formati da 5 sepali, glabri, verdognoli o brunastri, spesso punteggiati di rosso.

                                                              I frutti sono bacche traslucide, di colore variabile dal rosso al rosa e dal giallo al biancastro, di forma sferica, a polpa dolce-acidula, acquosa, con numerosi semi.

                                                              La maturazione delle bacche è contemporanea per tutte le infiorescenze ma il loro diametro generalmente decresce da quelle basali a quelle apicali.

                                                               

                                                              Coltivazione dei ribes rossi

                                                              La pianta di ribes resiste ai freddi invernali ma teme le gelate tardive (specie in fase di fioritura) e l’eccessivo caldo nei mesi estivi.

                                                              La coltivazione del ribes viene quindi praticata in collina e montagna prediligendo le posizioni mediamente soleggiate.

                                                               

                                                              Il ribes rosso si adatta a tutti i terreni purché non vi sia un eccesso di ristagno idrico. La propagazione viene fatta per talea di ceppaia e il trapianto viene effettuato a macchina su file.

                                                               

                                                              La coltura necessita di due o tre sarchiature tra le file per mantenere le erbe infestanti sotto l’orizzonte di raccolta. Viene effettuata anche la potatura per assicurare il rinnovo dei frutti, ricordando che il ribes nero fruttifica prevalentemente sui rami di un anno e poco su quelli corti e inseriti su legno vecchio.

                                                              Il culmine della produzione avviene al quarto-quinto anno e si mantengono in produzione per dieci-dodici anni.

                                                               

                                                              Il periodo di maturazione può durare anche 3 settimane, quindi la raccolta viene eseguita in 2 –3 riprese in quanto i frutti, a maturazione raggiunta, si mantengono a lungo sulla pianta.

                                                              Le operazioni di raccolta sono piuttosto rapide, poiché i grappoli vengono disarticolati alla base del peduncolo. Il periodo di raccolta per il ribes (rosso e nero) va da giugno a settembre.

                                                               

                                                              Produzione dei ribes rossi

                                                              I frutti del ribes rosso sono molto gradevoli per il consumo fresco, ma la destinazione principale è quella della trasformazione sotto forma di confetture, gelatine e sciroppi.

                                                              Le varietà bianche sono adatte prevalentemente per il consumo fresco.

                                                               

                                                              Stagionalità del ribes rosso

                                                              Il ribes rosso è di stagione tra giugno e settembre.

                                                               

                                                              Preparazione e Conservazione del ribes rosso

                                                              I ribes rossi possono essere utilizzati per rendere più gustose e fresche insalate, ricette dolci o salate e possono essere aggiunti a colazione allo yogurt.

                                                               

                                                              Siccome è ricco in vitamina C, vi consigliamo di consumare il ribes durante pasti in cui sono presenti legumi o un contorno di broccoli o spinaci, per aumentare l’assorbimento del ferro non eme di questi alimenti.

                                                               

                                                              Il ribes rosso può essere utilizzato per tisane, infusi e decotti, sia con gli estratti secchi della pianta che in combinazioni con altri ingredienti.

                                                              Ottima soluzione è anche la marmellata di mirtilli e ribes rossi, ideale per torte e crostate.

                                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                • Mattila P.H. et al. (2016) “High variability in flavonoid contents and composition between different North-European currant (Ribes spp.) varieties.”, Food Chemistry;204:14-20.
                                                                • Zorenc Z. et al. (2017) “Polyphenol metabolism in differently colored cultivars of red currant (Ribes rubrum L.) through fruit ripening.”, Planta;246(2):217-226.
                                                                • www.agraria.org
                                                                • www.bda-ieo.it
                                                                • www.humanitas.it

                                                                More

                                                                 

                                                                varietà di more

                                                                Famiglia: Rosaceae

                                                                Genere: Rubus

                                                                Specie: Rubus fruticosus L.

                                                                 

                                                                Le more sono i frutti del rovo (Rubus fruticosus), pianta appartenente alla famiglia delle Rosaceae.

                                                                 

                                                                Varietà di more

                                                                Esistono diversi tipi di more e le cultivar coltivate possono essere inermi o spinose.

                                                                 

                                                                Il Rubus fruticosus L. è una specie nativa dell’Europa subartica che ad oggi viene coltivata su scala commerciale anche in Nord America (in particolare negli Stati Uniti) fino in Siberia.

                                                                 

                                                                Altre specie sono il R. laciniatus, R. procerus e R. ulmifolius, tutte diffuse in Europa, e il R. canadensis, portatore del carattere “senza spine”, diffuso nell’America del Nord.

                                                                 

                                                                Tra le varietà di more più coltivate, che derivano da una specie di origine americana, ricordiamo la Thornfree (senza spine), la Black Satin (varietà precoce), la Dirksen Thornless e la Hull Thornless (poche spine).

                                                                 

                                                                Proprietà nutrizionali delle more

                                                                tabella con i valori nutrizionali delle more

                                                                Valori nutrizionali delle more

                                                                Le more sono note per essere ricche in fitocomposti ed ellagitannini.

                                                                 

                                                                In linea generale sono composte da acqua, zuccheri e fibra. La tipologia di fibra è sia solubile che insolubile, per questo sono alimenti utili per promuovere la buona salute dell’intestino.

                                                                 

                                                                Presentano anche un buon contenuto di vitamine, dove spiccano la vitamina C, la vitamina K e la vitamina E, e di sali minerali, in particolare di manganese e rame, importante per la salute delle ossa e per la produzione di globuli bianchi e globuli rossi.

                                                                 

                                                                Le more sono inoltre fonte di betacarotene ma anche di quercetina, catechine, kaempferolo e acido salicilico.

                                                                 

                                                                Benefici delle more

                                                                Le more sono fonti di antiossidanti, molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, che vengono prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare; se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                 

                                                                In questi frutti sono presenti altre molecole e fitocomposti che apportano benefici.

                                                                Tra i fitocomposti, fondamentali per mantenere l’organismo in salute, le più importanti sono le antocianine, molecole in grado di dialogare con i geni della longevità, che cooperano con vitamina C ed E per apportare benefici all’organismo.

                                                                 

                                                                Gli ellagitannini, sopra citati, appartengono alla classe dei polifenoli ed esercitano il loro ruolo protettivo principalmente a livello dello stomaco dove prevengono gastriti ed ulcere.

                                                                 

                                                                La porzione di consumo giornaliera consigliata è 150 grammi di frutto fresco, che corrisponde a circa 15 more.

                                                                 

                                                                Interazioni delle more

                                                                Raramente le more possono causare una reazione allergica. La causa scatenante di questa reazione potrebbe essere riconducibile alla presenza di acido salicilico all’interno del frutto.

                                                                 

                                                                Produzione e Tecnologia delle more

                                                                Caratteri botanici del rovo

                                                                Il rovo, pianta da cui originano le more, è un’arbustiva perenne rustica diffusa in tutta Europa, in grado di resistere al freddo invernale e alle brinate tardive.

                                                                La pianta è definita anche “semi-caducifoglia” in quanto molte foglie permangono durante la stagione quiescente invernale.

                                                                Ha un’elevata capacità pollonifera, un portamento tipicamente cespuglioso ed è composta da tralci spinosi ripiegati su se stessi che possono raggiungere 3-4 metri.

                                                                 

                                                                Le foglie sempreverdi, presentano un colore verde scuro (più chiare sulla pagina inferiore), hanno margini seghettati, nervature reticolari, evidenti punte acuminate e ricoperte da una leggera peluria biancastra.

                                                                 

                                                                I fiori, di colore bianco rosato, sono riuniti in infiorescenze terminali panicolate o corimbiformi.

                                                                 

                                                                Il frutto è costituito da piccole drupe o bacche riunite in more di color viola scuro e brillante. L’impollinazione è entomofila e le cultivar coltivate possono essere sia inermi che spinose.

                                                                 

                                                                Coltivazione delle more

                                                                Il rovo è una pianta abbastanza resistente al freddo, idonea ad esser coltivata anche in montagna e che beneficia di molta esposizione solare.

                                                                Predilige terreni profondi e fertili.

                                                                 

                                                                Necessita di palificazione, potature in verde per ridurre il numero dei tralci di rinnovo e, prima della maturazione, per cimare le femminelle.

                                                                 

                                                                Produzione delle more

                                                                La raccolta inizia in luglio e si protrae fino a settembre.

                                                                La resa ad ettaro è superiore ai 100 quintali. La raccolta avviene in modo scalare, prendendo dal rovo solo i frutti maturi, che si riconoscono facilmente per via del colore; al momento della raccolta il ricettacolo rimane aderente al frutto e la mora deve essere colta asciutta perché l’umidità presente provoca un deperimento veloce del frutto.

                                                                 

                                                                L’aroma ed il colore rendono la mora adatta a diverse preparazioni (marmellate, sciroppi) ed alcune varietà si prestano particolarmente per il consumo fresco.

                                                                 

                                                                Stagionalità delle more

                                                                Le more sono frutti tipici estivi, in particolare del mese di agosto.

                                                                 

                                                                Preparazione e Conservazione delle more

                                                                Le more quando vengono raccolte, solitamente sono già molto mature e quindi vanno consumate in pochissimo tempo.

                                                                 

                                                                Per chi volesse consumare le more in un paio di giorni, conviene conservarle in un contenitore a temperatura ambiente o magari in frigorifero disposte su un unico strato.

                                                                Evitate accuratamente di lavarle perché si deteriorano più facilmente e marciscono anche nel giro di poche ore.

                                                                 

                                                                Le more si possono anche conservare in freezer in un sacchetto per i surgelati.

                                                                Lasciatele indurire un po’ nel freezer appoggiate su carta forno e poi inseritele in un sacchetto per surgelati e chiudetele privandole dell’aria. Durante la fase preliminare di conservazione, è importante eliminare tutte le parti molli per evitare che possano recare diffondere l’umidità alle altre.

                                                                Una volta scongelate devono essere consumate in giornata.

                                                                 

                                                                La trasformazione di questi prodotti, come per esempio la produzione di marmellate in cui interviene un trattamento termico, può ridurre il contenuto dei fitocomposti e di conseguenza la capacità di esercitare gli effetti positivi.

                                                                Vi consigliamo per questo di alternare l’utilizzo del prodotto fresco ad altre tipologie come succhi o marmellate, in maniera tale da trarne tutti i benefici.

                                                                  • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                  • Sangiovanni E et al. (2013) “Ellagitannins from Rubus berries for the control of gastric inflammation: in vitro and in vivo studies”, PLOS ONE;8(8):e71762.
                                                                  • Veberic R et al. (2014) “Changes in the contents of anthocyanins and other compounds in blackberry fruits due to freezing and long-term frozen storage.”, Journal of Agricultural and Food Chemistry;62(29):6926-35.
                                                                  • www.agraria.org
                                                                  • www.bda-ieo.it
                                                                  • www.humanitas.it

                                                                  Tamarindo

                                                                   

                                                                  tamarindo

                                                                  Famiglia: Fabaceae

                                                                  Genere: Tamarindus

                                                                  Specie: Tamarindus indica L.

                                                                   

                                                                  Cos’è il tamarindo

                                                                  Il tamarindo è il frutto del Tamarindus indica, pianta appartenente alla famiglia delle Papilionacee, anche detta delle Fabacee o delle Leguminose; la caratteristica di questa famiglia è quella di produrre come frutti dei baccelli contenti semi.

                                                                   

                                                                  È un albero sempreverde nativo dell’Africa che si trova in tutte le aree subtropicali del mondo, ovvero Africa, Asia del Sud, Sud America e Caraibi.

                                                                   

                                                                  Proprietà nutrizionali del tamarindo

                                                                  tabella con i valori nutrizionali del tamarindo

                                                                  Tamarindo valori nutrizionali

                                                                  Il tamarindo è fonte di beta-carotene (18 µg in 100 g), acido tartarico e diversi fitocomposti.

                                                                   

                                                                  La polpa del frutto è composta di acqua per il 31%, per il 57% di zuccheri, per il 3% da proteine e per il 5% da fibre.

                                                                  Anche il contenuto di grassi è ragguardevole, 0,6%.

                                                                   

                                                                  Tamarindo benefici

                                                                  Il tamarindo ha molti componenti che apportano benefici all’organismo.

                                                                  Le sue fibre aiutano a proteggere l’intestino da sostanze cancerogene e aiutano a ridurre il colesterolo. Il potassio aiuta invece a controllare la frequenza cardiaca e a ridurre la pressione.

                                                                  Infine, l’acido tartarico è un potente antiossidante, così come diverse proteine presenti in questo frutto. Secondo i più recenti studi condotti, gli antiossidanti del tamarindo, in particolare dei semi, possono intervenire efficacemente nel rallentamento dei processi degenerativi che portano all’invecchiamento dell’organismo causato dai responsabili del danno ossidativo.

                                                                   

                                                                  La polpa del tamarindo è da tempo utilizzata nella medicina popolare come lassativo, digestivo e rimedio a problemi al fegato e alla cistifellea. Viene inoltre consigliata contro le sindromi da raffreddamento, la febbre, la nausea in gravidanza e i vermi intestinali nei bambini. Le molecole presenti nel tamarindo esercitano inoltre una blanda azione antibatterica e antimicotica.

                                                                   

                                                                  Tamarindo e interazioni

                                                                  Devono prestare attenzione i soggetti che assumono aspirina e ibuprofene in quanto il tamarindo potrebbe interferire con essi.

                                                                   

                                                                  Produzione e Tecnologia del tamarindo

                                                                  Caratteri botanici della pianta di tamarindo

                                                                  Il tamarindo è un albero sempreverde tipico delle zone tropicali, con fusti poco sviluppati e con rami che raggiungono anche i 25 metri di altezza.

                                                                  Le foglie sono alterne, paripennate, brevemente picciolate, di colore verde lucido nella pagina superiore e pallido in quella inferiore. Le foglioline sono piccole (meno di 3 cm), in numero di 10-12 paia, di colore verde-chiaro, opposte, ravvicinate, oblunghe, ottuse e glabre. I fiori sono grandi, giallo-verdastri, irregolari, riuniti in infiorescenze a racemo.

                                                                  Il frutto è un baccello dal guscio legnoso ma fragile di colore nocciola, indeiscente (ovvero non si apre spontaneamente a maturazione avvenuta), dalla forma quasi cilindrica e dalle estremità arrotondate, liscio in superficie, lungo 10-15 cm, largo 2 cm.

                                                                   

                                                                  Il periodo di fioritura nella maggior parte delle aree solitamente avviene in primavera e i frutti vengono raccolti tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate.

                                                                  La pianta fruttifica tra i 7 e i 12 anni dopo la semina e la rendita dei baccelli si stabilizza intorno ai 15 anni.

                                                                   

                                                                  Il tamarindo predilige un clima caldo, terreni acidi argillosi misti di terriccio e sabbia; è sensibile al gelo e non cresce bene sotto i 7°C.

                                                                   

                                                                  La polpa di tamarindo

                                                                  Del frutto viene utilizzata la polpa che, opportunamente purificata mediante dissoluzione in acqua bollente, viene setacciata e il liquido ottenuto si concentra a bagnomaria o posto al sole ad essiccare.

                                                                  La polpa di tamarindo può essere utilizzata come frutta essiccata, per la preparazione di bevande e sciroppi e per uso medico.

                                                                   

                                                                  Stagionalità del tamarindo

                                                                  La maturazione del tamarindo avviene nel periodo di fine primavera e inizio estate.

                                                                   

                                                                  Preparazione e Conservazione del tamarindo

                                                                  Nel nostro Paese e in tutto il mondo occidentale viene poco considerato come alimento.

                                                                  A livello domestico, la polpa dei frutti di tamarindo veniva estratta dai baccelli o silique mediante un processo di purificazione che consisteva nell’immergere la polpa in acqua bollente.

                                                                  Il liquido in cui si era disciolta la polpa veniva poi passato con un setaccio di crine e lasciato concentrare a fuoco lento fino a trarne un estratto molle, una massa nerastra di sapore decisamente acido. Ancora oggi l’estratto è ampiamente usato nella medicina tradizionale sia come lassativo, sia come antidiarroico.

                                                                   

                                                                  I decotti e gli oli essenziali di tamarindo, oltre che come antimalarici e antimicrobici, vengono utilizzati comunemente per numerose infezioni.

                                                                  • • Bhadoriya S.S. et al. (2012) “Anti-Inflammatory and Antinociceptive Activities of a Hydroethanolic Extract of Tamarindus indica Leaves”, Scientia Pharmaceutica; Jul-Sep 2012;80(3):685-700.

                                                                    • Bhadoriya S.S. et al. (2011) “Tamarindus indica: Extent of explored potential”, Pharmacognosy reviews; 5(9):73-81.

                                                                    www.agraria.org

                                                                    • www.humanitas.it

                                                                    Semi di lino

                                                                     

                                                                    semi di lino

                                                                    Famiglia: Linaceae

                                                                    Genere: Linum

                                                                    Specie: Linum usitatissimum L.

                                                                     

                                                                    Lino: cos’è e storia

                                                                    Il lino (Linum usitatissimum L.) è una pianta erbacea probabilmente originaria della zona compresa tra il Golfo Persico, il Mar Caspio e il Mar Nero.

                                                                    Nel Medioevo era ampiamente coltivato in tutto il continente europeo e il suo declino iniziò nel Settecento, per via della maggior coltivazione di altre piante da fibra, per raggiugere l’apice nel corso del XX secolo con l’avvento delle fibre sintetiche.

                                                                     

                                                                    Lino da fibra e lino da olio

                                                                    La Specie Linum usitatissimum L. è l’unica specie coltivata per scopi industriali (utilizzata nell’industria del legno, delle vernici e nel settore tessile), comprende numerose forme e i tipi coltivati sono distinti in due grandi gruppi:

                                                                     

                                                                    • Lino da fibra: comprende le forme a taglia alta, stelo elastico, fibre lunghe e duttili, infiorescenza ridotte, fiori piccoli azzurri o a volte bianchi, semi piccoli e bruni; queste forme prediligono ambienti costieri, freschi, senza forti escursioni termiche;

                                                                     

                                                                    • Lino da olio: comprende forme a taglia ridotta, a portamento rigido, con steli brevi e robusti, ramificati alla base, con fibre corte e grossolane, infiorescenze molto sviluppate, fiori azzurri e a volte violacei, con semi più grandi, bruni o tendenti al rossastro; prediligono ambienti caldi e assolati.

                                                                     

                                                                    A livello mondiale, il maggior produttore di semi di lino è il Canada, seguito a distanza da Argentina, India, Cina e Nuova Zelanda. In Europa viene coltivato in Francia, Gran Bretagna e Belgio.

                                                                     

                                                                    Proprietà nutrizionali dei semi di lino

                                                                    tabella con i valori nutrizionali dei semi di lino

                                                                    Valori nutrizionali dei semi di lino

                                                                    I semi di lino racchiudono una gran quantità di caratteristiche nutrizionali.

                                                                    Sono ricchi in fibra alimentare, acidi grassi polinsaturi, proteine, minerali come calcio, potassio, fosforo, ferro, zinco e folati.

                                                                    Oltre agli omega-3, che agiscono positivamente a livello cardiovascolare, sono presenti anche buone quantità di composti fenolici, come il secoisolariciresinolo e l’acido ferulico, con attività protettiva.

                                                                     

                                                                    Benefici dei semi di lino

                                                                    I principali benefici apportati dai semi di lino si riscontrano a livello cardiovascolare, alla fibra che contengono e ai micronutrienti come le vitamine.

                                                                    Nello specifico la fibra alimentare contenuta nei semi di lino è di tipo solubile, per questo sono noti per regolare la motilità intestinale e combattere problemi di stipsi, mentre le vitamine maggiormente presenti sono la vitamina E che ha funzione antiossidante e il gruppo delle vitamine B che favoriscono il buon mantenimento del metabolismo.

                                                                     

                                                                    Un solo cucchiaio di semi di lino è in grado di superare il fabbisogno giornaliero medio di omega-3, facendo riferimento alla popolazione adulta. Quest’ultimi, in base a studi scientifici, sono in grado di abbassare i livelli plasmatici di colesterolo LDL, o colesterolo cattivo, proteggere dalle malattie cardiovascolari e neurodegenerative e migliorare la sensibilità all’insulina.

                                                                     

                                                                    La protezione cardiovascolare viene svolta anche dal secoisolariciresinolo e dall’acido ferulico. 

                                                                    In particolare il secoisolariciresinolo è in grado di svolgere una debole attività estrogenica nelle donne in menopausa, mentre in quelle fertili è in grado di regolarne i livelli di estrogeni nel sangue. L’acido ferulico ha invece attività antiossidante e quindi contribuisce a rafforzare l’effetto protettivo esercitato dai semi di lino nei confronti delle principali malattie croniche non trasmissibili come diabete, tumori e patologie cardiovascolari.

                                                                     

                                                                    La porzione di consumo giornaliera consigliata è 30 grammi, che corrisponde a 3 cucchiai rasi di semi di lino.

                                                                     

                                                                    Interazioni dei semi di lino

                                                                    I soggetti che assumono farmaci antidiabetici, antiaggreganti o anticoagulanti devono prestare attenzione al consumo di semi di lino. Inoltre è sconsigliato mangiare questi semi in quantità eccessive poiché potrebbero causare problemi a livello intestinale.

                                                                    In qualsiasi caso, i semi di lino non devono essere mangiati crudi.

                                                                     

                                                                    Produzione e Tecnologia dei semi di lino

                                                                    Caratteri botanici della pianta del lino

                                                                    Il lino è una pianta erbacea a radice fittonante, sottile e poco ramificata, con fusto eretto che raramente supera il metro di altezza; le foglie sono strette, glabre, alterne, raramente opposte. I fiori, solitari o riuniti in corimbi, sono formati da 5 sepali e 5 petali, che possono essere di colore azzurro, bianco o violaceo.

                                                                    Il frutto è una capsula pentacarpellare e ogni carpello è biloculare; ogni loggia contiene un seme, di colore variabile (bruno, bruno-rossastro, bruno-olivastro) lucente, allungato, ovale e ricco di olio. Lo strato più esterno del tegumento è formato da cellule poligonali che hanno la proprietà di rigonfiare in acqua.

                                                                     

                                                                    Coltivazione del lino

                                                                    Il lino coltivato per la produzione di fibra predilige aree temperato-umide, quello destinato alla produzione di seme (da cui si estrae l’olio) predilige climi caldi.

                                                                    In generale necessita di terreni profondi, fertili, piuttosto leggeri, con buona dotazione di sostanza organica e pH neutro; in quelli troppo ricchi di humus, l’abbondanza di azoto favorisce l’allettamento.

                                                                     

                                                                    Per quanto riguarda la coltivazione, il lino da fibra può occupare il primo posto nella rotazione succedendo a un prato, alla medica o a un cereale vernino, mentre quello da seme segue una coltura da rinnovo. Si consiglia di non far succedere il lino a se stesso per evitare fenomeni di stanchezza del terreno.

                                                                     

                                                                    Dopo aver eseguito una aratura profonda (circa 40 cm), dovranno essere eseguite due lavorazioni per preparare un terreno molto fine. La semina avviene da metà febbraio a fine aprile per i tipi primaverili, da ottobre a dicembre per quelli autunnali, a file distanti circa 10 cm. Al Nord di solito la coltura non necessita di irrigazione; al Sud abbisogna di 2-3 interventi irrigui.

                                                                    Il ciclo biologico dura 90-100 giorni nei tipi a semina primaverile e 180-200 giorni o più in quelli a semina autunnale.

                                                                     

                                                                    Il lino da seme viene raccolto quando le capsule si sono imbrunite; nel lino da fibra, l’epoca ottimale coincide con la perdita delle foglie basali e quando il colore passa dal verde intenso al paglierino intenso. Per la produzione di fibra la raccolta avviene impiegando estirpatrici meccaniche, mentre per la produzione di olio viene eseguita con normali mietitrebbiatrici.

                                                                    La resa varia in funzione del tipo di coltura: per quella da fibra da 40 a 60 quintali ad ettaro di paglia essiccata, di cui 5-7 quintali di seme; nella coltura da olio, la resa in seme può arrivare a 20-25 q.li/ha.

                                                                     

                                                                    I prodotti ottenuti dal lino 

                                                                    In seguito alla raccolta il lino da fibra subisce un processo di lavorazione comprendente macerazione, essiccamento, gramolatura e strigliatura per ottenere la fibra che si trova in commercio; tale fibra deriva dalle fibre liberiane della corteccia (lunghe 30-90 cm). Come sottoprodotti della lavorazione si ottengono la filaccia e la stoppa.

                                                                    Dal lino da seme invece si estrae l’olio in quanto contiene circa 35-45% di olio e 5-6% di mucillagine; tale prodotto viene impiegato esclusivamente per la produzione di colori, vernici, inchiostro da stampa. Ciò che rimane viene impiegato nell’alimentazione zootecnica.

                                                                     

                                                                    Stagionalità dei semi di lino

                                                                    I semi di lino sono reperibili sul mercato tutto l’anno.

                                                                     

                                                                    Preparazione e Conservazione dei semi di lino

                                                                    I semi di lino possono essere aggiunti sminuzzati o tostati in insalate, contorni e nello yogurt.

                                                                    Lasciando riposare per una notte un cucchiaio di semi di lino in mezzo bicchiere d’acqua, o in un vasetto di yogurt bianco naturale, si ottiene una sorta di gel che, assunto al mattino a stomaco vuoto, facilita i processi di evacuazione.

                                                                     

                                                                    Le proposte di ricetta di FBO con i semi di lino

                                                                    clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                      • Goyal A et al. (2014) “Flax and flaxseed oil: an ancient medicine & modern functional food.”, Journal of Food Science and Technology; 51(9): 1633–1653.
                                                                      • Kajla P et al. (2015) “Flaxseed—a potential functional food source.”, Journal of Food Science and Technology; 52(4): 1857–1871.
                                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                      • www.agraria.org
                                                                      • www.bda-ieo.it
                                                                      • www.humanitas.it

                                                                      Maggiorana

                                                                       

                                                                      maggiorana proprietà

                                                                      Famiglia: Lamiaceae

                                                                      Genere: Origanum

                                                                      Specie: Origanum majorana

                                                                       

                                                                      Storia della maggiorana

                                                                      La maggiorana è una pianta erbacea perenne, diffusa come erba aromatica, appartenente alla stessa famiglia di origano, timo, cumino, anice e finocchio.

                                                                      Il suo nome scientifico è Origanum majorana ma è conosciuta anche come Majorana hortensis.

                                                                       

                                                                      È originaria dell’Africa settentrionale e in Europa, in Africa e in Asia centrale può crescere anche spontaneamente in quanto favorita dal clima piuttosto caldo. Nelle zone fredde, non riuscendo a sopravvivere alle temperature rigide, viene coltivata come annuale.

                                                                       

                                                                      Il suo utilizzo nella cucina tradizionale mediterranea è molto diffuso e le sue foglie, sia fresche che secche, possono essere usate per speziare qualsiasi alimento.

                                                                       

                                                                      Proprietà nutrizionali della maggiorana

                                                                      tabella con i valori nutrizionali della maggiorana

                                                                      Valori nutrizionali della maggiorana

                                                                      La maggiorana è un’erba aromatica fonte di ferro, betacarotene, beta- criptoxantina, luteina ed oli essenziali.

                                                                       

                                                                      In cucina la maggiorana può sostituire l’uso di sale. Ridurre il consumo di sale favorisce un minore rischio di patologie croniche, come malattie cardiovascolari e tumori.

                                                                      Le raccomandazioni indicano di non superare i 5 grammi al giorno, in Italia il consumo è ben superiore. Oltre a prediligere alimenti poveri di sale, la sostituzione con erbe aromatiche è un’ottima strategia per far educare il palato a cibi meno salati.

                                                                       

                                                                      Benefici della maggiorana

                                                                      La maggiorana gode di proprietà antisettiche, antibatteriche e antinfiammatorie. Quest’ultima azione è esercitata soprattutto da una molecola chiamata eugenolo che riduce l’attività della ciclossigenasi, un enzima implicato in patologie come l’artrite reumatoide o patologie infiammatorie intestinali.

                                                                       

                                                                      Molto usati sono gli infusi a base di maggiorana, in grado di combattere nausea e flatulenza.

                                                                       

                                                                      La maggiorana è inoltre una buona fonte di antiossidanti, alleati del sistema immunitario, della salute cardiovascolare e di quella di ossa e denti.

                                                                       

                                                                      I minerali maggiormente presenti sono il calcio e il potassio. Il primo favorisce la salute di ossa e denti, mentre il secondo

                                                                       

                                                                      La porzione di consumo giornaliera standard consigliata è 5 grammi.

                                                                       

                                                                      Interazioni della maggiorana

                                                                      In caso di gravidanza, menorragia o assunzione di litio bisogna prestare attenzione al consumo di maggiorana.

                                                                       

                                                                      Produzione e Tecnologia della maggiorana

                                                                      Caratteri botanici della pianta di maggiorana

                                                                      La maggiorana è una pianta erbacea perenne caratterizzata da un fusto dal portamento eretto, di colore rossastro, che può raggiungere i 60-80 cm di altezza.

                                                                       

                                                                      Le foglie sono opposte, ovato-ellittiche, pelose e verde chiaro-biancastre. I fiori, violacei o rosei, sono riuniti in dense spighette che formano delle pannocchie terminali.

                                                                       

                                                                      La maggiorana viene spesso confusa con l’origano per l’aspetto simile ma il gusto e l’aroma sono molti diversi in quanto la maggiorana non contiene gli oli essenziali propri dell’origano.

                                                                       

                                                                      Coltivazione della maggiorana

                                                                      Per la sua coltivazione la maggiorana privilegia le posizioni soleggiate e riparate dal vento, i terreni secchi e ben drenati.

                                                                      Si propaga per semina, da effettuare durante la primavera, o per divisione delle piante accestite, in primavera o dopo la fioritura.

                                                                       

                                                                      La raccolta delle foglie e delle estremità fiorite deve avvenire all’inizio della fioritura, ovvero durante il periodo estivo.

                                                                       

                                                                      Produzione della maggiorana

                                                                      In seguito alla raccolta le foglie possono essere utilizzate fresche oppure subire diverse tipologie di conservazione quali l‘essiccazione, il congelamento oppure la macerazione in olio e aceto.

                                                                      L’essiccazione deve essere fatta in un luogo ombroso e ventilato e questa tecnica permette di avere la maggiorana reperibile sul mercato tutto l’anno.

                                                                       

                                                                      Preparazione e Conservazione della maggiorana

                                                                      In seguito alla sua raccolta è bene lavarla ed asciugarla per poi porla ad essiccare in un luogo asciutto e al riparo dalla luce del sole.

                                                                      Dopo alcuni giorni le foglie saranno diventate secche e di color verde scuro ed a questo punto potrete sbriciolarle con le mani e conservarle in un barattolo.

                                                                       

                                                                      Potrete utilizzarla in ogni caso sia fresca che secca per dare più sapore alle vostre ricette senza utilizzare sale in eccesso, nella preparazione di salse e nell’accompagnamento soprattutto dei pomodori freschi.

                                                                       

                                                                      La maggiorana è impiegata, oltre che come erba aromatica, nella preparazione di tisane ed infusi.

                                                                        • Anderson CA et al. (2015) “Effects of a behavioral intervention that emphasizes spices and herbs on adherence to recommended sodium intake: results of the SPICE randomized clinical trial”, The American Journal of Clinical Nutrition;102(3):671-9.
                                                                        • www.agraria.org
                                                                        • www.bda-ieo.it
                                                                        • www.humanitas.it
                                                                        • www.maggiorana.it

                                                                        Fragola

                                                                         

                                                                        varietà di fragole

                                                                        Famiglia: Rosaceae

                                                                        Genere: Fragaria

                                                                        Specie: Fragaria spp.

                                                                         

                                                                        Storia della fragola

                                                                        La fragola è una pianta di origine europea i cui frutti appartengono al genere Fragaria che viene coltivata nelle aree temperate di tutto il mondo.

                                                                         

                                                                        Esistono diverse specie tra cui: Fragaria chiloensis, di origine sudamericana, Fragaria virginiana, originaria del sud degli Stati Uniti e Fragaria ovalis, originaria delle Isole Kurili.

                                                                         

                                                                        Tutte le specie di origine extraeuropea sono ottoploidi, mentre la Fragaria vesca (la fragola selvatica o fragola di bosco che si trova spontanea nei nostri boschi) è diploide.

                                                                         

                                                                        Le varietà di fragole coltivate sono quasi tutte incroci tra Fragaria chiloensis e Fragaria virginiana la cui produzione è iniziata verso la fine del Settecento.

                                                                         

                                                                        Varietà di fragole

                                                                        Ad oggi sono note più di 600 varietà di fragole e si distinguono per dimensioni, consistenza e sapore.

                                                                         

                                                                        Le varietà di fragole vengono classificate in:

                                                                         

                                                                        • unifere o brevidiurne o non rifiorenti: differenziano i fiori con un periodo di luce inferiore alle 12 ore e con un sufficiente termoperiodo.
                                                                          La differenziazione dei fiori avviene da settembre fino al verificarsi delle prime gelate. La maturazione dei frutti si ha in primavera nell’arco di circa 4 settimane una sola volta.
                                                                          Alcune varietà unifere possono diventare, occasionalmente, bifere.

                                                                         

                                                                        • bifere o longidiurne o rifiorenti: differenziano i fiori con un periodo di luce superiore alle 14 ore e producono più frutti dalla primavera all’autunno.
                                                                          Non sono molto diffuse a livello industriale e sono impiegate quasi esclusivamente a livello casalingo.

                                                                         

                                                                        • day neutral o fotoindifferenti: differenziano gemme a fiore con qualsiasi condizione di luminosità, purché sia rispettato il termoperiodo.

                                                                         

                                                                        La varietà selvatica o fragola di bosco (Fragaria vesca L.) cresce nei boschi, nelle radure e nei luoghi erbosi, dal piano a 1800 m., e produce frutti durante tutto il periodo estivo.

                                                                        È una specie originaria dell’Europa e della Siberia ed è diffusa in tutte le regioni del mondo.

                                                                         

                                                                        Proprietà nutrizionali della fragola

                                                                        tabella con i valori nutrizionali della fragola

                                                                        Fragola valori nutrizionali

                                                                        Le fragole sono composte principalmente da acqua e carboidrati semplici, mentre proteine e grassi sono ben poco presenti.

                                                                        Buono è invece l’apporto di fibra alimentare, fondamentale per mantenere in salute l’intestino.

                                                                         

                                                                        Le fragole sono un’ottima fonte di vitamina C, tanto che una loro porzione è in grado di soddisfare completamente il fabbisogno giornaliero di questo tipo di vitamina nelle donne (85 mg), e circa l’80% negli uomini (105 mg).

                                                                         

                                                                        Buono è anche il contenuto di folati, magnesio e potassio.

                                                                         

                                                                        Fragola benefici

                                                                        La ricchezza di questo alimento non si ferma qua, in quanto in esso sono contenute anche due molecole molto importanti appartenenti alla classe dei flavonoidi: le antocianine e la fisetina.

                                                                         

                                                                        Le antocianine, ovvero i pigmenti che colorano di rosso le fragole, sono un’importante difesa dall’aterosclerosi, in quanto agiscono direttamente sul colesterolo cattivo (LDL) ossidato, diminuendolo.

                                                                        Uno studio ha dimostrato come una media di due porzioni di fragole al giorno sia in grado di migliorare i livelli di colesterolo plasmatico solo dopo quattro settimane.

                                                                         

                                                                        Recenti studi di laboratorio hanno evidenziato invece che la fisetina abbia effetti interessanti nei confronti di alcune tipologie di tumore (tumore del seno, alla cervice, al colon e all’esofago) e sarebbe anche in grado di interferire con la neurodegenerazione, proteggendo i neuroni dai danni causati dall’invecchiamento.

                                                                         

                                                                        Inoltre il consumo di fragole è stato associato a un miglior controllo dei livelli di zuccheri nel sangue, e quindi potrebbe aiutare a prevenire il diabete di tipo 2. Ma sono necessari ulteriori studi per approfondire meglio la questione.

                                                                         

                                                                        Risultano anche molto utili in caso di carenza di vitamina C.

                                                                         

                                                                        La porzione consigliata è di 150 grammi, che corrisponde a circa 10-15 fragole fresche.

                                                                         

                                                                        Fragola interazioni

                                                                        Il consumo delle fragole potrebbe interferire con l’azioni dei farmaci anticoagulanti e antiaggreganti.

                                                                         

                                                                        Produzione e Tecnologia

                                                                        Caratteri botanici della pianta della fragola

                                                                        La fragola è una pianta perenne, acaule, il cui fusto è stato trasformato in un corto rizoma.

                                                                         

                                                                        Le foglie sono ternate, ovato-oblunghe, dentato-seghettate, lungamente picciolate. I fiori, bianchi, ermafroditi, sono riuniti in gruppi di 3-8 a costituire dei racemi e hanno lunghi piccioli.

                                                                         

                                                                        Il frutto è in realtà un falso frutto costituito dal ricettacolo fiorale che si accresce e si fa succulento e presenta sulla superficie dei piccoli “semini”, chiamati acheni, che sono i veri frutti.

                                                                         

                                                                        Coltivazione delle fragole

                                                                        Il terreno ideale per la coltivazione della fragola deve essere subacido (pH ottimale: 5,5-6,5), sciolto e ricco di sostanza organica. La fragola richiede inoltre quantità moderate ma costanti di acqua durante tutto il suo ciclo colturale.

                                                                        Il terreno deve essere preparato e concimato alcuni mesi prima del periodo previsto per la semina o della messa a dimora delle piantine.

                                                                         

                                                                        La moltiplicazione è di tipo agamico e può avvenire mediante un vivaio tradizionale, in cui vengono coltivate piante madri (per la produzione di stoloni), oppure mediante la riproduzione meristematica delle piantine, denominate “super-élite”, con la loro moltiplicazione in ambiente controllato e successiva moltiplicazione su terreno.

                                                                        La distanza tra le file prevista è di circa 125 cm, mentre sulla stessa fila 30-35 cm se doppia, 15-20 cm se fila semplice.

                                                                         

                                                                        Per aumentare la produzione, contenere le avversità e facilitare la raccolta vengono impiegati sistemi di coltivazione senza suolo.

                                                                         

                                                                        Produzione delle fragole

                                                                        I periodi di raccolta variano a seconda del tipo di coltura, se protetta o in pieno campo, della latitudine e della varietà (rifiorente o non).

                                                                        Solitamente avviene in autunno per le produzioni fuori stagione ottenute con piante frigo-conservate di varietà unifere, dalla primavera all’autunno con varietà rifiorenti.

                                                                         

                                                                        Le fragole si raccolgono quando hanno raggiunto il caratteristico colore rosso in quanto sono frutti non climaterici, ovvero non maturano dopo la raccolta.

                                                                        La produzione è molto variabile ed oscilla dai 100 ai 300 q.li/ha.

                                                                         

                                                                        Le fragole ottenute sono destinate al consumo fresco, alla surgelazione, alla produzione di marmellate, sciroppi, liquori, gelati, ecc.

                                                                         

                                                                        Le fragole selvatiche o di bosco

                                                                        La fragola selvatica o fragola di bosco (Fragaria vesca L.) è una pianta erbacea perenne, alta 10-20 cm, con fiori formati da 5 petali bianchi e caratterizzata da frutti di piccole dimensioni con sapore molto intenso.

                                                                        Viene coltivata soprattutto in Trentino con un periodo di raccolta che va da giugno a settembre.

                                                                        I frutti vengono utilizzati per profumare e decorare gelati, macedonie e torte di frutta.

                                                                         

                                                                        Stagionalità della fragola

                                                                        In Italia la stagione migliore per consumare le fragole inizia ad aprile e continua per tutta la prima parte dell’estate.

                                                                         

                                                                        Preparazione e Conservazione della fragola

                                                                        Una porzione di fragole corrisponde a circa 10-15 fragole ed è consigliabile consumarle crude e intere in quanto la vitamina C è sensibile al calore ed all’esposizione all’aria, quindi la cottura o lo sminuzzamento ne riducono il contenuto.

                                                                        I trattamenti termici hanno un effetto negativo anche sul loro contenuto in polifenoli, tuttavia la capacità antiossidante totale resta alta anche nei frutti cotti e processati.

                                                                         

                                                                        Le fragole vanno conservate nel cassetto più fresco del frigorifero e per un periodo massimo di 7 giorni a una temperatura intorno ai 2°C.

                                                                        Per mantenere la loro umidità ottimale ed evitare l’avvizzimento, è preferibile conservarle intatte e asciutte in un contenitore non ermetico.

                                                                         

                                                                        Inoltre è consigliabile lavare le fragole solo poco prima del consumo. Una volta tagliate devono essere conservate in un contenitore per alimenti se non consumate entro poche ore.

                                                                         

                                                                        Le fragole possono essere utilizzate all’interno di preparazioni che prevedono la cottura o come succhi.

                                                                        Se non si può fare a meno del dolce, una ciotola di fragole è una buona alternativa.

                                                                         

                                                                        Le proposte di ricette di FBO con la fragola

                                                                          • Giampieri F. et al. (2015) “Strawberry as a health promoter: an evidence based review”, Food & Function; 6(5):1386-98.
                                                                          • Khan N. et al. (2013) “Fisetin: A Dietary Antioxidant for Health Promotion.”, Antioxidants & Redox Signaling; 19(2):151-62.
                                                                          • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                          • www.agraria.org
                                                                          • www.bda-ieo.it
                                                                          • www.humanitas.it
                                                                          • www.internosblog.it

                                                                          Soia

                                                                           

                                                                          semi di soia

                                                                          Famiglia: Papilionaceae

                                                                          Specie: Glycine max L.

                                                                           

                                                                          Storia della soia

                                                                          La soia è una pianta erbacea annuale della famiglia delle leguminose originaria dell’Asia centro-orientale.

                                                                           

                                                                          Fino alla fine dell’Ottocento era coltivata esclusivamente in Cina, ad oggi invece è uno dei prodotti più coltivati al mondo, anche per il largo uso di questo seme nell’alimentazione degli animali, e il maggiore produttore mondiale sono gli Stati Uniti. In Europa è coltivata soprattutto in Francia e Italia.

                                                                           

                                                                          È una delle più importanti piante alimentari per la ricchezza dei semi in olio (18-20%) e in proteine (40%).

                                                                           

                                                                          Varietà di soia

                                                                          Esistono diverse varietà distinte in base alla precocità, all’altezza del primo baccello, alla resistenza alle malattie, allo stress idrico, ecc.

                                                                           

                                                                          • La soia gialla è la più conosciuta e coltivata e dalla sua lavorazione si ottengono diversi prodotti come le bevande vegetali, il tofu, il tempeh, le salse, i gelati e i dessert.

                                                                           

                                                                          • La soia verde, chiamata anche fagiolo mung o fagiolo azuki verde, ricca di aminoacidi essenziali e dalle piccole dimensioni, è la più utilizzata per la produzione dei germogli di soia.

                                                                           

                                                                          • La soia rossa, o fagiolo azuki rosso, è utilizzata nella cucina cinese per zuppe, contorni e per la preparazione di dolci.

                                                                           

                                                                          • La varietà nera è la più pregiata,

                                                                           

                                                                          • ed infine la varietà edamame, più allungata e di colore verde brillante, si consuma cotta al vapore con tutto il baccello.

                                                                           

                                                                          La soia e i suoi prodotti

                                                                          Da differenti lavorazioni della soia si ricavano prodotti diversi;

                                                                           

                                                                          – dal seme intero si ottiene il latte di soia, prodotto ottenuto dal seme macinato, estratto a caldo in acqua e bollito,

                                                                          – il tofu o formaggio di soia, latte di soia coagulato con sali di magnesio o calcio o aceto;

                                                                          – il Natto, formaggio vegetale simile al tofu;

                                                                           

                                                                          – il tempeh o carne di soia, ottenuto dal seme della soia gialla decorticato, bollito in acqua e fermentato per 24-48 ore da un fungo (gen. Rhizopus);

                                                                           

                                                                          – i germogli di soia, ottenuti dalla germinazione dei semi della soia da varietà a seme piccolo,

                                                                          – e i prodotti fermentati (salse e bevande).

                                                                           

                                                                          – La salsa di soia è una salsa fermentata molto sapida, utilizzata come condimento sia a crudo sia nelle preparazioni culinarie; ne esistono diversi tipi e i due più noti sono il Tamari, tipica della cucina cinese e più pregiata, e lo Shoyu, particolarmente usata nella cucina giapponese, che prevede nella preparazione anche l’aggiunta del frumento.

                                                                           

                                                                          Proprietà nutrizionali della soia

                                                                          tabella con i valori nutrizionali della soia

                                                                          Soia valori nutrizionali

                                                                          La soia è un legume che spicca per il suo contenuto proteico e per la sua composizione in amminoacidi essenziali, ovvero i mattoncini che compongono le proteine e che il nostro organismo da solo non è in grado di sintetizzare.

                                                                           

                                                                          Buono è anche il suo contenuto in grassi, prevalentemente della classe degli insaturi, tra cui troviamo anche i fitosteroli, in grado di abbassare il colesterolo nel sangue.

                                                                           

                                                                          A livello di vitamine, spiccano quelle del gruppo B, soprattutto la tiamina, mentre tra i minerali potassio, calcio e ferro sono quelli più concentrati.

                                                                          Proprio la notevole presenza di quest’ultimo è di primaria importanza, infatti la soia, in quanto fonte vegetale, contiene il così detto ferro non eme, che per essere assorbito necessita di essere associato ad una fonte di acido ascorbico o vitamina C. Un consiglio pratico può essere quello di condire il piatto con del succo di limone, o di scorza di arancia o con del peperoncino fresco.

                                                                           

                                                                          Soia benefici

                                                                          La soia gode di molte proprietà positive, soprattutto grazie alla presenza di minerali e proteine. Studi recenti evidenzierebbero un suo ruolo nella prevenzione cardiovascolare, proprio grazie al suo profilo proteico. Inoltre, alle proteine della soia, vengono spesso associate altre molecole interessanti, gli isoflavoni. Studi scientifici suggeriscono che alcune di queste molecole potrebbero aiutare a ridurre il rischio di cancro.

                                                                           

                                                                          Come tutti i legumi, anche la fibra è ben presente, in grado di ridurre ulteriormente l’assorbimento del colesterolo plasmatico ed allo stesso tempo in grado di promuovere il senso di sazietà e la salute intestinale.

                                                                           

                                                                          La soia non dovrebbe mai mancare in un’alimentazione sana, in particolare nei soggetti con problemi di ipercolesterolemia.

                                                                          Inoltre le proteine della soia aiutano l’organismo ad assimilare la vitamina D mentre gli isoflavoni ed i fitoestrogeni aiutano a migliorare le funzioni ormonali e la circolazione del sangue, aiutando conseguentemente a controllare le vampate di calore e gli sbalzi d’umore, proprio per questo risultano utili in menopausa.

                                                                           

                                                                          La porzione standard consigliata per i legumi, e quindi anche per la soia, è 150 grammi di legumi freschi o in scatola; per la soia secca invece si tratta di 50 grammi (che corrisponde a circa 4 cucchiai di soia secca).

                                                                           

                                                                          Il consumo di questo alimento, sotto diverse forme, può risultare utile in alcuni casi:

                                                                           

                                                                          Soia e interazioni

                                                                          In caso di allergia o di sospetto di allergia alla soia è meglio non consumare i germogli di questo legume. È bene, inoltre, non eccedere con il consumo di questo alimento, poiché anche gli isoflavoni ad alte dosi possono risultare nocivi andando a interferire, per esempio, con il funzionamento della tiroide.

                                                                           

                                                                          Inoltre il consumo di fagioli di soia e la salsa di soia è sconsigliato nei soggetti che assumono il linezolid, un antibatterico ossazolidinonico.

                                                                          Se si assume la farina di soia (che si trova anche nel latte artificiale di soia) bisogna informare il proprio medico in quanto potrebbe essere necessario modificare la dose del farmaco per la tiroide levotiroxina.

                                                                           

                                                                          Produzione e Tecnologia della soia

                                                                          Caratteri botanici della pianta di soia

                                                                          La soia è una pianta erbacea annuale estiva, interamente coperta di peli bruni o grigi, che può essere alta da 70 a 130 cm, con un portamento eretto o cespuglioso.

                                                                          Le foglie sono trifogliate; i fiori sono riuniti in gruppi di 2-5 che vanno a formare delle infiorescenze, dette racemi, e di colore bianco o viola. La fecondazione è autogama ma non tutti danno luogo a frutti fertili: si ha, infatti, una elevata percentuale di aborti.

                                                                          I frutti sono baccelli villosi, tondeggianti più o meno appiattiti, penduli, contenenti 3-4 semi; il colore può variare ed essere giallo, bruno, verdognolo o nero, con ilo piccolo e poco marcato. I semi hanno un peso oscillante tra 50 e 450 mg (100-200 nelle cultivar da olio). L’olio e le proteine sono concentrati per la massima parte nei cotiledoni.

                                                                           

                                                                          La soia è una pianta originariamente brevidiurna, ovvero ha bisogno di notti piuttosto lunghe per fiorire; nelle differenti varietà che vengono coltivate presenta comportamenti diversi nei confronti della luce e, molte varietà precoci, sono fotoindifferenti.

                                                                           

                                                                          Coltivazione della pianta di soia

                                                                          La coltivazione della soia richiede una buona irrigazione e non presenta particolari esigenze per la tipologia di terreno, anche se sono sconsigliabili quei terreni troppo umidi e troppo sciolti.

                                                                           

                                                                          La soia è una pianta miglioratrice della fertilità del suolo, è una tipica pianta da rinnovo a ciclo primaverile-estivo.

                                                                          Solitamente serve a interrompere la coltura ripetuta del mais e, con le sue varietà precocissime, la soia si presta anche ad essere fatta come coltura intercalare dopo colture che liberano presto il terreno (ad esempio i piselli per l’industria o l’orzo per l’insilamento), con semina entro metà giugno.

                                                                           

                                                                          La preparazione del terreno per la semina va fatta con una aratura piuttosto anticipata e la soia è una leguminosa che entra in simbiosi con un microrganismo azotofissatore specifico, Rhizobium japonicum, che nei terreni nuovi alla coltivazione della soia è assente. Per questo, quando si vuole coltivare la soia su un terreno che non l’ha mai ospitata, è indispensabile inoculare il seme con apposite colture microbiche.

                                                                           

                                                                          La semina viene fatta a righe distanti 40-45 cm a cui seguono, come cure colturali, la rullatura e l’irrigazione.

                                                                          Se il terreno è compatto una sarchiatura ha lo scopo di arieggiare il terreno per dar modo ai batteri aerobi di fissare l’azoto. Altri interventi occasionali possono essere la rottura della crosta, se le nascite stentano per questo motivo, e la concimazione azotata in copertura, se l’inoculazione del seme non ha avuto effetto.

                                                                           

                                                                          Produzione della soia

                                                                          La raccolta viene effettuata utilizzando mietitrebbie da frumento e ha inizio quando la pianta è quasi completamente defogliata e presenta steli e semi di colore marrone; in Italia questo accade in settembre, nel caso di coltura principale, o in ottobre avanzato, nel caso di coltura intercalare.

                                                                          L’umidità del seme alla raccolta deve essere intorno al 12-14%; se superiore è necessaria l’essiccazione. Inoltre per una buona conservazione, il seme di soia che è oleaginoso deve essere immagazzinato con un’umidità del 10-12%.

                                                                           

                                                                          La soia in commercio è disponibile in differenti forme, in base al trattamento subito.

                                                                           

                                                                          Il latte di soia

                                                                          Il latte di soia è una bevanda di origine vegetale che si ottiene dalla macerazione dei semi di soia nell’acqua, ha un sapore naturalmente dolce e può essere consumato da chi presenta intolleranza al latte vaccino.

                                                                           

                                                                          Il tofu

                                                                          Il tofu è un formaggio vegetale che si ottiene dalla cagliatura del latte di soia, lasciando i semi in ammollo per poi macinarli; il liquido lattiginoso così ottenuto viene fatto cagliare, messo in stampi a sgocciolare, risciacquato e pressato in forme.

                                                                           

                                                                          La farina di soia

                                                                          La farina di soia che si ottiene dalla macinazione dei semi e può essere usata in sostituzione delle altre farine. Non contenendo glutine può essere utilizzata anche dai celiaci.

                                                                           

                                                                          I germogli di soia

                                                                          I germogli di soia che si ottengono dalla pianta appena nata e sono consumati in aggiunta alle insalate o come guarnizione di altri piatti.

                                                                           

                                                                          L’olio di soia

                                                                          L’olio di soia che si ottiene schiacciando e spremendo a caldo i semi.

                                                                           

                                                                           

                                                                          Dalla fermentazione della soia si ottiene:

                                                                          Il miso

                                                                          il miso, una salsa vegetale densa e dal colore scuro ottenuta facendo fermentare una pasta di semi di soia, acqua, riso e sale con un fungo, Aspegillus orzya. Si usa per insaporire zuppe e minestre.

                                                                           

                                                                          Il Tempeh

                                                                          Il Tempeh, definito anche “carne di soia”, è un alimento ottenuto dalla fermentazione del fungo Rhizopus oligosporus con i semi di soia gialla per un giorno intero. Si ottiene un impasto che in commercio si trova pressato in panetti (come il tofu) e può essere grigliato, arrostito o fritto.

                                                                           

                                                                          Il Natto

                                                                          Il Natto, un formaggio vegetale simile al tofu. La differenza è che la fermentazione avviene usando un fungo, il Bacillus natto, e la pasta di semi di soia. Questo alimento è ancora poco utilizzato in Italia.

                                                                           

                                                                          Preparazione e Conservazione della soia

                                                                          Esistono molti prodotti in commercio, dai fagioli ai germogli da consumare in insalate, ai baccelli maturi chiamati edamame, fino ai derivati della cucina orientale come salsa di soia, miso, tempeh, tofu e bevande a base di soia. Quest’ultime possono risultare una valida alternativa per i soggetti intolleranti al lattosio.

                                                                           

                                                                          Per i prodotti industriali vi consigliamo di fare attenzione, leggendo le etichette nutrizionali, alle concentrazioni di zucchero e sale, spesso addizionate alle preparazioni come yogurt, gelati e burger vegetali.

                                                                          La salsa di soia, per esempio, è molto ricca in sale e quindi vi sconsigliamo il suo utilizzo nella quotidianità; il sodio infatti può influire sulla predisposizione a sviluppare patologie come ipertensione e osteoporosi.

                                                                            • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                            • Dong JY et al. (2011) “Effect of soya protein on blood pressure: a meta-analysis of randomised controlled trials.”, British Journal of Nutrition; 106(3):317-26.
                                                                            • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                            • www.agraria.org
                                                                            • www.bda-ieo.it
                                                                            • www.humanitas.it

                                                                            Sardine

                                                                             

                                                                            sardine o sarde o sardelle

                                                                            Famiglia: Clupeidae

                                                                            Genere: Sardina

                                                                            Specie: Sardina pilchardus

                                                                             

                                                                            Cos’è la sardina

                                                                            La sardina, nota anche come sarda o sardella, rientra nella grande famiglia del “pesce azzurro” in cui rientra anche l’aguglia, l’alaccia, l’alice, il cicerello, la costardella, il pesce sciabola o spatola, lo sgombro, il sauro, l’alalunga, la lampuga, la palamita, il pesce spada e il tonno.

                                                                             

                                                                            La sardina è molto diffusa sia nel Mediterraneo che nell’Oceano Atlantico nord-orientale e si trova anche nel Mar Nero.

                                                                             

                                                                            È un pesce dalla carne tenera che si presta a molte tipologie di lavorazioni e conservazioni; in commercio si può trovare fresca, sotto sale o sott’olio.

                                                                             

                                                                            Proprietà nutrizionali delle sardine salate e sott’olio

                                                                            tabella con i valori nutrizionali delle sardine salate e delle sardine sott'olio
                                                                            Tabella con i valori nutrizionali delle sardine salate e delle sardine sott’olio.

                                                                            Valori nutrizionali delle sardine

                                                                            Le sardine appartengono alla categoria del pesce azzurro e quindi rappresentano una fonte di primaria importanza di acidi grassi omega-3.

                                                                            Infatti, nonostante la fonte proteica sia al pari della carne, il profilo lipidico è molto diverso, essenzialmente privo di acidi grassi saturi.

                                                                             

                                                                            Tra i micronutrienti quelli maggiormente presenti sono le vitamine B12, B3 e B2, A e D e diversi oligoelementi tra cui potassio, fosforo, sodio, calcio, ferro, magnesio e selenio.

                                                                             

                                                                            Benefici delle sardine

                                                                            Gli acidi grassi insaturi omega-3 presenti nelle sardine, in particolare l’acido linolenico, sono fondamentali per la salute cardiovascolare e lo sviluppo del sistema nervoso.

                                                                             

                                                                            Oltre al ruolo positivo degli omega-3 sul cuore e sui vasi sanguigni, le vitamine ed i minerali contenuti nelle sardine risultano poi essere ottime fonti di sostanze antiossidanti.

                                                                            I minerali svolgono anche altre funzioni positive, come il potassio che regola la pressione arteriosa o il fosforo e il calcio che favoriscono la salute di ossa e denti.

                                                                             

                                                                            Il consumo di sardine è molto consigliato in menopausa, grazie al loro ottimo contenuto di vitamina D, calcio e fosforo fondamentali per la salute delle ossa.

                                                                             

                                                                            La porzione giornaliera consigliata è di 150 grammi di sardine fresche.

                                                                             

                                                                            Interazioni delle sardine

                                                                            In caso di terapia con isoniazide (un antibiotico antitubercolare) o di gotta sarebbe meglio evitare di consumare le sardine.

                                                                            I soggetti ipertesi inoltre non dovrebbero eccedere con il consumo delle sardine sotto sale, in quanto il sale in esse contenuto rappresenta un fattore di rischio per l’innalzamento della pressione.

                                                                             

                                                                            Produzione e Tecnologia delle sardine

                                                                            Caratteristiche delle sarde o sardelle

                                                                            La sardina è una specie pelagica gregaria, ovvero forma banchi di notevoli dimensioni che rimangono in profondità durante il giorno, per poi risalire in superficie nella notte per nutrirsi. Vive in acque marine e salmastre fino ai 100 m di profondità.

                                                                             

                                                                            La sardina ha un corpo cilindrico, slanciato, carenato, rivestito di scaglie caduche e compresso ai fianchi; il colore è verde-blu sul dorso, argenteo sul resto del corpo. Lunga solitamente intorno ai 20-25 centimetri, può raggiunge una lunghezza massima di 27,5 cm.

                                                                            Il sapore ed il colore delle sardine varia a seconda del mare in cui vengono pescate: in Mar Adriatico le sardine sono più grasse perché hanno a disposizione maggiori quantità di cibo ed hanno un colore più verdastro sul dorso, mentre quelle tirreniche sono più azzurre e più magre.

                                                                             

                                                                            Tecniche di pesca delle sardine

                                                                            Le sardine vengono pescate tutto l’anno utilizzando principalmente reti a circuizione o reti a traino pelagico.

                                                                            Durante la pesca è possibile che avvengano catture accidentali di forme postlarvali o neonate di sardina, i cosiddetti “bianchetti“, la cui cattura è illegale nell’Unione Europea, ma la cui pesca permane in molte aree per il suo elevato valore di mercato.

                                                                             

                                                                            La qualità del prodotto dipende sostanzialmente da due aspetti: il metodo di cattura e il congelamento.

                                                                            Con il metodo di cattura a strascico le sardine escono già rovinate a causa della pressione che si genera nel sacco, con la cattura a circuizione invece i pesci si stressano meno e rimangono integri, mantenendo una qualità migliore.

                                                                            Per quanto riguarda il congelamento, se viene fatto a bassissime temperature ed in breve tempo, si avrà un prodotto surgelato che si conserverà meglio e perderà meno acqua quando verrà scongelato; al contrario se il raffreddamento sarà lento e non immediatamente dopo la cattura, la qualità sarà decisamente scadente.

                                                                             

                                                                            Le carni della sardina sono ottime, saporite e gustose, a patto che siano consumate freschissime, perché è un pesce facilmente deperibile. Di solito la si trova fresca già squamata ma viene commercializzata anche surgelata, inscatolata o confezionata sott’olio.

                                                                             

                                                                            Le categorie di pesce sul mercato

                                                                            I prodotti della pesca commercializzati in UE rispettano certi requisiti a seconda del grado di freschezza e della categoria di calibro cui appartengono.

                                                                            In particolare esistono tre categorie di freschezza (A, B o extra) e cinque categorie di calibro (1,2,3,4 e 4 Mediterraneo), quest’ultime calcolate in base al peso del pesce.

                                                                             

                                                                            • Per rientrare nella categoria A il pesce deve presentare:
                                                                              occhio convesso e leggermente infossato, pupilla oscura, cornea leggermente opalescente; branchie colore meno vivo, più pallido sui bordi, muco trasparente e senza odore di alghe marine; opercoli argentati, leggermente colorati di rosso o di marrone; consistenza della carne assai rigida, soda; muco cutaneo leggermente torbido e pelle con perdita di lucentezza e aspetto meno brillante, dai colori più smorti e con minore differenza tra superficie dorsale e ventrale.

                                                                             

                                                                            • Nella categoria B il pesce presenta:
                                                                              occhio piatto con pupilla offuscata e soffusioni ematiche attorno all’occhio; branchie in via di fitta decolorazione con muco opaco e dall’odore grasso leggermente solforoso; opercoli con imbrunimento e estese soffusioni ematiche; consistenza della carne leggermente molle; muco cutaneo lattiginoso e pelle spenta, senza lucentezza, dai colori slavati e, se si incurva il pesce, si assiste alla formazione di pieghe.

                                                                             

                                                                            • Nella categoria extra si ha:
                                                                              occhio convesso, sporgente, pupilla blu-nera brillante e «palpebra» trasparente; branchie di colore uniforme da rosso scuro a porpora senza muco e con odore fresco di alghe marine, piccante, salso; opercoli argentati; consistenza della carne molto soda, rigida; muco cutaneo acquoso, trasparente e pelle con pigmentazione cangiante, colori vivi, brillanti, con tendenza all’iridescenza e con una netta differenza tra superficie dorsale e ventrale.

                                                                             

                                                                            Stagionalità delle sardine

                                                                            La sardina si trova in commercio tutto l’anno.

                                                                             

                                                                            Preparazione e Conservazione delle sardine

                                                                            Al momento dell’acquisto, la sardina si deve presentare ben rigida al tatto. Quando è fresca una sardina possiede un odore delicato e gradevole, non ammoniacale. Il corpo è rigido e sodo, con aspetto brillante e squame aderenti, il ventre non dev’essere gonfio. Le branchie hanno un colorito rosaceo, tendente al rosso; l’occhio, infine, dev’essere sporgente con pupilla nera, non arrossata.

                                                                             

                                                                            Vi consigliamo di consumare le sardine associandole ad un’insalatona ed accompagnate da una piccola porzione di cereali integrali, magari aggiungendo semi oleosi o frutta a guscio.

                                                                            Cavolfiore

                                                                             

                                                                            varietà di cavolfiore

                                                                            Famiglia: Cruciferae – Brassicaceae

                                                                            Genere: Brassica

                                                                            Specie: Brassica oleracea L. var. botrytis L. Alef. var. botrytis L.

                                                                             

                                                                            Storia del cavolfiore

                                                                            Il cavolfiore è una crucifera il cui nome deriva dal latino “caulis“, fusto, cavolo, e “floris“, fiore.

                                                                             

                                                                            L’origine è piuttosto incerta ma la sua coltivazione è molto diffusa; si trova infatti in India, Cina, Francia, Stati Uniti e Italia, dove si affermò inizialmente in Toscana.

                                                                             

                                                                            Attualmente è molto coltivata in Italia, soprattutto nelle regioni centro-meridionali, più precisamente in Campania, Marche, Toscana, Lazio, Puglia e Sicilia.

                                                                             

                                                                            Varietà di cavolfiore

                                                                            Esistono diverse cultivar che differiscono tra loro per la necessità o meno di freddo per la formazione del corimbo.

                                                                             

                                                                            Alcune di esse infatti richiedono il freddo solamente per la formazione dell’infiorescenze, invece altre (le tardive) richiedono il freddo sia per la formazione della parte edule che per l’infiorescenza.

                                                                             

                                                                            Le varietà di cavolfiore presenti in commercio sono ottenute o da vecchie popolazioni locali o per libera impollinazione o ibridi.

                                                                             

                                                                            Il cavolfiore viene utilizzato sia allo stato fresco che surgelato, disidratato e sottaceto.

                                                                             

                                                                            Proprietà nutrizionali del cavolfiore

                                                                            tabella con i valori nutrizionali del cavolfiore

                                                                            Valori nutrizionali dei cavolfiori

                                                                            Il cavolfiore è composto principalmente da acqua e fibre.

                                                                             

                                                                            Sono presenti le vitamine del gruppo B, la vitamina C e K; tra i sali minerali spiccano il potassio, il calcio e il fosforo.

                                                                             

                                                                            In particolare, come tutte le verdure appartenenti alla famiglia delle Brassicacee o Crucifere, il cavolfiore si caratterizza per la presenza di glucosinolati, ovvero importanti fitocomposti solforati attualmente molto studiati per il loro potenziale ruolo sulla salute.

                                                                            Infatti, per poter beneficiare di queste molecole, si deve prestare attenzione alle modalità di cottura dell’alimento. L’enzima che permette la trasformazione di questi composti nelle molecole bioattive è racchiuso in specifiche strutture cellulari della pianta ed è sensibile alle alte temperature.

                                                                             

                                                                             

                                                                            Benefici dei cavolfiori

                                                                            Fra le vitamine, la C è un antiossidante alleato delle difese immunitarie importante per la sintesi del collagene, le vitamine del gruppo B favoriscono un buon metabolismo e la vitamina K è coinvolta nei processi di coagulazione.

                                                                            Il consumo di questo alimento risulta utile nel caso di ipovitaminosi di vitamina C causata dalle terapie oncologiche.

                                                                             

                                                                            Infine, fra i minerali, il potassio aiuta a proteggere la salute cardiovascolare mentre il calcio e il fosforo quella di ossa e denti.

                                                                             

                                                                            Inoltre le fibre sono importanti alleate della salute dell’intestino e sono utili per controllare l’assorbimento di colesterolo e zuccheri.

                                                                            Una dieta ricca di cavolfiore può aiutare a prevenire i tumori grazie alle fibre e ad altri composti, come il sulforafano e alcuni steroli.

                                                                            Il di-indolo-metano sembra esercitare un’azione immunomodulatrice, antibatterica e antivirale.

                                                                             

                                                                            Inoltre i glucosinolati presenti, che vengono scissi dall’enzima mirosinasi in isotiocianati e indoli, sembrerebbero avere un ruolo antiploriferativo contro le cellule tumorali ed in grado di alterare il metabolismo degli estrogeni. 

                                                                             

                                                                            La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a ½ piatto di cavolfiori.

                                                                             

                                                                            Interazioni dei cavolfiori

                                                                            Il cavolfiore è fonte di goitrogeni, che possono essere potenzialmente pericolosi per chi ha problemi alla tiroide.

                                                                            Se si assumono diuretici risparmiatori di potassio bisognerebbe evitare di eccedere con cibi ricchi di potassio, come il cavolfiore.

                                                                             

                                                                            Produzione e Tecnologia del cavolfiore

                                                                            Caratteri botanici della pianta del cavolfiore

                                                                            Il cavolfiore è una pianta erbacea biennale che presenta una radice fittonante non molto profonda.

                                                                            Sul fusto, eretto e che può essere lungo da 15 a 50 cm, sono presenti alcune foglie. Le foglie si presentano costolute e le più esterne sono più grandi, di colore verde a volte tendente al grigio e pruinose, mentre quelle interne sono di colore giallognolo o verde chiaro e spesso ricoprono completamente la parte edule.

                                                                             

                                                                            La parte edule viene chiamata in modi diversi (corimbo, pomo, testa, infiorescenza) ed è il risultato della ripetuta ramificazione della porzione terminale dell’asse principale della pianta. Il corimbo può assumere forme molto diverse.

                                                                             

                                                                            L’infiorescenza proviene dall’allungamento dei peduncoli carnosi del corimbo; tali peduncoli allungandosi si ramificano più volte. I fiori delle prime ramificazioni abortiscono e sono fertili solo quelli della ramificazione del quarto-ottavo ordine in poi.

                                                                             

                                                                            I fiori sono di colore giallo e tipici delle crucifere. I frutti sono silique, di forma e lunghezza diverse; possono contenere fino a oltre 25 semi, tondi, di diametro variabile da 1 a 2,5 mm., rossiccio-bruni o bluastri quasi lucenti.

                                                                             

                                                                            Coltivazione dei cavolfiori

                                                                            Per la coltivazione le zone migliori sono quelle dal clima fresco e umido. Per crescere richiede terreni di medio impasto con un elevato livello idrico e la temperatura è un fattore molto importante sia durante la fase vegetativa che quella riproduttiva.

                                                                             

                                                                            Infatti per le cultivar precoci la temperatura ottimale per la formazione dei corimbi è di circa 17°C; con temperature superiori a 20°C il passaggio alla fase riproduttiva è ritardato e la qualità dei corimbi diviene scadente, invece le basse temperature possono danneggiare la pianta in coincidenza dei vari stadi in cui si trova.

                                                                             

                                                                            La coltivazione si effettua in diversi periodi dell’anno, a seconda della località e delle cultivar impiegate.

                                                                             

                                                                            È una coltura da rinnovo (intercalare) e può seguire il grano o gli ortaggi come la fava, il pisello, la carota e la patata. Può anche essere intercalato tra grano e pomodoro, utilizzando cultivar a ciclo breve; è da evitare invece la monosuccessione.

                                                                             

                                                                            Ad oggi nella coltivazione vengono utilizzate piantine allevate in vivaio in appositi contenitori, successivamente trapiantate (da luglio a tutto settembre). La vernalizzazione delle piantine (15-20 giorni a 2°C) sembra favorire la concentrazione del periodo di raccolta.

                                                                            Quando si utilizzano varietà tardive, che sono più grandi di quelle precoci, le distanze d’impianto variano da 60 a 100 cm tra le file e 40-70 cm lungo le file.

                                                                             

                                                                            Produzione dei cavolfiori

                                                                            La raccolta è scalare per tutte le cultivar classiche italiane poiché la maturazione non avviene contemporaneamente e sono quindi necessarie 3-6 raccolte, utilizzando macchine agevolatrici.

                                                                             

                                                                            I corimbi si raccolgono quando sono compatti e le loro dimensioni e il loro peso variano notevolmente a seconda della cultivar (solitamente i corimbi defogliati non superano generalmente 1,5 kg).

                                                                             

                                                                            Il taglio dei corimbi può essere fatto con o senza foglie. Dopo il taglio deve essere evitata l’esposizione ai raggi del sole per evitare la comparsa di colori indesiderati.

                                                                             

                                                                            Per la commercializzazione il cavolfiore è preparato in quattro diverse maniere:

                                                                            1. affogliato, ovvero sono eliminate solo le foglie grandi più esterne, mentre le altre sono lasciate a protezione del corimbo e appena spuntate nella parte terminale;
                                                                            2. coronato, dove sono eliminate solo le foglie grandi più esterne, mentre le altre sono tagliate al massimo circa 3 cm al di sopra della testa;
                                                                            3. defogliato, sono eliminate tutte le foglie ad eccezione di quelle più interne, giovani, tenere, avvolgenti e coprenti il corimbo e questa è la presentazione più frequente per le centrali ortofrutticole;
                                                                            4. infine nudo, dove tutte le foglie sono eliminate ed il corimbo è avvolto da un film plastico microperforato e questa è la forma più diffusa per l’esportazione.

                                                                             

                                                                            Il cavolfiore è un prodotto facilmente deperibile a causa della più o meno intensa attività respiratoria che provoca un rapido appassimento del prodotto.

                                                                             

                                                                            I cavolfiori autunnali hanno necessità di essere pre-refrigerati (quelli tardivi in genere non ne hanno necessità) con acqua fredda e/o con il vuoto per portarli ad una temperatura di circa 5°C e poi conservarli in cella frigorifera ventilata con elevata umidità relativa (> 95%).

                                                                            I tempi di conservazione in cella frigorifera sono in funzione della temperatura (a 0°C per 21-28 giorni; 3°C per 14 giorni; 5°C per 7-10 giorni; 10°C per 5 giorni).

                                                                            Il trasporto deve essere effettuato tramite furgoni frigoriferi per mantenere inalterate le caratteristiche qualitative.

                                                                             

                                                                            Stagionalità del cavolfiore

                                                                            La presenza sul mercato dei cavolfiori va da ottobre a maggio.

                                                                             

                                                                            Preparazione e Conservazione del cavolfiore

                                                                            Vi consigliamo di tagliare sempre il cavolfiore e di utilizzarlo crudo, cotto al vapore o sbollentato per meno di 10 minuti. Così facendo si favorisce il rilascio e l’attività dell’enzima.

                                                                            Potete sperimentare e provarlo a condire con diversi abbinamenti di spezie e erbe aromatiche, oppure, oltre al succo di limone, si può optare per una grattugiata di scorza d’arancia. Tutti questi condimenti sono utili per limitare il consumo di sale.

                                                                             

                                                                            I cavolfiori si possono conservare in frigorifero, oppure si possono congelare. In caso di quest’ultima opzione vi consigliamo di scegliere un cavolfiore novello, fresco al suo picco di maturazione con fiori compatti e bianchi.

                                                                             

                                                                            Le proposte di ricette di FBO con il cavolfiore

                                                                            Ravanelli

                                                                             

                                                                            Famiglia: Cruciferae – Brassicaceae

                                                                            Genere: Raphanus

                                                                            Specie: Raphanus sativus L.

                                                                             

                                                                            Storia dei ravanelli o rapanelli

                                                                            Il ravanello o rapanello è una pianta erbacea che si ritiene essere originaria della Cina caratterizzata da un sapore più o meno piccante.

                                                                             

                                                                            Ad oggi è uno degli ortaggi più coltivati al mondo e, in Italia, è coltivato su una superficie di circa 1.000 ettari; il prodotto coltivato è destinato soprattutto al mercato interno.

                                                                             

                                                                            Varietà di ravanelli

                                                                            Esistono numerose varietà coltivate che vengono classificate in base alla forma e colore della radice o alla stagione di coltivazione.

                                                                             

                                                                            Le varietà più diffuse in Italia per i ravanelli tondi e rossi sono Cherry Belle (varietà medio-tardiva che si raccoglie in 22 giorni, dal sapore delicato) e Saxa (varietà precoce); per quelli oblunghi e bianchi Candela di Ghiaccio (varietà medio-tardiva che si raccoglie in 20-30 giorni); per i ravanelli oblunghi e rossi Candela di Fuoco, Ravanello Lungo o Torino o Tabasso.

                                                                             

                                                                            Proprietà nutrizionali dei ravanelli o rapanelli

                                                                            tabella con i valori nutrizionali dei ravanelli o rapanelli

                                                                            Ravanelli valori nutrizionali

                                                                            I ravanelli sono composti principalmente da acqua e presentano un buon contenuto di fibre. Oltre a queste caratteristiche,spicca anche il contenuto di carotenoidi, vitamine del gruppo B, vitamina C e sali minerali.

                                                                             

                                                                            Ravanelli benefici

                                                                            I benefici apportati dal consumo dei ravanelli sono da riconoscere in particolari ai sali minerali e alle vitamine che li compongono.

                                                                            Tra i minerali quelli più presenti sono il potassio, fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso, e il magnesio, anche questo fondamentale per la funzionalità del tessuto muscolare del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso, ma anche per lo sviluppo e solidità delle ossa, interviene infine anche nel metabolismo dei carboidrati.

                                                                             

                                                                            Per quanto riguarda le vitamine, i ravanelli sono ricchi in vitamina C, con azione antiossidante, e folati, fondamentali nella crescita e nella riproduzione delle cellule, in particolare dei globuli rossi. I folati sono inoltre preziosi per la formazione del sistema nervoso centrale nell’embrione e nel feto.

                                                                             

                                                                            Come per tutte le crucifere, il consumo di ravanelli sembrerebbe essere associato ad una protezione nei confronti di diverse forme tumorali.

                                                                            Questo è dovuto alla presenza di componenti bioattivi, i glucosinolati, che hanno la funzione nella pianta di proteggerla contro le malattie fungine e le infestazioni da parassiti.

                                                                            Nell’uomo non sono direttamente queste molecole ad operare gli effetti positivi, ma dei loro prodotti di derivazione chiamati isotiocianati. La conversione avviene ad opera di un enzima, la mirosinasi, che normalmente è compartimentato in strutture cellulari della pianta.

                                                                            Grazie alla masticazione, l’enzima mirosinasi può incontrare i glucosinolati e trasformarli in isotiocianati.

                                                                             

                                                                            La porzione di consumo standard consigliata è di 200 grammi di ravanelli freschi.

                                                                             

                                                                            Ravanelli interazioni

                                                                            I soggetti che soffrono di problemi alla tiroide devono prestare attenzione al consumo dei ravanelli, poichè possono contenere goitrogeni.

                                                                             

                                                                            Produzione e Tecnologia dei ravanelli o rapanelli

                                                                            Caratteri botanici della pianta dei ravanelli

                                                                            Il ravanello presenta una parte aerea con foglie lobate con margine irregolarmente seghettato e fiori di quattro petali che possono essere di colore bianco, rosa o violetto.

                                                                            Il frutto è una siliqua che racchiude semi rossastri, rotondi o leggermente allungati.

                                                                             

                                                                            Coltivazione dei ravanelli

                                                                            Per la coltivazione il ravanello predilige terreni di medio impasto tendenzialmente calcarei, irrigui, e dotati di sostanza organica.

                                                                            Una pratica essenziale per la sua coltivazione è l’avvicendamento colturale: se in coltura principale è da considerarsi da rinnovo, se in piccole superfici intercalare mentre sono sconsigliate rotazioni con altre crucifere.

                                                                            Il ciclo colturale dura da un minimo di tre settimane, nel periodo estivo, ad un massimo di 2-3 mesi durante l’inverno.

                                                                             

                                                                            Dopo l’aratura, si effettua la rottura delle zolle, l’appianamento del terreno, cui segue un ulteriore amminutamento del terreno; prima della semina è opportuno effettuare una rullatura. La distanza tra le file è di 10-15 cm, e 3-4 cm sulla fila; la produzione ad ettaro è di circa 30 quintali.

                                                                             

                                                                            Stagionalità dei ravanelli

                                                                            I ravanelli si trovano in commercio da aprile a ottobre e vengono commercializzati confezionati in mazzetti, pronti per il consumo, provvisti di foglie, o, più raramente, in sacchetti, privi di foglie.

                                                                             

                                                                            Preparazione e Conservazione dei ravanelli o rapanelli

                                                                            Sgranocchiati prima del pasto in pinzimonio, o come spezza-fame pomeridiano, possono placare il senso di fame senza apportare calorie in eccesso.

                                                                            In ogni caso il metodo migliore di consumare i ravanelli è sicuramente crudi in insalata.

                                                                             

                                                                            Per conservarli vi consigliamo di porli nel cassetto riservato alle verdure, in questa maniera i ravanelli si conserveranno per 1-2 settimane.

                                                                            Rape

                                                                             

                                                                            rapa bianca

                                                                            Famiglia: Cruciferae – Brassicaceae

                                                                            Genere: Brassica

                                                                            Specie: Brassica rapa L. subsp. rapa Thell.

                                                                             

                                                                            Rapa: cos’è e varietà

                                                                            La rapa è una crucifera originaria della Siberia occidentale che appartiene alla stessa famiglia del cavolo, del cavolfiore e dei cavoletti di Bruxelles.

                                                                             

                                                                            È nota anche con il nome di “rapa bianca” per il suo colore biancastro, sebbene diverse varietà abbiano esternamente sfumature violacee

                                                                             

                                                                            Con il termine “rapa” viene indicata la radice della pianta, mentre le foglie rappresentano le cosiddette “cime di rapa”.

                                                                             

                                                                            Le varietà vengono distinte in base alla forma, che può essere tondeggiante, ovale, ellittica o conica, al colore della radice ed all’epoca di coltivazione.

                                                                             

                                                                            La rapa ha un sapore dolciastro e delicato e può essere consumata sia cruda che cotta.

                                                                             

                                                                            Proprietà nutrizionali della rapa

                                                                            tabella con i valori nutrizionali delle rape

                                                                            Valori nutrizionali delle rape

                                                                            La rapa ha un ottimo contenuto di fibre e acqua, di sali minerali come il potassio e a seguire di ferro e manganese ed infine ha un ottimo contenuto di vitamine.

                                                                            A questìultimo proposito spicca soprattutto la quantità di vitamina C.

                                                                             

                                                                            Benefici delle rape

                                                                            Le rape presentano una buona quantità d’acqua e poche calorie, mentre il contenuto di fibra è considerevole, infatti una porzione di rape è in grado di soddisfare un quinto dell’apporto giornaliero raccomandato di fibre.

                                                                             

                                                                            Per quanto riguarda i micronutrienti, le rape contengono buone quantità di potassio, ferro e manganese e sono ricche di vitamina C, vitamina con una potente azione antiossidante, che favorisce l’assorbimento intestinale del ferro e del cromo e che interviene anche nella difesa immunitaria.

                                                                            Anche la vitamina A è presente in buone quantità, vitamina fondamentale per un buon funzionamento della vista, per la crescita delle ossa, per la funzione testicolare e ovarica e, inoltre, per un sano sviluppo embrionale.

                                                                             

                                                                            Vi consigliamo, come nella maggior parte dei casi, di consumare questo tipo di verdura cruda, per beneficiare delle vitamine e per evitarne la distruzione al calore o la perdita in acqua.

                                                                            Inoltre è bene sapere che le rape sono costituite da cellulosa, che potrebbe rallentare i processi digestivi.

                                                                             

                                                                            La porzione di consumo standard consigliata è di 200 grammi di rapa.

                                                                             

                                                                            Interazioni delle rape

                                                                            Se si assumono antagonisti della vitamina K o anticoagulanti (come il warfarin) bisogna prestare attenzione al consumo di cime di rapa in quanto la vitamina K contenuta nell’alimento può rendere il farmaco meno efficace.

                                                                             

                                                                            Produzione e Tecnologia della rapa

                                                                            Caratteri botanici della rapa

                                                                            La rapa è una crucifera a ciclo biennale (annuale in coltura). Al primo anno forma una radice carnosa di 5-10 cm di diametro dalle varie forme e dimensioni (può essere infatti globosa, globosa-appiattita o allungata).

                                                                            La radice ha un colore bianco giallo, con sfumature rosso violette o verdi, la polpa è bianca e croccante, le foglie basali sono provviste di picciolo allungato con lembo intero, lobato o lirato.

                                                                            Al secondo anno emette uno stelo fiorale ramificato alto circa 80 cm con foglie lanceolate con la presenza di fiori gialli ermafroditi.

                                                                             

                                                                            La fecondazione è in genere incrociata, entomofile o anemofila. La durata della germinabilità è di 4-5 anni.

                                                                             

                                                                            Coltivazione della rapa

                                                                            La rapa si adatta bene ai climi temperati umidi, resiste bene al freddo fino a -10°C e si adatta ai diversi tipi di terreno prediligendo quelli profondi, freschi e ben drenati.

                                                                             

                                                                            Viene generalmente impiantata da luglio a settembre dopo una coltura primaverile-estiva per ottenere la produzione invernale; viene seminata a spaglio o a file distanti 20 cm (manualmente o a macchina), interrando il seme a 1-2 cm.

                                                                            La densità colturale è di 20-30 piante a metro quadrato. Più rara è la semina in gennaio-febbraio per la produzione primaverile.

                                                                             

                                                                            Il ciclo di coltivazione della rapa, cioè il periodo d’attesa che va dalla semina al raccolto, va dai 50 agli 80 giorni.

                                                                             

                                                                            Le cure colturali comprendono il diserbo che può essere effettuato con sarchiature se la semina è stata a file, o con diserbanti. Altre cure possono essere: diradamento, fertirrigazione azotata e irrigazioni.

                                                                             

                                                                            Produzione della rapa

                                                                            La raccolta avviene nel periodo invernale da ottobre a marzo dopo 2-3 mesi dalla semina; può essere scalare o contemporanea quando le radici hanno raggiunto un diametro di 6-10 cm.

                                                                            In seguito alla raccolta vengono riunite in mazzi e lavate.

                                                                            Le radici private delle foglie possono essere conservate in frigo per 3-4 mesi.

                                                                             

                                                                            Stagionalità della rapa

                                                                            La rapa è un ortaggio consumato soprattutto nel periodo invernale.

                                                                             

                                                                            Preparazione e Conservazione della rapa

                                                                            Come detto in precedenza, la maniera migliore per consumarle sarebbe crude in insalata, soprattutto per beneficiare a pieno del quantitativo di vitamine presenti.

                                                                             

                                                                            In ogni caso il metodo di cottura tradizionale più conosciuto e veloce, è quello di lessarle come le patate in acqua fredda per circa 45 minuti dopo averle ovviamente lavate accuratamente in acqua fredda per eliminare ogni residuo di terreno presente sulla buccia.

                                                                            A cottura ultimata si scolano e si passano sotto il getto dell’acqua fredda. Si sbucciano, si affettano si condiscono con olio, o limone oppure con fettine di cipolla.

                                                                             

                                                                            Un altro tipo di cottura è quello al cartoccio. Per prima cosa si preriscalda il forno a 180-200 ° C. Si lavano le rape accuratamente sotto il getto della fontana. Si asciugano e poi dopo averle tagliate a spicchi si dispongono su una teglia foderata con della carta forno. Si condiscono con olio, poco sale, pezzetti di aglio, un pizzico di pepe e un trito di prezzemolo. Si chiude la carta forno o la carta stagnola e si infornano per 30 minuti. A cottura ultimata, si tolgono dal forno, si apre il cartoccio e si servono.

                                                                             

                                                                            Questa radice può essere conservata fresca in frigorifero per settimane.

                                                                            Si può anche congelare, dopo averla fatta bollire per qualche minuto o metterla sottovuoto con l’etichetta riportante la data di preparazione.

                                                                             

                                                                            Le proposte di ricetta di FBO con le rape

                                                                            Alghe

                                                                             

                                                                            tipi di alghe

                                                                            Le alghe sono piante non vascolari o tallofite, ovvero dotate di una struttura vegetativa semplice per cui prive di radici, fusto e foglie.

                                                                             

                                                                            L’etimologia potrebbe risalire alla parola “aliga” diffusa nel latino parlato, utilizzata per indicare un tipo di pianta inferiore formata da una sola cellula o da più cellule eucarioti non differenziate in tessuti e in organi che vive in genere in acqua.

                                                                             

                                                                            Tipi di alghe

                                                                            La grande diffusione delle alghe è in gran parte dovuta alla varietà di pigmenti fotosintetici presenti nelle loro cellule e, proprio i diversi tipi di pigmenti fotosintetici presenti, stabiliscono il criterio di suddivisione in sottogruppi delle alghe.

                                                                             

                                                                            La classificazione suddivide le alghe in:

                                                                             

                                                                            • crisoficee o alghe dorate, organismi unicellulari di color giallo-dorato molto diffusi nell’ambiente marino,

                                                                             

                                                                            • feoficee o alghe brune, organismi pluricellulari il cui colore bruno scuro è dovuto alla presenza del pigmento fucoxantina,

                                                                             

                                                                            • rodoficee o alghe rosse, così chiamate per il loro colore dovuto alla ficoetitrina,

                                                                             

                                                                            • cloroficee o alghe verdi, dal colore verde intenso dovuto all’abbondanza di clorofilla e considerate le più evolute.

                                                                             

                                                                            Le alghe commestibili sono organismi marini che possono essere introdotti nell’alimentazione umana e tra esse rientrano le seguenti alghe:

                                                                             

                                                                            • kombu (Laminaria spp, è un’alga bruna utilizzata per minestre e zuppe),
                                                                            • nori (Porpyra sp è un’alga rossa utilizzata nel sushi),
                                                                            • wakame (Undaria pinnatifida è un’alga bruna, utilizzata nella zuppa di miso),
                                                                            • spirulina (Artrosphira sp è una microalga o cianobatterio di pochi micron verdeazzurra dalla forma a spirale, ingrediente del gomasio),
                                                                            • arame (come contorno),
                                                                            • dulse (Palmaria palmata è un’alga rossa utilizzata in zuppe, salse e con legumi o cereali, dall’elevato contenuto salino è considerata un integratore naturale da assumere dopo l’attività sportiva per il riequilibrio idrosalino),
                                                                            • hijiki (con pasta, riso, verdure o radici),
                                                                            • kanten (per il sashimi).

                                                                             

                                                                            Proprietà nutrizionali delle alghe

                                                                            tabella con i valori nutrizionali delle alghe

                                                                            Valori nutrizionali delle alghe

                                                                            Le alghe sono ricche di vitamine, proteine, sali minerali, e sono una valida alternativa vegetale che sempre più compare sulle nostre tavole.

                                                                            Sono alimenti già naturalmente ricchi di iodio, indispensabile per lo sviluppo dell’organismo, poiché aiuta la produzione degli ormoni tiroidei.

                                                                             

                                                                            Alle alghe commestibili generalmente sono attribuite proprietà antiossidanti.

                                                                            Andando più nello specifico le alghe nori sono particolarmente ricche di vitamina A, C e calcio, le dulse sono più ricche in ferro mentre le hijiki sia in ferro che in calcio.

                                                                            L’alga spirulina invece è nota principalmente per il suo elevato tenore proteico e per l’altissima concentrazione in betacarotene, che la rende uno dei migliori antiossidanti naturali.

                                                                             

                                                                            Benefici delle alghe

                                                                            Evidenze scientifiche evidenziano che le alghe possono avere un ruolo importante nel modulare le malattie croniche, grazie ai loro composti bioattivi non presenti nelle fonti alimentari terrestri.

                                                                             

                                                                            Generalmente i presunti benefici includono proprietà antivirali, antitumorali e anticoagulanti, nonché la capacità di modulare la salute intestinale e i fattori di rischio per l’obesità e il diabete.

                                                                             

                                                                            Sebbene la maggior parte degli studi sia stata eseguita su modelli cellulari e animali, esistono prove dell’effetto benefico delle alghe e dei componenti delle alghe sui marcatori della salute umana e dello stato della malattia.

                                                                            In ogni caso sono necessari ulteriori studi volti a valutare se le quantità di iodio e arsenico ingerite tramite le alghe comportino degli eventuali effetti negativi sulla salute.

                                                                             

                                                                            Interazioni delle alghe

                                                                            L’alga spirulina potrebbe interferire con l’attività dei farmaci immunosoppressori. Per questo in caso di dubbi è bene chiedere consiglio al proprio medico.

                                                                             

                                                                            Produzione e Tecnologia delle alghe

                                                                            Caratteristiche delle alghe

                                                                            Le alghe sono diffuse negli ambienti di acqua dolce, nelle acque marine e alcune sono reperibili anche negli ambienti umidi.

                                                                             

                                                                            La Kombu

                                                                            La Kombu è una delle alghe più comuni ed è largamente utilizzata nelle preparazioni alimentari.

                                                                            Ha un odore caratteristico, pungente ed un gusto intenso, avvolgente in cui prevale il gusto “umami” o cosiddetto “quinto gusto” dovuto alla presenza dell’acido glutammico.

                                                                            Le sue foglie vengono raccolte a mano lungo la costa atlantica, disidratate a bassa temperatura (inferiore a 38°C), in modo da preservare tutta la qualità dei nutrienti, per poi essere tagliate a strisce conferendole la forma tipica.

                                                                             

                                                                            La Nori

                                                                            La Nori è un’alga commestibile di larga diffusione.

                                                                            È utilizzata a crudo o con una breve scottatura per mantenere inalterate le sue proprietà nutrizionali ed è caratterizzata da un profumo tenue ed un gusto delicato.

                                                                            Le foglie vengono raccolte a mano lungo la costa atlantica e disidratate a bassa temperatura (inferiore a 38°C).

                                                                             

                                                                            La Spirulina

                                                                            La Spirulina presenta un gusto caratteristico e piuttosto intenso, un elevato valore nutritivo e ha una notevole azione colorante essendo molto ricca di pigmenti.

                                                                            L’alga viene coltivata in vasche, successivamente raccolta tramite filtrazione dell’acqua di coltura ed infine disidratata con getti di aria tiepida (inferiore a 45C°).

                                                                            La disidratazione è il metodo di conservazione utilizzato da tutti i produttori in quanto permette di stabilizzare il prodotto potendolo conservare a lungo senza rischi di contaminazioni e preservandone allo stesso tempo la qualità dei nutrienti.

                                                                             

                                                                            Oggi si stima che la produzione mondiale abbia superato le 10.000 tonnellate che vengono quasi interamente coltivate in bacini all’aperto di cui almeno la metà del totale si trovano in Cina.

                                                                            Negli ultimi anni si sono moltiplicate le microfarm, che producono Spirulina in vasche di piccole dimensioni coperte, riuscendo così a coltivare quest’alga anche in Europa.

                                                                             

                                                                            La Wakame

                                                                            La Wakame è un’alga utilizzata da secoli in oriente che da qualche decennio si coltiva e si raccoglie anche nel nord Europa.

                                                                            Ha un odore tipico ed un sapore intenso e caratteristici.

                                                                            La foglia è composta da una nervatura centrale piuttosto consistente ed una fronda più sottile e morbida. Le foglie vengono raccolte a mano lungo la costa atlantica, disidratate a bassa temperatura (inferiore a 38°C) per poi essere tagliate in strisce di circa 20cm.

                                                                             

                                                                            La Dulse

                                                                            La Dulse è un’alga tra le più conosciute ed utilizzate da secoli nel Nord Europa e Nord America.

                                                                            La foglia è abbastanza consistente ma tenerissima e può essere lavorata e consumata anche a crudo mantenendo inalterate le sue proprietà nutrizionali.

                                                                            Ha un profumo intenso e caratteristico ed un sapore marcato, quasi piccante. Le foglie di quest’alga vengono raccolte a mano lungo la costa atlantica e disidratate a bassa temperatura (inferiore a 38°C).

                                                                             

                                                                            La reperibilità e l’uso delle alghe

                                                                            La reperibilità delle alghe commestibili varia da caso a caso; alcune, come la spirulina, possono essere assunte sotto forma di prodotti fortificati, come pasta e biscotti.

                                                                             

                                                                            Di solito si vendono essiccate in fiocchi o preparate in fogli sottilissimi, raramente fresche.

                                                                             

                                                                            Dalle alghe brune si estrae un prodotto, l’algina, che trova largo impiego sia nell’industria cosmetica, per dentifrici e creme, sia in quella alimentare, per gelati e budini, con funzione di addensante.

                                                                             

                                                                            Preparazione e Conservazione delle alghe

                                                                            In commercio esistono diverse tipologie di alghe, in funzione del trattamento conservativo al quale vengono sottoposte.

                                                                            I tempi di conservazione possono variare da pochi giorni, nel caso delle alghe fresche, fino ad arrivare addirittura ai tre anni, per le alghe disidratate.

                                                                             

                                                                            Le alghe possono essere consumate sia crude che cotte, ed è consigliabile sottoporre ad una cottura prolungata solo quelle dalla consistenza più dura.

                                                                             

                                                                            Si possono utilizzare in tante ricette a base di pasta, riso, insalate, ortaggi cotti, legumi e pesce, non necessariamente solo al solito sushi. L’alga kombu, per esempio, è generalmente utilizzata per ridurre i gonfiori associati al consumo di legumi.

                                                                             

                                                                            Oltre al classico utilizzo nelle minestre, o per preparare brodi, è sempre più diffuso il loro utilizzo per preparare infusi e tè.

                                                                              • Brown E.S. et al. (2014) “Seaweed and human health”, Nutrition reviews, 2014 Mar;72(3):205-16.
                                                                              • Cherry P. et al. (2019) “Risks and benefits of consuming edible seaweeds”, Nutrition reviews, 2019 May 1;77(5):307-329.
                                                                              • www.bda-ieo.it
                                                                              • www.bioalghe.it
                                                                              • www.humanitas.it

                                                                              Verza o Cavolo verza

                                                                               

                                                                              verza o cavolo verza

                                                                              FamigliaCruciferae – Brassicaceae

                                                                              Genere: Brassica

                                                                              Specie: Brassica oleracea L. var. sabauda L.

                                                                               

                                                                              La verza o cavolo verza è una pianta erbacea il cui nome deriva dalla parola latina virdia che significa “verde”, ricordando il colore delle foglie.

                                                                               

                                                                              Varietà di cavolo verza

                                                                              Esistono diverse varietà di verza che si distinguono per dimensioni del cespo, colore delle foglie e per il ciclo colturale (nelle varietà tardive arriva anche a 5 o 6 mesi, le precoci in 90 giorni sono a raccolta).

                                                                               

                                                                              Le varietà sono estive, autunnali e invernali.

                                                                              Nelle estive troviamo il Primaticcio di S.Giovanni, il Verzotto corto precoce; tra le autunnali il Verzotto d’Asti, di Milano e Vittoria. Rientrano invece nelle invernali il Comune d’inverno, il Pontoise, Trionfo d’inverno, Re d’inverno, Vertus, ecc.

                                                                               

                                                                              Proprietà nutrizionali della verza o cavolo verza

                                                                              tabella con i valori nutrizionali della verza o cavolo verza

                                                                              Verza valori nutrizionali

                                                                              Il cavolo verza è composto per il 90% di acqua, ha un buon contenuto di fibra e presenta modeste quantità di proteine, lipidi e carboidrati.

                                                                              Le vitamine maggiormente presenti sono le vitamine A, C, E e K, mentre tra i minerali spiccano il potassio, calcio, fluoro, magnesio e ferro.

                                                                               

                                                                              Nella verza troviamo inoltre α e β carotene, che hanno azione antiossidante e contrastano l’azione dei radicali liberi, e luteina e zeaxantina, che sono implicate nei processi della visione.

                                                                               

                                                                              Verza benefici

                                                                              Per quanto riguarda le vitamine, tra le più presenti spiccano la vitamina C, con azione antiossidante, ed i folati, fondamentali nella crescita e nella riproduzione delle cellule.

                                                                              Inoltre, il consumo di cavoli verza, può contribuire a proteggere la salute cardiovascolare, grazie al loro buon contenuto in potassio e vitamina K.

                                                                               

                                                                              Al fine di non deteriorare tali vitamine risulta però necessario fare attenzione al tempo ed al tipo di cottura, per questo vi consigliamo la cottura al vapore, cotture rapide in padella o altrimenti potete sbollentarli in poca acqua per non più di 10 minuti.

                                                                              In ogni caso la maniera più semplice e sicura rimane quella di consumare la verza cruda in insalata.

                                                                               

                                                                              I benefici del cavolo verza non si fermano al suo contenuto prezioso in vitamine, ma coinvolgono anche il suo contenuto in particolari molecole, i glucosinolati. Quest’ultimi vengono trasformati in molecole bioattive, gli isotiocianati, tramite le mirosinasi, enzimi che per agire hanno bisogno di essere liberati dai vacuoli, cioè delle strutture presenti nelle cellule vegetali.

                                                                              Per questo è necessario masticare bene questi alimenti in maniera tale da rompere le strutture e favorire il rilascio delle mirosinasi. Inoltre il calore può degradare l’enzima, altra buona ragione per prediligere il consumo a crudo della verza.

                                                                               

                                                                              La porzione standard raccomandata è 200 grammi, che corrispondono circa a mezzo piatto di verza cruda o cotta.

                                                                               

                                                                              Il consumo di questa verdura può essere utile in caso di carenza di vitamina B12, di acido folico e in caso di stipsi o costipazione.

                                                                               

                                                                              Verza e interazioni

                                                                              La verza potrebbe interferire con l’assunzione di farmaci anticoagulanti. Sarebbe inoltre fonte di goitrogeni, pericolosi per chi soffre di disturbi alla tiroide.

                                                                               

                                                                              Produzione e Tecnologia del cavolo verza

                                                                              Caratteri botanici della verza

                                                                              La verza è una pianta erbacea che può raggiungere 1,5 metri di altezza, formando abbondanti ramificazioni con rametti fioriferi i cui fiori sono gialli.

                                                                              Le foglie sono bollose, grinzose, quasi increspate, riunite in una palla, di colore verde o tendente alle tonalità del grigio.

                                                                               

                                                                              Il cavolo verza è una pianta resistente al freddo; la sua temperatura ideale è intorno ai 15/20 gradi. La verza non ama il caldo e teme soprattutto la siccità.

                                                                              Non avendo bisogno di particolari esigenze, viene coltivata in tutta la penisola italiana ed è particolarmente diffusa nelle zone settentrionali del Paese, ovvero in vaste aree di regioni come il Piemonte, la Lombardia, il Trentino Alto Adige e, infine, il Veneto.

                                                                               

                                                                              Coltivazione della verza

                                                                              L’ideale per la coltivazione della verza è una semina a primavera inoltrata, tra maggio e giugno, in modo che la pianta germini durante l’estate, si sviluppi in autunno e maturi durante l’inverno. Il periodo per la semina è comunque ampio, si può mettere a dimora questo cavolo da marzo a luglio.

                                                                               

                                                                              Il seme si pone a circa due centimetri di profondità sotto il livello del suolo. I semi di verza germinano abbastanza facilmente e rapidamente, in genere entro 15 giorni.

                                                                               

                                                                              La tecnica colturale più appropriata è il trapianto, che può essere eseguito con piantine a radice nuda allevate in semenzaio o con piantine con pane di terra allevate in contenitori alveolati; la densità d’impianto è di circa mezzo metro tra una pianta e l’altra, stessa distanza va tenuta tra le file.

                                                                              La coltivazione in aiuole rialzate come per molti ortaggi è ottima anche nel caso della verza.

                                                                               

                                                                              Per il contenimento delle erbe infestanti si può ricorrere a sarchiatura, pacciamatura, irrigazione localizzata, oltre a una corretta rotazione colturale. La coltivazione della verza è favorita se segue la coltivazione di un legume, mentre non deve seguire un’altra pianta della stessa famiglia (crucifere) o peggio ancora ripetersi.

                                                                              La vicinanza del pomodoro è positiva per allontanare la presenza di alcuni parassiti dei cavoli, mentre la camomilla pare migliori il gusto del cavolo verza. Altri buoni vicini per la verza sono i legumi, le patate e il sedano.

                                                                               

                                                                              Produzione della verza

                                                                              La sua raccolta avviene da ottobre ad aprile nel periodo precedente alla fioritura, pertanto è considerato un ortaggio da consumare nei mesi freddi.

                                                                               

                                                                              In commercio si trovano due varietà di verza: una ben matura, particolarmente adatta al consumo durante l’inverno, un’altra che risulta essere meno diffusa per la raccolta in primavera.

                                                                               

                                                                              Stagionalità della verza

                                                                              Il cavolo verza si trova sul mercato tutto l’anno grazie alle diverse varietà presenti in commercio.

                                                                               

                                                                              Preparazione e Conservazione del cavolo verza

                                                                              Dopo aver acquistato la verza, questa può essere conservata intera in frigo nell’apposito cassetto delle verdure, per una-due settimane.

                                                                               

                                                                              Per preparare la verza è necessario prima di tutto pulirla adeguatamente togliendo la base dura del torsolo e le prime foglie esterne sciupate. Le foglie devono essere sfogliate completamente, lavate sotto il getto dell’acqua corrente e sgrondate in una centrifuga per insalata in modo da non sciuparle.

                                                                              Le foglie centrali più tenere possono essere utilizzate per le insalate, mentre le foglie più esterne possono essere utilizzate per minestroni ed involtini.

                                                                               

                                                                              Le proposte di ricetta di FBO con la verza

                                                                              Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                              Peperoncino

                                                                               

                                                                              varietà di peperoncino

                                                                              Famiglia: Solanaceae

                                                                              Genere: Capsicum

                                                                              Specie: Capsicum annuum L.

                                                                               

                                                                              Il peperoncino è una pianta erbacea annuale originaria dell’America del Sud che in Italia viene coltivata in tutte le regioni.

                                                                               

                                                                              Varietà di peperoncino

                                                                              La classificazione delle varie tipologie è complessa e difficile e tutte le varietà di peperoncino sono divise in due gruppi: specie domesticate (coltivate dall’uomo) e specie selvatiche (non coltivate, crescono spontanee in natura).

                                                                               

                                                                              Le specie più diffuse del gruppo “domesticate” sono cinque: Capsicuum annuum, Capsicum baccatum, Capsicum chinense, Capsicum frutescens, e Capsicum pubescens.

                                                                              Quella più diffusa in Europa è il Capsicum annuum.

                                                                               

                                                                              Proprietà nutrizionali del peperoncino

                                                                              tabella con i valori nutrizionali del peperoncino

                                                                              Peperoncino valori nutrizionali

                                                                              Il peperoncino è ricco di vitamine e sali minerali, ed è fondamentale soprattutto per il suo contenuto in vitamina C, che è in grado di favorire l’assorbimento del ferro non eme presente negli alimenti principalmente vegetali.

                                                                               

                                                                              La molecola responsabile del sapore piccante è la capsaicina, molecola che in base ad alcune evidenze scientifiche gioca un ruolo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari limitando l’azione degli enzimi coinvolti nella digestione dei grassi.

                                                                              È utile sapere che la capsaicina è una molecola liposolubile, ovvero è in grado di sciogliersi nei grassi, per questo al fine di spegnere la percezione di calore è meglio mangiare un pezzo di pane condito con olio extravergine di oliva invece che bere un bicchier d’acqua.

                                                                               

                                                                              Peperoncino benefici

                                                                              Come detto precedentemente, il peperoncino ha una buona quantità di vitamina C. Questa vitamina insieme alla A e alla E, contenute anch’esse nel peperoncino ma in quantità minore rispetto alla C, svolgono un ruolo antiossidante.

                                                                              Ci sono anche alcuni minerali a coadiuvare l’azione delle vitamine appena citate che sono il selenio, manganese e alcune molecole come i flavonoidi.

                                                                              Oltre ad essi, il peperoncino contiene anche il potassio, che è utile per regolare la pressione, il calcio, il fosforo e il magnesio, utili per il benessere delle ossa,  e le vitamine B e K che svolgono varie funzioni positive utili al corpo umano.

                                                                               

                                                                              Anche la capsaicina ha effetti benefici sull’organismo. Nello specifico gode di proprietà antidolorifiche, antibatteriche, antitumorali e antidiabetiche.

                                                                               

                                                                              La porzione di consumo standard consigliata di peperoncini freschi è 5 grammi.

                                                                               

                                                                              Il consumo di questa spezia può essere utile in caso di alterazioni del gusto.

                                                                               

                                                                              Peperoncino e possibili interazioni

                                                                              Il peperoncino potrebbe interferire con l’azione di alcuni farmaci quali: anticoagulanti e antiaggreganti, broncodilatatori (teofillina) e ACE inibitori.

                                                                               

                                                                              Produzione e Tecnologia del peperoncino

                                                                              Caratteri botanici della pianta del peperoncino

                                                                              La pianta del peperoncino ha le prime radici, quelle che nascono con la germinazione del seme, che sono fittonanti, cioè penetrano verticalmente nel terreno, ed hanno un breve periodo di crescita. Infatti la pianta emette successivamente radici avventizie laterali che si espandono in superficie.

                                                                               

                                                                              I fusti sono privi di peli, eretti e ramificati, che possono arrivare ad un’altezza di 100 cm; nel primo periodo di vita è erbaceo, successivamente tende a diventare legnoso.

                                                                              Le foglie sono disposte in posizione alterna sui rami, allungate, di forma cordata ovata o lanceolata, munite di un breve picciolo, di color verde lucente.

                                                                              I fiori ascellari hanno una corolla pentalobata (ovvero è costituita da 5 o 6 petali saldati tra loro nella parte basale), sono di colore bianco-giallastro e sono ermafroditi. Possono essere solitari o riuniti a due o tre al massimo.

                                                                               

                                                                              I frutti sono bacche, inizialmente di colore verde per poi diventare rosse a maturità, di forma diversa secondo la varietà.

                                                                              All’interno della bacca si trovano i semisostenuti dalla placenta, una massa di tessuti aderente al peduncolo. La placenta è la parte più ricca di capsaicina, la sostanza che dà al peperoncino il caratteristico sapore piccante.
                                                                              Placenta e semi costituiscono la parte di peperoncino detta comunemente “torsolo” che viene di solito scartata assieme al peduncolo quando si consumano i frutti.

                                                                               

                                                                              Coltivazione del peperoncino

                                                                              Il peperoncino è una delle piante più esigenti e sono quattro i fattori principali che influiscono sulla produttività della pianta: la temperatura e la luce, il terreno, l’irrigazione, la concimazione.

                                                                               

                                                                              La temperatura ottimale per la germinazione è compresa fra i 20 e i 30°C e le variazioni delle temperature determinano anche la forma dei frutti. Con l’abbassamento delle temperature infatti, i frutti tendono ad assumere forme allungate e ad accentuare la punta dell’apice, invece con temperature più alte tendono ad essere più tozzi.

                                                                               

                                                                              La scarsa luminosità riduce la fioritura, aumenta la cascola dei fiori e quindi fa diminuire la produttività.

                                                                               

                                                                              I terreni più adatti alla coltivazione sono quelli di medio impasto tendenti allo sciolto con buona dotazione di sostanza organica.

                                                                               

                                                                              La pianta del peperoncino richiede una giusta irrigazione; per quanto riguarda invece la concimazione la migliore è quella con letame.

                                                                               

                                                                              La tecnica di coltivazione della pianta di peperoncino prevede diversi passaggi, in cui i primi stadi di crescita sono lenti e condizionati dalla temperatura. La coltivazione professionale viene fatta in quattro fasi successive: 1) La semina nei semenzai; 2) La picchettatura; 3) L’indurimento; 4) La messa a dimora in campo, in serra, o, in vaso.

                                                                               

                                                                              Le piante di peperoncino producono a ciclo continuo; i frutti vengono raccolti quando sono maturi e vengono fatti essiccare in luogo ombroso e aerato. Possono essere conservati anche surgelati, sott’olio o sott’aceto.

                                                                               

                                                                              Stagionalità del peperoncino

                                                                              La pianta del peperoncino produce questa spezia in continuazione e questo è uno dei motivi che rende il peperoncino reperibile sul mercato tutto l’anno.

                                                                               

                                                                              Preparazione e Conservazione del peperoncino

                                                                              Potete tagliare il peperoncino a rondelle ed aggiungerlo a crudo a pasti a base di legumi e verdure, al fine di assorbire meglio le quantità di ferro non eme.

                                                                              Vi consigliamo inoltre di inserirlo all’interno dell’alimentazione quotidiana per dare sapidità alle ricette senza utilizzare il sale.

                                                                               

                                                                              Le proposte di ricetta di FBO con il peperoncino

                                                                                • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                • Ludy MJ, Moore GE e Mattes RD (2012) “The effects of capsaicin and capsiate on energy balance: critical review and meta-analyses of studies in human.”, Chemical senses, 2012 Feb;37(2):103-21.
                                                                                • Lv J et al. (2015) “Consumption of spicy foods and total and cause specific mortality: population based cohort study”, British Medical Journal, 2015 Aug 4;351:h3942.
                                                                                • Teucher B, Olivares M. e Cori H. (2004) “Enhancers of iron absorption: ascorbic acid and other organic acids. “, International Journal for Vitamin and Nutrition Research, 2004 Nov;74(6):403-19.
                                                                                • www.bda-ieo.it
                                                                                • www.humanitas.it
                                                                                • www.peperoncino.org

                                                                                Salmone

                                                                                 

                                                                                filetto di salmone atlantico

                                                                                Famiglia: Salmonidae

                                                                                Genere: Salmo

                                                                                Specie: Salmo salar

                                                                                 

                                                                                Il salmone atlantico

                                                                                Il salmone atlantico (Salmo salar) è un pesce d’acqua dolce e marina appartenente alla famiglia dei Salmonidae.

                                                                                È diffuso nei mari freddi del Nord (Norvegia, Svezia, Canada); lo si trova nell’Oceano Atlantico orientale, tra il golfo di Guascogna a sud ed il Circolo Polare Artico a nord, nell’Oceano Atlantico occidentale, nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero.

                                                                                 

                                                                                Il salmone dell’Atlantico è la specie più diffusa sul mercato ed una delle più allevate. L’allevamento di questo tipo di salmone risale al XIX secolo in Irlanda, per poi diffondersi dal 1960 in Norvegia.

                                                                                Successivamente, il rapido aumento della produzione ha portato alla saturazione del mercato alla fine degli anni ’90.

                                                                                Attualmente i principali paesi produttori sono il Regno Unito (Irlanda), Norvegia (736.168 tonnellate nel 2007), Cile e Canada.

                                                                                 

                                                                                In commercio si trova fresco, tagliato o affumicato, in tranci.

                                                                                 

                                                                                Differenza tra salmone dell’atlantico e salmone del pacifico

                                                                                Il salmone dell’Atlantico (Salmo salar) differisce dal salmone del Pacifico (Oncorhynchus spp.), che si trova in Alaska (nord-est del Pacifico) e in Russia (Pacifico nord-occidentale) e di cui ne esistono cinque specie: salmone rosa, salmone keta, salmone argentato, salmone reale e salmone rosso.

                                                                                 

                                                                                Proprietà nutrizionali del salmone atlantico

                                                                                tabella con i valori nutrizionali del salmone, del salmone in salamoia e del salmone affumicato
                                                                                Tabella con i valori nutrizionali del salmone, del salmone in salamoia e del salmone affumicato.

                                                                                Salmone valori nutrizionali

                                                                                Il salmone rappresenta un’ottima fonte di proteine ed è ricco in acidi grassi omega-3.

                                                                                 

                                                                                A livello di vitamine, quella più presente è la vitamina D, vitamina liposolubile che viene assorbita grazie ai grassi buoni contenuti nel salmone. Oltre alla vitamina D sono presenti anche la vitamina B6, B12, B3 e B1.

                                                                                Per quanto riguarda i minerali invece il fosforo è presente in discreta quantità.

                                                                                 

                                                                                Vi consigliamo di scegliere il salmone fresco e non nell’alternativa affumicato, in quanto quest’ultimo è ricco in sale e composti, anche se in piccole quantità, tossici.

                                                                                 

                                                                                Salmone benefici

                                                                                Il salmone apporta diversi benefici all’organismo grazie alle molecole che lo compongono.

                                                                                In esso infatti sono presenti gli omega 3 che sono acidi grassi essenziali che dobbiamo necessariamente assumere con l’alimentazione e fondamentali per la salute del nostro organismo, in particolare per il sistema cardiovascolare. Sono inoltre molto importanti per la corretta struttura cellulare e per il corretto sviluppo del sistema nervoso.

                                                                                 

                                                                                La vitamina D ha un importante ruolo nella mineralizzazione dello scheletro. Regola le concentrazioni di calcio e fosforo nel sangue controllandone l’assorbimento ed è implicata nella regolazione del sistema immunitario e nella differenziazione cellulare.

                                                                                 

                                                                                Il gruppo delle vitamine B agiscono positivamente sull’organismo e nello specifico: la vitamina B6 ha benefici sull’invecchiamento, la vitamina B12 è utilizzata per la produzione di globuli rossi e sulla formazione di midollo osseo, la vitamina B3 ha benefici su circolazione, sulla pelle e a livello digestivo e infine la vitamina B1 agisce a livello energetico.

                                                                                 

                                                                                Il fosforo infine agisce positivamente sulla salute di ossa e denti.

                                                                                 

                                                                                La porzione di consumo giornaliera consigliata è 150 grammi di pesce fresco.

                                                                                 

                                                                                In un piccolo trancio di salmone sono presenti 6 µg di vitamina B12, superando ampiamente la RDA (dose giornaliera raccomandata) di questa vitamina fissata a 2,4 µg per la popolazione adulta.

                                                                                Una porzione di salmone inoltre è in grado di superare il fabbisogno medio giornaliero di omega-3.

                                                                                 

                                                                                Il consumo di questo pesce è utile in caso di carenza di vitamina D.

                                                                                 

                                                                                Produzione e Tecnologia del salmone atlantico

                                                                                Caratteristiche del salmone

                                                                                Il salmone, come lo storione e le lamprede, è una specie anodroma, ovvero che vive per i primi due o tre anni di vita in acqua dolce, successivamente migra in mare, per poi far ritorno ai corsi d’acqua dolci per riprodursi.

                                                                                 

                                                                                Presenta una testa conica e un corpo allungato, fusiforme, con peduncolo caudale sottile; la sua alimentazione si basa sul consumo di enormi quantità di pesce (fino a 3 kg di pesce per un kg del proprio peso).

                                                                                 

                                                                                Pesca e allevamento del salmone

                                                                                Il salmone che troviamo sul mercato viene pescato (la stagione della pesca va da febbraio ad ottobre) oppure proviene dagli allevamenti, principalmente presenti in Norvegia, Cile e Scozia.

                                                                                Nell’allevamento vengono utilizzate gabbie aperte posizionate in mare o in acqua dolce contenti un’altissima concentrazione di salmoni.

                                                                                 

                                                                                La quasi totalità della riproduzione del salmone dell’Atlantico è condotta in cattività, estraendo le uova dalle femmine pronte a deporre e mescolandole allo sperma del maschio per essere fecondate.

                                                                                Successivamente vengono poste in una vasca d’incubazione; 4-6 settimane dopo la fecondazione dall’uovo uscirà l’avannotto.

                                                                                 

                                                                                L’allevamento degli avannotti si svolge in due tappe, che corrispondono agli stadi di sviluppo in acqua dolce del salmone.

                                                                                La prima tappa corrisponde allo stadio larvale, avviene in gabbiette e ha una durata che varia dalle 4 alle 6 settimane, ovvero fino a quando la larva non si è liberata del suo sacco vitellino e diventa un salmone giovane capace di nutrirsi.

                                                                                Nella seconda tappa il salmone giovane (smolt) viene trasferito in una vasca d’acqua dolce (o in una gabbia galleggiante in un lago), dove resta da uno a due anni, che rappresenta il lasso di tempo necessario per diventare un salmone avente le caratteristiche biologiche per poter vivere in acqua di mare e per raggiungere la sua dimensione commerciale (circa 2 kg).

                                                                                 

                                                                                Il commercio del salmone

                                                                                Il salmone viene commercializzato principalmente fresco, tagliato o affumicato, in tranci ma una parte crescente della produzione viene utilizzata anche per piatti preparati, surgelati o conservati.

                                                                                Attualmente, il salmone fa parte integrante di centinaia di preparazioni commercializzate nella grande distribuzione.

                                                                                 

                                                                                Stagionalità del salmone

                                                                                Il salmone è reperibile sul mercato tutto l’anno.

                                                                                 

                                                                                Preparazione e Conservazione del salmone

                                                                                Sarebbe meglio consumare il salmone dopo averlo cucinato. Il calore infatti annienta eventuali parassiti e sostanze tossiche presenti, come l’Anisakis.

                                                                                 

                                                                                Inoltre vi ricordiamo il Regolamento CE 853/2004 inerente la vendita e somministrazione di prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi che obbliga chi vende o somministra pesce fresco a congelarlo a -20°C per almeno 24 ore.

                                                                                 

                                                                                Una buona usanza, per le preparazioni a base di salmone, potrebbe essere quella di utilizzare come condimento gli agrumi, come arance e pompelmo, che sono perfetti per aromatizzare la ricetta senza dovere eccedere con il sale e consentono, inoltre, di risparmiare sui grassi in cottura.

                                                                                 

                                                                                Per completare il piatto dal punto di vista nutrizionale potete accostare al salmone una porzione di riso basmati integrale e delle verdure di stagione, fondamentali per aggiungere un buon apporto di fibra alla ricetta.

                                                                                Origano

                                                                                 

                                                                                origano fresco

                                                                                Famiglia: Lamiaceae

                                                                                Genere: Origanum

                                                                                Specie: Origanum vulgare

                                                                                 

                                                                                Cos’è l’origano

                                                                                L’origano è una pianta aromatica originaria dell’Europa, dell’Africa settentrionale e dell’Asia occidentale.

                                                                                Oggi viene coltivata in tutti i continenti; in Italia è presente in quasi tutte le regioni.

                                                                                 

                                                                                Il nome “origano” deriva del greco oros-ganos e significa “gioia della montagna”.

                                                                                 

                                                                                La pianta dell’origano viene spesso confusa con quella della maggiorana (Origanum majorana) in quanto l’aspetto è molto simile, anche se presentano aroma e sapore diverso.

                                                                                 

                                                                                In commercio si trova fresco o secco macinato.

                                                                                 

                                                                                Proprietà nutrizionali dell’origano

                                                                                tabella con i valori nutrizionali dell'origano fresco e dell'origano secco macinato
                                                                                Tabella con i valori nutrizionali dell’origano fresco e dell’origano secco macinato.

                                                                                Valori nutrizionali dell’origano fresco e dell’origano secco macinato

                                                                                Ricco di vitamine e sali minerali l’origano, soprattutto quello fresco, è parte integrante della tradizione italiana.

                                                                                Anche la sua variante secca mantiene tutti i micronutrienti e composti e può essere un’alternativa valida all’utilizzo del sale.

                                                                                L’origano è ricco di calcio, potassio, magnesio, ferro e ha un buon quantitativo di vitamina E.

                                                                                 

                                                                                Benefici dell’origano

                                                                                L’origano, grazie alle sue fibre, contrasta i fenomeni di stitichezza.

                                                                                Oltre a questa caratteristica, l’origano apporta numerosi benefici, infatti agisce regolando i livelli di lipidi e di zuccheri nel sangue e grazie alle molecole che lo compongono gode di proprietà antinfiammatorie e antiossidanti.

                                                                                Queste ultime due caratteristiche sono date soprattutto dal beta-cariofillene e dalla vitamina E rispettivamente.

                                                                                 

                                                                                A livello di micronutrienti, una molecola degna particolarmente di nota è la quercetina, che sembrerebbe proteggere cuore e di cui l’origano ne è una fonte essenziale. Oltre a ciò, recenti studi di nutrigenomica hanno studiato il rapporto tra il consumo di origano e DNA, mostrando un ruolo attivo di questa erba aromatica nell’attenuare l’espressione dei geni che determinano l’invecchiamento cellulare.

                                                                                 

                                                                                Altre molecole che hanno suscitato recente interesse, e che sono contenute nell’origano, sono i terpeni, il cui ruolo sarebbe quello di silenziare i geni che inducono lo sviluppo della cellula verso un fenotipo canceroso.

                                                                                 

                                                                                Il consumo di questa erba aromatica risulta utile in caso di alterazione del gusto e gonfiore sottocutaneo (o edema).

                                                                                 

                                                                                Interazioni dell’origano

                                                                                E’ sconsigliato il consumo dell’origano ai soggetti  allergici alla pianta, intolleranti ai silicilati e ai soggetti con problemi di gastrite o ulcera.

                                                                                 

                                                                                Produzione e Tecnologia dell’origano

                                                                                Caratteri botanici della pianta di origano

                                                                                L’origano è una pianta erbacea perenne, cespugliosa, che può raggiungere gli 80 cm di altezza, che cresce spontanea in luoghi aridi e assolati dal piano fino ai 1.300 metri s.l.m.

                                                                                 

                                                                                La radice è rizomatosa e le foglie sono di colore verde scuro, opposte, ovato-lanceolate, speziate.

                                                                                In relazione alla varietà o alle condizioni pedoclimatiche (suolo e clima) di sviluppo, le foglie possono differire tra loro in grandezza, forma, spessore.

                                                                                 

                                                                                I fiori, bisessuati o femminili, rosei o violacei, sono riuniti in glomeruli che formano delle infiorescenze corimbose, ovvero nella quale i fiori, pur avendo differenti punti di inserzione, terminano tutti alla stessa altezza.

                                                                                La fioritura avviene da luglio a ottobre, mesi ideali anche per raccogliere i rami da essiccare.

                                                                                 

                                                                                Il frutto è un tetrachenio, ovvero è composto da 4 acheni raggruppati, di forma ovoidale, liscio e di colore bruno.

                                                                                 

                                                                                Coltivazione dell’origano

                                                                                L’origano può essere propagato per semina (da effettuare in primavera), per talea o per divisione delle piante accestite (in primavera o dopo la fioritura).

                                                                                 

                                                                                La moltiplicazione per semi avviene seminando in vaso o in semenzaio l’origano mantenendo il terriccio costantemente umido fino al momento della germinazione.

                                                                                Il vaso deve essere posizionato all’ombra ad una temperatura tra i 10-13°C e coperto con un foglio di plastica trasparente o lastra di vetro per garantire il corretto grado di umidità del terreno.

                                                                                Dopo un paio di settimane, quando i semi hanno germogliato, il vaso può essere posizionato in un luogo più luminoso, evitando però la luce diretta del sole.

                                                                                 

                                                                                La moltiplicazione per talea si effettua a giugno utilizzando talee lunghe 8-10 cm che vengono piantate in un miscuglio di torba e sabbia mantenendole ad una temperatura di 10°C fino al momento della radicazione.

                                                                                Non appena hanno radicato possono essere trapiantate.

                                                                                 

                                                                                La moltiplicazione per divisione della pianta si effettua in marzo o in ottobre e prevede che giovani piantine vengano tenute in un luogo fresco fino a quando non hanno attecchito.

                                                                                Vengono poi trapiantate nel luogo scelto in tarda primavera o all’inizio dell’estate.

                                                                                 

                                                                                Produzione dell’origano fresco e dell’origano secco macinato

                                                                                Le foglie e le estremità fiorite vengono raccolte all’inizio della fioritura.

                                                                                 

                                                                                I rametti con i fiori vengono essiccati appena raccolti e posizionati in un luogo ombroso e ventilato; una volta essiccati le foglie e i fiori vengono sbriciolati e conservati in vasetti.

                                                                                A seguito dell’essiccazione l’aroma dell’origano risulta più forte e concentrato.

                                                                                 

                                                                                Stagionalità dell’origano

                                                                                Una volta essiccato l’origano è reperibile in commercio tutto l’anno.

                                                                                 

                                                                                Preparazione e Conservazione dell’origano fresco e secco

                                                                                Come tutte le erbe aromatiche, l’utilizzo dell’origano in cucina è un’ottima alternativa al sale per dare sapore a piatti cotti o crudi, come ad esempio insalate, legumi, pesce.

                                                                                Le evidenze scientifiche infatti sottolineano una correlazione tra il consumo eccessivo di sale e lo sviluppo di malattie croniche, come le malattie cardiovascolari e il tumore allo stomaco.

                                                                                 

                                                                                Vi consigliamo di essiccare l’origano fresco dopo settembre, per esempio preparando dei vasetti con le foglioline precedentemente lasciate ad essiccare.

                                                                                 

                                                                                Una volta raccolto o acquistato, si eliminano eventuali erbacce o impurità. Vi consigliamo di raggrupparlo in mazzetti e porlo all’interno di sacchetti di carta con dei piccoli fori per facilitarne l’aerazione. Questo procedimento ne preserva il colore e l’origano non viene intaccato dalla polvere.

                                                                                È importante riporre i sacchetti in un luogo ventilato e asciutto e possibilmente al buio.

                                                                                Dopo circa 15-20 giorni l’origano sarà completamente asciutto; a questo punto si dovrà sbriciolare eliminando i rami e in seguito setacciarlo con uno scolapasta. Si può velocizzare il lavoro di quest’ultimo passaggio mettendo l’origano in un mixer e frullare per pochi secondi. Dopodiché si conserva all’interno di barattoli di vetro e si ripone in dispensa.

                                                                                 

                                                                                Infine, vi suggeriamo di provarlo su una bruschetta di pomodoro, la maniera più classica e gustosa per assaporarne interamente il gusto.

                                                                                  • Anderson CA et al. (2015) “Effects of a behavioral intervention that emphasizes spices and herbs on adherence to recommended sodium intake: results of the SPICE randomized clinical trial”, The American Journal of Clinical Nutrition;102(3):671-9.
                                                                                  • www.agraria.org
                                                                                  • www.bda-ieo.it
                                                                                  • www.humanitas.it

                                                                                  Sgombro

                                                                                   

                                                                                  sgombro

                                                                                  Famiglia: Scombridae

                                                                                  Genere: Scomber

                                                                                  Specie: Scomber scombrus

                                                                                   

                                                                                  Cos’è lo sgombro

                                                                                  Lo sgombro, conosciuto anche come maccarello, scombro, agerto o lacerto a seconda delle zone d’Italia, è un pesce azzurro appartenente alla famiglia degli Scombridi.

                                                                                   

                                                                                  Presenta un corpo fusiforme ed appuntito che raggiunge i 25-50 cm di lunghezza, una bocca ampia e piccoli denti aguzzi.

                                                                                   

                                                                                  Lo sgombro è un pesce pelagico e gregario (forma banchi di diverse centinaia di individui) ed è diffuso nel Mar Mediterraneo nei bacini occidentale e centrale, nell’Oceano Atlantico settentrionale, nel Mare del Nord e nel Mar Nero.

                                                                                  Nel periodo della riproduzione tende ad abbandonare le acque profonde per avvicinarsi alle coste e risalire quasi in superficie.

                                                                                   

                                                                                  In commercio lo sgombro si trova fresco, surgelato, affumicato, inscatolato o sott’olio.

                                                                                   

                                                                                  Proprietà nutrizionali dello sgombro in salamoia e dello sgombro sott’olio

                                                                                  tabella con i valori nutrizionali dello sgombro in salamoia e dello sgombro sott'olio
                                                                                  Tabella con i valori nutrizionali dello sgombro in salamoia e dello sgombro sott’olio.

                                                                                  Sgombro valori nutrizionali

                                                                                  Lo sgombro appartiene alla famiglia del pesce azzurro ed è noto per il suo contenuto in acidi grassi polinsaturi omega-3, in maggiore quantità si trovano quelli a lunga catena, EPA e DHA.

                                                                                   

                                                                                  A livello di proteine, lo sgombro presenta un quantitativo proteico ad alto valore biologico, presentando tutti gli aminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni.

                                                                                   

                                                                                  Tra le vitamine spiccano quelle del gruppo B e le liposolubili A e D, buono è anche il contenuto dello sgombro di calcio, così come in tutto il pesce azzurro.

                                                                                   

                                                                                  Sgombro benefici

                                                                                  L’EPA (Acido eicosapentaenoico) e il DHA (Acido docosaesaenoico) contenuti nello sgombro sono grassi buoni ed essenziali, fondamentali per la salute vascolare. Gli omega-3 sono inoltre necessari anche per una corretta struttura cellulare e per il corretto sviluppo del sistema nervoso, inoltre quelli contenuti nelle fonti animali sono già biologicamente attivi.

                                                                                   

                                                                                  Lo sgombro ha un buon contenuto di calcio utile a favorire la salute di ossa e denti e per prevenire l’osteoporosi.

                                                                                   

                                                                                  La porzione di consumo standard consigliata è 150 grammi di sgombro che corrisponde circa a un pesce piccolo o un filetto medio.

                                                                                   

                                                                                  Il consumo di questo pesce potrebbe essere utile in caso di carenza di vitamina B12.

                                                                                   

                                                                                  Uno sgombro infatti contiene 10,5 µg di vitamina B12superando così quasi la dose giornaliera raccomandata di questa vitamina fissata a 2,4 µg per la popolazione adulta.

                                                                                  Non solo, un piccolo sgombro è in grado anche di superare il fabbisogno medio giornaliero di omega-3, sempre facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                   

                                                                                  Sgombro e istamina

                                                                                  Il nome dello sgombro può essere associato alla così chiamata “sindrome sgombroide”, ovvero un’intossicazione alimentare da istamina.

                                                                                  In Italia tuttavia i casi sono molto rari, ma generalmente può essere dovuta ad una non corretta conservazione nella fase di stoccaggio del pescato o anche allo scarso rispetto delle norme igieniche nelle fasi di trasformazione e conservazione.

                                                                                   

                                                                                  Produzione e Tecnologia dello sgombro

                                                                                  Caratteristiche dello sgombro

                                                                                  Lo sgombro è un pesce molto diffuso e presenta un corpo fusiforme che può raggiungere una lunghezza massima di 50 centimetri, interamente coperto da piccole scaglie, occhi muniti di una palpebra adiposa anteriore e di una posteriore e denti piccoli.

                                                                                  Ha due pinne dorsali, piuttosto piccole e molto distanziate fra loro; dietro la seconda pinna dorsale e la pinna anale sono presenti alcune pinnule. La pinna caudale è nettamente incisa in due lobi molto sottili.

                                                                                  Il corpo aerodinamico e la testa appuntita gli conferiscono rapidità nel nuoto (fino a 10 km / h).

                                                                                   

                                                                                  La colorazione è verde-bluastra brillante dorsalmente, bianco-argentea giallastra sui fianchi per sfumare poi in un bianco argenteo sul ventre; il dorso è inoltre percorso da una serie di strisce scure verticali con andamento piuttosto irregolare.

                                                                                  La sua carne si presenta bianca, morbida e grassa, da un sapore deciso e molto apprezzato.

                                                                                   

                                                                                  Habitat dello sgombro

                                                                                  Lo sgombro ha un periodo demersale, ovvero vive al largo vicino al fondale, senza essere bentonico (specie che passa tutto o gran parte del tempo sul fondale) da ottobre a febbraio e un periodo pelagico, ovvero nell’acqua aperta stando poco sul fondale, da febbraio a ottobre.

                                                                                  Durante il periodo pelagico, i pesci si concentrano in zone ricche di cibo avvicinandosi alla costa; tale periodo corrisponde alla stagione riproduttiva, che va da aprile a luglio. La sua distribuzione batimetrica è ampia in quanto si trova tra 0 e 250 m.

                                                                                   

                                                                                  Ciclo di vita dello sgombro

                                                                                  Allo stato larvale lo sgombro si nutre principalmente di zooplancton (i copepodi rappresentano il 70% della sua dieta); invece l’adulto nella stagione riproduttiva di crostacei pelagici.

                                                                                  Può ingerire anche piccoli pesci, anche pelagici come sardine, spratti, acciughe, aringhe, uova e larve di pesci, gamberi, vermi e molluschi gasteropodi e meduse (tra le quali Aglantha digitale).

                                                                                   

                                                                                  La stagione riproduttiva dipende dalla temperatura dell’acqua e quindi dalla zona frequentata dagli individui e coincide con i mesi primaverili ed estivi.

                                                                                  La deposizione delle uova avviene a una temperatura di 12-13°C e ad una profondità di 80-120 metri; tali uova sono gialle di forma sferica (1,2-1,4 mm di diametro), fluttuanti e si schiudono dopo 6-7 giorni. Le larve, alla lunghezza di 6 mm, assorbono il sacco vitellino e possiedono mandibola già munita di denti.

                                                                                  Dopo un anno lo sgombro misura circa 25 cm e pesa circa 100 g. Il suo tasso di crescita poi diminuisce poiché raggiunge la maturità sessuale intorno ai 3 anni, quando misura circa 30 cm.

                                                                                   

                                                                                  La stagione di pesca va dalla primavera all’autunno e la tecnica maggiormente utilizzata consiste nell’utilizzo di un’imbarcazione per raggiungere il mare aperto.

                                                                                   

                                                                                  Stagionalità dello sgombro

                                                                                  Lo sgombro è costantemente presente sui nostri mercati e rappresenta una specie di rilevante importanza per l’industria della pesca ed in parte per quella conserviera.

                                                                                   

                                                                                  Preparazione e Conservazione dello sgombro

                                                                                  Gli omega-3  rimangono anche nello sgombro sott’olio a differenza di quello che accade per il tonno. Il consiglio è comunque di non utilizzarlo più di una vota a settimana nella versione in scatola al naturale o in olio extravergine di oliva perché conservato con aggiunta del sale.

                                                                                  Mentre vi ricordiamo che quando si consuma il pesce, non si dovrebbe aggiungere sale viste le quote già presenti di sodio.

                                                                                   

                                                                                  Quello che invece danneggia gli omega-3 è la cottura in misura tanto maggiore quanto più è prolungata o ad alte temperature. Per questo, il modo migliore di preservarli quando si consumano attraverso il pesce, è preferire cotture rapide e delicate, oppure consumare il pesce crudo dopo abbattimento termico mediante congelamento di 96 ore nel freezer a -18°C.

                                                                                   

                                                                                  Lo sgombro è ottimo da utilizzare in molte ricette mediterranee, appartenenti soprattutto alla cucina regionale del Sud Italia. Si presta per la creazione di primi piatti o secondi piatti gustosi, oppure per creare delle fresche insalate estive, soprattutto con i filetti di sgombro sott’olio.

                                                                                  Pulirlo è molto semplice, è un pesce che non ha squame quindi è necessario solo privarlo delle viscere e delle pinne. Prestate attenzione agli occhi, se lo acquistate fresco, che devono mostrarsi lucidi e non opachi.

                                                                                   

                                                                                  Le proposte di ricetta di FBO con lo sgombro

                                                                                  clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                    • Bastías JM et al. (2017) “Determining the effect of different cooking methods on the nutritional composition of salmon (Salmo salar) and chilean jack mackerel (Trachurus murphyi) fillets”, PLoS One; 12(7):e0180993.
                                                                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                    • www.agraria.org
                                                                                    • www.bda-ieo.it
                                                                                    • www.humanitas.it
                                                                                    • www.ismea.it
                                                                                    • www.repertorioittico.it

                                                                                    Biete o bietole

                                                                                     

                                                                                    biete o bietole

                                                                                    Famiglia: Chenopodiaceae

                                                                                    Genere: Beta

                                                                                    Specie: Beta vulgaris L. var. cycla (L.)

                                                                                     

                                                                                    Storia delle biete o bietole

                                                                                    Le biete o bietole (Beta vulgaris) sono un ortaggio da foglia, la cui pianta è originaria del bacino del Mediterraneo.

                                                                                     

                                                                                    Ne esistono diverse cultivar distinte in base alla colorazione e bollosità delle foglie, grandezza e colore delle coste, adattamento alla coltura da taglio.

                                                                                    Nelle varietà da taglio il picciolo fogliare è meno sviluppato e di colore verde.

                                                                                     

                                                                                    Tipi di biete o bietole

                                                                                    Le varietà più diffuse sono la bieta a foglie larghe (o bieta erbetta), dalle dimensioni contenute e con foglie piuttosto sottili, e la bieta a coste, che presenta foglie grandi e larghe dal colore verde intenso con una nervatura centrale importante, da cui deriva il nome.

                                                                                     

                                                                                    La varietà più nota tra le biete a costa è quella a coste bianche, anche se esistono varietà con coste rosse o argentee.

                                                                                    Della bieta a coste vengono utilizzati il lembo fogliare e i piccioli molto sviluppati (le coste) e viene coltivata in tutte le regioni italiane, specialmente nel Lazio, Liguria, Toscana e Puglia.

                                                                                     

                                                                                    Proprietà nutrizionali delle biete

                                                                                    tabella con i valori nutrizionali delle biete o bietole

                                                                                    Valori nutrizionali delle bietole

                                                                                    Le biete presentano un elevato contenuto in acqua, superiore al 90% e sono ricche in fibra.

                                                                                     

                                                                                    La bietola è anche ricca di minerali come il calcio che è utile per la salute delle ossa e dei denti, di potassio che dona all’ortaggio proprietà diuretiche e un basso contenuto di sodio.

                                                                                    Tra le vitamine è utile evidenziare la presenza della vitamina K che favorisce la salute del sistema nervoso centrale.

                                                                                    A livello di micronutrienti sono anche molto ricche in ferro e vitamina C.

                                                                                     

                                                                                    A livello molecolare sono presenti composti come luteina, zeaxatina, quercetine che hanno potere antiossidante.

                                                                                     

                                                                                    Benefici delle bietole

                                                                                    Sono molto importanti, ai fini di una corretta nutrizione, per la loro concentrazione in folati, vitamine che hanno un ruolo fondamentale nella crescita e nella riproduzione delle cellule, in particolare dei globuli rossi e per la formazione del sistema nervoso centrale nell’embrione e nel feto.

                                                                                    Sono anche coinvolte nella sintesi del DNA e nel metabolismo degli aminoacidi.

                                                                                     

                                                                                    Studi recenti dimostrano un loro ruolo nella prevenzione del tumore al seno e del pancreas.

                                                                                     

                                                                                    La porzione giornaliera di verdura consigliata per godere dei benefici citati è di 200 gr, che corrisponde a circa mezzo piatto di bietole.

                                                                                     

                                                                                    Una porzione di biete contiene 248 µg di folati (o vitamina B9), ricoprendo così più di metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina, facendo riferimento alla popolazione adulta, che è di 400 µg.

                                                                                     

                                                                                    Interazioni delle bietole

                                                                                    I soggetti che assumono ACE inibitori e diuretici che aumentano i livelli di potassio nell’organismo dovrebbero evitare un consumo eccessivo di verdure a foglia verde, per via del contenuto di potassio presente in questi ortaggi.

                                                                                     

                                                                                    Produzione e Tecnologia delle biete o bietole

                                                                                    Caratteri botanici delle biete

                                                                                    La bietola da coste è una pianta erbacea biennale (annuale in coltura).

                                                                                     

                                                                                    Le foglie basali sono riunite a rosetta ed hanno un lembo spatolato o lanceolato, liscio o bolloso, sorretto da un picciolo carnoso ed appiattito (costa) di color bianco argento, verde, rosato o rosso.

                                                                                    I fiori sono piccoli, verdastri e sessili riuniti in glomeruli di 3-5 spighe fogliacee, a loro volta riunite in pannocchie.

                                                                                    L’impollinazione è anemofile e la fecondazione spesso incrociata, agevolata anche dalla proterandria. La fioritura avviene in primavera-estate e la raccolta del seme in luglio-agosto.

                                                                                     

                                                                                    Il frutto è un glomerulo legnoso grinzoso indeiscente, da marrone chiaro a scuro, contenente 3-5 semi; la durata della germinabilità è 4-5 anni.

                                                                                     

                                                                                    Coltivazione delle biete

                                                                                    Ha basse esigenze termiche, tollera temperature di -2, -3°C, e si adatta a tutti i tipi di terreno; presenta però elevate esigenze idriche.

                                                                                    Durante la coltivazione a ciclo lungo (autunno-inverno) è necessario intervenire ripetutamente con azoto.

                                                                                     

                                                                                    Può essere coltivata in primavera come sarchiata da rinnovo o nel periodo autunno-vernino come intercalare; è sconsigliato coltivarla in successione a spinacio, barbabietola e mais.

                                                                                     

                                                                                    L’impianto può essere mediante semina o trapianto. Con la semina meccanica si effettua una distribuzione a file ottenendo una densità di 15-25 piante a metro quadrato; nel caso di bietola da taglio la densità risulta molto più elevata.

                                                                                     

                                                                                    Produzione delle biete

                                                                                    La bietola da coste viene raccolta mediante sfogliatura successiva o taglio dell’intera pianta.

                                                                                    La bietola da taglio invece mediante sfalciatura, quando le foglie hanno raggiunto un’altezza di 15-20 cm; il numero di tagli varia con il periodo di coltura.

                                                                                     

                                                                                    Della bietola da coste il primo anno si consumano le foglie, il secondo anno è possibile utilizzare anche le sue radici per l’estrazione dello zucchero.

                                                                                     

                                                                                    Stagionalità delle biete o bietole

                                                                                    La bietola da coste si può trovare sul mercato durante tutto l’anno, ma viene consumata soprattutto nel corso della stagione invernale.

                                                                                     

                                                                                    Preparazione e Conservazione delle biete o bietole

                                                                                    Un limite della bieta è che va consumata freschissima, per cui o si ha la certezza di averla colta in giornata o è bene preferire quella surgelata, perché il processo di surgelazione permette di preservare le proprietà nutrizionali del prodotto.

                                                                                     

                                                                                    Dimenticarsela solo per qualche giorno in frigo fa sì che la vitamina C, l’acido folico e il ferro divengano scarsamente assorbibili.

                                                                                     

                                                                                    I folati, di cui abbiamo parlato poco fa, sono sensibili al calore e si disperdono in acqua, sarà quindi opportuno cuocere le biete rapidamente e in poca acqua.

                                                                                    Prediligere per questo la cottura al vapore o leggermente appassita in padella con pochissima acqua.

                                                                                     

                                                                                    Questa verdura a foglia si presta anche ottima per preparazioni ripiene al forno.

                                                                                      • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                      • Chen P et al. (2014) “Higher dietary folate intake reduces the breast cancer risk: a systematic review and meta-analysis”, The British Journal of Cancer;110(9):2327-38.
                                                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                      • Wang R et al. (2014) “Folate intake, serum folate levels, and prostate cancer risk: a meta-analysis of prospective studies”, BMC Public Health;14:1326.
                                                                                      • www.agraria.org
                                                                                      • www.bda-ieo.it
                                                                                      • www.humanitas.it

                                                                                      Funghi

                                                                                       

                                                                                      varietà di funghi

                                                                                      Classe: Basidiomycetes e Ascomycetes

                                                                                       

                                                                                      Cosa sono i funghi

                                                                                      I funghi o miceti sono un gruppo eterogeneo di organismi appartenenti alle classi Basidiomycetes e Ascomycetes.

                                                                                      Dal termine latino fungus e da quello greco mykés derivano rispettivamente i nomi fungo (o micete) e micologia (la scienza che si occupa dello studio dei funghi).

                                                                                       

                                                                                      Varietà di funghi

                                                                                      Esistono numerose varietà di funghi, presenti anche in Italia, che possono essere sia spontanee che da coltivazione; tra le più note ricordiamo: il cardoncello, lo champignon, il chiodino, il gallinaccio e il porcino.

                                                                                       

                                                                                      Il cardoncello (Pleurotus eryngii (De Cand.: Fr.) Quélet)

                                                                                      appartiene alla classe dei Basidiomiceti e presenta un cappello carnoso, convesso, con colore variabile dal biancastro al marrone nocciola.

                                                                                      Le lamelle sono biancastre, larghe, decorrenti sul gambo, il gambo liscio, più sottile alla base di colore giallo biancastro; la carne è biancastra, priva di odore e sapore particolari.

                                                                                      Viene coltivato specialmente nel sud-Italia in tunnel anche riscaldati.

                                                                                       

                                                                                      Lo champignon (Agaricus hortensis)

                                                                                      conosciuto anche come Prataiolo da coltivazione, appartiene alla classe dei Basidiomiceti.

                                                                                      Presenta un cappello convesso, carnoso, con cuticola dal bianco a bruno chiaro più scura al contatto. Le lamelle sono fitte, prima bianche poi rossastre-brune, il gambo corto e sodo, bianco e liscio con anello bianco e membranoso.

                                                                                      La carne è soda e bianca, al taglio rosea, con buon odore e sapore.

                                                                                      Viene coltivato da molto tempo ma si trova anche libero nei luoghi ricchi di sterco (di cavallo), nei prati e ai margini dei boschi.

                                                                                       

                                                                                      Il chiodino (Armillariella mellea (Vahl: Fr.) Singer)

                                                                                      appartiene ai Basidiomiceti e presenta un cappello abbastanza carnoso, prima emisferico o conico-ottuso, poi convesso e più o meno aperto, quasi sempre leggermente umbonato.

                                                                                      Il colore è variabilissimo ed è influenzato dalla pianta ospite: dal giallo-miele al marrone-cupo, al grigio-verdastro o bruno-rossastro.

                                                                                      Le lamelle non sono molto fitte, ineguali, prolungate per un dente sul gambo, biancastre, giallastre o brunastre, alla fine macchiate di rosso scuro.

                                                                                      Il gambo è dapprima cilindrico o ingrossato alla base, tenace, fibroso, farcito, successivamente cavo, pallido in alto, brunastro al centro, bruno-olivastro in basso, leggermente fioccoso.

                                                                                      Presenta un anello molto evidente e persistente, grosso, superiormente striato e inferiormente fioccoso, dal colore tipicamente bianco.

                                                                                      La carne è bianca o pallida, soda, tenace nel gambo; l’odore fungino è appena percettibile, il sapore è amarognolo.

                                                                                      È una specie molto comune e conosciuta e cresce in famiglie in autunno sui tronchi degli alberi di diverse latifoglie e conifere. Il suo micelio è molto nocivo alle piante di cui è considerato un parassita.

                                                                                      In cucina conviene utilizzare solo il cappello perché da adulto il gambo è troppo fibroso, inoltre quando viene cotto il fungo assume una colorazione scura e, durante il processo di cottura, secerne un liquido viscoso che può risultare leggermente tossico: pertanto si consiglia una pre-bollitura.

                                                                                       

                                                                                      Il gallinaccio (Cantharellus cibarius Fr.)

                                                                                      appartiene alla classe dei Basidiomiceti e presenta un cappello carnoso, grosso, sodo, aperto, più o meno depresso al centro, liscio, opaco con colore variante dal giallo arancio, raramente bianco.

                                                                                      Le lamelle sono pliciformi, molto decorrenti; il gambo è pieno, sodo, nudo, generalmente attenuato dall’alto in basso, anche cilindrico o irregolare, e presenta lo stesso colore del cappello.

                                                                                      La carne si presenta bianca o leggermente giallastra sotto la superficie e rimane soda a lungo senza alterarsi; ha un odore caratteristico e un sapore dolciastro.

                                                                                      È una specie molto diffusa, facilmente riconoscibile, che si trova dalla primavera all’autunno.

                                                                                      Ne esistono diverse varietà con colorazioni diverse, dal chiaro quasi bianco all’arancio vivo.

                                                                                       

                                                                                      Il porcino (Boletus edulis Bull.: Fr.)

                                                                                      noto anche come Brisa – Rigorsella, appartiene alla classe dei Basidiomiceti.

                                                                                      Presenta un cappello carnoso e sodo, depresso e rialzato leggermente a coppa, un colore bruno chiaro che a volte può essere anche bruno scuro, più chiaro al margine, e una superficie umida, viscosa, non vellutata, rugolosa.

                                                                                      Il gambo è grosso, pieno e sodo, che diviene progressivamente cilindrico pallido poi brunastro chiaro, con la superficie ornata da vene più chiare. La carne si presenta bianca, immutabile, con leggera colorazione nocciola, soda; l’odore è quello tipico fungino.

                                                                                      Il porcino si trova nei boschi di latifoglie e abeti a fine estate-autunno.

                                                                                       

                                                                                      In commercio i funghi si trovano sia freschi che secchi, da consumare previo ammollo, e sott’olio.

                                                                                       

                                                                                      Proprietà nutrizionali dei funghi

                                                                                      tabella con i valori nutrizionali dei funghi

                                                                                      Valore nutrizionale dei funghi

                                                                                      I funghi, seppur non appartengano al regno vegetale, sono molto simili alle verdure in quanto contengono un elevato contenuto di acqua e fibre ed una discreta quantità di proteine, carboidrati e lipidi.

                                                                                      Nei funghi secchi, invece, troviamo una concentrazione di macro e micro nutrienti, in particolare di carboidrati, proteine, ferro e niacina, ovvero una vitamina del gruppo B coinvolta nel metabolismo dei grassi.

                                                                                       

                                                                                      Tra le vitamine quella sicuramente più degna di nota è la vitamina D, ben presente in determinate specie come nei chiodini, ma sicuramente i funghi sono anche una buona fonte di folati, fondamentali in gravidanza per un corretto sviluppo neurologico del feto.

                                                                                       

                                                                                      Tra le molecole invece troviamo alcuni polisaccaridi che, in base a recenti studi su cellule e modelli animali, sembrerebbero avere proprietà antitumorali ed anti-ipertensive e sarebbero in grado di migliorare il quadro lipidico e il funzionamento del sistema immunitario, ma sono necessari ulteriori studi per confermare il tutto.

                                                                                       

                                                                                      Infine vi ricordiamo che grazie al contenuto in acido glutammico dei funghi, un aminoacido il cui sale sodico viene utilizzato come additivo per aromatizzare le preparazioni, è possibile aumentare la sapidità delle ricette senza aggiungere sale.

                                                                                       

                                                                                      Benefici dei funghi

                                                                                      I minerali contenuti nei funghi hanno una funzione antiossidante come il manganese e il selenio, aiutano il benessere cardiovascolare e pressorio come il potassio e altri minerali, calcio e fosforo, favoriscono il benessere di ossa e denti.

                                                                                      Inoltre l’acido oleico è il precursore di molecole coinvolte in processi infiammatori, dell’immunità, pressori e di aggregazione piastrinica.

                                                                                       

                                                                                      Nei funghi troviamo anche la fibra che aiuta a promuovere la salute intestinale.

                                                                                       

                                                                                      La porzione standard, riferita al prodotto fresco, è di 200 grammi, che corrisponde circa a mezzo piatto di funghi.

                                                                                      Se si tratta di funghi secchi la porzione standard scende a 50 grammi, che corrispondono circa a 3/4 cucchiai.

                                                                                       

                                                                                      Il loro consumo potrebbe essere utile in caso di carenza di vitamina D.

                                                                                       

                                                                                      Interazioni dei funghi

                                                                                      Nei funghi è presente una molecola chiamata micosina che può portare al rallentamento dei processi digestivi

                                                                                       

                                                                                      Produzione e Tecnologia dei funghi

                                                                                      Caratteristiche dei funghi

                                                                                      I funghi sono organismi dotati di nucleo, privi di clorofilla, dotate di strutture somatiche normalmente filamentose, dette ife, che sono circondate da pareti cellulari contenenti cellulosa o chitina o entrambe.

                                                                                       

                                                                                      Si originano da spore e si riproducono generalmente sia in maniera sessuata che asessuata.

                                                                                      Quando le condizioni ambientali e nutrizionali sono favorevoli, dal micelio si forma il corpo fruttifero, il fungo, dal quale verranno prodotte le spore.

                                                                                       

                                                                                      Coltivazione dei funghi

                                                                                      I funghi possono essere sia spontanei che da coltivazione.

                                                                                      In particolare, per la coltivazione della varietà cardoncello, vengono interrati dei pani in serre aperte solitamente tra settembre e aprile, anche se tale periodo può oscillare in relazione all’andamento stagionale ed alle zone di coltivazione.

                                                                                       

                                                                                      L’area coltivata per la produzione di funghi deve essere opportunamente protetta dal sole utilizzando una rete ombreggiante al 70-90% sorretta da normali archi tunnel.

                                                                                      Per proteggere dal vento, specie in primavera, e dalle piogge, in autunno, si possono disporre sopra e attorno alla serra delle stuoie o dei fogli di polietilene.

                                                                                      Nell’area protetta dal tunnel sono ricavati più letti di coltivazione, larghi un metro e distanziati tra lori da un corridoio di passaggio, al cui interno vengono sistemate le confezioni di substrato incubato (ovvero una miscela di paglia e sottoprodotti dell’agricoltura che viene trinciata, sterilizzata e successivamente inoculata con spore) e ricoperto con uno strato di terriccio disposto in modo uniforme.

                                                                                      All’interno del tunnel deve essere montato un piccolo impianto di irrigazione aerea per tenere l’area costantemente inumidita.

                                                                                       

                                                                                      Dopo pochi giorni dall’interramento del substrato iniziano ad apparire i primi carpofori, che raggiungeranno la maturazione dopo circa 25 giorni dalla posa a dimora del substrato stesso.

                                                                                      Dopo circa una settimana dal primo raccolto si ha la seconda fuoriuscita di funghi, che va raccolta a maturazione: la coltivazione a condizioni climatiche favorevoli si esaurisce in circa 60-70 giorni e permette di eseguire 2-3 raccolti.

                                                                                       

                                                                                      Le condizioni ideali per una buona riuscita della coltivazione sono temperatura non superiore ai 20°C, umidità dell’aria elevata e calma di vento.

                                                                                       

                                                                                      Quando la coltivazione si esaurisce il substrato va rimosso dalle aiuole di coltivazione e si può procedere ad un secondo interramento, dopo un’accurata pulizia delle aree stesse.

                                                                                       

                                                                                      Dal punto di vista della commercializzazione risulta molto importante la programmazione delle semine in modo tale da garantire la continuità produttiva in quanto il mercato richiede elevate quantità distribuite durante tutto il periodo di produzione.

                                                                                       

                                                                                      Stagionalità dei funghi

                                                                                      I funghi sono reperibili sul mercato tutto l’anno, anche grazie alle numerose varietà disponibili.

                                                                                       

                                                                                      Preparazione e Conservazione dei funghi

                                                                                      I funghi freschi non andrebbero conservati per più di una settimana.

                                                                                      Vi consigliamo di conservarli interi e non lavati in un sacchetto di carta riponendolo nella parte bassa del frigorifero ma non nel cassetto per le verdure perché è una zona molto umida e rischierebbero di bagnarsi o di assorbire troppa acqua.

                                                                                       

                                                                                      Nel caso voleste invece conservare i vostri funghi freschi per un periodo più lungo, il consiglio è di congelarli.

                                                                                      Sarebbe opportuno lavarli prima con un panno umido rimuovendo le impurità e cucinarli nel modo desiderato, solo al quel punto potrete congelarli. È sconsigliabile congelare i funghi da crudi con tecniche casalinghe. Perderebbero le loro proprietà e il loro sapore.

                                                                                       

                                                                                      Un’ottima alternativa è essiccare i funghi freschi con un pratico essiccatore domestico. Se ne trovano molti in commercio, di varie misure e di vari prezzi.

                                                                                       

                                                                                      Un’altra alternativa è preparare i funghi sott’olio pulendo bene i funghi con un panno umido o passandoli sotto l’acqua corrente, eliminando ogni residuo di terra e tagliando i gambi.

                                                                                      Cuocete i funghi in una soluzione di acqua, aceto e sale, scolateli, conditeli e sistemateli in vasetti sterilizzati, completamente ricoperti di olio extra vergine di oliva.

                                                                                       

                                                                                      Infine vi ricordiamo che per favorire l’assorbimento del ferro non eme presente nei funghi, sarebbe opportuno condirli o consumarli insieme ad una fonte di vitamina C. Un metodo potrebbe essere quello di aggiungere un po’ di succo di limone o del peperoncino fresco alla ricetta o di consumare a fine pasto un frutto ricco in vitamina C come arance, fragole o kiwi.

                                                                                       

                                                                                      Le proposte di ricette di FBO con i funghi

                                                                                        • He Y. et al. (2018) “Grifola frondosa polysaccharide: a review of antitumor and other biological activity studies in China”, Discovery Medicine;25(138):159-176.
                                                                                        • Huang X., Nie S. (2015) “The structure of mushroom polysaccharides and their beneficial role in health”, Food & Function, 6(10):3205-17.
                                                                                        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                        • www.agraria.org
                                                                                        • www.bda-ieo.it
                                                                                        • www.humanitas.it

                                                                                        Pompelmo

                                                                                         

                                                                                        pompelmo

                                                                                        Famiglia: Rutaceae

                                                                                        Genere: Citrus

                                                                                        Specie: Citrus paradisi

                                                                                         

                                                                                        Pompelmo: cos’è e storia

                                                                                        Il pompelmo è il frutto del Citrus paradisi, un ibrido naturale tra Citrus maxima (il pomelo) e Citrus sinensis (l’arancio dolce).

                                                                                         

                                                                                        Frutto originario delle Barbados (uno dei pochi agrumi non proveniente dall’Asia), in Florida cominciò ad essere coltivato a metà ‘800, per poi diffondersi in Argentina, Sudafrica e Israele.

                                                                                        In Italia fece la sua comparsa intorno alla fine degli anni ’60-primi anni ’70. Ad oggi viene coltivato in Puglia e Calabria.

                                                                                        Dagli anni ’90 sono presenti anche i pompelmi con la polpa rosa, una selezione varietale più dolce e succosa.

                                                                                         

                                                                                        Varietà di pompelmo

                                                                                        La classificazione commerciale è fatta in base a

                                                                                         

                                                                                        • epoca di maturazione (precoci, di mezza stagione e tardivi);
                                                                                        • colore della polpa (a polpa chiara e pigmentata);
                                                                                        • presenza di semi (con semi, più idonee per l’industria, o apireni, più adatte al consumo fresco).

                                                                                         

                                                                                        Tra le cultivar apirene ricordiamo la Marsh, a polpa chiara, la Redblush, la Star Ruby e la Pink Marsh, tutte a polpa pigmentata.

                                                                                         

                                                                                        Proprietà nutrizionali del pompelmo

                                                                                        tabella con i valori nutrizionali del pompelmo

                                                                                        Pompelmo valori nutrizionali

                                                                                        Tutte le varietà di pompelmo, che si possono riconoscere dalla colorazione della polpa, sono composte principalmente da acqua, zuccheri semplici e fibra.

                                                                                         

                                                                                        Per quanto riguarda i minerali, quello più presente risulta il potassio, mentre tra le vitamine, come per tutti gli agrumi, spicca il suo contenuto in vitamina C.

                                                                                        Anche la vitamina A è ben rappresentata, soprattutto in quelle varietà di pompelmo pigmentate che contengono carotenoidi, ovvero i precursori della vitamina A.

                                                                                         

                                                                                        Il pompelmo rosa inoltre è buona fonte di un potente carotenoide senza azione provitaminica, il licopene, che sembrerebbe avere un ruolo positivo per la salute cardiovascolare e per la prevenzione di alcuni tipi di tumori. Le maggiori evidenze scientifiche si registrano per il tumore della prostata.

                                                                                         

                                                                                        Pompelmo benefici

                                                                                        Il pompelmo contiene la vitamina C che apporta numerosi benefici a livello del corpo umano svolgendo importanti funzioni fisiologiche. Possiede infatti un’attività antiossidante, è molto utile per rafforzare il sistema immunitario ma è fondamentale anche per la sintesi del collagene.

                                                                                         

                                                                                        Altre molecole che influiscono positivamente sull’organismo sono il licopene (come già citato prima) e fitonutrienti come i polifenoli, la naringerina e i limonoidi. Nello specifico i limonoidi hanno attività detossificante, la naringerina interviene nella riparazione del DNA e sia il licopene sia i polifenoli hanno azione antinfiammatoria. I polifenoli, inoltre, hanno anche attività antiossidante proteggendo le cellule dallo stress ossidativo.

                                                                                         

                                                                                        La porzione di consumo standard consigliata è di 150 grammi, che corrisponde circa a un frutto medio fresco.

                                                                                         

                                                                                        Pompelmo interazioni

                                                                                        Se si stanno assumendo statine come atorvastatina, lovastatina e simvastatina non bisognerebbe eccedere con il consumo di succo di pompelmo, in quanto grandi quantità di questo succo possono aumentare i livelli di statine nell’organismo e causare effetti collaterali.

                                                                                        Il succo di pompelmo può interagire anche con altri farmaci quali antiipertensivi (es nifedipina), per il rigetto di trapianto (es. ciclosporina), corticosteroidi (es. budesonide). antistaminici (es. fexofenadina) e farmaci per le aritmie (es. amiodarone).

                                                                                         

                                                                                        Inoltre il succo di pompelmo può inibire il citocromo P 3A4 (CYP3A4), per cui i farmaci metabolizzati da tale isoenzima rimangono più a lungo nell’organismo con un conseguente aumento delle concentrazioni ematiche del farmaco.

                                                                                         

                                                                                        Produzione e Tecnologia del pompelmo

                                                                                        Caratteri botanici della pianta di pompelmo

                                                                                        Il pompelmo è un agrume sempreverde e la pianta è molto vigorosa; l’albero può raggiungere anche 12 metri di altezza e presenta una forma tondeggiante con fogliame denso.

                                                                                        Le foglie sono ovate e di colore verde scuro, con picciolo alato e una spina flessibile all’ascella.

                                                                                        I fiori sono grandi, riuniti in genere in infiorescenze bianche raggruppate che danno poi origine a frutti, anch’essi riuniti in grappoli. Il nome inglese, “grapefruit”, deriva proprio dalla caratteristica dei frutti che sono riuniti in grappoli.

                                                                                         

                                                                                        Il frutto è un esperidio, un frutto carnoso simile a una bacca, globosa e molto grande (diametro di 10 o 15 centimetri) con buccia liscia gialla o rosata (epicarpo o esocarpo). Il frutto all’interno (endocarpo) è suddiviso in logge o spicchi (11-14) separati dalla buccia attraverso l’albedo (mesocarpo), il tessuto spugnoso bianco.

                                                                                        La polpa è succosa, amarognola-acidula, normalmente gialla, o rosa-rosso in alcune varietà.

                                                                                        I semi, dove presenti, sono bianchi e poliembrionici.

                                                                                         

                                                                                        Coltivazione del pompelmo

                                                                                        Essendo piante di origine tropicale, hanno particolari esigenze nei confronti del clima.
                                                                                        Per ottenere una produzione commerciale valida occorre che questo sia caldo, sufficientemente umido, con inverni miti e senza ampie escursioni termiche, anche se una moderata presenza di queste ultime consente nelle zone mediterranee la comparsa di pigmenti antocianici e carotenoidi, responsabili della colorazione tipica del frutto.

                                                                                        In genere svolgono la loro attività vegetativa a temperature comprese tra i 13 e i 30°C. Relativamente al freddo, vengono danneggiati da temperature inferiori a 0°C con intensità variabile in relazione alla specie e alla varietà.

                                                                                         

                                                                                        Il terreno ottimale è quello sciolto o di medio impasto, profondo, fertile, ben drenato e ben dotato di sostanza organica.

                                                                                         

                                                                                        Il momento migliore per mettere a dimora le giovani piante di agrumi è la primavera, da fine marzo a maggio. La forma di coltivazione che maggiormente si riscontra negli agrumeti è il globo.

                                                                                        Negli agrumi la fruttificazione avviene sui rami dell’anno precedente e l’accrescimento dei rami si verifica normalmente in tre periodi: primavera, inizio estate e autunno.

                                                                                         

                                                                                        La potatura va eseguita limitandosi solo ad alleggerire la chioma eliminando i rami secchi, rotti o debilitati dopo che hanno già fiorito o quelli curvi verso il basso; tale azione risulta invece necessaria quando si verificano attacchi parassitari da cocciniglie e quando l’altezza della pianta non permette più un’agevole raccolta da terra.

                                                                                         

                                                                                        Produzione del pompelmo

                                                                                        La raccolta va effettuata quando i frutti hanno raggiunto un grado di maturazione sufficiente: al contrario di altre specie, infatti, la maggior parte degli agrumi non può completare la maturazione dopo che i frutti sono stati staccati dall’albero.

                                                                                        La raccolta viene attuata sia da terra che con scale e i frutti, raccolti con l’ausilio di apposite forbici, per non privarli della rosetta, vengono posti in cesti di plastica o nei cesti a sacco e successivamente in cassette di plastica del contenuto medio di 20-22 kg.

                                                                                        Le cassette, poi, vengono portate ai bordi degli appezzamenti ed accatastate sui pallets o caricate direttamente sui mezzi di trasporto e da qui trasferite ai magazzini di lavorazione e/o conservazione.

                                                                                        Una volta che il prodotto è arrivato al magazzino, questo subisce una lavorazione consistente in: lavaggio, trattamento anticrittogamico, ceratura, selezione, calibratura e confezione.

                                                                                         

                                                                                        Oltre che per il consumo fresco, i frutti possono essere utilizzati nell’industria per ottenere sono: essenze o oli essenziali, succhi, scorze in salamoia e candite, confetture.

                                                                                         

                                                                                        Stagionalità del pompelmo

                                                                                        La stagione del pompelmo inizia a novembre e termina a maggio.

                                                                                         

                                                                                        Preparazione e Conservazione del pompelmo

                                                                                        I pompelmi si conservano bene a temperatura ambiente o in frigorifero per più tempo, nello scomparto della frutta e verdura, dove possono resistere oltre due settimane.

                                                                                        Il succo di pompelmo può anche essere congelato e utilizzato dopo qualche mese.

                                                                                         

                                                                                        In cucina si abbina bene anche a ricette di pesce, ma in genere l’uso più comune è sotto forma di succo di pompelmo, ideale in alternanza alla spremuta d’arancia per iniziare la giornata con una buona dose di Vitamina C.

                                                                                        Broccoli

                                                                                         

                                                                                        tipi di broccoli

                                                                                        Famiglia: Brassicaceae

                                                                                        Genere: Brassica

                                                                                        Specie: Brassica oleracea L. botrytis cymosa

                                                                                         

                                                                                        Storia dei broccoli

                                                                                        Il broccolo o cavolo broccolo è un ortaggio appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, di cui fanno parte anche i cavoli, il cavolfiore, la verza, il broccoletto o cima di rapa, il cavoletto di Bruxelles, il cavolo cappuccio ecc.

                                                                                         

                                                                                        Il broccolo è una pianta antica di origine mediterranea e ad oggi in Italia vengono coltivati soprattutto in Puglia, Campania, Lazio e Marche.

                                                                                         

                                                                                        Tipi di broccoli

                                                                                        Il broccolo comprende molte varietà locali alcune delle quali precoci, come Ramoso verde calabrese, Bianco precoce, Broccolo di Verona, Primaticcio di Albano, e altre tardive, come il Pugliese, Tardivo di Albano, Nero di Napoli.

                                                                                         

                                                                                        Proprietà nutrizionali dei broccoli

                                                                                        tabella con i valori nutrizionali dei broccoli

                                                                                        Valori nutrizionali dei broccoli

                                                                                        I broccoli sono composti per il 90% da acqua e presentano un contenuto modesto di proteine, zuccheri e quasi nullo di grassi.

                                                                                        Tutto ciò garantisce il loro basso contenuto calorico e un elevato potere saziante, grazie al loro buonissimo contenuto in fibra.

                                                                                         

                                                                                        Nei broccoli è presente anche la vitamina C, una molecola antiossidante e alleata delle difese immunitarie, la vitamina K, importante per i processi della coagulazione del sangue, la vitamina A, utile ai processi visivi, alla pelle e alle mucose, e le vitamine del gruppo B, utili al corretto funzionamento dell’organismo.

                                                                                         

                                                                                        Tra i minerali più rappresentati spiccano il potassio, che aiuta a regolare la pressione arteriosa, e il fosforo. Il calcio con il fosforo aiutano a mantenere in salute le ossa e i denti.

                                                                                         

                                                                                        Benefici dei broccoli

                                                                                        Quello che più ci interessa della composizione dei broccoli, alla luce di recenti studi, è il loro contenuto di particolari molecole, ovvero i glucosinolati.

                                                                                        Tali studi dimostrerebbero un loro potenziale ruolo nella prevenzione di diverse forme tumorali.

                                                                                        Il broccolo infatti è particolarmente ricco di indolo e sulforafano.

                                                                                        Il primo sarebbe in grado di ridurre il rischio di tumori ormono-dipendenti, come quello del seno. Il secondo, grazie ad un’azione battericida, sembrerebbe agire contro Helicobacter Pylori, microrganismo responsabile di gastrite e ulcere a livello dello stomaco, che può portare fino al tumore.

                                                                                         

                                                                                        Per beneficiare di queste sostanze occorre trattare l’alimento nel corretto modo.

                                                                                        L’enzima che opera la trasformazione dei glucosinolati nelle molecole bioattive si chiama mirosinasi ed è racchiuso in specifiche strutture cellulari della pianta.

                                                                                        Tagliare il broccolo e masticarlo bene favoriscono il rilascio dell’enzima, a patto che non si distrugga con una cottura prolungata o si lasci disperdere in abbondante acqua.

                                                                                         

                                                                                        Il consumo di questo alimento risulta utile in caso di carenza di Acido Folico, vitamina C e vitamine del gruppo B.

                                                                                         

                                                                                        La porzione consigliata è 200 grammi di broccoli freschi, che corrisponde a mezzo piatto.

                                                                                        Con una porzione di broccoli si soddisfano le quantità giornaliere raccomandate per la popolazione adulta di vitamina C e vitamina K, e si raggiunge quasi la metà del fabbisogno di folati.

                                                                                         

                                                                                        Interazioni dei broccoli

                                                                                        I soggetti che assumono farmaci antagonisti della vitamina k e anticoagulanti (warfarin) dovrebbero fare attenzione nel consumo di questo alimento. La vitamina K presente nei broccoli infatti può ridurre l’efficacia del farmaco.

                                                                                         

                                                                                        Produzione e Tecnologia dei broccoli

                                                                                        Caratteri botanici dei broccoli

                                                                                        I broccoli hanno un’infiorescenza che può essere compatta, globosa o a pigna, biancastra o verdastra o violacea o rassastra, e a volte è aperta o formata da fasci di germogli di varia lunghezza. I germogli hanno spesso tonalità violacee e sono circondati da foglie ondulate verde scuro.

                                                                                         

                                                                                        La parte considerata commestibile è quella dell’infiorescenza, non ancora giunta a maturazione.

                                                                                        Nel broccolo che ha raggiunto la completa maturazione si vedono sbocciare tanti piccoli fiori gialli raggruppati.

                                                                                         

                                                                                        Le foglie sono ampie, ondulate, diritte e numerose e anche le foglie più piccole sono eduli.

                                                                                         

                                                                                        Coltivazione dei broccoli

                                                                                        La coltivazione del broccolo risulta ottimale in zone dal clima fresco e umido e richiede un terreno di medio impasto con un elevato livello idrico dello strato interessato dalle radici.

                                                                                         

                                                                                        Si effettua in diversi periodi dell’anno a seconda della località e delle cultivar impiegate.

                                                                                        Esistono infatti le cultivar che non richiedono il freddo per la formazione della parte edule, mentre altre (le tardive, che si comportano da piante tipicamente biennali) richiedono il freddo sia per la formazione della parte edule che per l’infiorescenza.

                                                                                        Inoltre le varietà tardive sono più grandi di quelle precoci, per cui le distanze presenti tra le diverse file di piantine risulteranno differenti.

                                                                                         

                                                                                        Si tratta di una coltura di rinnovo, ovvero la coltivazione del broccolo nello stesso terreno deve essere intercalata ad altre culture in modo da evitarne la monosuccessione.

                                                                                         

                                                                                        Oltre alla semina diretta oggi, visto anche l’utilizzo di ibridi, vengono utilizzate piantine allevate in vivaio in appositi contenitori, successivamente trapiantate (da luglio a tutto settembre).

                                                                                        La vernalizzazione delle piantine (15-20 giorni a 2°C) sembra favorire la concentrazione del periodo di raccolta.

                                                                                         

                                                                                        Produzione dei broccoli

                                                                                        La raccolta è scalare per tutte le cultivar classiche italiane.

                                                                                         

                                                                                        Le parti eduli, dette anche corimbi, si raccolgono quando sono compatte e comunque prima che i singoli fioretti o cimette che la compongono inizino a discostarsi. Poiché la maturazione non avviene contemporaneamente, sono necessarie 3-6 raccolte.

                                                                                         

                                                                                        Le dimensioni e il peso delle parti eduli variano notevolmente a seconda della cultivar; in quelle normalmente impiegate oggi i corimbi defogliati non superano generalmente 1,5 kg.

                                                                                        Il taglio dei corimbi può essere fatto con o senza foglie.

                                                                                        Dopo il taglio deve essere evitata l’esposizione ai raggi del sole per evitare la comparsa di colori indesiderati.

                                                                                        In genere la raccolta viene fatta oggi con l’ausilio di macchine agevolatrici.

                                                                                         

                                                                                        Anche se la varietà tardiva non ha bisogno di essere pre-refrigerata, tale operazione può essere fatta con acqua fredda e/o con il vuoto per portare i broccoli ad una temperatura di circa 5°C e poi conservarli in cella frigorifera ventilata con elevata umidità relativa (> 95%).

                                                                                        I tempi di conservazione in cella frigorifera sono in funzione della temperatura (a 0°C per 21-28 giorni; 3°C per 14 giorni; 5°C per 7-10 giorni; 10°C per 5 giorni).

                                                                                        Il trasporto deve essere effettuato tramite furgoni frigoriferi per mantenere inalterate le caratteristiche qualitative.

                                                                                         

                                                                                        Stagionalità dei broccoli

                                                                                        La loro presenza sul mercato va da ottobre a maggio.

                                                                                         

                                                                                        Preparazione e Conservazione dei broccoli

                                                                                        La mirosinasi, enzima di cui abbiamo parlato sopra, che opera la trasformazione dei glucosinolati nelle molecole bioattive, è idrosolubile e sensibile al calore.

                                                                                        Il consiglio è quindi di cuocere i broccoli al vapore o sbollentarli in poca acqua per non più di 10 minuti.

                                                                                         

                                                                                        Sarebbe preferibile consumare sempre l’ortaggio fresco, perché anche il processo industriale di congelamento, che prevede una fase di bollitura pre-congelamento, detta sbianchitura, provoca la diminuzione dei glucosinolati.

                                                                                         

                                                                                        I broccoli freschi devono essere sodi al tatto, con le infiorescenze compatte e di colore vivo. È bene controllare tra le cimette che non ci siano macchie scure, sinonimo che il broccolo è vecchio o marcio.

                                                                                        Una volta accertati che i broccoli siano freschi occupatevi della pulizia. Tagliate le cimette dei broccoli, i gambi più grandi meglio se vengono incisi con un coltello per favorire la cottura. Buttate via le foglie più grandi esterne, mentre quelle più piccole lavatele sotto l’acqua corrente insieme ai ciuffi di broccoli.

                                                                                         

                                                                                        Vi ricordiamo che i broccoli rientrano tra i cibi che possono essere mangiati anche crudi, magari affettati sottilmente e conditi con limone, sale e olio extravergine d’oliva.

                                                                                         

                                                                                        Le proposte di ricetta di FBO con i broccoli

                                                                                          • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                          • Faraga Mohamed A., AbdelMotaalb Amira A. (2010) “Sulforaphane composition, cytotoxic and antioxidant activity of crucifer vegetables”, Journal of Advanced Research, Volume 1, Issue 1, January 2010, Pages 65-70.
                                                                                          • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                          • Yuan Gao-feng, Sun Bo, Yuan Jing, Wang Qiao-mei (2009) “Effects of different cooking methods on health-promoting compounds of broccoli”, Journal of Zheijang University SCIENCE B;10(8):580-8.
                                                                                          • www.agraria.org
                                                                                          • www.bda-ieo.it
                                                                                          • www.humanitas.it

                                                                                          Kiwi

                                                                                           

                                                                                          tipi di kiwi

                                                                                          Famiglia: Actinidiaceae

                                                                                          Genere: Actinidia

                                                                                          Specie: Actinidia chinensis

                                                                                           

                                                                                          Storia del kiwi

                                                                                          Il kiwi è il frutto autunnale della Actinidia, pianta originaria della Cina introdotta in Nuova Zelanda all’inizio del XX secolo.

                                                                                           

                                                                                          Viene diffusa in Europa a partire da metà del XX secolo e in Italia solamente negli anni ’70.

                                                                                          Attualmente l’Italia è la maggiore produttrice, seguono poi Nuova Zelanda, Cile, USA, Giappone e Francia.

                                                                                          Le regioni italiane dove è maggiormente diffusa questa coltura sono Lazio, Piemonte, Veneto e, in misura minore, Campania e Calabria.

                                                                                           

                                                                                          Tipi di kiwi

                                                                                          Il genere Actinidia è suddiviso in due sezioni:

                                                                                           

                                                                                          1. Stellatae, che comprende l’Actinidia chinensis Pl. (= A. deliciosa A. Chev.);
                                                                                          2. Leiocarpae, comprendente l’Actinidia arguta (Sieb. e Zucc.) Pl. ex Miq.

                                                                                           

                                                                                          L’ Actinidia chinensis è una specie più da mercato, mentre Actinidia arguta è ornamentale.

                                                                                           

                                                                                          Le cultivar impiegate sono: Hayward, Abbot, Allison, Bruno, Katuscia, Top star, Tumuri, Matua, Autari, M3.

                                                                                           

                                                                                          In commercio si trova anche il kiwi latina IGP (Indicazione Geografica Protetta) la cui coltivazione e produzione è riservata esclusivamente a 24 comuni nelle due province di Latina e Roma.

                                                                                           

                                                                                          Proprietà nutrizionali del kiwi

                                                                                          tabella con i valori nutrizionali del kiwi

                                                                                          Valori nutrizionali del kiwi

                                                                                          I kiwi sono composti principalmente da acqua, carboidrati semplici e fibra.

                                                                                           

                                                                                          A livello dei micronutrienti spiccano la vitamina C, E, K, i folati e minerali come potassio e magnesio.

                                                                                           

                                                                                          Benefici del kiwi

                                                                                          La fibra presente nei kiwi risulta avere caratteristiche prebiotiche, specialmente rivolte verso una selezione nell’intestino di batteri lattici, microrganismi positivi per la salute.

                                                                                           

                                                                                          Per soddisfare il fabbisogno giornaliero di vitamina C, che corrisponde a 85 mg per le donne e 105 mg per gli uomini, sono sufficienti due kiwi. La vitamina C, come abbiamo già evidenziato altre volte, ha attività antiossidante ed è fondamentale per la salute del nostro organismo.

                                                                                           

                                                                                          Oltre alla vitamina C, i kiwi presentano anche buone quantità di vitamina E, sempre con attività antiossidante e K, coinvolta invece nei processi di coagulazione del sangue.

                                                                                          Vi consigliamo, al fine di assorbire queste due vitamine liposolubili, di associarle ad una fonte di grassi come per esempio uno yogurt intero o della frutta secca.

                                                                                          Due kiwi apportano 60 µg di vitamina K, riuscendo così a soddisfare quasi la metà del fabbisogno giornaliero per la popolazione adulta di questa vitamina (fissato a 140 µg).

                                                                                           

                                                                                          Tra i minerali spiccano potassio e magnesio: il primo contribuisce a regolare la pressione arteriosa, il secondo partecipa a molte reazioni cellulari ed è utilizzato per la produzione di energia del metabolismo.

                                                                                           

                                                                                          Infine, le varietà di kiwi verde possono vantare il contenuto di clorofilla e folati.

                                                                                          La prima è un pigmento vitale per le piante che ha mostrato dei possibili effetti anti-invecchiamento, mentre la seconda è una vitamina idrosolubile fondamentale per la sintesi di proteine e DNA.

                                                                                           

                                                                                          La porzione standard consigliata è 150 grammi che corrisponde circa a 2 kiwi.

                                                                                           

                                                                                          Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile per attenuare eventuali effetti avversi legati alle terapie oncologiche quali  diarrea, gonfiore sottocutaneo (o edema), anemia sideropenica e carenza di vitamina C.

                                                                                           

                                                                                          Interazioni dei kiwi

                                                                                          I kiwi possono interferire con l’azione di farmaci antipertensivi, anticoagulanti e antiaggreganti.

                                                                                          Questo frutto è fonte anche di ossalati, sostanze naturali che in concentrazioni troppo elevate possono contribuire alla formazione di calcoli. Il loro consumo può quindi essere controindicato in soggetti con problemi a reni o cistifellea.

                                                                                           

                                                                                          Inoltre nel kiwi sono presenti molecole associate alla cosiddetta “sindrome lattice-frutta”; per questo motivo, in caso di allergia al lattice, è bene fare attenzione al loro consumo.

                                                                                           

                                                                                          Produzione e Tecnologia del kiwi

                                                                                          Caratteri botanici del kiwi

                                                                                          Il kiwi è il frutto della pianta Actinidia chinensis, una pianta rampicante con foglie cuoriformi che può raggiungere anche i 10 metri di altezza, caratterizzata da rami molto lunghi e sottili.

                                                                                          È specie dioica (ovvero una specie che ha sia individui maschili che femminili) e normalmente per la sua coltivazione si posiziona una pianta “maschile” ogni 6-8 “femmine”.

                                                                                           

                                                                                          I fiori possono essere singoli o raggruppati in 2-3, presenti a partire da maggio, da cui si svilupperà il frutto; nelle piante femminili i fiori sono disposti in modo distanziato per dare spazio alla maturazione dei frutti.

                                                                                          Il frutto è una bacca ricoperta da peluria, la polpa è di un verde caratteristico, punteggiata di minuscoli semi, violacei o neri, disposti intorno a un cuore biancastro chiamato columella. La polpa è di un intenso color verde smeraldo chiaro. I semi, piccoli e neri, sono disposti a raggera attorno al fulcro centrale del frutto.

                                                                                           

                                                                                          L’impollinazione è entomofila anche se i fiori non sono molto attrattivi per le api e perciò si aumenta il numero delle arnie; in misura minore anche anemofila.

                                                                                           

                                                                                          Coltivazione del kiwi

                                                                                          L’Actinidia ama luoghi temperati, teme i danni da freddo, in presenza di forti venti spesso subisce sbrancamenti e il terreno deve essere asciutto, evitando i ristagni idrici.

                                                                                          Per la propagazione al Centro-Nord si utilizza la talea in modo da poter ricostruire la piata dai ricacci quando avvengono danni da freddo, mentre al Centro-Sud si usano piante innestate in vivaio o a dimora.

                                                                                           

                                                                                          Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio si effettua la potatura che provvede sia ad eliminare i frutti multipli che quelli deformi e con difetti di buccia in modo da lasciare per un totale di 800-1000 frutti per pianta.

                                                                                           

                                                                                          Produzione del kiwi

                                                                                          La raccolta del frutto, senza il peduncolo, avviene tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre.

                                                                                          Il kiwi è un frutto climaterico. Infatti, come mele, pere, banane, pesche e altri frutti, continua la sua maturazione anche se staccato dalla pianta. I kiwi vengono infatti spesso raccolti anche se la loro maturazione non è completamente avvenuta.

                                                                                           

                                                                                          Gli indici di riferimento impiegati sono il tenore zuccherino, pari a 7,5°Brix, oppure il contenuto di solidi solubili, al 12,5%. Tendenzialmente è precoce per il pericolo delle grandinate.

                                                                                           

                                                                                          È il frutto a più elevato contenuto di vitamina C, è impiegato nel consumo fresco e nell’industria dolciaria.

                                                                                          La produzione italiana complessiva è pari a 310.000 t delle quali il 31% proviene dal Lazio. Le produzioni medie si aggirano sui 30-50 kg/pianta, pari a 200-250 q/ha.

                                                                                           

                                                                                          Stagione del kiwi

                                                                                          In Italia la stagione dei kiwi inizia a novembre e termina a maggio; tra giugno e ottobre in commercio possono trovarsi frutti di provenienza neozelandese.

                                                                                           

                                                                                          Preparazione e Conservazione del kiwi

                                                                                          Prima di pensare a come poter conservare i kiwi, occorre spesso completare la loro maturazione. Per farlo, può bastare metterli in una busta con altra frutta (preferibilmente mele e banane) così da sfruttarne l’emissione di etilene, responsabile della rapida maturazione.

                                                                                          Se invece desideri rallentarne la maturazione, sarà necessario procedere inversamente: tieni i kiwi lontani dall’altra frutta e possibilmente assicurati che ciascun frutto sia distante dall’altro.

                                                                                           

                                                                                          Per conservare e mantenere i kiwi nel breve periodo, il frigorifero è un ottimo metodo, preferibilmente inserendoli all’interno di un sacchetto per gli alimenti specifico. A questo punto, puoi mettere la busta in frigo a una temperatura massima di 5°C. In questo modo, i kiwi si manterranno fino a una settimana.

                                                                                           

                                                                                          Se invece sai che non potrai gustarti i kiwi acquistati entro una settimana, la soluzione perfetta è congelarli.

                                                                                          È consigliato lavarli, sbucciarli e tagliarli a rondelle e metterli nel freezer in una busta apposita. In questo modo, potrai conservarli per un periodo abbastanza lungo. Ti consigliamo di non superare i 10 mesi, perché oltre questa soglia si perderanno tutte le proprietà organolettiche del frutto.

                                                                                            • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                            • Lee Y.K., Low K.Y., Siah K., Drummond LM, Gwee K-A. (2012) “Kiwifruit (Actinidia deliciosa) changes intestinal microbial profile”, Microbial Ecology in Health and Disease;23.
                                                                                            • www.agraria.org
                                                                                            • www.bda-ieo.it
                                                                                            • www.humanitas.it

                                                                                            Zenzero

                                                                                             

                                                                                            zenzero

                                                                                            Famiglia: Zingiberaceae

                                                                                            Genere: Zingiber

                                                                                            Specie: Zingiber officinale

                                                                                             

                                                                                            Zenzero: cos’è e storia

                                                                                            Lo zenzero è la radice della pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, a cui appartengono anche curcuma e cardamomo.

                                                                                             

                                                                                            La pianta è originaria dell’Asia e, ad oggi, viene coltivata in quasi tutti i paesi tropicali e subtropicali; Cina e India ne sono i maggiori produttori. In particolare l’India da sola copre quasi il 50% della produzione mondiale di zenzero.

                                                                                             

                                                                                            Esistono diverse forme di ginger in commercio:

                                                                                             

                                                                                            • se è scorticata viene prodotta in Giamaica e viene chiamata White Ginger (ginger bianco),
                                                                                            • se invece è presente la buccia viene prodotta principalmente dalla Cina e dalla Sierra Leone e viene chiamata Black Ginger (ginger nero).

                                                                                             

                                                                                            Proprietà nutrizionali dello zenzero

                                                                                            tabella con i valori nutrizionali dello zenzero

                                                                                            Zenzero valori nutrizionali

                                                                                            La composizione dello zenzero è principalmente a base di acqua ed amidi ed altri micronutrienti non particolarmente concentrati.

                                                                                            La radice, detta rizoma, contiene i principi attivi della pianta, ovvero l’olio essenziale, che è composto principalmente da zingiberene, i gingeroli e gli shogaoli, i responsabili del sapore e dell’aroma che lo contraddistinguono.

                                                                                             

                                                                                            A livello di nutrienti lo zenzero contiene minerali come potassio, fosforo, calcio, ferro e rame e vitamine come quelle del gruppo B.

                                                                                             

                                                                                            Nonostante negli ultimi anni il suo consumo sia cresciuto esponenzialmente, visto i numerosi effetti benefici attribuitili, in realtà le evidenze scientifiche sull’uomo rimangono ancora poche.

                                                                                            Alcuni studi su modelli cellulari ed animali ne evidenziano l’effetto antinfiammatorio, antitumorale ed antiossidante, ma sono necessarie ulteriori ricerche per confermare il tutto. L’utilizzo dello zenzero, spesso viene anche associato ad effetti diretti sul dimagrimento e sulla glicemia, ma anche in questo caso sono necessari degli studi più approfonditi.

                                                                                             

                                                                                            Quello che invece le evidenze scientifiche hanno dimostrato sull’uomo è suo effetto anti-nausea, è quindi spesso consigliato anche durante le terapie oncologiche. Recenti studi infatti ne evidenziano anche un potenziale effetto nella riduzione di nausea, dismotilità e sintomi simili al reflusso in diversi tipi di cancro.

                                                                                             

                                                                                            Zenzero benefici

                                                                                            Durante il corso degli anni lo zenzero è stato utilizzato a scopo antinfiammatorio, carminativo e antimicrobico. Queste caratteristiche sono da ricondurre alle molecole contenute in questa radice, tra cui il gingerolo. Lo zingerone invece sembra che contrasti la diarrea, soprattutto nei bambini.

                                                                                            Lo zenzero, inoltre gode di proprietà antiossidanti.

                                                                                             

                                                                                            Come citato prima a livello nutrizionali sono presenti minerali e vitamine. Le vitamine maggiormente presenti sono quelle del gruppo B che favoriscono un buon metabolismo, mentre tra i minerali troviamo il potassio che contribuisce a regolare la pressione arteriosa, fosforo e calcio che sono utilizzati a livello osseo e dei denti e ferro e rame che sono utili ai globuli rossi.

                                                                                             

                                                                                            Il consumo di questa radice può essere utile in caso di alterazione del gusto per insaporire i piatti, in caso di nausea o vomito viste le loro proprietà, e per contrastare la disidratazione e/o secchezza della bocca (ad esempio creando l’acqua aromatizzata con lo zenzero).

                                                                                             

                                                                                            Zenzero interazioni

                                                                                            Bisognerebbe evitare di consumare lo zenzero se si è in terapia con anticoagulanti (es warfarin) perché può aumentare il rischio di sanguinamento.

                                                                                            Lo zenzero inoltre può interferire con l’effetto della ciclosporina, degli antidiabetici e degli antipertensivi.

                                                                                             

                                                                                            Produzione e Tecnologia dello zenzero

                                                                                            Caratteri botanici della pianta dello zenzero

                                                                                            Lo zenzero è una pianta erbacea perenne, con portamento eretto, che può raggiungere il metro e mezzo di altezza.

                                                                                            Presenta una radice, detta rizoma, aromatica, e steli eretti con due file di foglie lanceolate. L’infiorescenza è a forma di spiga con fiori bianchi.

                                                                                             

                                                                                            Il rizoma è adoperato fresco, essiccato o sott’aceto. I germogli, le foglie e le infiorescenze vengono consumati crudi o cotti.

                                                                                             

                                                                                            Stagionalità dello zenzero

                                                                                            Lo zenzero è reperibile in commercio tutto l’anno.

                                                                                             

                                                                                            Preparazione e Conservazione dello zenzero

                                                                                            La radice dello zenzero si può comprare fresca al supermercato e conservarla, per circa due settimane, a temperatura ambiente.

                                                                                            Nel caso si volesse invece conservarla per un periodo più lungo, è necessario riporla in frigorifero o congelarla grattugiata, frullata o tagliata a pezzetti.

                                                                                             

                                                                                            Il suo utilizzo in cucina, così come l’utilizzo di qualsiasi erba aromatica o spezia, può essere un valido aiuto per insaporire ricette e bevande, senza utilizzare sale e zucchero.

                                                                                             

                                                                                            Si abbina con carne e pesce, crostacei e per preparare dolci secchi; si usa per aromatizzare bevande (ginger), salse (curry).

                                                                                            Per chi invece gradisse sgranocchiare lo zenzero, meglio sceglierlo disidrato al naturale piuttosto che candito, come invece si trova in molte forme commerciali, in modo da non eccedere con il consumo giornaliero di zuccheri.

                                                                                             

                                                                                            Le proposte di ricetta di FBO con lo zenzero

                                                                                            Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                              • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                              • Anh N.H. et al. (2020) “Ginger on Human Health: A Comprehensive Systematic Review of 109 Randomized Controlled Trials”, Nutrients;12(1):157.
                                                                                              • Bhargava R., Chasen M., Elten M., MacDonald N. (2020) “The effect of ginger (Zingiber officinale Roscoe) in patients with advanced cancer”, Support Care Cancer;28(7):3279-3286.
                                                                                              • Bodagh M.N., Maleki I., Hekmatdoost A. (2018) “Ginger in gastrointestinal disorders: A systematic review of clinical trials”, Food Science & Nutrition;7(1):96-108.
                                                                                              • Mao Q.Q. et al. (2019) “Bioactive Compounds and Bioactivities of Ginger ( Zingiber officinale Roscoe)”, Foods;8(6):185.
                                                                                              • www.agraria.org
                                                                                              • www.humanitas.it
                                                                                              • www.inran.it

                                                                                              Spinaci

                                                                                               

                                                                                              spinacio

                                                                                              Famiglia: Chenopodiaceae

                                                                                              Genere: Spinacia

                                                                                              Specie: Spinacia oleracea L.

                                                                                               

                                                                                              Spinacio: cos’è e storia

                                                                                              Lo spinacio è un ortaggio a foglia verde conosciuto fin dall’antichità, portato in Europa con gli Arabi intorno al 1000 e, dopo il 1500, si è diffuso anche in America.

                                                                                               

                                                                                              In Italia la coltivazione dello spinacio è diffusa in tutte le regioni, in particolare modo nel Lazio, Toscana, Campania, Veneto e Piemonte; nelle regioni del Nord Italia per la produzione invernale è presente anche la coltivazione in serra.

                                                                                               

                                                                                              La maggior parte della produzione è destinata all’industria per l’ottenimento di surgelati e disidratati.

                                                                                               

                                                                                              Le specie e le cultivar di spinaci

                                                                                              In base alla forma del frutto si distinguono due sottospecie:

                                                                                               

                                                                                              Spinacia olracea inermis Moench (glabra Mill), con frutti lisci subrotondi; è il tipo più diffuso in coltura, con numerose cultivar che si differenziano tra loro per forma e dimensioni.

                                                                                               

                                                                                              Spinacia oleracea spinosa Moench, con frutti angolosi o spinescenti; se ne conoscono poche varietà (Hollandia, Amsterdam e Cavallius) e, seppur dotate di buona rusticità e resistenza al freddo, sono poco diffuse in Europa, e utilizzate quasi esclusivamente per l’industria conserviera.

                                                                                               

                                                                                               

                                                                                              Le cultivar sono sostanzialmente due:

                                                                                               

                                                                                              • Cultivar autunno-invernali: adatte alla coltivazione in condizioni di giorno corto, hanno elevata vigoria e buona resistenza al freddo ma vanno rapidamente a seme in condizioni di giorno lungo; si seminano a fine estate-autunno (agosto-ottobre) per produzioni autunno-invernali.

                                                                                               

                                                                                              • Cultivar primaverili-estive: si adattano alla coltivazione di giorno lungo in quanto lente a montare a seme; si seminano in primavera (marzo-aprile) per produzioni primaverili-estive.

                                                                                               

                                                                                              In commercio si trova anche lo “spinacio della Nuova Zelanda” (Tetragonia tetragonioides), appartenente alla famiglia delle Aizoaceae, un ortaggio minore da foglia che si utilizza nel periodo estivo.

                                                                                               

                                                                                              Proprietà nutrizionali degli spinaci

                                                                                              tabella con i valori nutrizionali degli spinaci

                                                                                              Spinaci valori nutrizionali

                                                                                              Famosi fin dai tempi di Braccio Di Ferro per il loro contenuto in ferro, gli spinaci in realtà sono ricchi di altri moltissimi micronutrienti. Sono composti per il 90% di acqua e presentano un ottimo contenuto di fibra, fondamentale per stimolare il senso di sazietà.

                                                                                               

                                                                                              A livello di vitamine spiccano la vitamina C,  la vitamina K e i folati, mentre tra i minerali invece troviamo alte concentrazioni di potassio e magnesio, mentre il ferro, seppure presente, risulta comunque meno biodisponibile rispetto ai prodotti di origine animale ed inferiore ad altre fonti vegetali come legumi e frutta secca.

                                                                                              In ogni caso, per aumentare la biodisponibilità di questo minerale, basterà aggiungere una fonte di vitamina C al pasto, come per esempio un kiwi, un mandarancio o semplicemente un po’ di succo di limone.

                                                                                               

                                                                                              Spinaci benefici

                                                                                              Lo spinacio gode di proprietà antitumorali e antiossidanti. Queste caratteristiche sono da riconoscere alle vitamine, ai carotenoidi e al magnesio contenuti negli spinaci.

                                                                                              A livello di vitamine spiccano la vitamina C, con azione antiossidante e utile ad innalzare le difese immunitarie, e la vitamina K, fondamentale invece per il processo di coagulazione del sangue.

                                                                                               

                                                                                              Gli spinaci sono inoltre molto ricchi di folati, molecole presenti in moltissime verdure a foglia verde, necessarie per la crescita e per la riproduzione cellulare, soprattutto dei globuli rossi.

                                                                                               

                                                                                              La porzione giornaliera standard consigliata è 200 grammi, che corrisponde a circa una ciotola di spinaci crudi.

                                                                                               

                                                                                              Il consumo di questa verdura a foglia verde può essere utile in caso di  diarrea, gonfiore sottocutaneo o edema e di anemia sideropenica.

                                                                                               

                                                                                              Spinaci e interazioni

                                                                                              Se si assumono diuretici o ACE-inibitori (per i disturbi cardiovascolari) che possono aumentare i livelli di potassio nell’organismo bisognerebbe evitare di eccedere con cibi ricchi di potassio, come gli spinaci.

                                                                                               

                                                                                              Gli spinaci possono interferire anche con l’azione degli anticoagulanti (warfarin), in quanto la vitamina K contenuta in essi può rendere il farmaco meno efficace.

                                                                                               

                                                                                              Inoltre questa verdura a foglia verde rappresenta una fonte di goitrogeni, pericolosi per chi soffre di disturbi alla tiroide, e di acido ossalico, molecola che favorisce la produzione di calcoli.

                                                                                               

                                                                                              Produzione e Tecnologia degli spinaci

                                                                                              Caratteri botanici della pianta di spinaci

                                                                                              Lo spinacio è una pianta erbacea a ciclo annuale che può raggiungere anche i 70 cm di altezza.

                                                                                              Presenta foglie basali carnose, provviste di un picciolo lungo 5-10 cm e di un lembo astato liscio o bolloso lungo 10-20 cm; esse sono riunite a rosetta in numero di 20-30 prima dell’emissione dello scapo fiorale ramificato; i fiori sono piccoli, verdastri, riuniti in glomeruli ascellari quelli femminili e in spighe quelli maschili.

                                                                                               

                                                                                              È una specie con basse esigenze termiche e buona tolleranza al freddo nella fase di rosetta. Si tratta di una pianta longidiurna, ovvero che fiorisce solo se la lunghezza del periodo luminoso oltrepassa le 14 ore (periodo maggio-agosto); richiede un terreno fresco, permeabile e ben drenato, con pH superiore a 6,5. Ha una buona tolleranza alle elevate salinità.

                                                                                              Per una rapida crescita richiede condizioni di umidità elevate e costanti.

                                                                                               

                                                                                              Coltivazione dello spinacio

                                                                                              Lo spinacio è coltivato principalmente in autunno-inverno con semina ad agosto-settembre ma nelle zone del Centro-Nord Italia si realizzano anche colture primaverili con i prodotti destinati all’industria.

                                                                                              La semina può essere fatta a spaglio oppure a macchina, in file distanti 20-30 cm, con interramento a 1-2 cm di profondità; la densità colturale varia a seconda che si tratti di colture destinate al mercato oppure all’industria; l’elevata densità favorisce il portamento eretto delle piante, richiesto per la raccolta meccanica.

                                                                                              Successivamente alla semina viene condotto il diradamento, la sarchiatura o diserbo, l’irrigazione e la concimazione in copertura. Nel periodo autunno-invernale con le temperature relativamente basse non sono molti i parassiti in grado di attaccare la pianta.

                                                                                               

                                                                                              Produzione degli spinaci

                                                                                              La raccolta comincia 40-60 giorni dalla semina nelle colture primaverili e può essere effettuata tramite sfogliatura o raccolta dell’intera pianta; oggi la raccolta meccanica è molto diffusa.

                                                                                               

                                                                                              Gli spinaci raccolti, privi delle foglie ingiallite e rovinate, vengono disposti in casse di 10-15 kg e immersi in acqua per togliere la terra residua e migliorare la turgescenza delle foglie.

                                                                                               

                                                                                              Stagionalità degli spinaci

                                                                                              La raccolta degli spinaci avviene tra settembre e maggio.

                                                                                               

                                                                                              Preparazione e Conservazione degli spinaci

                                                                                              In generale, al momento dell’acquisto, gli spinaci devono essere di un verde vivace e omogeneo, senza parti ingiallite o ammaccate e con gambi intatti e sodi.

                                                                                               

                                                                                              La pulizia degli spinaci freschi richiede molti cambi d’acqua. Molto spesso per risparmiare tempo si ricorre all’acquisto di spinaci già lavati o congelati.

                                                                                              Si consiglia di lavare gli spinaci solo poco prima della cottura, eliminando i gambi più duri e muovendo le foglie con le mani e cambiando l’acqua. Sarà necessario ripetere l’operazione fino a quando l’acqua non si presenterà completamente priva di terra. Se si acquistano spinaci freschi già lavati conviene comunque fare un passaggio in un catino pieno di acqua.

                                                                                               

                                                                                              È da prediligere il consumo di spinaci freschi e crudi che ne preserva il contenuto in vitamina C e folati, composti altamente sensibili al calore e solubili in acqua.

                                                                                              Nel caso in cui si preferisca consumarli cotti, in ogni caso, sarebbe opportuno sbollentare l’alimento in poca acqua e per tempi rapidi, oppure saltarlo velocemente in padella.

                                                                                              Come evidenziato precedentemente, la biodisponibilità del ferro negli alimenti vegetali è molto bassa, per questo vi consigliamo in ogni caso di associare al loro consumo, sia in caso che vengano consumati crudi che cotti, un po’ di peperoncino fresco o del succo di limone.

                                                                                               

                                                                                              Il prodotto fresco può essere mantenuto per 10-15 giorni in frigo a 0°C e 90-95 % di umidità relativa, nel caso in cui invece si volesse congelarlo la concentrazione di folati diminuirebbe drasticamente.

                                                                                               

                                                                                              Le proposte di ricetta di FBO con gli spinaci

                                                                                              clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                • Roberts JL, Moreau R. (2016) “Functional properties of spinach (Spinacia oleracea L.) phytochemicals and bioactives”, Food & Function, 7(8):3337-53.
                                                                                                • USDA – Food composition databases
                                                                                                • www.agraria.org
                                                                                                • www.humanitas.it

                                                                                                Cavolo nero

                                                                                                 

                                                                                                cavolo nero benefici

                                                                                                Famiglia: Cruciferae – Brassicaceae

                                                                                                Genere: Brassica

                                                                                                Specie: Brassica oleracea L. var acephala sabellica

                                                                                                 

                                                                                                Storia del cavolo nero

                                                                                                La maggior parte dei cavoli è originaria del Mediterraneo e viene coltivata da tempi molto antichi; ad oggi si ha una grande coltivazione e un forte consumo in Italia.

                                                                                                 

                                                                                                Una varietà di cavolo è il cavolo nero, detto anche “Cavolo nero di Toscana” o “Cavolo a penna”, che viene coltivato soprattutto in Toscana.

                                                                                                È una verdura invernale e, nella cucina toscana, è un ingrediente fondamentale della “ribollita”, una minestra di fagioli con pane raffermo e verdure varie.

                                                                                                 

                                                                                                Proprietà nutrizionali del cavolo nero

                                                                                                cavolo nero tabella

                                                                                                Cavolo nero Valori nutrizionali 

                                                                                                Il cavolo nero è ricco di acqua e contiene poche calorie, grazie invece al suo elevato contenuto di fibra ha un ottimo potere saziante.

                                                                                                 

                                                                                                I suoi micronutrienti principali sono il calcio, i precursori della vitamina A, la vitamina C e la vitamina K.

                                                                                                Con il termine precursori della vitamina A si fa riferimento ai carotenoidi; tra essi quello sicuramente più rappresentato è il beta-carotene.

                                                                                                 

                                                                                                Cavolo nero Benefici 

                                                                                                Il contenuto di vitamina K si denota anche dal colore scuro delle foglie del cavolo ed è fondamentale nella regolazione di fattori importanti della coagulazione del sangue.

                                                                                                 

                                                                                                Ricordiamo che una sola porzione di cavolo nero crudo copre l’intero fabbisogno giornaliero di vitamina K. Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina K per la popolazione adulta è di 140 µg (sia per gli uomini che per le donne).

                                                                                                 

                                                                                                La vitamina C ha una potente azione antiossidante, favorisce l’assorbimento intestinale del ferro e del cromo, interviene nella difesa immunitaria, favorisce la cicatrizzazione delle ferite e protegge i capillari.

                                                                                                Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile nel caso di ipovitaminosi di vitamina C, un effetto avverso derivante dal trattamento oncologico.

                                                                                                 

                                                                                                La vitamina A invece è essenziale per la visione, la crescita e il normale sviluppo dei tessuti.

                                                                                                 

                                                                                                Sicuramente una molecola degna di nota presente nel cavolo nero è la quercetina, che ha azione protettiva nei confronti del sistema cardiovascolare, e possono essere presenti anche le antocianine, molecole che sembrerebbero promuovere la longevità, soprattutto in quelle varietà a foglia scura tendenti al viola.

                                                                                                 

                                                                                                La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a circa a un piatto di cavolo nero.

                                                                                                 

                                                                                                Cavolo nero Interazioni

                                                                                                Il cavolo nero può interferire con l’azione degli anticoagulanti (warfarin), in quanto la vitamina K presente nell’alimento può rendere il farmaco meno efficace.

                                                                                                 

                                                                                                Produzione e Tecnologia

                                                                                                Caratteri botanici della pianta dei cavoli neri

                                                                                                La pianta del cavolo nero è una perenne rustica e vigorosa che presenta fusto eretto e che può crescere fino a 1 metro altezza, formando abbondanti ramificazioni con rametti fioriferi.

                                                                                                 

                                                                                                Il cavolo nero, rispetto ad altre specie di cavoli, non produce la testa (tipica del broccolo nero e del cavolo verza) e l’infiorescenza (come il cavolfiore) ma produce molte foglie, che rappresentano la parte commestibile.

                                                                                                 

                                                                                                Le foglie sono lunghe (fino a 30-40 cm), di color verde scuro quasi nerastro, lanceolate e divise, con la superficie rugosa e bollosa, di cui vengono utilizzate le superiori e i giovani germogli che si formano sul fusto e sui rami. Le foglie persistono a lungo sulla pianta fino all’inverno.

                                                                                                 

                                                                                                Il cavolo nero è una pianta che resiste bene al gelo invernale e può dunque essere coltivato anche nelle zone a clima rigido, dov’è difficile coltivare altri ortaggi.

                                                                                                 

                                                                                                Coltivazione dei cavoli neri

                                                                                                Per coltivare il cavolo nero si può partire dal seme oppure effettuare trapianti di piantine già formate.

                                                                                                La messa a dimora nel terreno lavorato si effettua nei mesi di agosto, settembre e ottobre, lasciando tra una pianta e l’altra almeno 80 cm di distanza, mentre tra le file un metro.

                                                                                                 

                                                                                                È importante eliminare le erbe infestanti procedendo con periodiche sarchiature manuali o con una pacciamatura naturale, in paglia o juta. In questo secondo caso, oltre alla protezione dalle infestanti, si mantiene più umido il terreno, limitando le esigenze idriche.

                                                                                                 

                                                                                                Produzione dei cavoli neri

                                                                                                La raccolta del cavolo nero, a seconda del periodo di trapianto, ha inizio in autunno, si protrae per tutto l’inverno e prosegue fino in primavera. In estate è meglio lasciar riposare la pianta.

                                                                                                 

                                                                                                La raccolta migliore si ha nei mesi invernali, dopo le prime gelate, quando le foglie spesse e bollose diventano più tenere e migliorano di sapore.

                                                                                                Di questa pianta si raccolgono le singole foglie, partendo dalla parte bassa (foglie basali) del fusto centrale risalendo fino all’apice.

                                                                                                 

                                                                                                Stagionalità del cavolo nero

                                                                                                Il cavolo nero sul mercato è disponibile da Novembre ad Aprile.

                                                                                                 

                                                                                                Preparazione e Conservazione del cavolo nero

                                                                                                Il cavolo nero è adatto per zuppe, minestre invernali, classica la sua presenza nella tipica ricetta toscana ‘ribollita’, oppure bollito insieme ad altre verdure a foglia o con patate ma anche insieme ad altre tipologie di cavolfiore.

                                                                                                 

                                                                                                Al momento dell’acquisto il cavolo deve essere scelto in base all’aspetto delle foglie: esse infatti devono essere turgide, di un bel verde intenso, prive di parti marce. Meglio se le foglie sono piccole così da richiedere una cottura più breve.

                                                                                                Un cavolo nero vecchio presenta delle foglie ingiallite.

                                                                                                 

                                                                                                Sarebbe proferibile consumare il cavolo a poco tempo dall’acquisto; se ciò non fosse possibile si può sempre conservare in frigorifero ma non più di una settimana.

                                                                                                 

                                                                                                Metodi di cottura

                                                                                                La vitamina K non è idrosolubile e resiste alla cottura, per cui metodi come la bollitura non ne riducono la quantità, come succede invece con la vitamina C che invece si degrada con il calore.

                                                                                                Anche i carotenoidi, in base a recenti studi, sembrerebbero essere molto resistenti alle alte temperature, anzi la cottura sembrerebbe aumentare la loro biodisponibilità per esser assorbiti a livello intestinale, soprattutto se associati a grassi come l’olio extravergine di oliva.

                                                                                                 

                                                                                                Una cottura eccessivamente prolungata, oltre a distruggere gran parte delle vitamine, rende i cavoli indigesti e di odore sgradevole per la maggiore liberazione di composti solforati.

                                                                                                 

                                                                                                La maniera più semplice di consumare il cavolo nero è quello di lessarlo e condirlo con olio extravergine di oliva e limone.

                                                                                                Tuttavia può essere consumato anche crudo, togliendo la costa centrale, al fine di non perdere il suo contenuto in vitamina C e glucosinolati.

                                                                                                  • Egert S et al. (2009) “Quercetin reduces systolic blood pressure and plasma oxidised low-density lipoprotein concentrations in overweight subjects with a high-cardiovascular disease risk phenotype: A double-blinded, placebo-controlled cross-over study.”, British Journal of Nutrition.
                                                                                                  • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                  • Sikora E., Bodziarczyk I (2012) “Composition and antioxidant activity of kale (Brassica oleracea L. var. acephala) raw and cooked”, Acta Scientiarum Polonorum Technologia Alimentaria.
                                                                                                  • www.agraria.org
                                                                                                  • www.coltivazionebiologica.it
                                                                                                  • www.usda.gov

                                                                                                  Radicchio rosso

                                                                                                   

                                                                                                  Famiglia: Compositae

                                                                                                  Genere: Cichorium

                                                                                                  Specie: Cichorium intybus L.

                                                                                                   

                                                                                                  Cos’è il radicchio rosso

                                                                                                  Il radicchio rosso o cicoria rossa è un ortaggio a foglie verdi, variegate o rosse, della famiglia delle Compositae appartenente al genere Cichorium, a prevalente consumo invernale e contraddistinto dal sapore amarognolo.

                                                                                                   

                                                                                                  Il radicchio può essere precoce e tardivo e la definizione deriva dal periodo in cui avviene la raccolta.

                                                                                                  Solitamente si consuma cotto o in insalata.

                                                                                                   

                                                                                                  Varietà di radicchio rosso

                                                                                                  In Italia esistono diverse varietà di radicchio, aventi una colorazione e una forma tipica a seconda della varietà.

                                                                                                  Quelle più note sono: Rosso di Treviso, Rosso di Verona, Sanguigno di Milano, Variegato di Castelfranco, Variegato di Chioggia.

                                                                                                   

                                                                                                  Radicchio rosso di Treviso IGP

                                                                                                  Il radicchio rosso di Treviso IGP ha ottenuto il riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (IGP) con il Regolamento CE n.1263/96 e, unitamente al Radicchio Variegato di Castelfranco Veneto, è classificato tra le cicorie da forzare e da imbiancare.

                                                                                                  La zona di produzione si estende a 17 comuni in provincia di Treviso, 2 in provincia di Padova e 5 in provincia di Venezia.

                                                                                                  Possiede un cespo di forma allungata e può essere precoce o tardivo.

                                                                                                  Il primo presenta cespo voluminoso e ben chiuso, foglie di colore rosso intenso con una nervatura principale molto accentuata di colore bianco, sapore leggermente amarognolo e consistenza mediamente croccante. Il secondo mostra foglie serrate di colore rosso vinoso intenso, sapore gradevolmente amarognolo ed una consistenza croccante.

                                                                                                   

                                                                                                  Radicchio di Verona IGP

                                                                                                  Il Radicchio di Verona IGP ha ottenuto il riconoscimento IGP con il Regolamento CE 98 del 02.02.09 (GUCE L 33 del 03.02.09) e la zona di produzione comprende alcuni territori ubicati nella regione Veneto nelle province di Verona, Vicenza e Padova.

                                                                                                  Presenta una forma ad ovale allungato, foglie compatte di colore rosso scuro intenso abbellite da una nervatura principale bianca, molto sviluppata; può essere precoce o tardivo.

                                                                                                  La zona di produzione si estende nella fascia del basso Veneto, costituita da terreni alluvionali, sabbiosi, ricchi di sostanza organica, e viene etichettato come “l’oro rosso della Bassa“, distinguendosi dagli altri prodotti per la particolare croccantezza delle foglie, il colore rosso intenso ed il sapore leggermente amarognolo.

                                                                                                  Le sue caratteristiche organolettiche ne consentono un utilizzo ad ampio raggio, dall’antipasto al dolce, da crudo come da cotto.

                                                                                                   

                                                                                                  Radicchio Variegato di Castelfranco IGP

                                                                                                  Il Radicchio Variegato di Castelfranco IGP come il radicchio rosso di Treviso IGP ha ottenuto il riconoscimento IGP con il Regolamento CE n.1263/96; è una variante di radicchio rosso definita la “rosa che si mangia” ed è stata ottenuta dall’incrocio tra il Radicchio Rosso di Treviso e l’indivia scarola a fine Ottocento.

                                                                                                  La forma ricorda quella dell’insalata a cespo ma le caratteristiche sono tipiche della cicoria.

                                                                                                  La zona di produzione comprende alcuni comuni nelle province di Treviso, Padova e Venezia.

                                                                                                  Presenta colore delle foglie bianco-crema con variegature distribuite in modo equilibrato su tutta la pianta fogliare di tinte diverse dal viola chiara al rosso vivo. Il sapore delle foglie è dal dolce al gradevole amarognolo molto delicato.

                                                                                                   

                                                                                                  Radicchio di Chioggia IGP

                                                                                                  Il Radicchio di Chioggia IGP ha ottenuto il riconoscimento IGP con Regolamento CE n 1025 nel 2008 (GUCE L. 277 del 18/10/2008), può essere precoce o tardivo e, per la tipologia tardivo, la zona di produzione comprende alcuni comuni nell’ambito delle provincie di Venezia, Padova e Rovigo. Si consuma soprattutto crudo.

                                                                                                   

                                                                                                  Proprietà nutrizionali del radicchio rosso

                                                                                                  tabella con i valori nutrizionali del radicchio rosso

                                                                                                  Radicchio rosso valori nutrizionali

                                                                                                  Il radicchio rosso dal punto di vista nutrizionale è ricco di acqua e povero di calorie e quello che spicca è il suo contenuto in fibra, in particolare in inulina.

                                                                                                  L’inulina è fondamentale soprattutto per il nostro microbiota intestinale, in quanto è in grado di selezionare i batteri positivi a discapito di quelli negativi.

                                                                                                   

                                                                                                  Per quanto riguarda i micronutrienti, quella sicuramente più presente presente è la vitamina C, che ha un ruolo importante nei processi antiossidanti, aiuta le difese immunitarie e interviene nei processi di sintesi del collagene. È presente inoltre la vitamina K, fondamentale coagulazione del sangue.

                                                                                                   

                                                                                                  Radicchio rosso benefici

                                                                                                  Il radicchio rosso è inoltre ricco di antocianine, che ne caratterizzano anche il colore, composti fenolici in grado di proteggere il cuore e che, in base a recenti studi di laboratorio, sembrerebbero avere effetti sulla longevità.

                                                                                                   

                                                                                                  Il sapore amaro tipico del radicchio rosso è dovuto ad una molecola, l’acido cicorico, un derivato della caffeina. L’acido cicorico, presente anche nella cicoria, sembrerebbe avere effetti antimicrobici ed antinfiammatori.

                                                                                                  Inoltre, in base ad una sperimentazione americana, la radice di radicchio comporta un potenziale miglioramento nel trattamento dei sintomi da artrite, riducendo la sensazione di dolore e la rigidità.

                                                                                                   

                                                                                                  Il radicchio è quindi adatto da consumare in regimi di restrizioni caloriche, in quanto è ipocalorico e apporta un senso di sazietà grazie alla presenza di fibre.

                                                                                                   

                                                                                                  Questa verdura è particolarmente indicata per mineralizzare il corpo, in quanto è ricca di potassio, fosforo, sodio, calcio e magnesio. Alcuni dei sali minerali citati hanno un ruolo protettivo per la salute delle ossa (come il calcio) e nel regolare la pressione arteriosa (come il potassio).

                                                                                                   

                                                                                                  La porzione di consumo standard consigliata è 200 grammi di radicchio crudo o cotto.

                                                                                                   

                                                                                                  Produzione e Tecnologia del radicchio rosso

                                                                                                  Coltivazione del radicchio rosso

                                                                                                  Il radicchio viene seminato solitamente in giugno-luglio, a strisce o a righe e richiede terreni fertili, freschi e profondi, moderatamente compatti.

                                                                                                   

                                                                                                  Le cure colturali richieste dal radicchio comprendono: diradamento (se la semina è stata fatta sul posto), sarchiatura (ossia la periodica pulizia dalle erbe infestanti), scerbature ripetute, irrigazioni e concimazioni azotate ripetute.

                                                                                                   

                                                                                                  La tecnica dell’imbianchimento

                                                                                                  Un’operazione importante è anche quella dell’imbianchimento, tecnica che sottrae alle piante la luce e che serve a migliorare sia la qualità del cespo, che diventa più tenero e di sapore delicato in quanto avviene un rallentamento della produzione di clorofilla, sia il suo aspetto estetico, facendo sviluppare le foglie del cespo utilizzando le sostanze di riserva accumulate nelle radici.

                                                                                                  L’imbianchimento si esegue attraverso la legatura delle foglie esterne, usando un elastico o un laccio leggero, 15-20 giorni prima della prevista raccolta. Quest’operazione può avvenire anche post raccolta in cumuli o su sabbia; in questo caso il radicchio viene collocato all’aperto ricoperto con un telo di nylon opaco o con la paglia e lasciato quasi al buio per una ventina di giorni.

                                                                                                   

                                                                                                  Produzione del radicchio rosso

                                                                                                  La raccolta del radicchio può avvenire in autunno-inverno quando il cespo si presenta ben chiuso. Per raccoglierlo si scalza la pianta dal terreno avvalendosi di un forcone o una vanga.

                                                                                                  Dopo la raccolta vengono tolte le foglie intorno al cespo e viene pulita la radice principale accorciandola a circa 4 cm.

                                                                                                   

                                                                                                  Il prodotto viene così immesso sul mercato o destinato alla frigo-conservazione per un periodo di tempo abbastanza breve.

                                                                                                   

                                                                                                  Le piante non destinate al consumo subiscono la pratica della forzatura, che consiste nel disporre le piantine, complete di radice, in ambiente caldo-umido in modo da favorire l’emissione di nuove foglie (all’incirca dopo 10-15 giorni).

                                                                                                   

                                                                                                  Stagionalità del radicchio rosso

                                                                                                  Il radicchio rosso precoce è disponibile nei nostri mercati da settembre (la raccolta si effettua a fine estate). La raccolta del radicchio tardivo, invece, inizia verso la metà di novembre.

                                                                                                   

                                                                                                  Preparazione e Conservazione del radicchio rosso

                                                                                                  Al fine di mantenere inalterata la concentrazione dei suoi nutrienti, vi consigliamo di consumarlo crudo, durante la stagione invernale ed entro tre giorni dall’acquisto, conservandolo in frigorifero.

                                                                                                   

                                                                                                  In caso di cottura, vi consigliamo di non superare gli 8 minuti e di cuocerlo a bassa temperatura.

                                                                                                   

                                                                                                  Le proposte di ricetta di FBO con il radicchio rosso

                                                                                                    • D’evoli L. et al. (2013) “Red chicory (Cichorium intybus L. cultivar) as a potential source of antioxidant anthocyanins for intestinal health”, Oxidative Medicine and Cellular Longevity, 2013:704310.
                                                                                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                    • Olsen J.N., Branch V.K., Jonnala G., Seskar M., Cooper M. (2010) “Phase 1, placebo-controlled, dose escalation trial of chicory root extract in patients with osteoarthritis of the hip or knee”, BMC Musculoskeletal Disorders, 2010;11:156.
                                                                                                    • www.agraria.org
                                                                                                    • www.bda-ieo.it
                                                                                                    • www.coltivazionebiologica.it
                                                                                                    • www.humanitas.it
                                                                                                    • www.radicchioditreviso.it

                                                                                                    Clementine o Mandaranci

                                                                                                     

                                                                                                    clementine o mandaranci

                                                                                                    Famiglia: Rutaceae

                                                                                                    Genere: Citrus

                                                                                                    Specie: Citrus clementina

                                                                                                     

                                                                                                    Storia delle clementine o mandaranci

                                                                                                    La clementina è un agrume appartenente al gruppo degli ibridi ottenuti dall’incrocio tra mandarini e arance amare e, per questo motivo, è anche comunemente conosciuta con il nome di mandarancio.

                                                                                                     

                                                                                                    In commercio si trovano anche clementine derivanti da altri incroci.

                                                                                                     

                                                                                                    Le clementine primo sole nascono dall’incrocio tra Miyagawa (mandarino di origine cinese) ed il mandarino; presentano una polpa di colore arancione priva di semi e un sapore dolce. Vengono consumate fresche, o destinate alla produzione di succhi, marmellate e gelati.

                                                                                                     

                                                                                                    La clementina nova è un incrocio tra il tangelo orlando e la clementina comune. Si presentano con una forma oblata e schiacciata ai poli, un colore arancio intenso, di calibro medio grosso, priva di semi e molto profumata.

                                                                                                     

                                                                                                    Tipologie di clementine

                                                                                                    Le varietà più note di clementine sono la Monreal, Di Nules, Oroval e Tardivo.

                                                                                                     

                                                                                                    Le “Clementine di Calabria IGP” ottengono l’indicazione geografica protetta (IGP) nel 1997 e nel 2002 i produttori istituiscono il relativo Consorzio di tutela, riconosciuto con Decreto Ministeriale n° 64379 del 9 giugno 2006, pubblicato sulla GU N. 147 del 27/06/2006.

                                                                                                    Il disciplinare per le zone di produzione è molto rigido e comprende: la Piana di Sibari e Corigliano, nel cosentino, la Piana di Lamezia nel catanzarese, la Piana di Gioia Tauro-Rosarno e la Locride nel reggino, e in particolare i comuni di Cassano Jonio, Castrovillari, Corigliano Calabro, Crosia, Francavilla Marittima, San Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese, Terranova da Sibari, Trebisacce, Vaccarizzo Albanese, Rossano, Saracena, Cariati, Calopezzati, S. Demetrio Corona, San Giorgio Albanese.

                                                                                                    Le “Clementine di Calabria” nel momento dell’immissione al commercio devono avere le seguenti caratteristiche: colore arancio scuro, forma sferoidale leggermente schiacciata ai poli con calibro del diametro minimo di 16-18 mm, polpa succosa, di colore arancione uniforme, deliquescente, aromatica, semi assenti o in numero esiguo e tenore zuccherino (Brix) minimo 10.

                                                                                                     

                                                                                                    Le “Clementine del Golfo di Taranto IGP” vengono prodotte nei comuni di Palagiano, Massafra, Ginosa, Castellaneta, Palagianello, Taranto e Statte. Presentano una forma sferoidale, leggermente schiacciata ai poli ed una buccia liscia o leggermente rugosa, di colore arancio con un massimo del 30% di colorazione verde e con calibro minimo di 6 mm. L’aroma è intenso e persistente. Sono apirene, con una tolleranza pari ad un massimo del 5% di frutti contenenti non più tre semi.

                                                                                                     

                                                                                                    Proprietà nutrizionali delle clementine o mandaranci

                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali delle clementine

                                                                                                    Valori nutrizionali delle clementine

                                                                                                    Le clementine o mandaranci il più delle volte vengono confusi con i mandarini ed anche a livello nutrizionale risultano molto simili.

                                                                                                     

                                                                                                    Sono composti principalmente da acqua, carboidrati semplici, fibra, vitamine e minerali.

                                                                                                    Tra le vitamine, così come nei mandarini, i folati, la vitamina A e la vitamina C o acido ascorbico, sono i più presenti, mentre per quanto riguarda i minerali, le clementine presentano una buona concentrazione di potassio e calcio.

                                                                                                     

                                                                                                    Benefici delle clementine

                                                                                                    Consumare gli agrumi nel periodo invernale aiuta ad innalzare le difese immunitarie e ad evitare le tipiche influenze di stagione. Inoltre la vitamina C è fondamentale anche per la sintesi di collagene, proteina presente nella pelle.

                                                                                                     

                                                                                                    Vi ricondiamo, inoltre, che la vitamina C è tra i principali antiossidanti presenti in natura, quindi sarà buona abitudine riservarle sempre uno spazio all’interno della giornata alimentare.

                                                                                                     

                                                                                                    La porzione consigliata è di 150 grammi, che corrisponde a circa 2-3 clementine.

                                                                                                     

                                                                                                    Una porzione di clementine contiene 81 mg di vitamina C, ricoprendo così quasi la dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per le donne, facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                    Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina C per la popolazione adulta è di 105 mg per gli uomini e 85 mg per le donne.

                                                                                                     

                                                                                                    Produzione e Tecnologia delle clementine o mandaranci

                                                                                                    Caratteri botanici delle clementine

                                                                                                    L’albero della clementina è molto simile a quello del mandarino, anche se presenta foglie più grandi, fiori singoli o riuniti in piccole infiorescenze molto profumati, e frutti con colore della polpa più aranciato, dalla forma rotonda, polpa dolce, ricca di succo.

                                                                                                     

                                                                                                    A differenza del mandarino, gli spicchi della clementina sono quasi completamente privi di semi (varietà apirene) e i pochi semi presenti sono piccoli e appuntiti.

                                                                                                     

                                                                                                    Le clementine maturano in autunno e i frutti sono disponibili fino a febbraio; presentano una maturazione più precoce rispetto ai mandarini e sono più resistenti al freddo.

                                                                                                     

                                                                                                    Produzione delle clementine

                                                                                                    La raccolta avviene una volta l’anno e devono essere colte allo stadio di maturazione desiderato.

                                                                                                     

                                                                                                    La raccolta viene effettuata con l’ausilio di apposite forbici, per non privarle della rosetta, vengono poi poste in cassette di plastica del contenuto medio di 20-22 kg e trasferite ai magazzini di lavorazione e/o conservazione.

                                                                                                     

                                                                                                    Una volta che il prodotto è arrivato al magazzino, questo subisce una lavorazione che consiste in: lavaggio, trattamento anticrittogamico, ceratura, selezione, calibratura e confezione.

                                                                                                    Un’operazione tipica per le clementine è la deverdizzazione, che scaturisce dal fatto che i frutti, pur commercialmente maturi, non hanno perso completamente il colore verde della buccia.

                                                                                                     

                                                                                                    Le clementine vengono consumate fresche o utilizzate per la preparazione di sciroppi, succhi, marmellate e in molte ricette di pasticceria.

                                                                                                     

                                                                                                    Commercializzazione Clementine IGP

                                                                                                    La commercializzazione della “Clementine di Calabria” deve essere effettuata utilizzando confezioni di capacità minima pari a 0,5 kg e multipli e tutti i contenitori devono essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo.

                                                                                                    Sui contenitori devono essere presenti le diciture “Clementine di Calabria” seguita da “Indicazione Geografica Protetta” o “I.G.P.”.

                                                                                                    Nel medesimo campo visivo deve comparire nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore nonché il peso lordo all’origine.

                                                                                                    Deve inoltre figurare la dizione “prodotto in Italia” per le partite destinate alla esportazione.

                                                                                                     

                                                                                                    Le “Clementine del Golfo di Taranto” devono essere immesse al consumo in confezioni sigillate del peso massimo di 3 Kg. o in confezioni non sigillate, superiori a 3 Kg. fino al massimo di Kg.25.

                                                                                                    Sulle confezioni dovrà essere riportata la scritta “Clementine del Golfo di Taranto” in caratteri almeno doppi rispetto a tutte le altre indicazioni seguita da “Indicazione Geografica Protetta”.

                                                                                                     

                                                                                                    Devono sempre comparire i dati identificativi dell’imballatore (nome, ragione sociale ed indirizzo) e dell’origine del prodotto.

                                                                                                    Il marchio INE deve essere riportato sulle produzioni destinate ai Paesi terzi.

                                                                                                    È vietato utilizzare aggettivi che esaltino le caratteristiche commerciali ed esprimano ulteriori valutazioni commerciali.

                                                                                                     

                                                                                                    Stagionalità delle clementine o mandaranci

                                                                                                    Le clementine si trovano sul mercato da novembre a febbraio.

                                                                                                     

                                                                                                    Preparazione e Conservazione delle clementine

                                                                                                    Al momento dell’acquisto, ovvero nella stagione invernale, vi consigliamo di scegliere frutti dalla buccia liscia e dal colore arancio scuro che racchiudono una polpa succosa ed aromatica.

                                                                                                     

                                                                                                    Le clementine possono essere conservate a temperatura ambiente per circa 2 settimane se posizionate in un luogo fresco ed asciutto al riparo da troppa luce solare diretta, mentre in frigorifero possono arrivare anche fino a 3 settimane.

                                                                                                    Come tutti gli agrumi, non dovrebbero essere conservate nella plastica, in quanto così facendo il frutto, sudando, si potrebbe rovinare molto più velocemente.

                                                                                                    Melograno

                                                                                                     

                                                                                                    melograno o melagrana

                                                                                                    Famiglia: Punicaceae

                                                                                                    Genere: Punica

                                                                                                    Specie: Punica granatum

                                                                                                     

                                                                                                    Cos’è il melograno o melagrana

                                                                                                    Il melograno o melagrana è una specie originaria dell’Asia Occidentale che attualmente viene coltivata a scopo commerciale in vaste regioni dell’India, in Iran, nel Caucaso, in America e nell’area mediterranea.

                                                                                                     

                                                                                                    Il termine melograno o melagarana deriva dal latino malum (mela) e granatum (con semi), quindi mela con semi.

                                                                                                     

                                                                                                    Il melograno può essere classificato in base all’acidità dei suoi frutti come acido, agro-dolce o dolce.

                                                                                                    Alcune cultivar producono semi duri, tanto da rendere i frutti non eduli, e solo alcune varietà possiedono semi soffici e quindi interessanti a livello commerciale.

                                                                                                     

                                                                                                    Varietà di melograno

                                                                                                    In Italia esistono diverse cultivar: Dente di Cavallo, Neirana, Profeta Partanna, Selinunte, Ragana e Racalmuto, tutte agro-dolci o dolci, adatte per il consumo fresco.

                                                                                                     

                                                                                                    Oggi la varietà di melograno più conosciuta è la Wonderful.

                                                                                                    Di origine americana, è stata selezionata in Israele e da alcuni anni si sta diffondendo anche in Sicilia, in particolare nella zona di Marsala e Mazara del Vallo (TP).

                                                                                                    Possiede ottime caratteristiche organolettiche: di colore rosso rubino intenso con chicchi poco lignificati dal sapore delicatamente agrodolce e facili da sgranare. Presenta una buccia di spessore elevato che permette una migliore conservazione del prodotto, consentendo un’uscita sul mercato più costante e modulabile nel tempo.

                                                                                                     

                                                                                                    Proprietà nutrizionali del melograno o melagrana

                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali del melograno o melagrana

                                                                                                    Valori nutrizionali del melograno

                                                                                                    Il melograno o melagrana è composto da una parte edibile ed una non edibile.

                                                                                                    La parte edibile è composta da una quota significativa di zuccheri semplici ed acqua, ma a differenza di quanto ritenuto da molti, contiene anche una buona percentuale di fibra, presente soprattutto nel seme, in grado di rallentare l’assorbimento del glucosio.

                                                                                                     

                                                                                                    Nel caso in cui invece si consumi il succo di melagrana, dove la fibra è del tutto assente, il picco glicemico sarà conseguentemente più alto, per questo sarebbe meglio evitare l’aggiunta ulteriore di zuccheri.

                                                                                                    Il melograno, inoltre, presenta un buon contenuto di potassio, tra le vitamine sono presenti i folati, vitamina K e vitamina C.

                                                                                                     

                                                                                                    Benefici del melograno

                                                                                                    Il melograno porta benefici a livello intestinale e digestivo grazie alla presenza di fibre che contiene.

                                                                                                    Questo, però, non è l’unico beneficio che apporta. Il melograno infatti ha effetti positivi a livello cardiovascolare controllando i livelli di colesterolo e di zuccheri nel sangue, ha effetti positivi sulle difese immunitarie e sembra abbia un’azione antitumorale nei confronti della prostata e linfomi.

                                                                                                     

                                                                                                    Già osservando la colorazione del frutto è possibile riconoscere il colore rosso delle antocianine dei chicchi, composti fenolici in grado di proteggere il cuore, agendo nei confronti di diversi fattori di rischio cardiovascolari, tra cui il profilo lipidico e l’elasticità dei vasi sanguigni.

                                                                                                     

                                                                                                    Oltre alle antocianine, il melograno presenta anche una buona concentrazione di ellagitannini, molecole che possono trasformarsi nell’intestino in acido ellagico, sostanza che presenta capacità antinfiammatorie ed antiossidanti.

                                                                                                    Il nostro microbiota è in grado di trasformare l’acido ellagico in urolitine, molecole che secondo recenti studi di laboratorio avrebbero azioni antitumorali ed antimicrobiche.

                                                                                                     

                                                                                                    La porzione di consumo giornaliera consigliata è 150 grammi di melograno.

                                                                                                     

                                                                                                    Interazioni del melograno

                                                                                                    Il melograno può interferire con l’azione di diversi farmaci tra cui la carbamazepina (antiepilettico), i farmaci metabolizzati dai citocromi P450 2C9, 2D6 e 3A4, i farmaci antipertensivi, gli ACE inibitori, la rosuvastatina, il tolbutamide e il warfarin.

                                                                                                    I soggetti che devono subire interventi nell’arco di un paio di settimane sarebbe meglio che non consumassero il melograno.

                                                                                                     

                                                                                                    Produzione e Tecnologia del melograno o melagrana

                                                                                                    Caratteri botanici del melograno

                                                                                                    Il melograno è una pianta arbustiva con una forte tendenza a produrre polloni radicali soprattutto nei primi anni di vita e che può raggiungere i 3-6 metri di altezza.

                                                                                                     

                                                                                                    Presenta il tronco ricoperto da una corteccia rosso-grigia.

                                                                                                    Le foglie sono lunghe 6-8 cm., decidue, opposte e riunite in verticilli, con lamina lucida, a margine intero e di forma oblunga.

                                                                                                    I fiori sono tubulosi, lunghi 3-5 cm., presenti da maggio a luglio, con calice di colore rosso e di consistenza coriacea persistente dal quale, fuso con l’ovario, si origina il frutto.

                                                                                                     

                                                                                                    Il frutto è una bacca carnosa robusta, denominata “balausta”, con buccia spessa, con varie cavità polispermali separate da membrane. La polpa è suddivisa in 7-15 loculi, contenenti i semi detti anche arilli di colore rosso, succulenti e dal sapore acidulo, avvolti da una polpa gialla. Il frutto maturo è di colore giallo-verde, con aree rossastre che occasionalmente occupano l’intera superficie del frutto.

                                                                                                    La maturazione dei frutti avviene in autunno, in particolare dalla prima decade di ottobre.

                                                                                                    Oltre che per il consumo fresco, gli arilli del melograno vengono utilizzati per la preparazione di succhi, sciroppi e granatina.

                                                                                                     

                                                                                                    Stagionalità del melograno

                                                                                                    Il frutto del melograno è reperibile sul mercato nel periodo autunnale.

                                                                                                     

                                                                                                    Preparazione e Conservazione del melograno o melagrana

                                                                                                    Le melagrane sono frutti autunnali e in quanto tali dovrebbero essere consumati solamente in questa stagione. Durante la scelta, dovrebbero essere preferiti i frutti più pesanti, ovvero contenenti più succo.

                                                                                                     

                                                                                                    La rimozione dei semi è possibile tagliando la melagrana in 4 parti, visto che la buccia rimane molto dura e i suoi semi sono ulteriormente incastonati e protetti. Per facilitare il tutto vi consigliamo di sgranare la melagrana in una zuppiera d’acqua visto che i semi risultano più pesanti della membrana che li circonda e cadranno sul fondo della zuppiera (la membrana al contrario rimarrà in superficie).

                                                                                                     

                                                                                                    Per conservare i frutti integri più a lungo vi consigliamo di tenerli in frigorifero, mentre se volete conservare solo i semi, una volta estratti dalla melagrana, sarà opportuno, anche in questo caso, refrigerarli, ponendoli o in un contenitore ermetico o in un sacchetto di plastica per alimenti dotato di chiusura zip, ma dovrete comunque consumarli entro 5 giorni.

                                                                                                    In caso non voleste mangiarli entro pochi giorni potete anche congelarli, ma assicuratevi che siano comunque ben asciutti prima di riporli in un sacchetto per alimenti. In questo caso si manterranno fino a 12 mesi.

                                                                                                     

                                                                                                    Le proposte di ricette di FBO con il melograno

                                                                                                      • Espin J.C. et al (2013) “Biological Significance of Urolithins, the Gut Microbial Ellagic Acid-Derived Metabolites: The Evidence So Far”, Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine; 2013: 270418.
                                                                                                      • Ismail T. et al (2016) “Ellagitannins in Cancer Chemoprevention and Therapy”, Toxins (Basel);8(5):151.
                                                                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                      • www.agraria.org
                                                                                                      • www.bda-ieo.it
                                                                                                      • www.humanitas.it
                                                                                                      • www.melarossa.it

                                                                                                      Mandarini

                                                                                                       

                                                                                                      mandarini benefici

                                                                                                      Famiglia: Rutaceae

                                                                                                      Genere: Citrus

                                                                                                      Specie: Citrus nobilis

                                                                                                       

                                                                                                      Storia dei mandarini

                                                                                                      Il mandarino è un agrume ed è il frutto invernale della pianta Citrus nobilis – Citrus deliciosa. Di origini cinesi, è stato portato in Europa all’inizio dell’Ottocento.

                                                                                                       

                                                                                                      Sembra sia un ibrido tra Citrus reticulata (mandarancio) e Citrus sinensis (arancio dolce), infatti si presenta molto simile all’arancia ma più piccolo e dolce.

                                                                                                       

                                                                                                      In Italia è molto diffusa la varietà “Avana”, da cui sono state ottenute numerose selezioni come l’Avana apirena e il Tardivo di Ciaculli.

                                                                                                       

                                                                                                      In commercio si possono trovare anche frutti ibridi, ottenuti dall’incrocio tra il mandarino e altri alberi da frutto; alcuni esempi sono la clementina (Citrus clementina), agrume ricavato dall’incrocio tra il mandarino e l’arancio amaro, e il mapo, ottenuto dall’ibridazione del mandarino con il pompelmo.

                                                                                                       

                                                                                                      Proprietà nutrizionali dei mandarini

                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali dei mandarini

                                                                                                      Mandarini valori nutrizionali

                                                                                                      I mandarini, come tutta la frutta fresca, sono ricchi in acqua, carboidrati semplici, fibra, vitamine e minerali.

                                                                                                      Tra quest’ultimi il più presente è sicuramente il potassio, mente per quanto riguarda le vitamine, sicuramente la vitamina C, o acido ascorbico, è la più rappresentata.

                                                                                                       

                                                                                                      I mandarini presentano anche un buon contenuto di vitamina A, sotto forma del suo principale precursore, il beta-carotene.

                                                                                                       

                                                                                                      Mandarini benefici

                                                                                                      I mandarini, grazie alla quantità di fibre che contengono, favoriscono il corretto funzionamento dell’intestino. Purtroppo però hanno meno fibre rispetto ad altri frutti.

                                                                                                       

                                                                                                      Questi frutti ha anche caratteristiche antiossidanti, per la precisione contengono vitamina C che è uno dei più potenti antiossidanti. La vitamina C è in grado di rafforzare il sistema immunitario nelle stagioni fredde ed è fondamentale per la sintesi del collagene, proteina principale del tessuto connettivo, ovvero di pelle, vasi sanguigni, muscoli e ossa.

                                                                                                      Il consumo di questo agrume risulta infatti utile in caso di carenza di vitamina C.

                                                                                                       

                                                                                                      Recenti studi suggeriscono che il mandarino possa aiutare a prevenire il tumore al fegato.

                                                                                                       

                                                                                                      La porzione giornaliera standard è 150 grammi che corrisponde a due frutti freschi.

                                                                                                       

                                                                                                      Produzione e Tecnologia dei mandarini

                                                                                                      Caratteri botanici della pianta dei mandarini

                                                                                                      Il mandarino è una pianta robusta con chioma espansa che può raggiungere fino a 4,5 m di altezza.

                                                                                                      Le foglie, da ovato-oblunghe a ovato-lanceolate, hanno picciolo con alette sottili. I fiori sono piccoli, bianchi, profumati e singoli.

                                                                                                      I frutti sono di taglia media, globosi e depressi ai poli chiamati anche “esperidi”, con buccia sottile non aderente alla polpa. Quest’ultima è color arancio, aromatica e succosa e ricca di semi, anche se sono state selezionate varietà apirene, ovvero prive di semi.

                                                                                                      Sotto la buccia si trova l’albedo, la parte bianca spugnosa e amara.

                                                                                                       

                                                                                                      Coltivazione dei mandarini

                                                                                                      La raccolta si effettua da dicembre a marzo, nel momento in cui i frutti hanno raggiunto un grado di maturazione sufficiente. Infatti, una volta staccati dall’albero, gli agrumi non completano la maturazione.

                                                                                                      I frutti vengono raccolti mediante l’ausilio di apposite forbici.

                                                                                                       

                                                                                                      Produzione dei mandarini

                                                                                                      Una volta arrivato al magazzino, il prodotto viene lavato, sottoposto al trattamento anticrittogamico, cerato, selezionato, calibrato e confezionato. I frutti vengono quindi conservati in atmosfera normale o controllata.

                                                                                                       

                                                                                                      Oltre che per il consumo fresco, i mandarini possono essere utilizzati nell’industria per ottenere prodotti quali essenze o oli essenziali, succhi, confetture e liquori.

                                                                                                       

                                                                                                      Stagionalità dei mandarini

                                                                                                      I mandarini sono presenti sul mercato da novembre a febbraio.

                                                                                                       

                                                                                                      Preparazione e Conservazione dei mandarini

                                                                                                      I mandarini si conservano a temperatura ambiente per circa 2 settimane se posizionati in un luogo fresco o asciutto e non ammassati gli uni sugli altri.

                                                                                                      In frigorifero invece, nello scomparto della frutta, si conservano per un periodo di tempo più lungo.

                                                                                                       

                                                                                                      Al momento dell’acquisto è bene optare per i frutti che appaiono maturi, sodi, con la buccia elastica ben aderente al frutto e dal colore brillante e uniforme.

                                                                                                       

                                                                                                      I mandarini per essere consumati devono prima essere sbucciati. Assumendo il frutto così, al naturale, non viene disperso il contenuto di vitamina C presente, che è termolabile.

                                                                                                       

                                                                                                      I mandarini trovano molte applicazioni in cucina: gli spicchi possono essere inseriti in insalate o in macedonie; si possono utilizzare per preparare spremute e centrifughe e anche le marmellate.

                                                                                                       

                                                                                                      Nella preparazione di marmellate si utilizza anche la buccia (flavedo), ripulita però dalla parte bianca ed amara chiamata albedo.

                                                                                                        • Grosso G., et al (2013) “Effects of Vitamin C on health: a review of evidence”, Review Frontier in Bioscience (Landmark Ed);18:1017-29.
                                                                                                        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                        • www.agraria.org
                                                                                                        • www.bda-ieo.it
                                                                                                        • www.humanitas.it

                                                                                                        Patate

                                                                                                         

                                                                                                        tipologie di patate

                                                                                                        Famiglia: Solanaceae

                                                                                                        Genere: Solanum

                                                                                                        Specie: Solanum tuberosum L.

                                                                                                         

                                                                                                        Storia delle patate

                                                                                                        La patata è il tubero di una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Solanaceae (Dicotiledoni) originaria delle regioni andine dell’America centro-meridionale e portata in Europa dagli spagnoli nel XVI secolo.

                                                                                                        La coltivazione delle patate è diffusa in tutto il mondo con una maggiore concentrazione in Europa, in particolare Polonia, Germania, Repubblica Ceca, Spagna e Francia.

                                                                                                        In alcuni paesi si raggiungono rese unitarie che sono tra le più elevate e, per molte popolazioni, rappresenta l’alimento base che sostituisce il pane.

                                                                                                         

                                                                                                        Le diverse cultivar e tipologie di patate

                                                                                                        Cultivar di patate

                                                                                                        Alcune cultivar di patata a maggior diffusione in Italia con le relative caratteristiche sono:

                                                                                                         

                                                                                                        • Bintje (ciclo semiprecoce; buona per tutti i tipi di cottura),
                                                                                                        • Désirée (ciclo semitardivo; pasta soda, resistente alla cottura),
                                                                                                        • Jaerla (ciclo medio-precoce; pasta gialla),
                                                                                                        • Kennebec (ciclo medio-tardivo; pasta bianchissima, di buon sapore, piuttosto farinosa),
                                                                                                        • Majestic (ciclo semi-tardivo; a buccia gialla e pasta bianca; ha buone caratteristiche culinarie; varietà di antica coltivazione in Italia),
                                                                                                        • Monalisa (ciclo medio-precoce; forma leggermente allungata, a buccia gialla e pasta gialla),
                                                                                                        • Primura (ciclo precoce; a buccia gialla e pasta gialla)
                                                                                                        • e Spunta (ciclo medio-precoce; tuberi lunghi, a buccia gialla e pasta gialla).

                                                                                                         

                                                                                                        Tipologie di patate

                                                                                                        Esistono diverse tipologie di patate.

                                                                                                        Possono essere a pasta bianca, molte ricche di amido con polpa farinosa che tende a sfaldarsi durante la cottura e per questo adatte alla preparazione di purè, gnocchi, crocchette e sformati.

                                                                                                        pasta gialla, compatte, sode e poco farinose, il colore e la consistenza sono dovuti alla presenza di caroteni e possono essere cotte in umido, al forno, fritte o lesse.

                                                                                                        Le patate rosse hanno la buccia rossa mentre la polpa è chiara, soda e compatta e rimane consistente anche dopo una lunga cottura e per questo sono adatte ad essere lessate, cotte al forno o in umido e fritte.

                                                                                                        Quelle novelle o primaticce, sono raccolte prima di arrivare a completa maturazione, hanno piccole dimensioni, sapore delicato, buccia sottile e si possono cuocere con la buccia, in forno, cotte a vapore e saltate in padella.

                                                                                                        Le patate violette hanno polpa interna viola e farinosa e sono dal sapore dolciastro; le patate turchesa o la patata del Gran Sasso hanno buccia viola, forma irregolare e la pasta candida, ideale cotta al vapore, fritta o cucinata arrosto.

                                                                                                        Infine le patate americane o dolci invece sono una specie diversa dalle patate comuni e hanno la polpa particolarmente dolce e delicata.

                                                                                                         

                                                                                                        Proprietà nutrizionali delle patate

                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali delle patate

                                                                                                        Patate valori nutrizionali

                                                                                                        Le patate, a differenza di quanto ritenuto da molti, non sono una verdura, ma un tubero amidaceo, il che le rende molto più simili alla classe dei cereali e derivati, per il loro elevato contenuto in amido pari al 18%.

                                                                                                         

                                                                                                        Altro aspetto da non sottovalutare è il loro indice glicemico, più alto di quello del pane e della pasta bianca che è possibile ridurre consumando la patata con la buccia contente fibra.

                                                                                                        A livello calorico una porzione di patate bollite fornisce all’incirca 170 kcal, arrosto 300 kcal e fritte 370 kcal.

                                                                                                         

                                                                                                        Tra i micronutrienti spiccano il potassio e, in caso la patata venga coltivata in zone dove il terreno è ricco di selenio, è possibile che anche il contenuto di questo minerale sia piuttosto elevato.

                                                                                                         

                                                                                                        Degna di nota è la concentrazione di vitamina A, antociani e carotenoidi della patata viola. Studi di laboratorio attribuiscono a questi fitocomposti importanti ruoli nel mantenimento dello stato di salute.

                                                                                                         

                                                                                                        Patate benefici

                                                                                                        Le patate promuovono la salute cardiovascolare grazie alla presenza del potassio, un sale minerale, e della quercitina, una molecola che contribuisce a controllare la pressione e la frequenza cardiaca.

                                                                                                        Migliorano inoltre il benessere intestinale perché controllano l’assorbimento degli zuccheri e del colesterolo apportando fibre all’organismo e consentendo di conseguenza un miglior funzionamento intestinale. Per la precisione ci sono circa 2,5 grammi di fibre in 100 grammi di patate.

                                                                                                         

                                                                                                        Tra le vitamine, spiccano le vitamine del gruppo B che sono utili per il buon funzionamento del metabolismo ed inoltre c’è una discreta quantità anche di vitamina C, che però essendo termolabile, si perde con la cottura.

                                                                                                         

                                                                                                        Il consumo delle patate con la buccia aumenta le proprietà antiossidanti di questo alimento, riducendo stati infiammatori, tumorali e infettivi.

                                                                                                        Il loro consumo è indicato anche per contrastare diarrea, gastrite, nausea e vomito.

                                                                                                         

                                                                                                        La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a 2 patate piccole.

                                                                                                         

                                                                                                        Una porzione di patate dolci contiene 1310 µg di vitamina A (come retinolo equivalenti), ricoprendo così il doppio della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                        Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina A (retinolo equivalenti) per la popolazione adulta è di 700 µg per gli uomini e 600 µg per le donne.

                                                                                                         

                                                                                                        Patate e interazioni

                                                                                                        Le patate non devono essere consumate in quantità eccessive perchè contengono solanina e caconina, due alcaloidi tossici che in parte vengono distrutti a temperature superiori di 170°C.

                                                                                                        I soggetti che assumono farmaci diuretici dovrebbero prestare attenzione al consumo di patate in quanto questo alimento potrebbe interferire con l’azione del farmaco.

                                                                                                         

                                                                                                        Produzione e Tecnologia delle patate

                                                                                                        Caratteri botanici della pianta di patate

                                                                                                        La Patata è una pianta a ciclo annuale provvista di radici fascicolate piuttosto superficiali, dotate di numerose diramazioni capillari.

                                                                                                        Dalla parte ipogea del fusto si dipartono gli stoloni i quali, ingrossando all’apice, danno luogo ad un tubero, la parte commestibile della pianta.

                                                                                                         

                                                                                                        La capacità di originare un diverso numero e lunghezza di stoloni varia in funzione della varietà e delle condizioni di ambiente.

                                                                                                        I tuberi possono differire per dimensione, forma, numero, colore, caratteristiche del tessuto tuberoso esterno, colore della polpa.

                                                                                                         

                                                                                                        Le foglie sono composte da 5, 7, 9 foglioline di varia dimensione e colore (verde da chiaro a intenso), più o meno bollose e a lamina più o meno aperta.

                                                                                                        Le parti verdi – compresi i tuberi quando permangono a lungo esposti alla luce – contengono solanina e caconina, alcaloidi velenosi.

                                                                                                         

                                                                                                        Alcune varietà di patata, indipendentemente dall’ambiente, non fioriscono; altre invece giungono ad emettere i bocci fiorali, che però cadono prima della fioritura; altre infine fioriscono regolarmente e portano a maturazione i frutti.

                                                                                                         

                                                                                                        Coltivazione delle patate

                                                                                                        Il ciclo delle piante che hanno avuto origine per via agamica dura normalmente 100-150 giorni; le piante invece che derivano da seme hanno un ciclo più lungo di 180-200 giorni.

                                                                                                        Dopo un periodo di riposo (50-60 giorni dalla maturazione), in condizioni adatte (temperatura superiore a 6-8°C), ha luogo la germinazione dei tuberi.

                                                                                                         

                                                                                                        Le fasi vegetative della pianta agli effetti della coltivazione sono: emergenza, accrescimento vegetativo, fioritura, accrescimento dei tuberi, maturazione dei tuberi.

                                                                                                        La raccolta può avvenire in epoca anticipata per i tuberi di pronto consumo e per quelli destinati alla propagazione. Per quelli di uso comune la escavazione si può ritardare.

                                                                                                         

                                                                                                        Con la patata si realizzano in Italia tre tipi di coltura: quella precoce o primaticcia (concentrata in particolare al Sud), quella comune (in particolare al Nord) e quella bisestile o di secondo raccolto, che occupa una limitata superficie.

                                                                                                        L’Italia è allo stesso tempo esportatrice (prodotto precoce) e importatrice (prodotto comune e tuberi da semina).

                                                                                                         

                                                                                                        La patata precoce si semina da dicembre a febbraio e si raccoglie da aprile a giugno; quella comune si attua da marzo ad agosto in pianura e da maggio a settembre in montagna.

                                                                                                        La coltura di secondo raccolto si esegue dopo una coltura principale a raccolta primaverile od estiva a ha un ciclo che va da agosto o settembre a novembre o dicembre.

                                                                                                         

                                                                                                        Tecniche di produzione delle patate

                                                                                                        Nella grande coltura la raccolta è meccanizzata, utilizzando semplici macchine escavatrici, le quali lasciano in file sul campo i tuberi, che vengono successivamente prelevati, oppure macchine escavatrici raccoglitrici.

                                                                                                         

                                                                                                        Le patate raccolte vengono immesse immediatamente sul mercato per consumo fresco solo nel caso delle produzioni fuori stagione (primaticce, bisestili) o precoce.

                                                                                                        Il grosso della produzione di stagione viene immesso sul mercato, sia del consumo fresco sia dell’industria, gradatamente per un periodo di tempo che può estendersi fino a 8-10 mesi.

                                                                                                         

                                                                                                        La buona conservazione dipende dalle condizioni del locale di immagazzinamento. La temperatura di conservazione ottimale è di 5-6°C. Temperature inferiori hanno l’effetto di produrre un’accumulazione eccessiva di zuccheri solubili (fruttosio, glucosio), responsabili dell’“addolcimento” dei tuberi.

                                                                                                        Le patate destinate al consumo possono subire un trattamento con prodotti antigermogliazione (a base di CICP) quando la conservazione si debba prolungare oltre 2-3 mesi con temperature di 6°C o più.

                                                                                                         

                                                                                                        I magazzini di conservazione devono essere ben ventilati in modo da permettere l’essiccazione dei tuberi appena introdotti, favorire la cicatrizzazione delle ferite ricevute alla raccolta, impedire la condensazione d’acqua sulla loro superficie.

                                                                                                         

                                                                                                        L’eccessiva intensità luminosa può inverdire gli stati corticali. Tale inverdimento è un inconveniente grave per i tuberi da mensa (sapore amaro, presenza di solanina e caconina), ma può risultare utile per tuberi da semina.

                                                                                                         

                                                                                                        Stagionalità delle patate

                                                                                                        Le patate sono reperibili sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                         

                                                                                                        Preparazione e Conservazione delle patate

                                                                                                        Le patate, come detto precedentemente, presentano un indice glicemico piuttosto elevato che però potrebbe essere controllato tramite la cottura. Quest’ultima rende l’amido digeribile, mentre il raffreddamento favorisce il rallentamento dell’assorbimento di glucosio, per questo la maniera ideale per utilizzarle sarebbe quella di raffreddarle.

                                                                                                        Nel caso in cui invece si decida di consumare la patata con la buccia, sarà opportuno lavarla bene per eliminare i residui del terreno. La buccia deve presentarsi priva di increspature, liscia, senza germogli e di colore uniforme.

                                                                                                         

                                                                                                        Si consiglia di cucinare le patate subito dopo averle pulite per evitare che si ossidino all’aria diventando marroni; se non si riesce a cuocerle subito sarebbe opportuno immergerle in acqua fredda con limone e aceto per evitare l’ossidazione.

                                                                                                         

                                                                                                        Il metodo di cottura da preferire è quello al vapore, poiché con la bollitura si ha la perdita di sostanze benefiche come vitamine e minerali.

                                                                                                         

                                                                                                        Le patate devono essere conservate in un luogo fresco e asciutto, al riparo dalla luce.

                                                                                                         

                                                                                                        Le proposte di ricetta di FBO con le patate

                                                                                                          • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                          • Nayak B., Berrios J., Tang J. (2014) “Impact of food processing on the glycemic index (GI) of potato products”, Food Research International, Volume 56, Pages 35-46.
                                                                                                          • Tian J., Chen J., Ye X., Chen S. (2016) “Health benefits of the potato affected by domestic cooking: A review”, Food Chemistry;202:165-75.
                                                                                                          • www.agraria.org
                                                                                                          • www.bda-ieo.it
                                                                                                          • www.humanitas.it
                                                                                                          • www.ilgiornaledelcibo.it

                                                                                                           

                                                                                                          Taleggio DOP

                                                                                                           

                                                                                                          taleggio dop

                                                                                                           

                                                                                                          Storia e caratteristiche del Taleggio DOP

                                                                                                          Il Taleggio è un formaggio con una stagionatura minima di 35 giorni, a pasta molle e presenta una crosta lavata, sottile, di consistenza morbida e di colore rosato naturale.

                                                                                                           

                                                                                                          Le sue origini sono antichissime, anteriori al X secolo.
                                                                                                          Inizialmente il termine più utilizzato era quello di “cacio lombardo”, a cui poi si affiancò quello di “stracchino”. Con il termine “stracchino” infatti, in Lombardia, si intendeva ogni formaggio a pasta molle, del peso di circa due kg.

                                                                                                           

                                                                                                          “Taleggio” non è altro che l’abbreviazione novecentesca di “stracchino” prodotto nelle valli Bergamasche, in particolare in Val Taleggio e nella vicina Valsassina.

                                                                                                           

                                                                                                          Ogni forma di Taleggio pesa da 1,7 a 2,2 kg e su una faccia piana della forma di Taleggio è riportato il marchio a quattro cerchi, che deve risultare ben visibile anche qualora il Taleggio sia venduto porzionato in quarti di forma o in altre pezzature. Questo marchio è la garanzia che la forma è stata prodotta in piena conformità con gli standard previsti.

                                                                                                           

                                                                                                          Il Taleggio infatti, è uno dei formaggi italiani le cui caratteristiche peculiari sono tutelate dall’Unione Europea (Regolamento CE 1107/96). A riprova della sua tradizionalità è stato riconosciuto formaggio a Denominazione di Origine (D.O.) con D.P.R. 15.9.1988 e formaggio a Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) con Regolamento CE 1107/96.

                                                                                                          Il Taleggio, deve essere prodotto, stagionato e porzionato in Lombardia, nelle province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Pavia, Monza della Brianza; in Piemonte nella provincia di Novara e Verbano Cusio Ossola e in Veneto, nella provincia di Treviso.

                                                                                                           

                                                                                                          Nel 2019 la produzione di Taleggio si è attestata sulle 8.805 tonnellate.

                                                                                                          Costituitosi nel 1979, il Consorzio Tutela Taleggio esprime la massima rappresentatività della filiera. Tra le attività più importanti che il Consorzio pone in atto a favore del formaggio Taleggio sono da citare la tutela, la valorizzazione, la promozione e la vigilanza; quest’ultima si esprime su tutta la produzione disponibile sul mercato, sia in Italia che all’estero.

                                                                                                           

                                                                                                          Proprietà nutrizionali del Taleggio DOP

                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali del taleggio DOP

                                                                                                          Valori nutrizionali del Taleggio DOP

                                                                                                          La composizione dei grassi presenti è equilibrata. Il rapporto tra la quantità di calcio e quella di fosforo contenuta nel Taleggio è pari a 1,32; ciò consente un eccellente assorbimento di calcio a livello intestinale e la fissazione dei sali nelle ossa. Tale rapporto, infatti, deve essere compreso fra 0,5 e 2.

                                                                                                           

                                                                                                          Si tratta di un alimento naturale: nessun additivo può essere impiegato sia durante la sua produzione che durante la sua stagionatura.

                                                                                                           

                                                                                                          Il Taleggio infine è un alimento energetico, ricco di proteine, sali minerali e vitamine A e B2.

                                                                                                           

                                                                                                          Benefici del Taleggio

                                                                                                          Il Taleggio è fonte di proteine, calcio e fosforo, vitamina A e B2. Il calcio e il fosforo mantengono in salute le ossa, la vitamina A è utilizzata nei processi della visione e la vitamina B2 è utilizzata per molte reazioni metaboliche dell’organismo.

                                                                                                          Questo formaggio inoltre è caratterizzato da buona digeribilità che aumenta con l’aumentare della stagionatura.

                                                                                                           

                                                                                                          La porzione standard consigliata è 50 grammi.

                                                                                                           

                                                                                                          Produzione e Tecnologia del Taleggio

                                                                                                          Specifiche di produzione del Taleggio DOP

                                                                                                          La produzione di Taleggio, che inizialmente era di tipo stagionale, avviene oggi nell’intero arco dell’anno, e non solo in montagna dove questo formaggio è nato, ma anche in numerose strutture artigianali o in caseifici di pianura.

                                                                                                          In quanto formaggio D.O.P. può essere prodotto solo in alcune zone specificate, impiegando il latte che deve provenire esclusivamente da stalle ubicate nelle medesime zone ed inserite in apposito sistema di controllo.

                                                                                                          Le fasi di produzione del Taleggio DOP

                                                                                                          La lavorazione prevede che il latte, crudo o pastorizzato, venga inoculato con fermenti lattici e addizionato con caglio di vitello o vitellone anche in parte non proporzionali; non è ammesso l’uso di caglio ottenuto da microrganismi geneticamente modificati.

                                                                                                          Si effettuano più tagli della cagliata. Il primo taglio è seguito da una sosta, ovvero il tempo che intercorre tra l’inizio della coagulazione e la rottura della cagliata, in modo che il coagulo, iniziando la fase di spurgo, acquisti maggiore consistenza; con i successivi tagli si ottengono glomeruli caseosi della grandezza di una nocciola.

                                                                                                          Dopo la rottura la cagliata viene distribuita negli stampi e durante la fase di formatura avviene la marchiatura di origine su una faccia piana.

                                                                                                          Segue la stufatura, che può durare da un minimo di 8 ore ad un massimo di 16, in cui la temperatura è mantenuta tra 22 e 25°C circa e l’umidità è circa il 90%; durante questa fase avviene l’acidificazione della pasta e la cagliata si struttura a formaggio.

                                                                                                          Infine si esegue la salatura, che può avvenire a secco, cospargendo la superficie con del sale grosso, o in salamoia, immergendo la forma di formaggio in una soluzione satura di sale per 8-12 ore a 10°C.

                                                                                                          La sua maturazione, in ambienti freddi (2-6°C) e molto umidi, avviene tramite la microflora superficiale, grazie anche alle spugnature con acqua e sale, unico trattamento ammesso.

                                                                                                          I batteri Gram+ che sono stati isolati sulla superficie sono: Staphylococcus, Micrococcus, Macrococcus, Enterococcus, Lactobacillus, Carnobacterium, Leuconostoc, Brevibacterium, Corynebacterium, Brochothrix, Bacillus.

                                                                                                          Durante il periodo di stagionatura, che si protrae non meno di 35 giorni, la forma deve essere frequentemente rivoltata e trattata sulla crosta con una soluzione di acqua e sale al fine di mantenerla umida e morbida ed asportare le ife ottenendo quella colorazione caratteristica che contraddistingue questo formaggio.

                                                                                                          La pasta del Taleggio si presenta uniforme, compatta e più morbida sotto la crosta a fine stagionatura perché è un formaggio a maturazione centripeta, ovvero dalla crosta verso l’interno.

                                                                                                           

                                                                                                          Il marchio a quattro cerchi

                                                                                                          Su una faccia piana della forma di Taleggio è riportato il marchio a quattro cerchi, che deve risultare ben visibile anche qualora il Taleggio sia venduto porzionato in quarti di forma o in altre pezzature. Questo marchio è la garanzia che la forma è stata prodotta in piena conformità con gli standard previsti.

                                                                                                          Il marchio riporta 3 T ed un numero, che permette di risalire al caseificio di produzione. Il Consorzio assegna infatti a ciascun caseificio o stagionatore un numero che lo identifica univocamente.

                                                                                                          Tipicamente con 100 litri di latte si ottengono circa 12 kg di Taleggio. Quando si parla di resa percentuale, per il Taleggio circa 12,5%, si intende questo dato. Per cui servono circa 8 litri di latte per fare 1 kg di questo formaggio.

                                                                                                           

                                                                                                          Preparazione e Conservazione del Taleggio

                                                                                                          Il Taleggio è un formaggio naturale e vivo, la sua maturazione prosegue infatti fino a quando viene consumato. Il colore della pasta varia da bianco a paglierino, con qualche piccolissima occhiatura.

                                                                                                           

                                                                                                          Il sapore è dolce e caratteristico, l’odore leggermente aromatico. Deve perciò essere conservato con cura per mantenerne gradevoli il gusto, l’aroma e la consistenza.

                                                                                                           

                                                                                                          È opportuno avvolgerlo in un telo umido per mantenerne la morbidezza della crosta. Una buona norma potrebbe essere conservarlo nell’incarto nel quale è normalmente venduto. In ogni caso, deve essere utilizzato un incarto che permetta il passaggio dell’aria. Non avvolgerlo quindi in pellicole di plastica, che impediscono il passaggio dell’aria causando fermentazione.

                                                                                                          Il Taleggio si conserva ottimamente e per settimane nel frigorifero, fra 2°C e 6°C.

                                                                                                           

                                                                                                          È un tipico formaggio da tavola che si può gustare come secondo piatto oppure a fine pasto, in questo caso è ottimo anche accompagnato a frutta, come mele e pere, e deve essere servito a temperatura ambiente, per esaltarne appieno sapore ed aroma.

                                                                                                          Inoltre può anche essere un prezioso ingrediente nella preparazione di primi piatti (paste, risotti, zuppe), di secondi piatti (frittate), di insalate e anche di alcuni tipi di pizza e di crêpes.

                                                                                                           

                                                                                                          Le proposte di ricetta di FBO con il Taleggio

                                                                                                          clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                            • Consorzio tutela taleggio, Cartella stampa rev 2020
                                                                                                            • Fontana C., Cappa F., Rebecchi A., Cocconcelli P.S. “Surface microbiota analysis of Taleggio, Gorgonzola, Casera, Scimudin and Formaggio di Fossa Italian cheeses” Int J Food Microbiol. 2010 Apr 15;138(3):205-11. Epub 2010 Jan 28.
                                                                                                            • www.bda-ieo.it
                                                                                                            • www.formaggio.it
                                                                                                            • www.taleggio.it

                                                                                                            Zucchine

                                                                                                             

                                                                                                            zucchine

                                                                                                            Famiglia: Cucurbitaceae

                                                                                                            Genere: Cucurbita

                                                                                                            Specie: Cucurbita pepo

                                                                                                             

                                                                                                            Cos’è la zucchina

                                                                                                            La zucchina, il cui nome scientifico è Cucurbita pepo, è la bacca di una pianta cespugliosa di origini americane, appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae a cui appartengono anche le zucche, i meloni, i cocomeri e i cetrioli.

                                                                                                             

                                                                                                            Le zucche si dividono in quattro specie di cucurbita:

                                                                                                             

                                                                                                            • maxima, di grandi dimensioni e con la polpa gialla;

                                                                                                             

                                                                                                            • moscata, di forma simile ad una pera allungata con la polpa gialla;

                                                                                                             

                                                                                                            • melanosperma o ficifolia, che durante la cottura assume forma di spaghetti sottilissimi;

                                                                                                             

                                                                                                            • pepo, a cui appartengono la “zucca da inverno” e la “zucca da zucchini”.

                                                                                                             

                                                                                                            Le zucchine sono i frutti raccolti immaturi appartenenti a quest’ultima specie.

                                                                                                             

                                                                                                            In commercio le zucchine si trovano in molte varietà e hanno colore, forma e sapore differenti.

                                                                                                            Le due tipologie più comuni sono quelle chiare, di forma cilindrica tendente alla forma sferica o allungata, e quelle scure, di forma allungata, con buccia verde scuro.

                                                                                                             

                                                                                                            Le zucchine PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali)

                                                                                                            La produzione di zucchine in Italia ha permesso di sviluppare numerose varietà tipiche di alcuni territori regionali, divenendo così Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT).

                                                                                                            Ricordiamo in particolare:

                                                                                                            in Campania lo Zucchino San Pasquale; in Friuli Venezia Giulia lo Zucchino giallo di Sacile; nel Lazio la zucchina con il fiore; in Liguria lo zucchino alberello di Sarzana oppure lo Zucchino genovese o lo Zucchino trombetta; in Piemonte gli Zucchini di Borgo d’Ale; in Sicilia la zucchina di Misilmeri detta: “friscaredda”; in Toscana la zucchina lunga fiorentina, la zucchina mora pisana, la zucchina sarzanese, la zucchina tonda fiorentina, zucchine da far ripiene, zucchino tondo, zucchina tonda fiorentina, zucchina tonda chiara toscana, zucchetta nana quarantina, zucchina nana cespitosa.

                                                                                                             

                                                                                                            Proprietà nutrizionali delle zucchine

                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali delle zucchine

                                                                                                            Zucchine valori nutrizionali

                                                                                                            La zucchina contiene pochissime calorie, pari a 14 kcal per 100 grammi di prodotto; presenta un elevato contenuto di acqua ed è povera di sale. Tuttavia, come si può notare dalla tabella, non ha un’elevata quantità né di fibre né di proteine.

                                                                                                            Tra i minerali, quello più rappresentato è il potassio, fondamentale per un corretto equilibrio con il sodio al fine di garantire una buona salute cardiovascolare.

                                                                                                             

                                                                                                            Le vitamine maggiormente presenti nella zucchina sono la vitamina C, che ha un apporto quasi pari al fabbisogno giornaliero, la vitamina B9 e il β-carotene. Quest’ultimo è un carotenoide, ovvero un pigmento vegetale di colore rosso, arancione e giallo, precursore della vitamina A.

                                                                                                            Il β-carotene è importante per il nostro organismo perché, essendo un ottimo antiossidante, modula e previene processi degenerativi e riduce lo stress ossidativo.

                                                                                                             

                                                                                                            Altri carotenoidi presenti nelle zucchine sono la luteina e la zeaxantina; queste due molecole sono pigmenti vegetali che nell’organismo umano contribuiscono a mantenere la buona salute degli occhi.

                                                                                                             

                                                                                                            Zucchine benefici

                                                                                                            La zucchina contiene un’elevata quantità di acqua che favorisce la motilità intestinale, minerali e vitamine che favoriscono il benessere dell’organismo.

                                                                                                            A livello di minerali quello che spicca maggiormente è il potassio che aiuta a regolare la pressione arteriosa, mentre a livello di vitamine è presente una buona quantità di vitamina C che svolge funzione antiossidante. Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                                                             

                                                                                                            Il consumo di questo alimento è inoltre indicato in caso di diarrea in quanto povera di fibre.

                                                                                                             

                                                                                                            La porzione di consumo standard consigliata è 200 grammi di zucchine, che corrisponde a circa 2-3 zucchine.

                                                                                                             

                                                                                                            Produzione e Tecnologia delle zucchine

                                                                                                            Caratteri botanici della pianta di zucchine

                                                                                                            La zucchina è la bacca di una pianta erbacea con portamento cespuglioso, caratterizzata da foglie a forma di cuore e fusto appoggiato a terra.

                                                                                                             

                                                                                                            La fioritura avviene in estate con fiori unisessuali, sia maschili sia femminili, generalmente gialli, commestibili, che successivamente lasceranno spazio alla zucchina. Questa avrà forma cilindrica o tondeggiante, di dimensioni tra i 15 e i 25 centimetri, con buccia verde più o meno scura e con striature bianco-giallastre.

                                                                                                             

                                                                                                            La polpa, bianca con semini, è acquosa e ha sapore delicato. Questa caratteristica permette di utilizzare la zucchina in molti piatti culinari.

                                                                                                             

                                                                                                            Se il frutto giungesse a maturazione, diventerebbe zucca.

                                                                                                             

                                                                                                            Coltivazione delle zucchine

                                                                                                            La coltivazione della zucchina deve essere fatta in un terreno fertile e fresco, facendo attenzione a piantare i semi in buchette profonde almeno 20 centimetri e distanziate un metro l’una dall’altra.

                                                                                                            Solitamente si piantano 2-3 semi per ogni buchetta e sopra si pone letame in fermentazione; infine si compre il buco con della terra.

                                                                                                             

                                                                                                            La raccolta della zucchina deve avvenire quando il frutto è ancora piccolo e acerbo in modo da prevenirne il gusto amaro qualora crescesse troppo; in generale viene fatta dopo 70-80 giorni dalla semina.

                                                                                                            La modalità di raccolta avviene staccando la zucchina dalla pianta e torcendone il picciolo. Il momento giusto per raccoglierle è nel momento in cui il fiore sta per schiudersi.

                                                                                                             

                                                                                                            Stagionalità delle zucchine

                                                                                                            Le zucchine sono una verdura tipica del periodo estivo.

                                                                                                             

                                                                                                            Preparazione e Conservazione delle zucchine

                                                                                                            Le zucchine possono essere consumate sia cotte sia crude; nel momento in cui vengono cotte si consiglia una cottura veloce e preferibilmente a vapore per non disperdere i principi nutritivi.

                                                                                                             

                                                                                                            Prima del consumo occorre eliminare le estremità ed eventuali semi di grosse dimensioni; non è necessario sbucciarle, a meno che la varietà sia spinosa o troppo pelosa.

                                                                                                            Anche i fiori della zucchina sono commestibili.

                                                                                                             

                                                                                                            Le zucchine sono molto utilizzate in cucina in numerosi piatti; ad esempio, si trovano nei minestroni, si possono preparare al forno da sole o accompagnate da spezie, come condimento, contorno o salse.

                                                                                                             

                                                                                                            Le zucchine possono essere conservate in frigo fino a 4-5 giorni; è comunque meglio consumarle nell’arco di pochi giorni per evitare che perdano proprietà nutritive.

                                                                                                             

                                                                                                            Le proposte di ricetta di FBO con le zucchine

                                                                                                            Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                              • Dandawate P. et al (2020) “Cucurbitacin B and I inhibits colon cancer growth by targeting the Notch signaling pathway”, Scientific Reports, 10(1):1290.
                                                                                                              • Kulczyński B., Gramza-Michałowska A. (2019) “The Profile of Secondary Metabolites and Other Bioactive Compounds in Cucurbita pepo L. and Cucurbita moschata Pumpkin Cultivars”, Molecules, 24(16):2945.
                                                                                                              • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                              • Perez V., Chang E.T. (2014) “Sodium-to-potassium ratio and blood pressure, hypertension, and related factors”, Advances in Nutrition, 5(6):712-41.
                                                                                                              • www.agraria.org
                                                                                                              • www.humanitas.it
                                                                                                              • www.melarossa.it

                                                                                                              Timo

                                                                                                               

                                                                                                              timo

                                                                                                              Famiglia: Labiatae

                                                                                                              Genere: Thymus

                                                                                                              Specie: Thymus vulgaris L.

                                                                                                               

                                                                                                              Timo: cos’è e varietà

                                                                                                              Il timo è una pianta di origine mediterranea e in Italia cresce quasi su tutto il territorio sia spontaneamente sia coltivata.

                                                                                                              Le due varietà maggiormente utilizzate in cucina sono il timo vulgaris e il timo limonato, impiegati nei condimenti oppure per la preparazione di salse e piatti a base di pesce. Il timo vulgaris in generale è la varietà di timo più utilizzata, mentre il timo limonato prende il suo nome dall’aroma che emana al profumo di limone.

                                                                                                              Tra le altre varietà troviamo anche il timo cedrato, che può essere usato per scopi terapeutici e con l’aroma simile all’origano o alla melissa, il timo erba barona, caratterizzato da un aroma forte e pungente, mangiato dagli animali al pascolo.

                                                                                                               

                                                                                                              Proprietà nutrizionali del timo fresco e secco

                                                                                                              tabella con i valori nutrizionali del timo fresco e del timo secco macinato
                                                                                                              Tabella con i valori nutrizionali del timo fresco e del timo secco macinato.

                                                                                                              Valori nutrizionali del timo

                                                                                                              Come si può notare dalla tabella, il timo ha un ottimo contenuto di minerali e vitamine.

                                                                                                              In particolare tra i minerali spiccano soprattutto il ferro e il calcio; infatti 100 grammi di timo secco contengono 123,6 mg di ferro e 1890 mg di calcio; una quantità minore, ma comunque elevata, è presente anche nel timo fresco.

                                                                                                              Anche il potassio e il fosforo sono contenuti in buone quantità.

                                                                                                               

                                                                                                              Le vitamine più abbondanti nel timo sono la vitamina E e la niacina. Il timo secco, inoltre, contiene una discreta quantità di retinolo, cioè di vitamina A e di β-carotene, un suo precursore.

                                                                                                              Nello specifico il β-carotene è un pigmento vegetale, di colore rosso giallo o arancione, che ha caratteristiche antiossidanti e contrasta l’azione dei radicali liberi.

                                                                                                               

                                                                                                              La differenza più evidente tra il timo secco e quello fresco è il contenuto di acqua; infatti per 100 grammi di timo fresco c’è un quantitativo di acqua pari a 69,3 grammi, che scende a 7,8 grammi in quello secco.

                                                                                                               

                                                                                                              Il profumo caratteristico del timo è dovuto dal timolo, una componente responsabile delle proprietà balsamiche.

                                                                                                               

                                                                                                              Il timo, così come tutte le spezie e le erbe aromatiche, può aiutare a ridurre il consumo di sale, senza rinunciare al gusto. Il consumo di sale, infatti, dovrebbe non superare i 5 g al giorno e ridurne il suo utilizzo è un fattore protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari.

                                                                                                               

                                                                                                              Benefici del timo

                                                                                                              Il timo ha caratteristiche anti-infiammatorie e antiossidanti. Quest’ultima è data dalla presenza di molecole come il timolo e il b-carotene che contrastano lo stress ossidativo.

                                                                                                               

                                                                                                              Questa spezia sotto forma di infuso aiuta a trattare le infezioni delle vie aeree perchè risulta essere antibatterico, caratteristica che è utile anche quando si intinge un batuffolo di cotone nell’infuso di timo e poi si pone sulle ferite per aiutare la rimarginazione aiutandone la cicatrizzazione. Inoltre può essere usato sotto forma di olio essenziale per trattare i muscoli.

                                                                                                               

                                                                                                              La porzione standard è 5 grammi, che corrisponde a circa 2 cucchiai di timo secco.

                                                                                                               

                                                                                                              Ricordiamo che in 2 cucchiai di timo secco sono presenti 12,4 mg di ferro, superando la dose giornaliera raccomandata (RDA) di questo minerale per gli uomini nella popolazione adulta (che corrisponde a 10 mg); per le donne invece la RDA è fissata a 18 mg.

                                                                                                               

                                                                                                              Il consumo di questa erba aromatica inoltre può essere utile in caso di alterazioni del gusto o di anemia sideropenica.

                                                                                                               

                                                                                                              Interazioni del timo

                                                                                                              Si sconsiglia il suo consumo in soggetti ipotiroidei.

                                                                                                               

                                                                                                              Produzione e Tecnologia del timo fresco e secco

                                                                                                              Caratteri botanici della pianta di timo

                                                                                                              Il timo è una pianta aromatica cespugliosa che riesce a colonizzare terreni aridi e sassosi.

                                                                                                              Le foglie sono piccole, poco allungate e ricoperte di peluria. I fiori sono bianchi, rosa o lilla e da questi, ricchi di nettare, si ricava un miele dal sapore intenso.

                                                                                                               

                                                                                                              Coltivazione e produzione del timo secco

                                                                                                              La semina del timo avviene su un terreno sabbioso; le piantine, una volta cresciute, sono successivamente trapiantate in vasi o in terra piena in zone con molto sole e senza ristagni idrici.

                                                                                                               

                                                                                                              A seguito dello sviluppo delle piante, si asportano le foglie e i rametti fioriti facendoli essiccare al vento e all’ombra.

                                                                                                              L’essiccazione rende molto accentuato il profumo del timolo, una molecola responsabile delle proprietà balsamiche del timo. Se l’essiccazione viene fatta durante il periodo balsamico della pianta, ovvero nel momento in cui la concentrazione degli oli essenziali all’interno è massima, il profumo risulta ancora più intenso.

                                                                                                               

                                                                                                              Stagionalità del timo

                                                                                                              Il timo è reperibile in qualsiasi momento sul mercato grazie ai trattamenti a cui viene sottoposto, come l’essiccazione.

                                                                                                               

                                                                                                              Preparazione e Conservazione del timo fresco e secco

                                                                                                              Il timo, essendo un ingrediente che si abbina bene a tanti prodotti diversi come carne, pesce,verdure e legumi, è molto utilizzato in cucina.

                                                                                                              Nel pesce è usato soprattutto con le cotture al forno oppure nei guazzetti, come nell’acqua pazza; per la carne si può usare sia il timo secco che quello fresco per dare un tocco di freschezza ai piatti; si abbina bene anche con i legumi, soprattutto i fagioli, rendendoli più digeribili, e con ortaggi estivi che sono utilizzati anche per zuppe e minestre.

                                                                                                              Questa erba aromatica viene usata anche per aromatizzare vini e preparare liquori come il Benedictine.

                                                                                                               

                                                                                                              La facilità di abbinare il timo a molti alimenti è dovuta al fatto che il timo non perde il suo aroma durante l’essiccazione, anzi l’essiccazione rende il profumo accentuato.

                                                                                                               

                                                                                                              Le proposte di ricetta di FBO con il timo

                                                                                                              Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                                • Anderson C. AM, et al (2015) “Effects of a behavioral intervention that emphasizes spices and herbs on adherence to recommended sodium intake: results of the SPICE randomized clinical trial”, American Journal of Clinical Nutrition, 102(3):671-9.
                                                                                                                • Kubatka P. et al (2019) “Anticancer Activities of Thymus vulgaris L. in Experimental Breast Carcinoma in Vivo and in Vitro”, International Journal of Molecular Sciences, 20(7):1749.
                                                                                                                • World Health Organization (WHO). Guideline: Sodium intake for adults and children, 2012
                                                                                                                • www.agraria.org
                                                                                                                • www.bda-ieo.it
                                                                                                                • www.humanitas.it
                                                                                                                • www.ilgiornaledelcibo.it

                                                                                                                Sedano

                                                                                                                 

                                                                                                                sedano

                                                                                                                Famiglia: Ombrelliferae

                                                                                                                Genere: Apium

                                                                                                                Specie: Apium graveolens L.

                                                                                                                 

                                                                                                                Il sedano, il cui nome scientifico è Apium graveolens L., è una pianta delle Ombrelliferae, originaria delle regioni del mediterraneo che successivamente si è sviluppata anche in Africa, Asia e Stati Uniti.

                                                                                                                 

                                                                                                                Varietà di sedano

                                                                                                                Esistono tre diverse varietà di sedano:

                                                                                                                 

                                                                                                                1. la prima è rappresentata dal sedano da coste, il più diffuso e del quale si usa il picciolo delle foglie e il gambo; questa varietà a coste può essere di colore verde, dorata o bianca.
                                                                                                                2. L’altra varietà è il sedano da taglio del quale si utilizzano le foglie;
                                                                                                                3. infine il sedano rapa, del quale si utilizza la radice caratterizzata da una polpa bianca e soda.

                                                                                                                 

                                                                                                                Proprietà nutrizionali delle varietà di sedano

                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali del sedano e del sedano rapa
                                                                                                                Tabella con i valori nutrizionali del sedano e del sedano rapa.

                                                                                                                Valori nutrizionali del sedano e del sedano rapa

                                                                                                                Il sedano, come molti altri ortaggi, ha un basso valore energetico ed è ricco in acqua e fibra, che gli conferisce delle ottime proprietà sazianti.

                                                                                                                 

                                                                                                                Presenta un buon contenuto di vitamine, in particolare della vitamina C, in grado di aumentare la biodisponibilità del ferro, della vitamina A sotto forma dei suoi precursori che sono il retinolo e il β-carotene, e della vitamina B9. Inoltre è ricco di minerali come il potassio, il calcio, il fosforo e il sodio.

                                                                                                                 

                                                                                                                Le proprietà aromatiche sono da attribuire alla sedanina, una sostanza che è responsabile del tipico aroma fresco e dolciastro.

                                                                                                                Nella pianta e nei semi di sedano sono presenti anche polifenoli dalle proprietà antiossidanti.

                                                                                                                 

                                                                                                                Benefici del sedano

                                                                                                                Il sedano contiene una discreta quantità di fibre. Queste esercitano funzioni positive a livello dell’organismo in quanto aiutano a regolare l’assorbimento di grassi come il colesterolo e i trigliceridi.

                                                                                                                 

                                                                                                                Oltre a questo, il sedano è composto da una buona quantità di vitamina A e da molecole che riducono la flatulenza. La vitamina A ha un forte potere antiossidante. Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                                                                Ricordiamo che una porzione di sedano contiene 414 µg di vitamina A (retinolo equivalenti), ricoprendo così più della metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina facendo riferimento alla popolazione adulta (per gli uomini è 700 µg, per le donne 600 µg).

                                                                                                                 

                                                                                                                Buono è anche il contenuto di potassio, minerale che contribuisce al controllo della pressione sanguigna contrastando l’azione ipertensiva del sodio.

                                                                                                                 

                                                                                                                Al sedano vengono riconosciute anche proprietà diuretiche, antinfiammatorie e disintossicanti. E’ importante, però, mangiare questo ortaggio crudo o cotto al vapore per godere a pieno di tutte le proprietà.

                                                                                                                 

                                                                                                                La porzione giornaliera di consumo consigliata è 200 grammi di sedano, che corrisponde a 3-4 grammi di sedano o a mezzo piatto di sedano rapa.

                                                                                                                 

                                                                                                                Inoltre il consumo di questo ortaggio potrebbe essere utile per contrastare il gonfiore sottocutaneo (o edema).

                                                                                                                 

                                                                                                                Interazioni del sedano

                                                                                                                I soggetti con problemi renali devono essere prudenti nel consumare questo ortaggio. Il sedano inoltre potrebbe aumentare la sensibilità della pelle ai raggi solari.

                                                                                                                 

                                                                                                                Produzione e Tecnologia del sedano

                                                                                                                Caratteri botanici della pianta del sedano

                                                                                                                Il sedano è una pianta che presenta fusto eretto di variabile altezza, che varia da 30 a 90 cm, a seconda delle varietà.

                                                                                                                Le foglie sono pennate verdi e le loro proprietà aromatiche sono da attribuire alla sedanina.

                                                                                                                I fiori sono bianchi e il frutto è formato da due acheni (frutti secchi).

                                                                                                                 

                                                                                                                Coltivazione del sedano

                                                                                                                La semina del sedano avviene in semenzaio con 1-2 grammi di seme e può essere effettuata verso fine gennaio con trapianto ad aprile e avere produzioni già a giugno oppure si effettua il trapianto nel mese di giugno per avere produzioni invernali.

                                                                                                                Il trapianto può avvenire sia a mano sia tramite l’utilizzo di macchine trapiantatrici.

                                                                                                                 

                                                                                                                Quando le piante crescono sufficientemente si procede con l’imbiancamento, ovvero si dividono le foglie in base all’altezza legandone 3 o 4 tra loro; ai lati delle piante si pongono dei picchetti per completare l’imbiancamento.

                                                                                                                 

                                                                                                                Le piante imbiancate vengono successivamente estirpate, lavate, legate a mazzi e messe sul mercato dove il prodotto può essere usato direttamente per l’alimentazione umana o può essere destinato alle industrie alimentari.

                                                                                                                 

                                                                                                                Stagionalità del sedano

                                                                                                                Il sedano è reperibile in commercio tutto l’anno, anche se la sua raccolta termina a ottobre.

                                                                                                                 

                                                                                                                Preparazione e Conservazione del sedano

                                                                                                                In commercio il prodotto si può trovare direttamente fresco in mazzetti, come sottoaceto oppure può essere utilizzato per la preparazione di piatti essiccati o surgelati.

                                                                                                                In cucina il sedano è utilizzato soprattutto per bolliti o soffritti, come nelle preparazioni di zuppe, e spezzatini.

                                                                                                                 

                                                                                                                È preferibile comunque consumarlo crudo in pinzimonio, insalata o come centrifugato per non perdere il contenuto di acqua e fibra (che conferiscono potere saziante e dissetante).

                                                                                                                Bisognerebbe inoltre evitare le cotture a forte impatto termico e prolungate per preservare la vitamina C presente.

                                                                                                                 

                                                                                                                In generale le foglie e i gambi del sedano vengono utilizzati per la preparazione di minestre o carni.

                                                                                                                 

                                                                                                                Le proposte di ricetta di FBO con il sedano

                                                                                                                  • Kooti W., Daraei N. (2017) “A Review of the Antioxidant Activity of Celery ( Apium graveolens L)”, Journal of Evidence-Based Integrative Medicine, 22(4):1029-1034.
                                                                                                                  • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                  • www.agraria.org
                                                                                                                  • www.bda-ieo.it
                                                                                                                  • www.humanitas.it
                                                                                                                  • www.ilgiornaledelcibo.it

                                                                                                                  Prezzemolo

                                                                                                                   

                                                                                                                  prezzemolo secco e fresco

                                                                                                                  Famiglia: Ombrelliferae

                                                                                                                  Genere: Petroselinum

                                                                                                                  Specie: Petroselinum sativum Hoffm/ Petroselinum crispum Mill

                                                                                                                   

                                                                                                                  Cos’è il prezzemolo e la sua storia

                                                                                                                  Il prezzemolo, Petroselinum sativum/crispum, è un’erba aromatica utilizzata per dare sapore e aroma ai piatti.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Il nome ha origini greche e significa letteralmente: petroselium “sedano che cresce sulla pietra” poiché sembrava che la pianta del prezzemolo crescesse spontaneamente tra le rupi della Macedonia; sativum “adatto alla coltivazione”.

                                                                                                                   

                                                                                                                  La pianta è originaria delle regioni mediterranee ma oggigiorno si trova in tutto il mondo e il suo utilizzo interessa la medicina popolare e l’industria per la produzione di profumi, saponi e creme.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Varietà di prezzemolo

                                                                                                                  Tra le varietà di prezzemolo coltivate troviamo: la “Gigante d’Italia” con grandi foglie e la “Paramounth” con foglie molto arricciate.

                                                                                                                   

                                                                                                                  In commercio si possono trovare foglie fresche, congelate (intere o tritate) o essiccate ma in quest’ultimo caso perdono il loro profumo caratteristico.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Proprietà nutrizionali del prezzemolo secco e fresco

                                                                                                                  tabella con i valori nutrizionali del prezzemolo fresco e del prezzemolo secco
                                                                                                                  Tabella con i valori nutrizionali del prezzemolo fresco e del prezzemolo secco.

                                                                                                                  Prezzemolo secco e fresco: valori nutrizionali

                                                                                                                  Il prezzemolo contiene importanti nutrienti come: β-carotene, vitamine tra cui la A, la C e vitamine del gruppo B tra cui l’acido folico. Tra i minerali spiccano calcio e potassio.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Il prezzemolo fresco è ricco in vitamina C che aumenta la capacità del nostro organismo di assimilare il ferro, sia eme che non eme presente negli alimenti di origine animale e vegetale.

                                                                                                                  Insaporire i piatti con questa erba aromatica garantisce quindi, oltre che ad aumentare l’assorbimento del ferro, anche a ridurre l’utilizzo del sale, fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Prezzemolo secco e fresco: benefici

                                                                                                                  Proprio grazie ai suoi componenti, il prezzemolo ha molte proprietà benefiche tra cui stimolare l’appetito e la digestione, ha un effetto diuretico e depurativo, svolge un’azione protettiva e antiossidante contrastando i radicali liberi soprattutto grazie al contenuto di flavonoidi (pigmenti vegetali), carotenoidi che sono contenuti nel βcarotene e acido ascorbico che è contenuto, ad esempio, nella vitamina C.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Anche i minerali contenuti nel prezzemolo hanno funzioni positive, infatti il calcio favorisce la salute di ossa e denti, mentre il potassio regola la pressione arteriosa.

                                                                                                                   

                                                                                                                  La porzione di consumo consigliata è di 5 grammi.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Vi ricordiamo che con due cucchiai di prezzemolo secco si copre la metà del fabbisogno giornaliero per la popolazione adulta di vitamina A.

                                                                                                                   

                                                                                                                  L’utilizzo di questa erba aromatica potrebbe essere utile in caso di gonfiore sottocutaneo (o edema).

                                                                                                                   

                                                                                                                  Prezzemolo e interazioni

                                                                                                                  Il prezzemolo potrebbe interferire con l’azione dei farmaci anticoagulanti (warfarin) e dei diuretici.

                                                                                                                  Inoltre non bisogna eccedere con il consumo di questa erba aromatica; potrebbe infatti causare effetti collaterali come anemia e problemi epatici.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Produzione e Tecnologia del prezzemolo

                                                                                                                  Caratteri botanici della pianta di prezzemolo

                                                                                                                  Il prezzemolo è una pianta biennale con fusti alti fino 50 cm. Le foglie sono triangolari, dentate e suddivise in tre segmenti. I fiori giallo-verdi fioriscono e vengono raccolti in estate.

                                                                                                                   

                                                                                                                  La semina della pianta deve essere effettuata all’inizio della primavera o eventualmente più tardi se si semina in campo aperto per evitare temperature troppo fredde, successivamente bisogna attendere il tempo di germinazione che durerà all’incirca dalle 2 alle 4 settimane.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Se gli steli fiorali vengono tagliati via via che si sviluppano, la pianta tende a conservarsi per più anni.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Coltivazione del prezzemolo

                                                                                                                  Il prezzemolo può essere anche coltivato in vaso, bisogna mettere i semi a circa due centimetri di profondità in file parallele tra loro e successivamente controllare che la temperatura sia tra i 20-26°C per favorirne la crescita.

                                                                                                                  In 70-80 giorni cresceranno le piantine di prezzemolo.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Stagionalità del prezzemolo

                                                                                                                  Il prezzemolo si trova sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Preparazione e Conservazione del prezzemolo

                                                                                                                  Le foglie del prezzemolo, soprattutto quando utilizzate fresche, rilasciano una profumazione gradevole offrendo agli alimenti un particolare sapore.

                                                                                                                   

                                                                                                                  La sua azione principale è quella di insaporire i cibi favorendo un minor utilizzo del sale.

                                                                                                                  Ricordiamo inoltre che il prezzemolo fresco è ricco di vitamina C, vitamina utile a incrementare l’assimilazione di ferro nel nostro organismo. È quindi utile cospargere di prezzemolo fresco tritato alimenti ricchi in ferro (come carne e legumi) per favorire l’assorbimento di questo minerale.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Il prezzemolo viene utilizzato soprattutto per minestre, zuppe, creme, per insaporire il pesce, la carne e le salse. Tra le salse fatte col prezzemolo, la più utilizzata è quella piemontese chiamata “bagnetto verde“.

                                                                                                                   

                                                                                                                  Le proposte di ricetta di FBO con il prezzemolo

                                                                                                                    • Akıncı A., Eşrefoğlu M., Taşlıdere E., Ateş B. (2017) “Petroselinum Crispum is Effective in Reducing Stress-Induced Gastric Oxidative Damage.” Balkan Medical Journal, 34 (1): 53-59.
                                                                                                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                    • Tang E.LH., Rajarajeswaran J., Fung S.Y., Kanthimathi MS. (2014) “Petroselinum crispumhas antioxidantproperties, protects against DNA damage andinhibits proliferation and migration of cancercells.” Journal of the Science of Food and Agriculture, 95 (13): 2763-71.
                                                                                                                    • www.agraria.org
                                                                                                                    • www.bda-ieo.it
                                                                                                                    • www.humanitas.it
                                                                                                                    • www.ilgiornaledelcibo.it

                                                                                                                    Pera

                                                                                                                     

                                                                                                                    varietà di pera

                                                                                                                    Famiglia: Rosaceae

                                                                                                                    Genere: Pyrus

                                                                                                                    Specie: Pyrus Communis L.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Pere: cosa sono e storia

                                                                                                                    Le pere sono dei “pomi” prodotti dall’albero del pero, pianta del genere Pyrus appartenente alla famiglia delle Rosaceae.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Il pero comune, Pyrus communis, è originario dell’Asia occidentale, ma attualmente cresce anche nelle regioni temperate dell’Europa occidentale e dell’Africa del Nord fino all’Asia.

                                                                                                                    In Italia le regioni maggiormente interessate alla sua coltura sono Emilia Romagna, Veneto, Campania, Sicilia, Piemonte e Lombardia.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Tipi di pera

                                                                                                                    Diverse sono le cultivar e, tra queste, si ricordano: Etrusca, Coscia, Santa Maria, William, Highland, Conference, Abate fetel, Harrow sweet, Decana del comizio, Kaiser e Passacrassana, oltre alle più utilizzate, quali la Butirra precoce Morettini e la William Rossa.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Alcune specie sono proprie del nostro territorio; queste forme autoctone sono prevalentemente selvatiche, come il perastro (Pyrus pyraster) e il pero mandorlino (Pyrus amygdaliformis).

                                                                                                                    Si ricordano poi alcune varietà di pera di ibridi selezionati, come la pera William e la pera Abate. Attualmente se ne contano addirittura oltre quattromila varietà, a maturazione estiva, autunnale o invernale.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Proprietà nutrizionali della pera

                                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali della pera senza buccia

                                                                                                                    Pera valori nutrizionali

                                                                                                                    Le pere hanno un basso indice glicemico e possono essere inserite tranquillamente nell’alimentazione di chi ha problemi di diabete, degli anziani e dei bambini.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Sono particolarmente ricche di fibre, sia solubili sia insolubili; le fibre aiutano la regolarizzazione delle attività intestinali e fanno raggiungere la sazietà più velocemente.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Le proprietà antiossidanti derivano sia dal contenuto in vitamine, in particolare C e K, sia dal contenuto in polifenoli. Queste sostanze intervengono per contrastare i radicali liberi, composti responsabili di malattie degenerative anche molto gravi, rallentando l’invecchiamento cellulare.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Le pere sono ricche di molti sali minerali, soprattutto di potassio e fosforo. Per questo motivo, le pere diventano un ottimo frutto per reintegrare i nutrimenti persi con lo sport o dopo una giornata afosa.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Pere benefici

                                                                                                                    Le pere sono facilmente digeribili grazie al loro contenuto di fibre e provocano scarsamente allergie. Queste due proprietà le rendono idonee a essere consumate in molti tipi di alimentazione.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Inoltre sono composte da fitonutrienti, molecole che donano a questi frutti potere antiossidante e anti-infiammatorio e che prevengono lo sviluppo di patologie come il diabete di tipo 2 o patologie cardiovascolari.

                                                                                                                    Studi recenti evidenziano il possibile effetto antinfiammatorio ed antitumorale dell’acido ursolico, contenuto nella buccia della pera. In particolar modo le pere sembrano ridurre il rischio di tumore all’esofago.

                                                                                                                    Anche la buccia della pera apporta benefici, infatti contiene una quantità maggiore di fitonutrienti rispetto alla polpa e apporta una discreta quantità di fibre.

                                                                                                                     

                                                                                                                    La porzione di consumo consigliata è 150 grammi di frutto fresco, che corrispondono circa a un frutto medio.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Produzione e Tecnologia della pera

                                                                                                                    Caratteri botanici del pero

                                                                                                                    Il pero è un albero vigoroso, con chioma a forma piramidale nei primi anni e tendenzialmente globosa a maturità; raggiunge l’altezza di 15-18 metri, il tronco, eretto, è presto ramificato; i rami presentano gemme a legno e miste.

                                                                                                                     

                                                                                                                    L’albero è coltivato per il suo frutto, detto pomo. La pera è un pomo derivato dallo sviluppo del ricettacolo, considerato perciò in botanica un falso frutto. Il vero frutto consiste nel torsolo con 5 logge seminali contenenti i semi.

                                                                                                                    Ogni varietà di pera ha caratteristiche forme, colori e consistenza; anche il peduncolo ha aspetto variabile.

                                                                                                                     

                                                                                                                    La maturazione va da giugno fino a inverno inoltrato a seconda delle cultivar, ma solitamente i mesi di raccolta vanno da giugno a ottobre.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Il pero ha la caratteristica di riprodursi per via partenocarpia, cioè ha la capacità di riprodurre, senza fecondazione, frutti in apparenza normali, ma in realtà privi di semi o con semi sterili. Comunque è sempre preferibile ricorrere a buone cultivar impollinatrici. L’impollinazione è entomofila, cioè portata avanti dagli insetti, quali le api.

                                                                                                                     

                                                                                                                    I fiori del pero, di colore bianco, sono di tipo ermafrodito, in quanto possono produrre contemporaneamente o successivamente, sia i gameti maschili sia quelli femminili.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Coltivazione del pero

                                                                                                                    Il principale limite pedoclimatico è la resistenza al calcare, oltre alla resistenza al freddo e alla siccità.

                                                                                                                    Le potature delle piante di pero devono essere regolari e rispettare le diverse varietà.

                                                                                                                    L’irrigazione del pero è fondamentale, il metodo migliore è quello dell’irrigazione a goccia che eroga l’acqua tramite gocciolatori. Sono sconsigliate elevate disponibilità idriche durante la crescita vegetativa e in post raccolta.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Il momento opportuno per la raccolta, da giugno a ottobre, è scelto sulla base di indici quali il colore della buccia o della polpa, la durezza della polpa e la resistenza al distacco.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Stagionalità della pera

                                                                                                                    La pera è reperibile sul mercato nel periodo compreso tra agosto e maggio.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Preparazione e Conservazione della pera

                                                                                                                    Le pere sono consumate come frutta fresca, come frutta conservata, candita, sciroppata oppure disidratata. Quindi si prestano in gustosi abbinamenti sia per pietanze dolci che in quelle salate e possono essere utilizzate in macedonie, torte e dessert, marmellate, succhi e liquori, oppure accompagnarsi a formaggi.

                                                                                                                     

                                                                                                                    Al momento dell’acquisto è importante verificare che la buccia sia intatta, senza segni di ammaccature e tracce di muffe. Al tatto la polpa deve essere compatta, dura e con il picciolo verde scuro e carnoso ben attaccato.

                                                                                                                     

                                                                                                                    La pera è un frutto che deperisce rapidamente, ma si può tenere in frigorifero per diversi giorni senza che si guasti.

                                                                                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                      • Shanmugam M.K., Dai X., Kumar A.P., Tan B.KH, Sethi G., Bishayee A., (2013) “Ursolic acid in cancer prevention and treatment: molecular targets, pharmacokinetics and clinical studies”, Biochemical Pharmacology, 85(11):1579-87.
                                                                                                                      • Wang L., Chen Y., Wang S., Xue H., Su Y., Yang J., Li X. (2017) “Identification of candidate genes involved in the sugar metabolism and accumulation during pear fruit post-harvest ripening of ‘Red Clapp’s Favorite’ (Pyrus communis L.) by transcriptome analysis.” Hereditas, 155:11.
                                                                                                                      • www.agraria.org
                                                                                                                      • www.bda-ieo.it
                                                                                                                      • www.humanitas.it
                                                                                                                      • www.melarossa.it

                                                                                                                      Pepe

                                                                                                                       

                                                                                                                      Famiglia: Piperaceae

                                                                                                                      Genere: Piper

                                                                                                                      Specie: Piper nigrum

                                                                                                                       

                                                                                                                      Storia del pepe

                                                                                                                      Il pepe (Piper nigrum Linnaeus) è una spezia, frutto di piante del genere Piper della famiglia delle Piperaceae e tra queste è presente il Piper nigrum L.

                                                                                                                       

                                                                                                                      La pianta, probabilmente originaria dell’India del Sud, intorno al IV secolo a.C. è stata importata nell’area del Mediterraneo ed è stata usata come moneta o merce di scambio.

                                                                                                                      Il pepe, infatti, era ritenuto un bene prezioso e per questo motivo veniva chiamato “oro nero“.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Varietà di pepe

                                                                                                                      Esistono diverse varietà di pepe, che si distinguono per il colore.

                                                                                                                      Le principali varietà presenti sul mercato sono: il pepe nero, il pepe bianco e il pepe verde.

                                                                                                                       

                                                                                                                      • Il pepe nero è la spezia più utilizzata al mondo e la sua ossidazione contribuisce a dare colore e sapore alla spezia.
                                                                                                                      • quello bianco, invece, si ottiene per decorticazione dei frutti del pepe nero.
                                                                                                                      • Il pepe verde è ottenuto dal frutto raccolto non del tutto maturo.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Proprietà nutrizionali del pepe

                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali del pepe nero

                                                                                                                      Valori nutrizionali del pepe (pepe nero)

                                                                                                                      Il pepe presenta una buona quantità di minerali, tra i quali i principali sono potassio, calcio e fosforo.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Il pepe è caratterizzato dall’avere un sapore piccante; la responsabile di questa sua caratteristica è la piperina, principale alcaloide del pepe, che stimola il metabolismo cellulare e termogenico favorendo l’assorbimento dei principi nutritivi, la produzione di saliva, la secrezione di succhi gastrici e di conseguenza aiuta la digestione.

                                                                                                                      Bisogna però evitare di mangiare pepe nel caso di patologie gastriche o intestinali a causa di proprietà irritanti delle mucose, caratteristiche della piperina.

                                                                                                                       

                                                                                                                      L’utilizzo del pepe, così come di tutte le spezie, è fondamentale per insaporire gli alimenti e ridurre l’utilizzo del sale, fattore di rischio per l’ipertensione ed altre patologie connesse.

                                                                                                                      In abbinamento con la curcuma è in grado di favorire la biodisponibilità della curcumina, molecola con effetti positivi per la salute.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Benefici del pepe

                                                                                                                      Tra i minerali contenuti nel pepe, il calcio e il fosforo contribuiscono a mantenere in salute le ossa e i denti, mentre il potassio regola la pressione arteriosa.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Inoltre ha anche una buona quantità di vitamina C, che se abbinata ad alimenti vegetali contenenti ferro, facilita l’assorbimento di quest’ultimo.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Il pepe viene anche utilizzato per controllare il peso corporeo perchè stimola le proprietà digestive, diuretiche, antisettiche e sazianti.

                                                                                                                       

                                                                                                                      La porzione di consumo standard consigliata è 1 grammo di pepe nero.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Produzione e Tecnologia del pepe

                                                                                                                      Caratteri botanici della pianta del pepe

                                                                                                                      La pianta del pepe è arborea, sempreverde, perenne e rampicante.

                                                                                                                      D’estate produce gambi lunghi fino 15 cm, lungo i quali sbocciano fiori piccoli e bianchi, che poi diventeranno granelli sferici carnosi chiamati “drupe”, che all’interno contengono un seme “legnoso” di circa 5 millimetri.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Produzione del pepe

                                                                                                                      In commercio si trova il pepe nero, bianco o verde ma in verità tutte le varietà derivano dallo stesso seme, che viene lavorato in modo diverso.

                                                                                                                      Il pepe verde viene raccolto prima della maturazione e poi deve essere conservato in salamoia; il pepe nero, raccolto in maturazione avanzata ma non conclusa, è successivamente essiccato.

                                                                                                                      Infine il pepe bianco, che non è altro che il seme del pepe nero raccolto in una fase di maturazione avanzata riconoscibile dalla buccia rossa, è privato della polpa, della scorza esterna e infine sciacquato ed essiccato.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Stagionalità del pepe

                                                                                                                      Il pepe si trova sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Preparazione e Conservazione del pepe

                                                                                                                      Il pepe può essere usato in diversi modi in cucina a seconda della varietà che si vuole utilizzare.

                                                                                                                      La varietà più usata è quella del pepe nero; il pepe bianco viene generalmente introdotto nelle salse come condimento per dare un tocco piccante, mentre i grani verdi e rossi, se freschi, si trovano in commercio nella salamoia o sotto aceto. Questi ultimi al momento dell’utilizzo dovranno essere schiacciati.

                                                                                                                       

                                                                                                                      Il pepe in grani è meglio macinarlo verso fine cottura per evitare che perda il suo aroma. Quello in granelli, essendo essiccato, non ha bisogno di particolari attenzioni per la conservazione anche se, conservato sottovuoto, mantiene l’aroma più intenso.
                                                                                                                      Per il pepe in salamoia, invece, viene indicata la data di scadenza sul barattolo.

                                                                                                                        • Gu F., Huang F., Wu G., Zhu H. (2018) “Contribution of Polyphenol Oxidation, Chlorophyll and Vitamin C Degradation to the Blackening of Piper nigrum L”, Molecules, 23(2):370.
                                                                                                                        • Patil M.V., Das S., Balasubramanian K., (2016) “Quantum Chemical and Docking Insights into Bioavailability Enhancement of Curcumin by Piperine in Pepper”, The Journal of Physical Chemistry, 120(20):3643-53.
                                                                                                                        • www.bda-ieo.it
                                                                                                                        • www.humanitas.it
                                                                                                                        • www.ilgiornaledelcibo.it

                                                                                                                        Erba cipollina

                                                                                                                         

                                                                                                                        erba cipollina

                                                                                                                        Famiglia: Liliaceae

                                                                                                                        Genere: Allium

                                                                                                                        Specie: Allium schoenoprasum L.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Storia dell’erba cipollina

                                                                                                                        L’erba cipollina, il cui nome scientifico è Allium schoenoprasum L., è una pianta perenne originaria dell’Europa, Asia e America del Nord.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Deve il suo nome al sapore e all’aroma delicati che ricordano quelli della cipolla.

                                                                                                                        Infatti di questa pianta sono commestibili sia i fiori sia le foglie.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Proprietà nutrizionali dell’erba cipollina

                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali dell'erba cipollina

                                                                                                                        I suoi valori nutrizionali

                                                                                                                        L’erba cipollina è un alimento ricco di proprietà nutritive che sono date soprattutto da vitamine, sali minerali e dal contenuto di acqua presente.

                                                                                                                        Infatti 100 grammi di erba cipollina contengono 91 grammi di acqua.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Tra le vitamine spiccano soprattutto la vitamina C e il beta-carotene, seguiti dalla vitamina E.

                                                                                                                         

                                                                                                                        All’interno troviamo un’altra molecola con potere antiossidante: l’acido glicolico, un acido carbossilico contenuto anche nella frutta utilizzato sia in ambito medico che cosmetico.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Tra i sali minerali i principali contenuti in maggior quantità troviamo il potassio, il calcio e il fosforo.

                                                                                                                         

                                                                                                                        I suoi effetti benefici

                                                                                                                        L’erba cipollina, come accennato sopra, ha un buon contenuto di vitamina C che gli conferisce caratteristiche antiossidanti.

                                                                                                                        Le stesse proprietà antiossidanti si riscontrano nel beta-carotene ,un pigmento vegetale di colore rosso giallo o arancione.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi (ovvero composti reattivi dell’ossigeno) prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che, se in eccesso, possono provocare stati patologici.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Questa pianta aromatica, inoltre, apporta altri benefici a livello dei minerali e delle vitamine che contiene.

                                                                                                                        Infatti, il potassio presente agisce regolando la pressione arteriosa mentre tra le vitamine, oltre alla C precedentemente citata, i folati svolgono una funzione positiva a livello gestazionale e la vitamina K nella coagulazione del sangue.

                                                                                                                         

                                                                                                                        L’erba cipollina inoltre è ricca di fibre che contrastano l’ipercolesterolemia e contribuiscono a regolare l’assorbimento degli zuccheri.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Il suo consumo è indicato in caso di alterazione del gusto, un possibile effetto collaterale derivante dal trattamento oncologico.

                                                                                                                         

                                                                                                                        La porzione standard consigliata per le piante aromatiche è di 5 grammi.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Produzione e Tecnologia dell’erba cipollina

                                                                                                                        Caratteri botanici della pianta

                                                                                                                        La pianta dell’erba cipollina presenta un bulbo ovale rivestito da tuniche grigio-brune che giunto a maturità forma bulbilli (spicchi).

                                                                                                                         

                                                                                                                        Le foglie, che hanno una lunghezza che può arrivare a 40 centimetri, hanno forma cava e cilindrica; sono molto aromatiche, infatti quando vengono tagliate rilasciano un aroma simile a quello delle foglie della cipolla o del porro.

                                                                                                                         

                                                                                                                        I fiori presentano una colorazione che va dal rosa al violetto e nell’insieme assumono forma globosa.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Cresce in località fredde-temperate. In Italia cresce spontanea in numerose regioni, soprattutto in zone umide fino a 2500 metri di altitudine.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Coltivazione della pianta

                                                                                                                        Le piante si ottengono mediante semina.

                                                                                                                        Una volta spuntati i ciuffetti si dovranno trapiantare in un vaso con un terreno più ricco di nutrienti per favorire la crescita della pianta e successivamente, per ultimarla, porla in un terreno soleggiato.

                                                                                                                         

                                                                                                                        La raccolta consiste nel recidere le foglie alla base. Le foglie, una volta raccolte, possono essere consumate fresche.

                                                                                                                         

                                                                                                                        L’erba cipollina ha una caratteristica comune a tutte le piante appartenenti al genere allium: contiene l’alliina, una molecola che sprigiona il suo profumo pungente nel momento in cui si taglia la pianta. Tuttavia questo aroma viene perso con la cottura.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Stagionalità dell’erba cipollina

                                                                                                                        Sul mercato si trova soprattutto nei mesi primaverili (aprile-maggio).

                                                                                                                         

                                                                                                                        Preparazione e Conservazione dell’erba cipollina

                                                                                                                        Nella preparazione delle portate è consigliabile utilizzare le foglie crude in modo da sfruttare al meglio tutte le proprietà evitando che si disperdano con la cottura.

                                                                                                                        Questa pianta può aromatizzare alimenti come insalate, minestre, piatti di pesce e formaggi morbidi.

                                                                                                                         

                                                                                                                        Si consiglia di consumare la pianta fresca per godere al meglio di tutte le sue proprietà aromatiche e organolettiche, tuttavia è possibile conservarla congelando la piantina tagliata ad anelli in piccoli sacchetti chiusi.

                                                                                                                          • Espinoza F., Vidal S., Rautenbach F., Lewu F., Nchu F., (2019) “Effects of Beauveria bassiana (Hypocreales) on plant growth and secondary metabolites of extracts of hydroponically cultivated chive (Allium schoenoprasum L. [Amaryllidaceae])”, Heliyon, 5(12):e03038.
                                                                                                                          • www.agraria.org
                                                                                                                          • www.bda-ieo.it
                                                                                                                          • www.humanitas.it

                                                                                                                          Lampone

                                                                                                                           

                                                                                                                          tipi di lamponi

                                                                                                                          Famiglia: Rosaceae

                                                                                                                          Genere: Rubus

                                                                                                                          Specie: Rubus spp.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Storia del lampone

                                                                                                                          Il lampone, il cui nome scientifico è Rubus spp., è una pianta originaria dell’Europa continentale e dell’Asia minore, che viene coltivata soprattutto nel Nord America, Nord Italia, Svizzera, Germania, Francia e Scozia.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Tipi di lamponi

                                                                                                                          Esistono diversi tipi di lamponi tra cui il Rubus neglectus, di colore violaceo, originario dell’America dell’est, i Rubus stringosus e occidentali, con frutti di colore rosso il primo e neri il secondo, originari del Nord America.

                                                                                                                          La specie più frequente in Italia è il lampone europeo, Rubus ideaus, che ha frutti con un colore che varia dal rosa pallido al rosso/violaceo.

                                                                                                                           

                                                                                                                          È possibile fare un’ulteriore divisione dei tipi di lamponi a seconda della dimensione e della quantità di produzione del frutto.

                                                                                                                          In questo caso le varietà si distinguono in unifere, caratterizzate da frutti di grosse dimensioni e bifere o rifiorenti, varietà che sono in grado di produrre il frutto due volte.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Proprietà nutrizionali del lampone

                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali del lampone

                                                                                                                          Valori nutrizionali del lampone

                                                                                                                          I lamponi sono caratterizzati da un buon contenuto di vitamine come folati e vitamina C, che si denaturano però in gran parte in caso di cottura (es marmellate).

                                                                                                                          Inoltre il frutto del lampone gode di ottime proprietà antiossidanti.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Questo frutto è molto utilizzato nelle marmellate, la cui preparazione, come detto in precedenza, degrada alcune sostanze, ma è anche in grado di concentrarne delle altre, come per esempio l’acido ellagico. Questo fenolo, che raddoppia in concentrazione nelle marmellate, in base a studi scientifici, sembrerebbe rallentare la crescita delle cellule tumorali, inibendo l’angiogenesi.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Benefici del lampone

                                                                                                                          I lamponi contengono numerose molecole antiossidanti e antinfiammatorie che svolgono funzioni positive nell’organismo.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Tra gli antiossidanti presenti nel lampone troviamo, oltre alla vitamina C, i flavonoidi e in particolare le antocianine, molecole fondamentali per la salute del cuore e facenti parte della famiglia dei flavonoidi.

                                                                                                                          Le antocianine, inoltre, svolgono il ruolo di pigmenti vegetali idrosolubili e conferiscono colore che in questo caso varia dal rosso-azzurro-violetto al frutto, ma generalmente anche a fiori, foglie o fusto.

                                                                                                                           

                                                                                                                          La porzione consigliata è di 150 grammi di lamponi freschi, ovvero circa una vaschetta.

                                                                                                                           

                                                                                                                          In una porzione di lamponi sono presenti 11,1 grammi di fibra, riuscendo così a soddisfare quasi la metà del fabbisogno giornaliero di fibra per la popolazione adulta (che è di 25 gr).

                                                                                                                           

                                                                                                                          Interazioni del lampone

                                                                                                                          Il consumo di lamponi potrebbe interferire con l’attività del linezolid, un antibatterico ossazolidinonico.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Produzione e Tecnologia del lampone

                                                                                                                          Caratteri botanici della pianta di lamponi

                                                                                                                          Il lampone europeo è una pianta cespugliosa formata da polloni (germogli) biennali che nascono dalle radici permettendo la continua crescita del cespuglio.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Le foglie, caduche, sono costituite da 3-5 foglioline che hanno forma ovale, margine seghettato e superficialmente presentano colore verde chiaro, mentre la pagina inferiore presenta colore bianco argenteo.

                                                                                                                           

                                                                                                                          I fiori sono bianchi e si raggruppano in racemi (mazzetti) e germogliano in posizioni diverse a seconda della varietà. Nella varietà unifera si trovano apicalmente e lateralmente, in quella bifera si trovano nella posizione dei polloni.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Il frutto ha un colore che varia dal giallo ambrato, al rosa pallido, al violaceo fino al russo rubino. Tuttavia tale colorazione potrebbe risultare meno intensa a causa di uno strato di pruina sopra il frutto che funge da pellicola.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Coltivazione dei lamponi

                                                                                                                          I lamponi crescono su un terreno preferibilmente fresco e ricco di sostanza organica.

                                                                                                                          Vengono coltivati in filari, distanti 1,5-2,5 metri tra loro, sostenuti con l’aiuto di fili di sostegno orizzontali o verticali dove si legano i tralci o si indirizzano i polloni (in caso di varietà rifiorenti).

                                                                                                                           

                                                                                                                          Produzione dei lamponi

                                                                                                                          La raccolta avviene in luglio-agosto, semplicemente sfilando il frutto dal suo ricettacolo ad avvenuta maturazione.

                                                                                                                          La maturazione avviene in modo scalare, quindi ogni 2 o 3 giorni viene ripetuta la raccolta.

                                                                                                                           

                                                                                                                          L’operazione di raccolta avviene manualmente se il frutto è destinato al consumo fresco, mentre avviene con macchine raccoglitrici se il prodotto è destinato all’industria.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Stagionalità del lampone

                                                                                                                          I lamponi si trovano soprattutto nei periodi estivi, fino ad ottobre.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Preparazione e Conservazione dei lamponi

                                                                                                                          Il lampone è un frutto tipicamente usato nella cucina delle aree di montagna e può essere consumato sia fresco sia in preparati come yogurt, marmellate, gelatine, sorbetti e per aromatizzare liquori, grappe, bevande fermentate e acquavite.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Nella scelta della marmellata da consumare sarebbe meglio prediligere quelle con una percentuale di zuccheri sotto il 37%.

                                                                                                                          Possibili abbinamenti con il lampone sono il miele di acacia e il cioccolato fondente.

                                                                                                                           

                                                                                                                          Le proposte di ricetta di FBO con i lamponi

                                                                                                                            • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                                                            • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                            • www.agraria.org
                                                                                                                            • www.alimentinutrizione.it
                                                                                                                            • www.bda-ieo.it
                                                                                                                            • www.humanitas.it
                                                                                                                            • www.melarossa.it
                                                                                                                            • Zafrilla P., Ferreres F., Tomás-Barberán F.A., (2001) “Effect of processing and storage on the antioxidant ellagic acid derivatives and flavonoids of red raspberry (Rubus idaeus) jams”, Journal of Agricultural and Food Chemistry, 49(8):3651-5.

                                                                                                                            Finocchi

                                                                                                                             

                                                                                                                            finocchi valori nutrizionali

                                                                                                                            Famiglia: Ombrelliferae

                                                                                                                            Genere: Foeniculum

                                                                                                                            Specie: Foeniculum vulgare dulce Mill.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Storia e varietà di finocchi

                                                                                                                            Il finocchio, il cui nome scientifico è Foeniculum vulgare dulce Mill., è un ortaggio facente parte della famiglia delle Ombrelliferae.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Le varietà principali sono due:

                                                                                                                             

                                                                                                                            • il Finocchio nostrale, diffuso nell’Italia centro-settentrionale, in cui rientra il Dolce di Firenze, di Chioggia, di Lecce, di Bologna, Romano.

                                                                                                                             

                                                                                                                            • e il Finocchio grosso d’Italia, coltivato principalmente nel Sud Italia di cui fanno parte il finocchio di Sicilia, di Palermo, di Messina, di Napoli, di Reggio Calabria.

                                                                                                                             

                                                                                                                            In commercio i finocchi si trovano freschi e sotto forma di semi; vengono usati anche come spezia.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Proprietà nutrizionali dei finocchi

                                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali dei finocchi
                                                                                                                            Tabella con i valori nutrizionali dei finocchi freschi e in semi.

                                                                                                                            Finocchi valori nutrizionali

                                                                                                                            Il finocchio è caratterizzato da un bassissimo potere calorico: 100 grammi di prodotto fresco corrispondono a 13 kcal.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Questo ortaggio è senza grassi ed è ricco di fibra insolubile, qualità che lo rende ideale per chi soffre di stitichezza.

                                                                                                                            Inoltre ha abbondanza di minerali come potassio, sodio, calcio e fosforo, di vitamine C e B9 e di β-carotene.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Come si può notare dalla tabella, i semi del finocchio, al contrario del finocchio fresco, hanno un minor contenuto di acqua, ma un maggior contenuto di fibra. Sono anche molto più ricchi in calcio, potassio, fosforo e zinco e tutte le vitamine hanno una concentrazione maggiore per 100 grammi di prodotto (ad eccezione della vitamina C).

                                                                                                                             

                                                                                                                            L’aroma e il sapore del finocchio (anche dell’aneto e dell’anice) sono dati da una molecola chiamata anetolo, un composto aromatico da cui si possono ottenere oli essenziali o da cui si possono ricavare liquori al gusto di anice come la Sambuca e il Pastis.

                                                                                                                            A questo olio essenziale, inoltre, sono state attribuite proprietà antibatteriche e antimicotiche.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Finocchi benefici

                                                                                                                            I benefici del finocchio sono legati soprattutto alla presenza sia di sali minerali sia di vitamine.

                                                                                                                             

                                                                                                                            I sali minerali principalmente presenti sono: il selenio che ha funzione antiossidante, il potassio che aiuta la salute cardiovascolare, il fosforo, il calcio e il magnesio per la salute delle ossa e il ferro per la costituzione dei globuli rossi.

                                                                                                                             

                                                                                                                            La vitamine maggiormente presenti sono la vitamina B9 che interviene nelle prime fasi di gravidanza per garantire il corretto sviluppo del sistema nervoso fetale e la vitamina C che è coinvolta nella sintesi del collagene e nelle difese antiossidanti del corpo.

                                                                                                                            Quest’ultima funzione è svolta anche dalla vitamina A, presente anch’essa nel finocchio.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Nei finocchi è presente anche la vitamina K, tanto che un finocchio grande ne contiene 126 µg, riuscendo quasi a coprire la dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta di 140 µg.

                                                                                                                             

                                                                                                                            La porzione consigliata è 200 grammi che corrisponde circa a 1 finocchio fresco intero.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Il consumo di questo ortaggio potrebbe essere utile per contrastare l’alterazione del gusto, il gonfiore addominale e il gonfiore sottocutaneo o edema causati dal trattamento oncologico.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Produzione e Tecnologia dei finocchi

                                                                                                                            Caratteri botanici della pianta di finocchi

                                                                                                                            La pianta del finocchio può elevarsi fino ad altezze di 80 centimetri ed è caratterizzata da un grumolo composto da guaine fogliari carnose sovrapposte le une alle altre intorno a un fusto centrale. ù

                                                                                                                            I grumoli sono di colore bianco brillante e la polpa deve essere soda, tenera e croccante, destinata all’alimentazione umana.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Il frutto ha una forma oblunga o ellissoidale.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Coltivazione dei finocchi

                                                                                                                            I finocchi vengono principalmente coltivati in zone caratterizzate da un clima mite.

                                                                                                                            La semina in campo avviene in file parallele e ogni pianta deve distare l’una dall’altra almeno 20-25 centimetri; il periodo migliore per effettuare la semina è giugno-luglio, che consente di ottenere successivamente la produzione autunnale.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Produzione dei finocchi

                                                                                                                            La raccolta avviene in tutte le stagioni a seconda delle zone di produzione (generalmente a 90-120 giorni dalla semina).

                                                                                                                            Si effettua quando il grumolo ha raggiunto lo sviluppo completo, prima che inizi l’allungamento del germoglio.

                                                                                                                            La tecnica utilizzata può essere sia a raccolta manuale, tagliando direttamente in campo le radici, tramite un vomere, con successiva pulizia dei grumoli, sia tramite macchine.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Alla raccolta seguono fasi successive di lavorazione, come la rifinitura e la pulizia esterna dei grumoli, il taglio delle foglie ad altezza predeterminata, il lavaggio in acqua, la selezione del prodotto, l’incassettamento e l’immersione veloce in acido citrico per prevenire l’imbrunimento.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Stagionalità dei finocchi

                                                                                                                            Il finocchio si trova sul mercato italiano nel periodo da novembre a maggio.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Preparazione e Conservazione dei finocchi

                                                                                                                            Il finocchio può essere consumato crudo o cotto e può essere utilizzato per salse o come spezia.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Solitamente viene utilizzato in insalata, gratinato, lessato o brasato.

                                                                                                                            Infatti il finocchio crudo deve il suo caratteristico sapore all’anetolo, una molecola utilizzata, per esempio, per la produzione del liquore Sambuca o per l’aperitivo Pastis, ma anche per insaporire piatti, tra i quali i dolci e le carni.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Dell’ortaggio, oltre al grumolo, si utilizzano i frutti, i fiori e le foglie. Dai frutti si ricava l’olio essenziale.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Il finocchio si conserva in frigorifero per 3-4 giorni.

                                                                                                                             

                                                                                                                            Le proposte di ricette di FBO con i finocchi

                                                                                                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                                • Shahat AA., Ibrahim AY., Hendawy SF., Omer EA., Hammouda FM., Abdel-Rahman FH., Saleh MA. (2011) “Chemical Composition, Antimicrobial and Antioxidant Activities of Essential Oils from Organically Cultivated Fennel Cultivars” Molecole; 16 (2): 1366-77.
                                                                                                                                • www.agraria.org
                                                                                                                                • www.humanitas.it
                                                                                                                                • www.ilgiornaledelcibo.it

                                                                                                                                Fagioli

                                                                                                                                 

                                                                                                                                varietà di fagioli

                                                                                                                                Famiglia: Papilionacee o Fabacee o Leguminose

                                                                                                                                Genere: Phaseolus

                                                                                                                                Specie: Phaseolus vulgaris L.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Storia dei fagioli

                                                                                                                                Il fagiolo, per antonomasia fagiolo comune o Phaseolus Vulgaris L., è una pianta che appartiene alla famiglia delle leguminose ascritte al genere Phaseolus.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                I fagioli comuni sono originari dell’America, in particolare del Perù e del Messico, dove circa 8000 anni fa sono stati coltivati per la prima volta, per poi essere esportati in tutto il mondo, specialmente nelle regioni temperate e semitropicali.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Nel bacino mediterraneo sono diffusi soprattutto in Asia, mentre in Europa sono coltivati principalmente in Spagna e Portogallo, oltre che in Italia e in Grecia.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Oltre 25 milioni di ettari sono utilizzati per la coltivazione dei fagioli.

                                                                                                                                Tra le leguminose da granella i fagioli si trovano al secondo posto per importanza a livello mondiale, preceduti dalla soia.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Varietà di fagioli

                                                                                                                                La variabilità genetica della specie ha consentito di isolare innumerevoli varietà di fagioli, caratterizzate da adattamento alle condizioni locali e soprattutto alle caratteristiche morfologiche e organolettiche gradite ai consumatori.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Le varietà di fagioli più presenti sono:

                                                                                                                                 

                                                                                                                                • borlotti,
                                                                                                                                • cannellini, 
                                                                                                                                • rossi,
                                                                                                                                • neri,
                                                                                                                                • corona.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                I fagioli che si trovano in commercio possono essere freschi, secchi, surgelati oppure precotti in scatola.

                                                                                                                                Questi ultimi devono essere sciacquati prima del consumo per rimuovere il sale in eccesso.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Proprietà nutrizionali dei fagioli

                                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali dei fagioli
                                                                                                                                Tabella con i valori nutrizionali dei fagioli, fagioli Adzuki, fagioli in scatola, fagioli Mung e fagioli secchi

                                                                                                                                Valori nutrizionali fagioli

                                                                                                                                Le proprietà nutrizionali dei fagioli sono associate al loro contenuto in proteine, che va dal 6 al 25% in base alle cultivar, e, in misura minore, al loro contenuto di carboidrati, vitamine e minerali.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Il contenuto proteico dei fagioli è quasi uguale a quello della carne, compreso tra il 20 e il 30%. Le frazioni proteiche primarie sono globulina e albumina.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Le proteine presenti nei fagioli soddisfano il fabbisogno minimo di requisiti approvato dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura.

                                                                                                                                Infatti 100 grammi di fagioli secchi forniscono all’uomo: grammi 9 – 25 di proteine, che rappresentano circa il 20% del consumo giornaliero raccomandato per un adulto normale (la digeribilità della proteina del fagiolo secco è pari all’80%).

                                                                                                                                 

                                                                                                                                I fagioli, così come tutti i legumi, sono un’ottima fonte di proteine vegetali, da poter consumare oltre 3 porzioni a settimana.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Tuttavia non presentano quantità ottimali di tutti gli aminoacidi essenziali e per questo hanno un valore biologico medio.

                                                                                                                                Per completare il profilo amminoacidico è sufficiente accompagnarli, durante lo stesso pasto o nell’arco della giornata, ad alimenti che compensano quelli mancanti, come i cereali integrali.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                I fagioli presentano anche un buon quantitativo di fibra solubile e sono inoltre fonte di fosforo, ferro e calcio.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Il ferro contenuto negli alimenti vegetali, non eme, è una forma meno disponibile a livello intestinale di quello contenuto nella carne, eme, per questo sarà necessario aggiungere fonti di vitamina C, all’interno del pasto, per aumentarne l’assorbimento.

                                                                                                                                Una buona usanza potrebbe essere quella di aggiungere un po’ di succo di limone o del peperoncino nella preparazione del piatto, o terminare il pasto con un frutto contenente vitamina C, come kiwi, clementine, arance, fragole o ribes rossi.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Benefici dei fagioli

                                                                                                                                La fibra solubile contenuta nei fagioli è essenziale per garantire il giusto senso di sazietà. Inoltre questi legumi contengono lecitina, una molecola che contrasta l’eccesso di colesterolo nel sangue.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                La porzione consigliata di fagioli freschi è di 150 gr, che corrisponde a mezzo piatto di fagioli mentre per i fagioli secchi è di 50 gr, che corrisponde a 3/4 cucchiai.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Interazioni dei fagioli

                                                                                                                                Sarebbe bene non consumare troppi fagioli in caso di presenza di problemi intestinali.

                                                                                                                                Per ridurre i fastidi ed il gonfiore addominale dopo il loro consumo, una buona pratica potrebbe essere quella di utilizzare il bicarbonato nella fase di ammollo e di cottura.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Produzione e Tecnologia dei fagioli

                                                                                                                                Caratteri botanici della pianta di fagioli

                                                                                                                                Il fagiolo comune è una pianta annuale ed è morfologicamente ben distinto dalle altre specie leguminose in quanto ha foglie primarie unifogliate e secondarie trifogliate.

                                                                                                                                È una specie a elevato polimorfismo, con moltissime cultivar tipiche locali e varietà commerciali.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Tra gli organi della pianta del fagiolo si ricordano l’apparato radicale, il fusto, le foglie, i fiori, il baccello e il seme.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                -L’apparato radicale è formato da un fittone, cioè la radice principale della pianta.

                                                                                                                                -Il fusto si allunga dalla parte opposta alla radice, portando fuori terra i due cotiledoni (foglie embrionali carnose), che tra i punti della loro inserzione mostrano la gemma caulinare. Dopo qualche giorno la gemma comincia a svilupparsi, costituendo la pianta.

                                                                                                                                -Le foglie hanno un caratteristico colore verde, che varia dal cupo al chiaro, a seconda della varietà di fagioli.

                                                                                                                                Le foglie composte pennato-trifogliate sono costituite dal picciolo, lungo 10-15 centimetri, scanalato ventralmente e coperto da radi peli corti e rigidi, e da tre fogliole, di cui le due laterali hanno forma ovale mentre quella centrale ha forma romboidale. Le tre foglie finiscono a punta acuminata e retta.

                                                                                                                                -I fiori, per lo più di colore bianco, sono lunghi in media 1-2 centimetri e costituiscono un’infiorescenza ramosa sostenuta da un peduncolo. Il numero di fiori varia a seconda della varietà, da 2 a 6 nelle specie nane fino a 15 nelle rampicanti;

                                                                                                                                -I semi si inseriscono sopra le due nervature dorsali del baccello (frutto a due valve), portati da un breve funicolo; quando si aprono le valve, ciascuna reca metà dei semi. Nel seme si trovano il tegumento esterno, i due cotiledoni e l’embrione.

                                                                                                                                I semi si differenziano per forma, colore, volume, peso, consistenza e caratteristiche composizionali: da questi caratteri dipende il valore merceologico e nutrizionale.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Coltivazione dei fagioli

                                                                                                                                Il fagiolo è una pianta annuale a rapido sviluppo.

                                                                                                                                La sua origine tropicale fa sì che sia esigente in fatto di calore e sofferente per gli abbassamenti di temperatura. Teme la siccità e, se è  prolungata, i baccelli abortiscono oppure i semi non raggiungano il pieno sviluppo.

                                                                                                                                Il terreno più adatto per la produzione del fagiolo è quello sciolto, fresco, fertile, non troppo calcareo; inoltre il fagiolo è intollerante alla salinità.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                La semina comprende i mesi da aprile a luglio; la germinazione del fagiolo comune è epigea e richiede mediamente da 5 a 7 giorni.

                                                                                                                                Il tempo per raggiungere la fioritura varia con la cultivar, la temperatura e il fotoperiodo.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Il ciclo biologico varia da 65 – 70 giorni nelle cultivar determinate o precoci, fino a 200 giorni nelle varietà rampicanti coltivate in montagna.

                                                                                                                                L’adattabilità del fagiolo ha una pluralità di cicli colturali e consente una continua presenza durante l’anno di prodotto fresco sul mercato.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Stagionalità dei fagioli

                                                                                                                                I fagioli vengono raccolti durante i periodi estivi, ma grazie alla tecnica dell’essiccazione sono reperibili sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Preparazione e Conservazione dei fagioli

                                                                                                                                In tutto il mondo i fagioli secchi vengono consumati nelle diete, serviti come zuppe o contorni in stufati e piatti di carne, dopo essere stati immersi in acqua e cotti qualche ora, svolgendo una funzione significativa nell’alimentazione umana soprattutto per il contenuto di proteine, carboidrati, fibre alimentari, vitamine, minerali, sostanze fitochimiche e altri micronutrienti.

                                                                                                                                Inoltre hanno enormi quantità di polifenoli e altri metaboliti che conferiscono proprietà antiossidanti e protettive.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                In commercio si trovano fagioli secchi, freschi, tra i prodotti surgelati o in scatola.

                                                                                                                                In qualsiasi modo si trovino in commercio i fagioli mantengono le loro proprietà nutrizionali; l’unica attenzione da porre per i fagioli in scatola è quella di sciacquarli prima del consumo.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Invece per ridurre i fastidi intestinali il consiglio è quello di usare il bicarbonato nella fase di ammollo e di cottura.

                                                                                                                                 

                                                                                                                                Le proposte di ricette di FBO con i fagioli

                                                                                                                                    • Ganesan K., Xu B., (2017) “Polyphenol-Rich Dry Common Beans (Phaseolus vulgaris L.) and Their Health Benefits” International Journal of Molecular Sciences, 18, 2331.
                                                                                                                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                                    • Parisi B., Campion B., Il fagiolo, Il Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA)
                                                                                                                                    • Teucher B., Olivares M., Cori h., (2004) “Enhancers of iron absorption: ascorbic acid and other organic acids”, International Journal for Vitamin and Nutrition Research, 74(6):403-19.
                                                                                                                                    • www.agraria.org
                                                                                                                                    • www.bda-ieo.it
                                                                                                                                    • www.humanitas.it

                                                                                                                                    Cipolla

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    tipi di cipolla

                                                                                                                                    Famiglia: Liliaceae-Amaryllidaceae

                                                                                                                                    Genere: Allium

                                                                                                                                    Specie: Allium cepea L.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Storia della cipolla

                                                                                                                                    La cipolla, il cui nome scientifico è Allium cepa L., è una pianta erbacea del genere Allium, il genere più grande della famiglia Alliaceae, cui appartengono circa 450 specie.

                                                                                                                                    Alcuni studiosi la inseriscono nella famiglia delle Amarillidaceae per la forma dell’infiorescenza.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Questa pianta bulbosa ha origini antichissime: i primi rinvenimenti risalgono all’età del bronzo e alla civiltà egizia.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    La cipolla sembra originaria dell’Asia, attualmente però viene coltivata in tutto il mondo. In Italia è coltivata soprattutto in Emilia Romagna, Campania, Sicilia e Puglia.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Tipi di cipolla

                                                                                                                                    La cipolla è conosciuta in numerosissime varietà.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    In Italia si ricordano le cipolle a bulbo:

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    • giallo
                                                                                                                                      di cui fanno parte Dorata di Bologna, Saratoga e Vuelta, Gialla Borettana, Gialla piatta Piemontese, Ramata di Montoro, Ramata dolce piatta Napoletana, Dorata di Parma, Cipolla di Banari, Bionda di Cureggio e Fontaneto, Cipolla di Alife (presidio Slow Food), Sorriso, Granero, Dolce Paglierina Francese, Legend;

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    • bianco
                                                                                                                                      in cui rientrano Bianca di Brunate, Bianca di Chioggia, Bianca per cipollotto, Bianca piatta di maggio, Bianca tonda Musona e Agostana, Gigante dolce piatta di Giarratana, Cipolla bianca di Barletta, Blanca, Blanca duro, Nevada, Cometa;

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    • rosso
                                                                                                                                      quali Rosata Savonese, Rossa di Firenze o Toscana, Rossa lunga Fiascona, Verdina di Firenze, Rossa lunga Tropeana, Rossa tonda di Tropea, Rossa di Bassano, Rossa piatta invernale, Grossa piatta d’Italia, Rossa di Acquaviva delle Fonti (presidio Slow Food), Rossa di Cavasso e della Val Cossa (presidio Slow Food), Rossa ramata di Milano, Cipolla di Certaldo, Cipolla di Suasa, Reddy, Redford.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Proprietà nutrizionali della cipolla

                                                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali della cipolla

                                                                                                                                    Valori nutrizionali della cipolla

                                                                                                                                    La cipolla è un ortaggio caratterizzato dal contenuto minimo di calorie, pari a 28 kcal per 100 grammi di prodotto.

                                                                                                                                    Inoltre, su 100 grammi, ben 92 sono liquidi, che favoriscono la diuresi e l’eliminazione di scorie.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    La fibra contenuta nelle cipolle è l’inulina, fondamentale per nutrire le specie batteriche positive che popolano il nostro intestino.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Le cipolle sono ricche di flavonoidi, insieme di pigmenti facenti parte del mondo vegetale caratterizzati da numerose proprietà antiossidanti, e composti solforati.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Benefici della cipolla

                                                                                                                                    Gli ACSO, cioè Alchenil-Cistein-Sulfossidi, sono composti solforati responsabili dell’odore della cipolla. A queste molecole sono attribuiti effetti antitumorali, antiossidanti, anticoagulanti ed antibatterici.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    La cipolla contiene l’allina, una molecola inodore che subisce un taglio enzimatico da parte dell’allinasi. L’allinasi è un enzima che nel bulbo si trova integro all’interno di vacuoli e che, in seguito al taglio della cipolla, viene rilasciato e va ad agire trasformando l’allina in allicina.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    L’allicina è un principio attivo contenente sostanze solforate responsabile del caratteristico odore delle cipolle. Sembrerebbe avere potenziali utilizzi in ambito medico come nella prevenzione dell’aterosclerosi, normalizzazione lipoproteine e diminuzione della pressione grazie al suo effetto antitrombotico, antinfiammatorio e antiossidante.

                                                                                                                                    In base a recenti studi, l’allicina sarebbe anche comparabile all’antibiotico contro l’Helicobacter Pylori, causa di ulcere e gastriti allo stomaco fino allo sviluppo di tumori.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Oltre a questa un’altra importante molecola presente nella cipolla è la quercetina, un flavonoide con funzione antiossidante che si trova nelle cipolle bianche, dorate e rosse.

                                                                                                                                    Tale tipo di molecola, in base agli studi scientifici condotti fino ad ora, sembrerebbe avere effetti positivi sulle quantità di trigliceridi e colesterolo nel sangue.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a 1-2 cipolle.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Interazioni della cipolla

                                                                                                                                    Il consumo di cipolla potrebbe interferire con l’azione di diversi farmaci, quali aspirina, litio, antidiabetici, anticoagulanti, antiaggreganti e farmaci metabolizzati dal citocromo P450 2E1.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Produzione e Tecnologia della cipolla

                                                                                                                                    Caratteri botanici della cipolla

                                                                                                                                    La cipolla è formata da un apparato radicale costituito da radici fascicolate e superficiali, di colore biancastro, sprovviste di peli radicali.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Una piccola foglia che fuoriesce dal terreno, a forma di anello, indica l’avvenuta germinazione; lentamente poi compaiono anche le altre foglie.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Il bulbo costituisce la parte edule della pianta. Le guaine esterne, dette anche tuniche, si presentano sottili, cartacee, di colore variabile a seconda della varietà.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Trapiantando i bulbi al secondo anno si forma lo scapo fiorale, ovvero la parte del fusto che reca i fiori, caratterizzato dall’essere cavo internamente e rigonfio nella parte inferiore. Alla sommità dello scapo si trova un’infiorescenza di molti fiori, utili per la fecondazione.

                                                                                                                                    A seguito della fecondazione si forma una capsula triloculare di forma irregolare, che contiene da 1 a 2 semi.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    A seconda della forma del bulbo, della colorazione e dei periodi di crescita si distinguono diverse varietà; in particolare si distinguono le cipolle invernali da quelle estive e, a seconda della colorazione, le cipolle rosse, bianche e dorate.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Coltivazione delle cipolle

                                                                                                                                    Per le cipolle invernali, il cui bulbo si sviluppa in inverno, la semina avviene a settembre, il trapianto a novembre e la raccolta tra aprile e maggio. Questo tipo di semina riguarda le cipolle dorate e quelle bianche.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Le cipolle estive invece vengono seminate a febbraio e raccolte tra luglio e agosto, dopo essere state trapiantate nei mesi di marzo e aprile. Le cipolle estive si conservano più a lungo e possono essere sia rosse, sia bianche, sia dorate.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    In generale le cipolle rosse sono precoci, le bianche sono semi-precoci e le dorate sono tardive.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Il terreno più adatto alla coltivazione della cipolla è quello che si ottiene in seguito alle coltivazioni prative, dei cereali o orticole.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    La semina viene effettuata con seminatrici e si utilizzano semi sia nudi che confettati che saranno distanti gli uni dagli altri a seconda della grandezza del bulbo: i bulbi grossi saranno distanti dai 16 ai 20 cm mentre quelli piccoli dai 9 ai 10 cm.

                                                                                                                                    Tale attività si effettua in diversi periodi dell’anno a seconda dell’utilizzo del prodotto. Se il prodotto è destinato al consumo fresco la semina avviene da settembre a dicembre e la raccolta è primaverile; se l’uso è a lungo termine, come nel caso dei sottaceti, la semina va da gennaio ad aprile con raccolta estivo-autunnale.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Produzione delle cipolle

                                                                                                                                    La raccolta della cipolla avviene con una macchina raccoglitrice quando le foglie si presentano appassite, ingiallite e curvate verso terra.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    In seguito si effettuano diverse operazioni. Per primo il lavaggio per immersione con agitazione in acqua, a cui segue la calibratura per separare le diverse pezzature.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Successivamente si esegue la mondanatura, tecnica che permette di eliminare le brattee esterne, le radichette e l’apice vegetativo, e la pelatura. Quest’ultima può avvenire in modo delicato (in modo tale da non rovinare le cipolle) per abrasione mediante rulli  abradenti in gomma con superficie ondulata in presenza di getti di acqua calda, oppure con l’utilizzo della fiamma quando le brattee si presentano molto sviluppate e resistenti.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Gli ultimi passaggi riguardano la cernita, ovvero il controllo visivo per eliminare difetti o residui di lavorazione, e il confezionamento in vasetti di vetro contenenti anche il liquido di governo, che è diverso a seconda della preparazione.

                                                                                                                                    Dopo la chiusura dei vasi con la capsula, gli stessi vengono pastorizzati in modo tale da poterli conservare per lungo tempo.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Stagionalità delle cipolle

                                                                                                                                    Le cipolle si trovano sul mercato tutto l’anno, anche se le diverse varietà sono caratteristiche di determinati periodi dell’anno.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Preparazione e Conservazione delle cipolle

                                                                                                                                    La cipolla può essere consumata sia fresca mantenendo intatti i composti fenolici e solforati, sia come prodotto industriale: di conservazione per la produzione di sottoli, sottaceti o fettine disidratate.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    La cipolla si presenta in innumerevoli varietà, ma non tutte si prestano alla conservazione; le più indicate sono infatti quelle tardive.

                                                                                                                                    Ogni varietà di cipolla ha un sapore caratteristico, che la rende indicata per la preparazione di alcuni piatti: la cipolla bionda è la più saporita ed è ideale per la preparazione di soffritti e minestre, a differenza della varietà bianca, che ha un sapore più delicato, che la rende la più indicata nella preparazione di focacce e torte di verdure, o semplicemente lessata; infine la varietà rossa ha un sapore non aggressivo e quindi utilizzata nel consumo fresco, anche in abbinamento a carni e formaggi.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Un consiglio per il soffritto è quello di aggiungere dell’acqua all’olio; così facendo infatti si evita che le temperature salgano al di sopra dei 100°C, riducendo la degradazione dei composti.

                                                                                                                                     

                                                                                                                                    Inoltre azioni come bagnare il coltello o sciacquare la cipolla sotto l’acqua corrente possono ovviare al problema della lacrimazione degli occhi durante il taglio o dell’alitosi, in quanto i composti solforati responsabili sono idrosolubili.

                                                                                                                                      • Cecchi L., Ieri F., Vignolini P., Mulinacci N., Romani A., (2020) “Characterization of Volatile and Flavonoid Composition of Different Cuts of Dried Onion (Allium cepa L.) by HS-SPME-GC-MS, HS-SPME-GC×GC-TOF and HPLC-DAD.” Molecules.;25(2).
                                                                                                                                      • Guercio V., Galeone C., Turati F., La Vecchia C., (2014) “Gastric cancer and allium vegetable intake: a critical review of the experimental and epidemiologic evidence”, Nutrition and Cancer, 66(5):757-73.
                                                                                                                                      • Liotta E., Pelicci PG., Titta L., (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.
                                                                                                                                      • Nicastro L.H., Ross S.A., Milner J.A., (2015) “Garlic and onions: their cancer prevention properties”, Cancer Prevention Research, 8(3):181-9.
                                                                                                                                      • www.agraria.org
                                                                                                                                      • www.bda-ieo.it
                                                                                                                                      • www.humanitas.it

                                                                                                                                      Cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      benefici cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      Famiglia: Cruciferae- Brassicaceae

                                                                                                                                      Genere: Brassica

                                                                                                                                      Specie: Brassica oleracea L.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Storia dei cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      Il cavoletto di Bruxelles (Brassica oleracea var. Gemmifera) ha origini in Belgio ed è coltivato in Inghilterra, Francia e Olanda.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Lungo il fusto della pianta si trovano i germogli di cavolini che costituiscono le parti eduli della pianta. Tali germogli sono considerati maturi quando hanno una grandezza simile a una noce o a un uovo di gallina.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Tipologie di cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      Esistono numerose varietà di cavoletti che si adattano a varie condizioni ambientali.

                                                                                                                                      Le due varietà principali si dividono in base al periodo di produzione dei germogli: la prima, precoce, produce da fine settembre a novembre; mentre la seconda, tardiva, permette la raccolta da gennaio a marzo.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Tra le varietà più comuni:

                                                                                                                                      • precoci: Asgard, Cor, Lunet, Mallard, Mezzo nano, Nicoline, Porter, Riga;
                                                                                                                                      • semitardive: Citadelle, Héraclès, Kundry, Odessa, Pilar, Perfection, Rampart, Tornado;
                                                                                                                                      • tardive: Content, Edmund, Gabion, Igor, Lauris, Pinacle, Stat.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      I cavoletti di Bruxelles vengono in genere cotti a vapore, al microonde o consumati freschi.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali dei cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali dei cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      Valori nutrizionali dei cavoli di Bruxelles

                                                                                                                                      I cavoletti di Bruxelles presentano un elevato contenuto di acqua e fibra solubile con elevato potere saziante ed effetto prebiotico per i batteri positivi del nostro intestino.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Tra le vitamine, quella maggiormente presente è la vitamina K, mentre per i minerali è il potassio. La presenza del potassio, a discapito di quella del sodio, è fondamentale per mantenere un corretto equilibrio tra questi due minerali e conseguentemente una buona salute cardiovascolare.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Benefici cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      Altre molecole presenti nei cavoletti di Bruxelles sono: la sinigrina che svolge un’azione antitumorale e il di-indolil-metano che esercita un’azione antibatterica e antivirale.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Inoltre sono presenti anche carotenoidi come luteina e zeaxantina, utili al buon funzionamento del processo visivo.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Il cavoletto di Bruxelles è composto da un’elevata quantità di clorofilla e glucosinolati che contribuiscono a dare proprietà benefiche sull’organismo. I glucosinolati, fitocomposti solforati, oltre a conferire un sapore amaro che allontana insetti e animali erbivori salvaguardando la salute della pianta, sembrano comportarsi nello stesso modo con le cellule tumorali. Scissi dall’enzima mirosinasi in isotiocianati e indoli, sembrerebbero avere un ruolo antiploriferativo contro le cellule tumorali ed in grado di alterare il metabolismo degli estrogeni. Per far si che la mirosinasi possa svolgere il proprio ruolo è necessario che i cavoletti vengano tagliati e masticati in maniera adeguata.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile nel caso di ipovitaminosi di vitamina C e in caso di stipsi o costipazione, effetti avversi che possono essere legati al trattamento oncologico.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a ½ piatto.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Con una porzione a crudo si soddisfa circa il doppio del fabbisogno giornaliero di vitamina K e un terzo del fabbisogno giornaliero di manganese, facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                      L’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina K per la popolazione adulta è di 140 µg (sia per gli uomini che per le donne); per il manganese invece è di 2.7 per gli uomini e 2.3 mg per le donne (sempre facendo riferimento alla popolazione adulta).

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Interazioni cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      Se si assumono diuretici risparmiatori di potassio bisognerebbe evitare di eccedere con cibi ricchi di potassio, come i cavoletti di Bruxelles.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      I cavoletti di Bruxelles possono interferire con l’azione degli anticoagulanti (warfarin), in quanto la vitamina K contenuta in essi può rendere il farmaco meno efficace.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Questo alimento rappresenta anche una fonte di goitrogeni, pericolosi per chi soffre di disturbi alla tiroide.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia dei cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      Caratteri botanici dei cavoli di Bruxelles

                                                                                                                                      Il cavoletto di Bruxelles è un ortaggio crocifero.

                                                                                                                                      La pianta presenta fusto eretto con altezza di circa 1 metro, le foglie sono verdi e lungo il fusto portano “glomeruli rotondi” (germogli di cavolini), mentre all’apice è presente un “ciuffo di foglie “.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Coltivazione dei cavoli di Bruxelles

                                                                                                                                      Vegeta bene nelle zone caratterizzate da estate fresca e umida e da inverno mite, clima tipico di alcune zone del nord Europa; si adatta bene a terreni di diversa natura anche se preferisce quelli ben drenati e di medio impasto.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      La riproduzione della pianta avviene per seme.

                                                                                                                                      I semi sono di forma simile a quella di altri cavoli e hanno bisogno di 6-7 giorni per germogliare e per far fuoriuscire la plantula.

                                                                                                                                      Subito dopo il trapianto è opportuno irrigare 2/3 volte per facilitare l’attecchimento e poi altre 2/3 durante la coltura.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      La semina avviene nel periodo compreso tra aprile-maggio fino a giugno-luglio. Ad attecchimento avvenuto bisogna eliminare le piante morte, rincalzare le piante e sistemare contemporaneamente il terreno per predisporlo alla distribuzione del concime.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Produzione dei cavoli di Bruxelles

                                                                                                                                      La raccolta dei germogli avviene mano a mano che questi raggiungono grandezza di una noce o al massimo di un uovo di gallina.

                                                                                                                                      La produzione dei cavoletti di Bruxelles dipende da numerosi fattori come il clima, il terreno, la cultivar.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Stagionalità dei cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      Sul mercato italiano si possono trovare da novembre a marzo.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione dei cavoletti di Bruxelles

                                                                                                                                      È possibile conservare i cavoletti di Bruxelles in frigo a 1-2°C anche per più di un mese ed è possibile utilizzarli in cucina con svariati metodi di cottura, ad esempio rosolati, cotti in padella, al vapore o bolliti.

                                                                                                                                       

                                                                                                                                      In generale si consiglia di cuocerli il meno possibile con poca acqua per evitare che sostanze come i glucosinolati si riducano a causa del calore. Questo processo può essere evitato se i cavoletti vengono stufati a vapore e successivamente saltati velocemente in padella.

                                                                                                                                        • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                                                                        • nal.usda.gov
                                                                                                                                        • Gupta P., Kim B., Kim SH., Srivastava SK (2014) “Molecular targets of isothiocyanates in cancer: recent advances”, Molecular Nutrition & Food Research, 58(8):1685-707.
                                                                                                                                        • Hwang Es., (2017) “Influence of Cooking Methods on Bioactive Compound Content and Antioxidant Activity of Brussels Sprouts.” Preventive Nutrition and Food Science, 22(4): 353–358.
                                                                                                                                        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                                        • Liotta E., Pelicci PG., Titta L., (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.
                                                                                                                                        • www.aicr.org
                                                                                                                                        • www.bda-ieo.it
                                                                                                                                        • www.humanitas.it
                                                                                                                                        • www.nal.usda.gov

                                                                                                                                        Cannella

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        proprietà della cannella

                                                                                                                                        Famiglia: Lauraceae

                                                                                                                                        Genere: Cinnamomum

                                                                                                                                        Specie: Cinnamomum zeylanicum L.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Storia della cannella

                                                                                                                                        La cannella è una spezia esotica usata in tutto il mondo da diversi secoli.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        È ottenuta dalla corteccia del Cinnamomun, un albero sempreverde.

                                                                                                                                        Le piante, essendo di origine tropicale, hanno bisogno di zone umide con alte e costanti temperature per crescere in modo ottimale e la corteccia, le foglie, i fiori, i frutti e le radici vengono utilizzate sia per uso medico che culinario.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Tipologie di cannella

                                                                                                                                        Il Cinnamomum è presente in due varietà principali:

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        • Cinnamomum zeylanicum: è un albero sempreverde originario dell’Asia tropicale e dello Sri Lanka.
                                                                                                                                          Dall’essiccazione dei rami che hanno almeno tre anni si ricava la cannella, chiamata “Ceylon” o “vera cannella“.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        • Cinnamomum cassia: è un albero originario della Cina e del sud est asiatico.
                                                                                                                                          La cannella, ottenuta dai rami giovani, è soprannominata “cinese” ed è caratterizzata da un aroma meno intenso rispetto alla prima.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Una differenza rilevante tra le due, oltre all’aroma, è il contenuto di cumarina. In Cinnamomun Cassia è più elevato rispetto a Zeylanicum e la conseguenza si ripercuote in un maggior rischio per la salute se la cannella è consumata abitualmente e in elevate quantità.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali della cannella

                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali della cannella

                                                                                                                                        Valori nutrizionali della cannella

                                                                                                                                        La cannella viene consumata principalmente come spezia. È costituita da fibre, zuccheri semplici, proteine e dal 10% di acqua; i grassi sono limitati.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Sono presenti discrete quantità di vitamine del gruppo A, B e C e minerali come calcio, ferro e manganese.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        La cannella inoltre contiene importanti principi attivi come l’acido cinnamico, l’eugenolo, la cinnamaldeide (presente anche nell’olio di cannella), l’epicatechina ed i tannini.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        L’utilizzo della cannella può essere una valida alternativa all’uso dello zucchero, per esempio nella preparazione dei dolci.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        I benefici della cannella

                                                                                                                                        Recenti studi di laboratorio su modelli cellulari utilizzando la cannella hanno dimostrato i suoi effetti antiossidanti, antinfiammatori, antimicrobici verso vari patogeni alimentari e la sua capacità nel controllare la glicemia ed i livelli di colesterolo.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        L’aldeide cinnamica e l’epicatechina, contenute nella cannella, sembrerebbero avere un possibile ruolo anche nel rallentare il progredire dell’Alzheimer.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Interazioni della cannella

                                                                                                                                        La cannella potrebbe interagire con l’impiego di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia della cannella

                                                                                                                                        Coltivazione della cannella

                                                                                                                                        L’albero della cannella ha bisogno di temperature abbastanza elevate e umidità che si mantengano costanti nel tempo per assicurarne la crescita.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        In Italia la coltivazione della cannella avviene principalmente in vaso e non necessita di cure particolari: bisogna solo provvedere ad innaffiarla quando il terreno si presenta asciutto (poiché l’albero della cannella cresce in zone dove le precipitazioni sono frequenti) e a rimuovere i rami secchi e/o danneggiati.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Produzione della cannella

                                                                                                                                        La cannella, a differenza di molte altre spezie, si ottiene dai rami o dal fusto dell’albero.

                                                                                                                                        Nel caso in cui si voglia ottenere dai rami, viene estratta la parte interna che poi viene fatta essiccare, mentre se estratta dal fusto, questo dovrà avere almeno 3 anni di età. Anche in questo caso segue l’essicazione.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Il legno, a seguito dell’essiccazione, subisce un ripiegamento su se stesso assumendo la classica forma arrotolata dei bastoncini in commercio.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Dalla corteccia è possibile ottenere anche la polvere e l’olio essenziale, spesso utilizzati in cucina per l’aroma pungente e con note pepate e per il sapore dolce. Infatti la polvere è utilizzata principalmente per aromatizzare i piatti, i bastoncini per gli infusi e l’olio come rimedio naturale o profumatore per la casa.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Stagionalità della cannella

                                                                                                                                        La cannella è presente sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione della cannella

                                                                                                                                        La cannella è una spezia utilizzata in cucina per insaporire i piatti donando un tocco dolce ma nello stesso tempo piccante.

                                                                                                                                        Si ritrova in ricette per le torte, per i biscotti, per i budini o per aromatizzare le bevande come il tè, il vino e il latte. Non è raro il suo accompagnamento a piatti di carne, verdure o nel riso.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        I prodotti della cannella in commercio sono i bastoncini, la polvere e l’olio.

                                                                                                                                        I primi devono essere sbriciolati prima dell’uso e messi in acqua bollente per godere di tutte le qualità che la caratterizzano. La polvere invece è “adatta alla ricette che richiedono cottura o nei dolci che lievitano in forno”.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Sia per i bastoncini che per la polvere la migliore conservazione della spezia viene attuata mettendola in contenitori di vetro ben chiusi, lontano dalla luce e dall’umidità.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        L’olio invece viene utilizzato per la profumazione dell’ambiente o come rimedio naturale avendo proprietà antisettiche, stimolanti, digestive e carminative. In esso infatti è presente la cinnamaldeide, una molecola con attività antiossidanti e antimicrobiche verso vari patogeni alimentari.

                                                                                                                                         

                                                                                                                                        Le proposte di ricette di FBO con la cannella:

                                                                                                                                          • Hariri M., Ghiasvand R. (2016) “Cinnamon and Chronic Diseases”, Advances in Experimental Medicine and Biology, 929:1-24.
                                                                                                                                          • Momtaz S., Hassani S., Khan F., Ziaee M., Abdollahi M. (2018) “Cinnamon, a promising prospect towards Alzheimer’s disease”, Pharmacological Research, 130:241-258.
                                                                                                                                          • Pongsumpun P., Iwamoto S., Siripatrawan U. (2019) “Response surface methodology for optimization of cinnamon essential oil nanoemulsion with improved stability and antifungal activity”, Ultrasonic Sonochemistry, 60: 104604.
                                                                                                                                          • Ranasinghe P., Pigera S., Premakumara GA., Galappaththy P., Costantino GR., Katulanda P. (2013) “Medicinal properties of ‘true’ cinnamon (Cinnamomum zeylanicum): a systematic review”, BMC Complementary and Alternative Medicine, 13: 275.
                                                                                                                                          • www.agraria.org
                                                                                                                                          • www.bda-ieo.it
                                                                                                                                          • www.humanitas.it

                                                                                                                                          Banana

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          proprietà della banana

                                                                                                                                          Famiglia: Musaceae

                                                                                                                                          Genere: Musa L.

                                                                                                                                          Specie: Musa acuminata e Musa balbisiana

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Storia delle banane

                                                                                                                                          Il banano è una pianta di origini asiatiche appartenente alla famiglia delle Musaceae, che prende il nome dal genere Musa.

                                                                                                                                          Fruttifica in presenza di climi tropicali e sub tropicali tipici del centro America, Africa tropicale e Filippine. Tuttavia la pianta può vivere anche in ambienti con climi miti, se posizionata al sole e riparata dai venti.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Il frutto del banano è la banana, che fa parte dei frutti climaterici, cioè che maturano anche dopo essere stati separati dalla pianta, in modo artificiale.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          La banana è una delle colture più importanti al mondo soprattutto nelle regioni tropicali, essendo la quarta specie di frutta coltivata, utilizzata come importante componente dietetico sia crudo, come frutto da dessert, sia cotto, come fonte di carboidrati.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Varietà di banane

                                                                                                                                          Nel commercio le più importanti varietà di banane coltivate sono la Cavendish e la Gros Michel.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          La banana Cavendish, dalla buccia sottile, è in grado di resistere a malattie e funghi adattandosi alla distribuzione su lunghe tratte, pur risultando delicata ai trasporti.

                                                                                                                                          A differenza della prima, la Gros Michel, conosciuta anche con il nome Big Mike, è caratterizzata da buccia più spessa e maggiore dolcezza.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          La banana produce un gran numero di boccioli di fiori, che sono un sottoprodotto del banano.

                                                                                                                                          In generale nei paesi orientali il banano è considerato una pianta preziosa.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali della banana

                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali della banana

                                                                                                                                          Valori nutrizionali delle banane

                                                                                                                                          La banana è un frutto amidaceo, in quanto oltre a gli zuccheri semplici, presenti in tutta la frutta fresca, contiene anche l’amido.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          È ricca di fitonutrienti, cioè sostanze che si trovano naturalmente nella pianta, come le vitamine, soprattutto A, B1, B2, B9, C, e di composti fenolici.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          La banana è inoltre ricca di minerali come magnesio, potassio, calcio, ferro e fosforo.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Benefici delle banane

                                                                                                                                          La banana presenta una buona quantità di fibra solubile, sotto forma di pectine, fondamentale per garantire il giusto senso di sazietà.

                                                                                                                                          Nella banana sono invece assenti grassi, colesterolo e sodio.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Grazie a queste sue caratteristiche la banana, oltre ad avere un gusto piacevole, risulta essere un frutto che può essere introdotto nell’alimentazione dei bambini.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          I frutti del banano sono alimenti poveri in sodio e ricchi in potassio.

                                                                                                                                          Quest’ultimo è un minerale che serve a garantire il corretto funzionamento muscolare e che ha effetti positivi nel regolare l’ipertensione, l’efficienza cardiaca, i processi fisiologici, il bilancio idrico e nel prevenire l’aterosclerosi.

                                                                                                                                          La banana apporta dunque grandi benefici all’organismo in quanto abbassa la pressione, regolarizza l’intestino e aiuta l’umore.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile in caso di gonfiore sottocutaneo/edema, un effetto collaterale derivante dalle terapie oncologiche.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          La porzione consigliata per il frutto fresco è di 150 gr, che corrisponde a una banana.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Interazioni delle banane

                                                                                                                                          Sarebbe meglio non consumare la banana se si assumono ACE inibitori, diuretici che possono aumentare il potassio nell’organismo o antibatterici ossazolidinoni.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia della banana

                                                                                                                                          Caratteri botanici delle banane

                                                                                                                                          Il banano non è un albero, ma è una pianta sempreverde che cresce da un bulbo-tubero da cui si sviluppa un falso tronco che può raggiungere l’altezza di 10 metri se spontanea o di 3 metri se coltivata.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Ogni tronco di solito sviluppa una singola infiorescenza. L’infiorescenza è chiamata cuore di banana ed è caratterizzata da fiori carnosi con fiori femminili e maschili, riconoscibili perché i fiori femminili sono localizzati più in alto nella pianta rispetto ai fiori maschili.

                                                                                                                                          Ogni infiorescenza genera un casco o grappolo formato da file di frutti, chiamati mani, le cui dita sono le singole banane. Un banano può produrre fino a 20 mani, con 20 frutti per fila.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Un mazzo di banane produce una campana che contiene diversi fiori, utilizzati con funzioni commestibili e farmaceutiche.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Il frutto è una bacca ricoperta da un involucro protettivo che può assumere diversi colori in base alle diverse varietà: giallo, rosa, rosso, marrone scuro.

                                                                                                                                          La parte commestibile, però, è quella interna, costituita da una polpa bianchiccia che si separa facilmente dalla buccia.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Coltivazione delle banane

                                                                                                                                          La pianta sempreverde del banano viene coltivata e fruttifica nelle zone a climi tropicali, caldi e umidi come in Centro America, Africa Tropicale e Sud-Est Asiatico.

                                                                                                                                          In Italia le zone migliori per la coltivazione sono Calabria e Sicilia.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Produzione delle banane

                                                                                                                                          La varietà presente in commercio o non ha semi all’interno o questi risultano essere quasi impercettibili.

                                                                                                                                          Originariamente le banane contenevano molti semi, ma col progredire delle coltivazioni sono state selezionate varietà senza semi.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Queste varietà si propagano per partenogenesi, cioè in modo asessuale direttamente da una parte della pianta, da cui nasce la nuova pianta dopo che la precedente è stata abbattuta al momento della raccolta.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Nel commercio le più importanti varietà di banane coltivate sono la Cavendish e la Gros Michel.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Stagionalità della banana

                                                                                                                                          La banana, grazie al lungo periodo di fioritura che non segue un andamento stagionale, è disponibile tutto l’anno.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione della banana

                                                                                                                                          Una volta tolta la buccia può essere gustata in ogni momento della giornata sia fresca, sia inserita in preparazioni culinarie come budini, mousse, frullati, macedonie, focacce, torte e marmellate.

                                                                                                                                          In Italia le banane si consumano prevalentemente crude.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          A contatto con l’aria la polpa tende a scurire rapidamente; per evitare l’annerimento della polpa è sufficiente spruzzarla con il limone.

                                                                                                                                          In alcuni paesi vengono consumate anche le banane secche, di colore marrone scuro e sapore intenso. Per ottenerle bisogna mettere la banana in forno a 80°C fino a essiccazione.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Una varietà di banane, chiamata Platano, si adatta a essere cotta perché di grandi dimensioni e con la buccia spigolosa, carente di zuccheri ma ricca di amido.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          La banana è un frutto che matura dopo essere stato staccato dalla pianta (frutto climaterico); successivamente rilascia etilene, un ormone che favorisce la sua maturazione; il medesimo risultato della maturazione si ottiene con la vicinanza di altra frutta matura, se posta vicino alla banana.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Le banane possono essere conservate a temperatura ambiente per qualche giorno oppure, per rallentarne la maturazione, in frigo a una temperatura di circa 3°C.

                                                                                                                                          La maturazione della banana è evidenziata dal cambiamento di colore della buccia, che diventa via via più scura.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          I fiori hanno alti valori nutrizionali e sono usati come materiali organici e biofertilizzanti nelle piantagioni o consumati come verdure in molte parti del mondo grazie alla loro abbondanza di nutrienti e contenuti medicinali.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                          Le proposte di ricette con la banana di FBO

                                                                                                                                            • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                                                                            • Oyeyinka BO., Afolayan AJ. (2019) “Comparative Evaluation of the Nutritive, Mineral, and Antinutritive Composition of Musa sinensis L. (Banana) and Musa paradisiaca L. (Plantain) Fruit Compartments.” Plants (Basel), 8(12):598.
                                                                                                                                            • Perez V., Chang ET (2014) “Sodium-to-potassium ratio and blood pressure, hypertension, and related factors.” Advances in Nutrition, 5(6):712-41.
                                                                                                                                            • www.agraria.org
                                                                                                                                            • www.bda-ieo.it
                                                                                                                                            • www.humanitas.it
                                                                                                                                            • www.ilgiornaledelcibo.it
                                                                                                                                            • Yu D., Huang P., Chen Y., Lin Y., Akutse KS., Lan Y., Wei H. (2018) “Effects of flower thrips (Thysanoptera: Thripidae) on nutritional quality of banana (Zingiberales: Musaceae) buds.” PLoS One., 13(8): e0202199.

                                                                                                                                            Alloro

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            alloro benefici

                                                                                                                                            Famiglia: Lauraceae

                                                                                                                                            Genere: Laurus

                                                                                                                                            Specie: L. nobilis

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Storia dell’alloro

                                                                                                                                            L’alloro, chiamato anche lauro, deriva dal celtico “lawur” che tradotto significa verdeggiante dovuto alla caratteristica delle foglie resistenti; l’albero, infatti, è un sempreverde e appartiene alla famiglia delle Lauraceae.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            La pianta è originaria dell’Asia Minore, dalle parti meridionali dell’Europa e dell’area mediterranea. In queste zone è ampiamente coltivato perché vi cresce spontaneo.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Tipologie di alloro

                                                                                                                                            Abbiamo due tipi principali di piante di alloro: il Laurus nobilis Aurea e Angustifolia.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Il primo ha foglie di colore dorato, appuntite e non devono essere sottoposte a vento gelido o pieno sole perché queste condizioni climatiche potrebbero danneggiarle.

                                                                                                                                            Il secondo invece presenta “foglie dalla forma di salice” ed è più resistente a climi freddi o di pieno sole rispetto al Laurus nobilis Aurea.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Proprietà nutrizionali dell’alloro

                                                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali dell'alloro

                                                                                                                                            Valori nutrizionali dell’alloro

                                                                                                                                            La resa e la composizione dell’alloro sono influenzate da fattori come l’ambiente di crescita, la stagione del raccolto o il metodo di estrazione.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Alcune analisi fitochimiche hanno dimostrato la presenza di composti di oli volatili e non volatili, flavonoidi, tannini, alcoli, alcaloidi, minerali e vitamine.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            L’alloro presenta un buon contenuto di calcio, che è il minerale principale, e poi a seguire potassio, fosforo, ferro, sodio e zinco.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Tra le vitamine spicca invece il beta carotene, carotenoide precursore della vitamina A (retinolo) liposolubile e sensibile sia alla luce che al calore.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Benefici dell’alloro

                                                                                                                                            L’alloro, in particolar modo le foglie, è ricco di proprietà antisettiche e digestive favorendo la digestione, riducendo gli spasmi e combattendo l’astenia.

                                                                                                                                            Nelle foglie c’è anche il cineolo, un olio essenziale che gode di proprietà terapeutiche antibatteriche e antifungine.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Il consumo di alloro apporta benefici sia a occhi che a pelle e mucose grazie all’elevato contenuto di betacarotene, pigmento vegetale che è dotato anche di attività antiossidante, utile a combattere la formazione di radicali liberi.

                                                                                                                                            L’incremento degli effetti benefici del betacarotene si verificano con l’assunzione contemporanea di vitamina Cvitamina E e zinco.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Il contenuto di ferro nell’alloro è tale per cui 2 cucchiai di foglie secche macinate soddisfano circa il 40% del fabbisogno giornaliero di un uomo adulto. 

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            L’alloro, così come tutte le spezie e le erbe aromatiche, può aiutare a ridurre il consumo di sale, senza rinunciare al gusto.

                                                                                                                                            Il consumo di sale, infatti, dovrebbe non superare i 5 g al giorno e ridurne il suo utilizzo è un fattore protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Interazioni dell’alloro

                                                                                                                                            Il consumo di alloro potrebbe interferire con l’azione di farmaci sedativi.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Produzione e Tecnologia dell’alloro

                                                                                                                                            Caratteri botanici dell’alloro

                                                                                                                                            L’alloro si presenta come un arbusto che può diventare un albero alto anche 10 metri; la corteccia è liscia, verde nei rami giovani e grigio-nerastra nel tronco e nei rami più vecchi.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Si tratta di una pianta dioica, cioè che da fiori unisessuali in due piante diverse, una con i fiori maschili di colore giallastro e una con i fiori femminili di colore bianco o giallo scuro.

                                                                                                                                            Il frutto è una drupa detta “agura”, caratterizzato da bacche ovali, nere quando mature e con un solo seme.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Le foglie appaiono lucide, col margine leggermente ondulato e sono molto aromatiche; la pagina superiore presenta un colore verde, lucido e scurissimo, mentre quella inferiore è più opaca.

                                                                                                                                            Osservandole controluce, è possibile notare dei puntini traslucidi che corrispondono alle ghiandole in cui è contenuta una piccola percentuale di olio essenziale.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            L’alloro cresce bene con le temperature tipiche delle regioni del Mediterraneo, anche se si adatta facilmente a diverse situazioni ambientali purché sia al riparo da zone areate. Non ha bisogno di molta acqua e infatti i ristagni idrici sono la principale causa di morte della pianta.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Coltivazione dell’alloro

                                                                                                                                            La moltiplicazione dell’alloro può avvenire in diversi modi. Per seme, grazie agli uccellini che predano i frutti e diffondono i semi; per polloni, cioè tramite un germoglio che viene prodotto direttamente dal colletto della radice della pianta madre e che contiene in sé una piantina identica alla madre: in questo modo si produrrà una nuova pianta uguale alla preesistente. Infine anche per talea, ovvero artificialmente.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            La moltiplicazione per seme garantirà una maggiore variabilità genetica, anche se i caratteri delle piante possono cambiare leggermente; mentre se si intende ottenere una pianta ben precisa è meglio ricorrere alla moltiplicazione per talea.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            La coltivazione dell’alloro comincia con la semina dei semi. Questi devono essere scarnificati (cioè privati della loro parte esterna), subito dopo piantati e posti in vasi con terriccio.

                                                                                                                                            Una volta che le piantine si sono sviluppate devono essere trapiantate in vasi di dimensioni più grosse o si devono porre in terra in una zona esposta al sole.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Produzione dell’alloro

                                                                                                                                            Le foglie di alloro si possono raccogliere in tutti i periodi dell’anno, generalmente si usano fresche, ma è possibile essiccarle, lasciandole sui rami in un luogo ombroso e ventilato.

                                                                                                                                            Una volta secche, potranno essere riposte in vasi di vetro muniti di coperchio.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            I frutti si raccolgono in autunno, quando hanno raggiunto la completa maturazione; si essiccano al sole o in forno, a temperatura non troppo elevata.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Stagionalità dell’alloro

                                                                                                                                            Le foglie di alloro sul mercato si trovano tutto l’anno.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Preparazione e Conservazione dell’alloro

                                                                                                                                            Le foglie fresche di alloro vengono utilizzate per aromatizzare vari piatti di carne e pesce o per insaporire verdure e funghi sott’olio e sott’aceto.

                                                                                                                                            In cucina si ricorre anche alle foglie di alloro essiccate, ricordandosi però di sbriciolarle prima di utilizzarle in modo tale che l’aroma e i principi passino ai condimenti.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            I frutti essiccati invece sono utilizzati per la produzione del liquore laurino.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Per conservare in modo ottimale l’alloro conviene riporlo in luoghi al riparo dalla luce e dall’umidità.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            La pianta dell’alloro oltre ad essere utilizzata nelle ricette, può essere utilizzata a scopo ornamentale e per profumare gli ambienti.

                                                                                                                                            Cachi

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            tipi di cachi

                                                                                                                                            Famiglia: Ebenacee

                                                                                                                                            Genere: Diospyros

                                                                                                                                            Specie: D. kaki

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Storia dei cachi

                                                                                                                                            Il cachi appartiene alla famiglia delle Ebanaceae; ne esistono più di 400 specie, piantate a livello globale, tra le quali rivestono un’importanza significativa Diaspyros kaki, Diospyros virginiana, Diospyros oleifera e Diaspyros lotus.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            E’ un frutto coltivato soprattutto in Cina, Corea, Giappone, Brasile, Turchia e Italia, cioè in regioni calde.

                                                                                                                                            Rispetto alla produzione globale pari a oltre 3,3 milioni di tonnellate, riferita all’anno 2007, il primato va alla Cina, con il 70,0%, seguita dalla Corea con il 10% e dal Giappone con il 7,0%.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Il cachi è stato introdotto in Italia alla fine del secolo scorso; la regione mediterranea è adatta alla produzione del cachi, dove ha raggiunto le 110.000 tonnellate.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Tipi di cachi

                                                                                                                                            Le cultivar di interesse vengono classificate secondo l’astringenza dei frutti in quattro gruppi:

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            due gruppi sono costanti alla fecondazione e si distinguono in:

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            • Non astringenti (CFNA), eduli fino alla raccolta
                                                                                                                                            • astringenti (CFA), che devono post maturare

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            gli altri due gruppi sono variabili alla fecondazione e si distinguono in:

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            • non astringenti (VFNA), che richiedono l’ammezzimento,
                                                                                                                                            • astringenti (VFA), eduli solo nella parte intorno al seme.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Proprietà nutrizionali dei cachi

                                                                                                                                            cachi tabella

                                                                                                                                            Valori nutrizionali del caco

                                                                                                                                            Il cachi è formato da circa l’80% di acqua, 0,6% di proteine, 0,3% di lipidi totali, 16% di carboidrati totali e alcuni minerali, come potassio e fosforo.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            I cachi sono caratterizzati da un basso tenore di acidità, un elevato contenuto di carboidrati tra cui il saccarosio e i suoi monomeri (glucosio e fruttosio) e un elevato contenuto di vitamine soprattutto la vitamina C e la A. Quest’ultima sottoforma del suo precursore: il beta-carotene.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            I frutti immaturi contengono un elevato contenuto di tannini, composti fenolici dotati di attività antiossidante; questa quantità tende a diminuire nel corso della maturazione.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Il colore arancione/giallo della buccia e della polpa che caratterizza questi frutti è dovuto ai caroteni e alle xantofille.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            I carotenoidi, una volta che i cachi hanno raggiunto piena maturazione, hanno una quantità 10 volte maggiore nell’epidermide rispetto alla polpa; un discorso analogo vale anche per la vitamina C, che si trova sotto forma di acido ascorbico, che presenta nell’epidermide un contenuto 4 volte maggiore rispetto alla polpa.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            La quantità di polifenoli, catechine e pro-antocianidine varia tra le diverse varietà. Infatti le varietà non astringenti (CFNA e VFNA) sembrano contenere meno polifenoli, catechine e tannini e risulteranno quindi meno antiossidanti rispetto quelle astringenti (CFA e VFA).

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Benefici del caco

                                                                                                                                            Il cachi grazie ai suoi componenti svolge un’azione protettiva contro la produzione di radicali liberi, ipercolesterolemia, diabete mellito, cancro, disturbi del derma, ipertensione.

                                                                                                                                            Le foglie inoltre, utilizzate in infusione, sembrerebbero avere effetti positivi sia nella prevenzione che nel trattamento di aterosclerosi cerebrale, diabete e ipertensione.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            La porzione consigliata è di 150 grammi, che equivale a un caco.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Una porzione di cachi contiene 356 µg di vitamina A (come retinolo equivalenti), ricoprendo così più di metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina, facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                            Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina A (come retinolo equivalenti) per la popolazione adulta è di 700 µg per gli uomini e 600 µg per le donne.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Interazioni del caco

                                                                                                                                            Il consumo di cachi potrebbe interferire con l’azione di farmaci antipertensivi (come amlodipina, felodipina, nifedipina, nicardipina, nimodipina, verapamil, diltiazem, bepridil)

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Produzione e Tecnologia dei cachi

                                                                                                                                            Caratteri botanici del caco

                                                                                                                                            Il cachi è un frutto tropicale deciduo, fibroso e carnoso.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Si tratta di un frutto climaterico, ovvero che matura dopo essere stato separato dalla pianta, grazie alla presenza dell’etilene.

                                                                                                                                            La qualità alimentare del cachi è migliore alla fine della fase preclimaterica per la presenza di zuccheri massimi e del colore arancione caratteristico.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            L’albero del cachi ha notevoli dimensioni ed è longevo. I rami possono essere a legno, misti e brindilli, con gemme miste inserite all’apice del ramo. La pianta produce frutti sui rami e, quindi, la potatura deve essere curata.

                                                                                                                                            I fiori solitari sono femminili, mentre gli ermafroditi possono essere in infiorescenze trifore, dove i due laterali sono maschili.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Il frutto è una bacca con 0-8 semi ed è possibile la via partenocarpia, ovvero la forma di sviluppo dei frutti in assenza di fecondazione, per cui risultano privi di semi.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Coltivazione del caco

                                                                                                                                            L’albero del cachi non è molto resistente al freddo. In presenza del vento i rami scendono con il carico dei frutti. Il terreno deve essere ben drenato perché l’eccesso idrico provoca marciume.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            La propagazione del cachi avviene mediante innesto a marza, ovvero tramite un rametto prelevato dalla pianta che servirà per la moltiplicazione della stessa. Infatti la talea, ovvero la parte della pianta utilizzata per generare un nuovo individuo, non può essere usata a causa della poca attività rizogena (processo di formazione delle radici di una nuova pianta).

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            I portinnesti sono tre: il più utilizzato in Italia è Diospyrus lotus; il Diospyrus kaki è affine a tutte le cultivar e resiste alla siccità, ma è poco resistente al freddo; infine Diospyrus virginiana è disforme e pollonifero.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Produzione del caco

                                                                                                                                            I mesi di ottobre e novembre sono dedicati alla raccolta, in quanto si ha il fenomeno, detto viraggio, della variazione del colore della buccia, oltre a una maturazione fisiologica che porta all’ammezzimento del frutto, che viene consumato.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Stagionalità dei cachi

                                                                                                                                            In Italia i cachi sono di stagione a ottobre, novembre e dicembre.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Preparazione e Conservazione dei cachi

                                                                                                                                            I cachi vengono utilizzati in ricette culinarie soprattutto per dolciumi, ad esempio per la preparazione di  confetture, torte, mousse  o insalate di cachi.

                                                                                                                                             

                                                                                                                                            Difficilmente il frutto viene conservato, ma è possibile la conservazione per 2-4 mesi a 0-2°C e in atmosfere controllate.

                                                                                                                                              • Bellini E., Edgardo Giordani E., La Malfa S., (2010) “I fruttiferi minori in Italia, una risorsa tradizionale per l’innovazione frutticola: il kaki e il melograno come casi di studio” Review n. 11 – Italus Hortus, 75-90.
                                                                                                                                              • Butt MS.,  Tauseef Sultan M., Aziz M., Naz A., Ahmed W., Kumar N., and Imran M., (2015) “Persimmon (Diospyros kaki) fruit: hidden phytochemicals and health claims” excli journal, 542–561.
                                                                                                                                              • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                                              • www.agraria.org
                                                                                                                                              • www.bda-ieo.it
                                                                                                                                              • www.humanitas.it

                                                                                                                                              Cacao

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              tipi di cacao

                                                                                                                                              Famiglia: Sterculiaceae

                                                                                                                                              Genere: Theobroma

                                                                                                                                              Specie: T. cacao

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Storia del cacao

                                                                                                                                              Il Theobroma cacao, soprannominato “cibo degli dei“, è un albero originario dell’Amazzonia.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Cresce nelle zone ombrose delle foreste tropicali pluviali e oggigiorno è coltivato da circa sei milioni di agricoltori in tutto il mondo.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Le fave di cacao sono le principali fonti di materia prima per industrie che producono cioccolato e prodotti dolciari annessi; per la realizzazione di questi ultimi è possibile utilizzare dei sottoprodotti ottenuti dalla pianta come il burro e la polvere.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Tra i maggiori produttori di fave di cacao troviamo al primo posto le Americhe seguite dall’Asia e dall’Oceania.

                                                                                                                                              Altre regioni come le Malesia, le Filippine e lo Sri Lanka hanno un enorme potenziale di coltivazione del cacao, tuttavia la produzione rimane ancora piuttosto bassa.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Tipi di cacao

                                                                                                                                              Le varietà principali del Theobroma cacao sono tre:

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              • il Criollo® è la varietà più pregiata di cacao. Questo perchè la pianta del criollo è sensibile agli attacchi dei parassiti e di conseguenza il seme che si ottiene è raro e con basse rese. La coltivazione di questo cacao è incentrata principalmente in Venezuela, Colombia e Perù.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              • il Forastero® è molto più diffuso ma meno prelibato del Criollo. La diffusione del Forastero si concentra soprattutto in Africa.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              • il Trinitario® ibrido tra i primi due. Conserva l’aroma del Criollo e l’alto tasso di produzione e adattabilità del Forastero.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Proprietà nutrizionali del cacao

                                                                                                                                              cacao tabella ok
                                                                                                                                              Tabella con i valori nutrizionali di burro di cacao, polvere di cacao amaro e cioccolato fondente

                                                                                                                                              Proprietà nutrizionali del cacao

                                                                                                                                              Dal cacao si ricavano diversi prodotti come il burro di cacao, la polvere e il cioccolato.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Tutti loro sono caratterizzati da una bassissima quantità di acqua che ne consente una maggiore conservazione.

                                                                                                                                              Il burro di cacao è formato quasi totalmente da lipidi e apporta all’incirca 900 kcal per 100 grammi di prodotto. La polvere di cacao invece ha meno kcal a parità di prodotto ma è una buona fonte di potassio, sodio e fosforo.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Tra i componenti del cacao ci sono le metilxantine: teobromina e caffeina (la prima è maggiormente presente rispetto alla seconda). Queste hanno effetti fisiologici notevoli, tanto vero che, proprio grazie alla loro azione, il cioccolato viene considerato un alimento funzionale.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Tra tutti i tipi di cioccolato, il maggior contenuto di polifenoli si trova in quello fondente (cacao minimo 45%).

                                                                                                                                              Quello bianco invece, non contenendo cacao ma solo una miscela di burro di cacao, latte e zucchero, tecnicamente non potrebbe nemmeno essere definito cioccolato.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Benefici del cacao

                                                                                                                                              La teobromina ha effetti stimolanti sul sistema nervoso centrale, sul controllo dell’umore, aumenta i livelli di eccitazione, promuove stimolazione diuretica, ha proprietà cardiocinetiche e vasodilatatorie oltre ad avere buoni effetti per la cura dell’asma.

                                                                                                                                              Questa metilxantina, assieme a quercetina, catechine e procianidine, sembrano essere in grado di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari andando a diminuire la pressione.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Per il cioccolato la porzione consigliata è di 30 grammi, che corrisponde a 6 quadratini di una tavoletta.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Interazioni del cacao

                                                                                                                                              Il consumo di cacao, per via della caffeina in esso presente, dovrebbe essere limitato in quei soggetti che assumono:

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              • farmaci broncodilatatori per curare l’asma (salbutamolo e teofillina) in quanto l’attività del farmaco potrebbe amplificarsi e aumentare la probabilità di effetti collaterali come eccitabilità, nervosismo e tachicardia;

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              • farmaci per l’ipertensione arteriosa in quanto la caffeina provoca un aumento della frequenza cardiaca;

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              • ciprofloxacina, antibatterico chinolonico, perchè la metilxantina si accumulerebbe nell’organismo e in caso di terapie con farmaci contenenti già caffeina (alcuni analgesici e antinfiammatori).

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Quantità eccessive di cioccolato dovrebbero essere evitate se si assume il linezolid, un antibatterico ossazolidinonico, in quanto gli elevati livelli di tiramina contenuti in questo alimento potrebbero causare un aumento della pressione sanguigna.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Produzione e Tecnologia del cacao

                                                                                                                                              Caratteri botanici del cacao

                                                                                                                                              L’albero del cacao è una caulifloria, ovvero i fiori si trovano sul fusto e sui rami principali; quelli che non cadono dalla pianta fruttificano al momento opportuno.

                                                                                                                                              I fiori sono piccoli e gialli e hanno bisogno di temperature di almeno 25°C per svilupparsi.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              I frutti impollinati si chiamano cabossi e raggiungono piena maturazione in 5-6 mesi.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              La qualità delle fave è fortemente influenzata dalla specifica condizione ambientale in cui vengono coltivate.

                                                                                                                                              La coltura del Theobroma cacao si adatta perfettamente ai climi delle foreste piovose.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Produzione del cacao

                                                                                                                                              Il processo di lavorazione del cacao comincia con la raccolta dei frutti. Questi vengono staccati tramite torsione del peduncolo e successivamente vengono aperti con molta attenzione per evitare di danneggiare i semi durante l’estrazione.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Segue la fermentazione delle fave dove, tramite processi chimico-enzimatici, si ottengono acidi organici, zuccheri riduttori, aminoacidi liberi, riduzione dei polifenoli e degli alcaloidi che danno origine a un sapore amaro e astringente.
                                                                                                                                              L’odore invece in questa fase rimane debole.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Dopo la fermentazione segue l’essiccazione. Questa operazione,  che può avvenire al sole o tramite sistemi appositi, consiste in una riduzione di umidità dei semi che passa dal 40-50% a circa al 6-%.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Alla fine i semi essiccati vengono spediti nei centri di distribuzione. Qui il compratore controlla il prodotto che, se risulta ottimale, viene stoccato, pulito e infine torrefatto.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Produzione della granella di cacao

                                                                                                                                              Con l’aiuto di una macchina rompi-cacao le fave vengono ridotte in pezzi di media grandezza formando così la granella di cacao.

                                                                                                                                              Attraverso setacci e aspiratori si separa la buccia esterna del seme del cacao dalla granella.

                                                                                                                                              L’operazione successiva è la tostatura; questa sarà più o meno intensa a seconda del prodotto che si vuole ottenere: per la polvere l’aroma sarà più accentuato, mentre nel cioccolato si presenterà più delicato.

                                                                                                                                              Durante la torrefazione (o tostatura) si sprigionano le componenti aromatiche.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Produzione della pasta, del burro e della polvere di cacao

                                                                                                                                              La granella di cacao ulteriormente macinata, cotta a 50-60°C e non privata della sua sostanza grassa naturale, è chiamata pasta di cacao.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Il prodotto ottenuto mediante pressione della granella di cacao o del cacao in pasta, del panello di cacao o del panello di caco magro è detto burro di cacao.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Se dalla granella di cacao si attua un altro procedimento meccanico, si ottengono i panelli di cacao. Questi ultimi a seguito di lavorazione e pressione idraulica vengono trasformati in polvere.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Produzione del cioccolato

                                                                                                                                              Se la pasta di cacao e il burro di cacao vengono addizionati di componenti (come zuccheri, latte, emulsionanti ecc), successivamente sottoposti a “concaggio” e raffreddamento, si ottiene il cioccolato.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Nella fase del concaggio si scalda la miscela a 40°C in apposite “conche” per un tempo variabile a seconda del tipo di cioccolato (per un cioccolato di alta qualità questa fase può durare fino 70 ore).

                                                                                                                                              Infine la miscela ottenuta viene sottoposta a “temperaggio” in cui si fa raffreddare il cioccolato prima a 28°C e poi a 31°C.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Preparazione e Conservazione del cacao

                                                                                                                                              Il colore ideale del cacao dovrebbe essere mogano-cannella, brillante e senza patine bianche o grigiastre (che sono indice di cattiva conservazione).

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              La temperatura di conservazione è tra i 16 e i 18°C. Non bisognerebbe conservarlo in frigo per evitare che altri prodotti possano influenzarne l’aroma, altrimenti sarebbe opportuno porlo in un contenitore chiuso ermeticamente.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              La pianta di cacao, oltre a scopo alimentare, può essere impiegata nell’uso di prodotti farmaceutici e cosmetici.

                                                                                                                                               

                                                                                                                                              Le ricette di FBO con il cacao:

                                                                                                                                                • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                                                                                • Franco R., Oñatibia-Astibia A., Martinez-Pinilla E., (2013) “Health benefits of methylxanthines in cacao and chocolate” Nutrients, 4159-73.
                                                                                                                                                • Garcia C., Marelli JP., Motamayor JC., Villela C., (2018) “Somatic Embryogenesis in Theobroma cacao L” Methods in Molecular Biology, 227-245.
                                                                                                                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                                                • Wickramasuriya AM., Dunwell JM., (2018) “Cacao biotechnology: current status and future prospects” Plant Biotechnol J., 4-17.
                                                                                                                                                • www.aidepi.it
                                                                                                                                                • www.bda-ieo.it
                                                                                                                                                • www.gazzettaufficiale.it
                                                                                                                                                • www.humanitas-care.it
                                                                                                                                                • www.rivistadiagraria.org

                                                                                                                                                Frumento o Grano Duro

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                grano duro

                                                                                                                                                Famiglia: Graminaceae

                                                                                                                                                Genere: Triticum

                                                                                                                                                Specie: Triticum durum

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Storia del frumento duro

                                                                                                                                                Il frumento o grano (triticum) è una pianta erbacea con infiorescenza a spiga.

                                                                                                                                                Dal termine triticum deriva per assonanza la parola tritare, riferita alla produzione di farine o semole dalla macinazione della granella.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Il grano duro (Triticum durum), insieme al grano tenero (Triticum aestivum) , costituisce una delle principali fonti alimentari per l’uomo.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Le prime coltivazioni risalgono alla rivoluzione neolitica (10.000 anni fa). I luoghi di origine del grano si fanno risalire nella cosiddetta Mezzaluna Fertile, situata a sud-est della Turchia.

                                                                                                                                                Le prime specie appartenevano al Triticum urartur e al Aegilops speltoides.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                La coltura del grano è la maggiore nel mondo; il raccolto è predominante nei paesi temperati, dove fornisce alla popolazione tra il 20% e il 50% del consumo totale di calorie.

                                                                                                                                                In particolare, oggi in Italia si coltiva nelle Marche, Puglia, Sicilia e Toscana.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Il consumo dei grani duri, a differenza delle usanze alimentari dell’uomo in epoche passate, ha attualmente superato quello dei grani teneri.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                I prodotti del grano duro

                                                                                                                                                Sulla base delle disposizioni contenute nel Decreto del Presidente della Repubblica 187/2001 che disciplina la produzione e la commercializzazione degli sfarinati, in Italia dalla macinazione del grano si possono ottenere, oltre semola e semolato, anche farina e semola integrale di grano duro.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                – Il primo prodotto della macinazione è la semola integrale. Questa, con forma granulare e a spigolo vivo, si ottiene direttamente dalla macinazione del grano duro.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                – La semola, il semolato e la farina di grano duro si ottengono dalla macinazione e conseguente abburrattamento del grano duro.

                                                                                                                                                I tre prodotti si diversificano per dimensione e granulometria: la semola a differenza degli altri due è un prodotto granulare a spigolo vivo.

                                                                                                                                                Tutti questi prodotti, per essere utilizzabili, devono essere liberati dalle loro impurità.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                – Da questi poi, tramite ulteriori processi di impastamento si ottengono prodotti come il pane e la pasta.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Il prodotto della macinazione del grano è la semola ed è caratterizzata da un aspetto granuloso e un colore giallo intenso dovuto dalla presenza dei carotenoidi.

                                                                                                                                                La semola è impiegata prevalentemente per la preparazione di prodotti da forno quali paste alimentari e particolari tipi di pane (artigianale).

                                                                                                                                                A titolo di esempio il grano duro, con cariossidi allungate, lucide a frattura vitrea, ricche di glutine è particolarmente adatto al pastificio.

                                                                                                                                                Queste proprietà fanno si che l‘amido non si disperda durante la cottura, assicurando così la tenuta dell’impasto.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Proprietà nutrizionali del frumento duro

                                                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali del frumento duro

                                                                                                                                                Valori nutrizionali del frumento duro

                                                                                                                                                Come si può notare dalla tabella, la frazione glucidica è per la maggior parte rappresentata dall’amido composto da amilosio e amilopectina. Le sue funzioni principali sono: funzione di riserva per le piante e conservazione/immagazzinamento dell’energia.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Un’altra componente importante è rappresentata dalle proteine. La loro quantità varia a seconda dello strato del chicco.

                                                                                                                                                Nei cereali si trovano due tipi di proteine principali.

                                                                                                                                                Le proteine solubili sono albumine e globuline localizzate nell’embrione e nello strato aleuronico mentre le proteine di riserva sono prolammine e gluteline (gliadine e glutenine) e si trovano nell’endosperma.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Inoltre è interessante evidenziare che i cereali, soprattutto quelli integrali, sono un’importante fonte di fibra alimentare.

                                                                                                                                                La fibra non viene digerita e assorbita nell’intestino tenue, ma arriva al colon dove viene fermentata per opera della flora batterica, sono proprio i prodotti della fermentazione batterica ad esercitare effetti benedici per la salute dell’intestino e dell’intero organismo.

                                                                                                                                                I cereali rappresentano un’importantissima fonte di vitamine, soprattutto del gruppo B.

                                                                                                                                                I minerali quali potassio, fosforo, ferro, rame e zinco sono contenuti principalmente nella parte esterna del chicco.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Benefici del frumento duro

                                                                                                                                                La presenza di fibre nel frumento duro aiuta la digestione e la buona funzionalità intestinale. Inoltre ha anche un alto potere saziante.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Interazioni del frumento duro

                                                                                                                                                Il grano duro contiene glutine ed è quindi sconsigliato il consumo per i soggetti celiaci o per i soggetti che hanno intolleranza al glutine.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Produzione e Tecnologia del frumento duro

                                                                                                                                                Caratteri botanici del grano duro

                                                                                                                                                Il grano duro si adatta bene agli ambienti aridi e caldi, dove si nota una migliore performance qualitativa.

                                                                                                                                                Non sono indicati invece gli ambienti umidi e freddi, in quanto poco resistente alle riduzioni di temperatura durante le prime fasi vegetative o durante la fase di fioritura. In presenza di questi fattori le rese produttive sarebbero influenzate negativamente.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Il frutto dei cereali è la cariosside, le cui dimensioni variano a seconda della specie. La cariosside è formata da tre parti principali: tegumento, embrione ed endosperma amilaceo detto anche mandorla farinosa.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Tecniche di produzione per prodotti dal grano duro

                                                                                                                                                Il grano, giunto a maturazione, è pronto per essere macinato; successivamente viene usato nell’industria pastaria per la produzione di semole e semolati.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Tradizionalmente la macinazione del grano è sempre avvenuta con l’utilizzo di molini a molazze.

                                                                                                                                                Oggi si ottiene tramite processi industriali grazie laminatoi a cilindri e setacciature con buratti.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                L’attuale tecnologia può essere suddivisa nelle quattro fasi seguenti:

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                1) ricezione, prepulitura e insilamento del grano in arrivo,

                                                                                                                                                2) pulitura e condizionamento,

                                                                                                                                                3) macinazione,

                                                                                                                                                4) conservazione degli sfarinati prodotti.

                                                                                                                                                1. ricezione, prepulitura e insilamento

                                                                                                                                                Il grano prima di arrivare al silo, trasportato tramite camion, treni o navi, deve essere controllato velocemente per separare i corpi estranei di maggiori dimensioni.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                2. pulitura e condizionamento

                                                                                                                                                Questa operazione si ripeterà nella seconda fase di pulitura e condizionamento, dove i cereali verranno separati dalle impurità sfruttando la differenza in dimensione, peso e forma del materiale che si vuole rimuovere rispetto alla cariosside intera.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                3. macinazione

                                                                                                                                                L’utilizzo della cariosside per l’alimentazione è riferito alla parte interna del chicco perché contiene amido e proteine; le parti esterne invece non sono digeribili per l’uomo poiché sono ricche di cellulosa.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Questa separazione si applica durante la macinazione dove in un primo momento il grano si frammenta in pezzi relativamente grossi, ma nei successivi passaggi diventano sempre più piccoli.

                                                                                                                                                I passaggi di rottura del grano sono generalmente 4 o 5; quindi grazie alla macinazione si riescono a rimuovere le parti cruscali sempre più fini e ottenere i vari tipi di farine.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                I grossi frammenti sono denominati semole e sono di due tipi: vestite e nude. Le prime sono costituite da mandorla farinosa e parti cruscali, al contrario di quelle nude. Infatti queste due tipologie di semola vengono separate tramite semolatrici che operano in correnti d’aria in base al loro peso specifico e alla dimensione.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Le semole vestite subiscono passaggi detti di svestimento, attraverso laminatoi finemente rigati. Anche lo svestimento è immediatamente seguito da una classificazione mediante plansichters.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Le semole nude sono invece destinate alle operazioni di rimacina condotte con cilindri lisci. Le rimacine rappresentano i passaggi finali di macinazione, aventi la funzione di ridurre a farina le semole, selezionate e pulite nelle fasi precedenti di lavorazione.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Da ognuno dei numerosi passaggi di molitura si ottiene una frazione di farina. La miscelazione di tutte queste farine consente di ottenere la farina finale commerciale detta anche “tuttocorpo“.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                4. conservazione degli sfarinati prodotti

                                                                                                                                                I cereali vengono raccolti nel momento in cui matura la cariosside e vengono consumati per tutto l’anno. Per questo motivo è importante conservare la granella tramite stoccaggio.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Lo stoccaggio del grano è facilitato da condizioni favorevoli di conservazione, quali la bassa umidità e i componenti poco inclini al deterioramento.

                                                                                                                                                Se queste condizioni risultassero inadeguate, la naturale conseguenza sarebbe la perdita del raccolto, che potrebbe essere ulteriormente incentivata da contaminazioni da parte di insetti o microrganismi.

                                                                                                                                                Per evitare quest’ultimo evento, le legislazioni di tutti i paesi consentono trattamenti di disinfestazione tramite insetticidi e fumiganti.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Attualmente ci sono studi che, valutando il contenuto di furosina, glucosilisomaltolo, idrossimetilfurfurale, furfurale, zuccheri, a-amilasi, b-amilasi, vogliono migliorare la qualità nutrizionale ed evitare il danno termico del prodotto.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                La pasta di semola di grano duro

                                                                                                                                                La pasta di semola di grano duro è il prodotto ottenuto dalla trafilazione, laminazione e essiccamento di un impasto a base solo di semola di grano duro e acqua.

                                                                                                                                                Le proprietà del grano duro aiutano ad evitare che la pasta scuocia e fanno sì che l’amido non si disperda assicurando così la tenuta dell’impasto quando sottoposto a cottura.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Stagionalità del grano duro

                                                                                                                                                Il grano duro si trova sul mercato tutto l’anno sotto forma di semola o di chicchi.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Preparazione e Conservazione del grano duro

                                                                                                                                                L’uso del grano duro è implicato principalmente per la produzione di farina di semola per pane, pizze, paste e dolci.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                La farina però potrebbe subire deterioramento da elementi esterni come luce, ossigeno e umidità.

                                                                                                                                                Per questo motivo è bene conservarla in contenitori con chiusura ermetica, in un luogo asciutto e al riparo da correnti d’aria.

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                Condizioni ambientali e conservazione della farina di semola scorrette potrebbero favorire lo sviluppo di insetti e farfalline all’interno della stessa.

                                                                                                                                                Per evitare la loro insorgenza occorre pulire spesso i mobili della casa con sostanze apposite come acqua e aceto bianco o acqua e ammoniaca oppure profumarla con oli essenziali.

                                                                                                                                                Queste miscele, grazie al loro particolare odore, allontanano e sfavoriscono l’insorgenza degli animaletti.

                                                                                                                                                  • Daghetta A. (1997) “Gli alimenti: aspetti tecnologici e nutrizionali”, pag 7-68.
                                                                                                                                                  • De Santis MA., Kosik O., D., Flagella Z., Shewry PR., Lovegrove A. (2018) “Comparison of the dietary fibre composition of old and modern durum wheat (Triticum turgidum spp. durum) genotypes” Food Chemistry, 304-310.
                                                                                                                                                  • D.P.R. 9 febbraio 2001, n. 187.
                                                                                                                                                  • Hidalgo A., Brandolini A. (2011) “Heat damage of water biscuits from einkorn, durum and bread wheat flours” Food Chemistry, 471-478.
                                                                                                                                                  • Rete Semi Rurali, articolo scheda n. 15, “I frumenti (del genere triticum) e le loro evoluzioni”, Scandicci (F I).
                                                                                                                                                  • www.agraria.org
                                                                                                                                                  • www.bda-ieo.it
                                                                                                                                                  • www.humanitas.it
                                                                                                                                                  • www.politicheagricole.it

                                                                                                                                                  Crescenza

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  crescenza valori nutrizionali

                                                                                                                                                  Cos’è la crescenza

                                                                                                                                                  La crescenza è un formaggio italiano a pasta fresca che si presenta morbida, cremosa ed è senza crosta.

                                                                                                                                                  Il sapore non è né amaro né aspro ed è caratterizzata da una consistenza tenera.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Si tratta di un formaggio tipicamente lombardo, concentrato nelle zone di Milano, Pavia, Crema, Bergamo e Brescia.

                                                                                                                                                  Altre produzioni si trovano anche in Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Differenza tra crescenza e stracchino

                                                                                                                                                  La crescenza è ottenuta da latte vaccino intero pastorizzato, crudo e fresco che durante la stagionatura di una ventina di giorni “cresce”, ovvero esce dalla forma dello stampo, assumendo un gusto e una consistenza che la contraddistingue.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Il nome deriva dal fatto che dopo pochi giorni rammollisce, acquistando la consistenza tipica di focacce che nel milanese erano chiamate “carsenze. In questo caso il colore passa progressivamente da bianco a giallo e spesso sviluppa un sapore agre.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Per questo differisce dallo stracchino, che è un formaggio ottenuto con il latte intero crudo o pastorizzato di mucche “stracche” (dal dialetto lombardo stracch), ovvero stanche dal ritorno dagli alpeggi estivi, che presenta una stagionatura di una settimana.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Proprietà nutrizionali della crescenza

                                                                                                                                                  tabella con i valori nutrizionali della crescenza

                                                                                                                                                  Crescenza valori nutrizionali

                                                                                                                                                  Una delle particolarità dei formaggi molli, tra cui rientra la crescenza, è il brevissimo tempo di stagionatura chiamato “affinatura“.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Questo aspetto rende anche il valore dei grassi meno elevato rispetto ad altri formaggi.

                                                                                                                                                  Con una quantità di grassi pari a circa il 23% è definibile come formaggio semigrasso, non un formaggio magro come la ricotta che ne ha il 10% ma neanche paragonabile ad un formaggio grasso come il pecorino ad esempio che ne ha il 32%.

                                                                                                                                                  La crescenza è quindi un formaggio che può far parte di una sana alimentazione.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Essendo un formaggio fresco, la crescenza rappresenta una fonte proteica è può essere pertanto considerata come un secondo piatto (e non come antipasto o fine pasto).

                                                                                                                                                  Ponendo l’attenzione sui sali minerali, si osserva che il calcio è il minerale principale, seguito dal sodio.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Per quanto riguarda le vitamine, la crescenza è ricca di vitamina A, B12 e B2. Le altre sono presenti in quantità minori o non significative.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Benefici della crescenza

                                                                                                                                                  Il calcio presente è implicato nei meccanismi di contrazione e rilasciamento dei muscoli, nella coagulazione del sangue, nella regolazione della permeabilità cellulare e nella trasmissione dell’impulso nervoso.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  La porzione consigliata è di 100 grammi, che corrisponde a circa una piccola crescenza.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Una piccola crescenza contiene 557 mg di calcio, ricoprendo così più di metà della dose giornaliera raccomandata di questo minerale per la popolazione adulta (1000 mg).

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Interazioni della crescenza

                                                                                                                                                  Visto il quantitativo di sodio presente in questo alimento se ne consiglia un consumo moderato, specialmente per chi soffre di ipertensione.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  I latticini in generale possono interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

                                                                                                                                                  In particolare se si assume la tetraciclina durante i pasti se si avverte mal di stomaco, bisognerebbe evitare il consumo di latte e latticini un’ora prima o due ore dopo.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Produzione e Tecnologia della crescenza

                                                                                                                                                  Produzione della crescenza

                                                                                                                                                  I primi produttori di questi formaggi sono stati gli allevatori che dagli alpeggi scendevano a svernare nelle cascine delle pianure, più precisamente nelle zone della pianura padana.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Durante la transumanza, le vacche fornivano quantitativi di latte minori, ma con un elevato contenuto di grasso; questo formaggio era prodotto principalmente durante l’inverno a causa del limitato periodo di conservazione.

                                                                                                                                                  Attualmente, grazie a nuove tecnologie e macchinari, vengono prodotti tutto l’anno.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Per ottenere questo tipo di formaggio molle si parte da latte vaccino, intero, pastorizzato; successivamente è sottoposto a coagulazione, a breve stagionatura e a bassa temperatura.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  In questo processo è essenziale evitare la formazione della crosta e mantenere l’umidità del formaggio (per la crescenza almeno al 60%). Il risultato è un coagulo strutturato capace di trattenere molta acqua.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Tecnica di produzione

                                                                                                                                                  Per la produzione della crescenza si parte dalla preparazione del latte che inizialmente deve essere standardizzato e pastorizzato.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Si prosegue con l’acidificazione e coagulazione attraverso l’aggiunta di starter come fermenti lattici termofili e del caglio.

                                                                                                                                                  Dopo poco tempo si verifica la rottura della cagliata che viene ulteriormente tagliata per favorire l’eliminazione dell’acqua. Più i frammenti sono piccoli e più è eliminata l’acqua.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Successivamente si procede con la messa in forma. Questa sarà diversa a seconda del tipo di formaggio.

                                                                                                                                                  In questo caso la forma tipica è un quadrato con lato 15-20 centimetri e altezza di 5 centimetri.

                                                                                                                                                  La crescenza rimane negli stampi circa 6 ore, durante le quali si provvede a effettuare 3 o 4 rivoltamenti.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Ora la cagliata che sta diventando formaggio, entra con gli stampi in una salamoia concentrata a 15 gradi dove rimane per circa due ore, raffreddandosi e assorbendo la dose necessaria di sale.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  L’ultimo passaggio riguarda una breve stagionatura in ambienti a clima controllato con temperatura di 5-6 gradi e umidità > 90%.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Il processo dura circa una settimana durante la quale la crescenza, rivoltata 3-4 volte, è infine avviata al confezionamento.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  La sua freschezza, associata a bassa acidità e proteolisi limitata (processo di degradazione delle proteine), è una delle qualità più richieste dal consumatore ed è fortemente influenzata dalle condizioni di conservazione.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Stagionalità della crescenza

                                                                                                                                                  Questo formaggio è reperibile sul mercato tutto l’anno grazie alle tecnologie e ai macchinari utilizzati per la sua produzione.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Preparazione e Conservazione della crescenza

                                                                                                                                                  La crescenza è un formaggio che può essere consumato unitamente a pane, focacce, torte salate, verdure e insalate.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Il formaggio molle deve essere conservato in ambiente fresco a una temperatura compresa tra i 2 e i 4 gradi.

                                                                                                                                                  Oltre alla temperatura bisogna fare attenzione all’umidità e all’esposizione all’aria che potrebbero negativamente trasformare gusto e odore dei latticini.

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                  Una volta aperto è preferibile avvolgerlo con una pellicola trasparente o tenerlo chiusi all’interno della propria scatola del formaggio e consumarlo entro pochi giorni.

                                                                                                                                                    • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                                                                                    • Chirico D., Gorla A., Verga V., Pdersen PD., Polgatti E. Cava A., Dal Bello F. (2014) ” Bacteriophage-insensitive mutants for high quality Crescenza manufacture”, frontiers in microbiologia-virologia, 5:201.
                                                                                                                                                    • Guerzoni ME., Burns P., Patrignani F., Serrazanetti D., Vinderola GC., Reinheimer JA., Lanciotti R. (2008) ” Probiotic Crescenza Cheese Containing Lactobacillus casei and Lactobacillus cidophilus Manufactured with High-Pressure Homogenized Milk”, Journal of Dairy Science, 500-512.
                                                                                                                                                    • Ottogalli G. (2001) “atlante dei formaggi: guida oltre 600 formaggi e latticini provenienti da tutto il mondo”, Ulrico Hoepli Milano, Milano, pp 217 – 221.
                                                                                                                                                    • Riva M., Benedetti S., Sinelli N., Buratti S. (2005) ” Shelf Life of Crescenza Cheese as Measured by Electronic Nose” Journal of Diary Science, 3044-3051.
                                                                                                                                                    • www.assolatte.it
                                                                                                                                                    • www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Marmellata

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    marmellata a ridotto tenore di zucchero

                                                                                                                                                    Definizione di marmellata

                                                                                                                                                    La legislazione italiana, con il D.P.R. 401/82 ha stabilito che “marmellata” è solo il prodotto ottenuto dagli agrumi. Con il termine di “confettura” si intende il prodotto derivato dall’utilizzo di altre tipologie di frutta.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La marmellata, intesa come composto cotto con zucchero e agrumi a pezzetti, viene definita dalla direttiva CEE n 79/693 con il Dlgs 50/04 come:

                                                                                                                                                    “mescolanza, portata a consistenza gelificata adeguata di zuccheri e polpa e/o purea e/o succhi e/o estratti acquosi e/o scorze ottenuti da agrumi. Per 1 kg di prodotto finito la quantità di derivati di agrumi utilizzato deve essere superiore a 200 g di cui almeno 75 provenienti dall’endocarpo.”

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Nel decreto vengono specificate anche le caratteristiche del frutto da utilizzare che deve presentarsi fresco, sano, esente da alterazioni, giunto al grado di maturazione adeguato, dopo pulitura, mondatura e spuntatura.

                                                                                                                                                    Gli zuccheri presenti in maggior quantità sono glucosio, fruttosio e saccarosio ma si trovano anche altri polisaccaridi come la cellulosa, emicellulosa e pectine.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La “marmellata a ridotto tenore di zucchero” si ottiene mantenendo il contenuto zuccherino inferiore al 55%, sostituendo il saccarosio con polialcoli o utilizzando pectine.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Proprietà nutrizionali della marmellata

                                                                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali della marmellata e marmellata a ridotto tenore di zucchero
                                                                                                                                                    Tabella con i valori nutrizionali di marmellata e marmellata a ridotto tenore di zucchero

                                                                                                                                                    Valori nutrizionali marmellata e marmellata a ridotto tenore di zucchero

                                                                                                                                                    La marmellata presenta un buon apporto glucidico, responsabile dell’elevato apporto energetico di questo alimento.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Gli zuccheri presenti sono rappresentati per la maggior parte da saccarosio e in quantità inferiore da glucosio e fruttosio, zuccheri derivanti dall’idrolisi del saccarosio.

                                                                                                                                                    L’equilibrio tra saccarosio, glucosio e fruttosio determina importanti caratteristiche del prodotto finito quali aumento del potere dolcificante, gelificante, umettante, controllo della cristallizzazione e riduzione della viscosità.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    All’interno della marmellata sono presenti anche le pectine, polisaccaridi costituiti da unità di acido galatturonico che formano catene lineari unite da legami α-(1-4) glicosidici.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Il quantitativo degli altri nutrienti nella marmellata risulta minimo, mentre le vitamine e i sali minerali sono presenti in piccole quantità o in traccia in quanto inattivate quasi totalmente dal trattamento termico.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Nella marmellata a ridotto tenore di zucchero la riduzione del contenuto di saccarosio, ottenuta mediante l’utilizzo di polialcoli o di un quantitativo maggiore di pectina, determina più facilmente difetti nel prodotto finito.

                                                                                                                                                    L’aggiunta di polialcoli, dotati di un minor potere edulcorante ed una ridotta capacità umettante, provoca ripercussioni sulle proprietà reologiche e sulla stabilità.

                                                                                                                                                    Un aumento eccessivo nella quantità di pectina aggiunta alla preparazione potrebbe risultare in un addensamento notevole del prodotto con conseguenti alterazioni delle proprietà sensoriali.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La porzione di consumo consigliata è 20 grammi di marmellata, che corrispondo a 2 cucchiaini colmi.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Produzione e Tecnologia della marmellata

                                                                                                                                                    Processo di trattamento dei frutti

                                                                                                                                                    Il momento di raccolta del frutto con cui ottenere la marmellata dipende da diversi fattori, quali varietà, localizzazione e clima.

                                                                                                                                                    Quando la maturazione è ottimale, i frutti vengono portati ai centri di raccolta dove si procede al controllo della salubrità, della freschezza, del grado di maturazione, della pezzatura e dell’aspetto del frutto.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Successivamente i frutti vengono lavati. Questa operazione avviene sui frutti non ancora tagliati per non perdere valore nutritivo (infatti sostanze come vitamine e carboidrati sono solubili), per poter rimuovere la terra e i residui di pesticidi e per poter abbassare la carica microbica.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Si passa quindi alla fase di scottatura mediante trattamenti chimici o calore. Questa fase ha lo scopo di inattivare enzimi ossidativi endogeni e di rendere più facilmente permeabile la frutta all’assorbimento degli zuccheri.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    I frutti vengono successivamente tagliati ed inviati al processo produttivo.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Processo di produzione della marmellata

                                                                                                                                                    La frutta (in pezzi, polpa o purea) viene miscelata con il giusto quantitativo di zucchero e il tutto viene posto nella bacinella di cottura dove un agitatore miscela gli ingredienti.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Con la cottura si perde parte dell’acqua di costituzione e si solubilizza lo zucchero, consentendo una parziale trasformazione del saccarosio in glucosio e fruttosio.

                                                                                                                                                    La cottura rappresenta un momento molto importante e delicato. Se eccessiva potrebbe provocare la cristallizzazione dello zucchero mentre una cottura non sufficiente renderà il prodotto troppo liquido e facilmente attaccabile da muffe e microorganismi.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Nella successiva fase di concentrazione si aggiungono altri componenti quali:

                                                                                                                                                    – pectina (sostanza naturale che durante la cottura si trasforma in gelatina permettendo così alla frutta di addensarsi) e

                                                                                                                                                    – acido citrico (o altri acidi quali acido tartarico e, più raramente, acido lattico e fosforico).

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    L’utilizzo di evaporatori sotto vuoto, che permettono di operare a temperature di ebollizione di 60-65°C, consente di ottenere una più rapida ed uniforme penetrazione dello zucchero nei pezzi di frutta che a loro volta mantengono meglio la forma originaria.

                                                                                                                                                    La riduzione dei tempi e delle temperature di trattamento termico limitano sensibilmente la comparsa di reazioni indesiderate di natura ossidativa ed imbrunimento non enzimatico riconducibili alla caramellizzazione degli zuccheri.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Dopo la fase di concentrazione la miscela viene raccolta in un sostatore al cui interno la temperatura non è mai al di sotto di 80°C.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Confezionamento della marmellata

                                                                                                                                                    Il prodotto ancora caldo viene confezionato in vasi di vetro che vengono chiusi sotto flusso di vapore.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Successivamente la marmellata viene pastorizzata ad una temperatura di circa 90°C per un minuto, passando poi in un tunnel con temperatura decrescente fino al raggiungimento di -30°C.

                                                                                                                                                    La pastorizzazione ha lo scopo di distruggere la carica microbica del prodotto che può così conservarsi per lungo tempo senza subire alterazioni.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Un getto di acqua fredda permette poi di lavare il vetro e di raffreddarlo, per consentire all’etichetta di aderire.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Preparazione e Conservazione della marmellata

                                                                                                                                                    Preparazione casalinga della marmellata

                                                                                                                                                    La produzione della marmellata può essere anche casalinga e, in questo caso, il procedimento da seguire per una preparazione corretta e sicura è il seguente:

                                                                                                                                                    la frutta matura, una volta sbucciata viene tagliata a pezzi, rimuovendo i semi se presenti.  Viene posta in una pentola di rame o di acciaio inox con fondo molto spesso (6-8 mm), utile per evitare che la marmellata aderisca al fondo, bassa e larga e con le pareti svasate per favorire l’evaporazione; il rame inoltre è un materiale particolarmente adatto perché assicura una diffusione più uniforme del calore.

                                                                                                                                                    Nella pentola, assieme alla polpa ed eventualmente alle scorze della frutta, vengono aggiunti zucchero e pectina.

                                                                                                                                                    Si porta quindi a ebollizione e si prosegue la cottura per altri 40 minuti a fuoco basso mescolando continuamente e rimuovendo l’eventuale schiuma.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Una volta terminata la cottura la marmellata viene posta in vasetti di vetro puliti e sterilizzati. La sterilizzazione dei vasetti può avvenire in acqua bollente o, in alternativa, riempiti di acqua e posti in microonde fino ad ebollizione dell’acqua in essi contenuta.

                                                                                                                                                    Il riempimento va effettuato lasciando tre centimetri di distanza dal tappo e chiudendo immediatamente i vasetti, sigillandoli con il tappo ermetico.

                                                                                                                                                    Successivamente bisogna capovolgere i vasetti per cinque minuti, in modo tale da ottenere l’effetto sottovuoto, che serve a migliorare la conservazione della marmellata.

                                                                                                                                                    Segue l’immersione in una pentola con acqua per una seconda sterilizzazione. L’acqua viene portata a ebollizione e fatta sobbollire per circa mezz’ora, quindi i vasetti vengono estratti, asciugati e riposti in luogo fresco e riparato dalla luce.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Rischi microbiologici della marmellata

                                                                                                                                                    I rischi microbiologici sono causati prevalentemente dal Clostridium Botulinum e dalle muffe.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La presenza del botulino si riesce ad evitare con l’accurata pulizia della frutta, la giusta concentrazione di zucchero, la sterilizzazione dei vasetti di vetro e la presenza in essi del tappo con la capsula per sotto-vuoto.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La marmellata può essere soggetta all’ammuffimento, fenomeno tipico di vasetti di marmellata (anche di quelli posti in commercio) non ermeticamente chiusi, in cui si osserva lo sviluppo di muffe sulla superficie libera del prodotto.

                                                                                                                                                    Questo fenomeno non avviene durante la lavorazione perché le temperature di cottura sono in grado di distruggere le spore eventualmente presenti nella frutta.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Conservazione della marmellata

                                                                                                                                                    La durata di conservazione per le marmellate casalinghe costituite da uguali quantità di zucchero e frutta si aggira intorno ad un paio di anni, anche se per sicurezza è bene consumarle entro un anno dalla preparazione. Per le marmellate con un quantitativo di zucchero inferiore sarebbe meglio invece consumarle nel giro di pochi mesi.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Il vasetto di marmellata ancora sigillato può essere mantenuto a temperatura ambiente. Una volta aperto invece deve essere conservato in frigorifero e consumato entro tre settimane.

                                                                                                                                                    Zucca

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    zucca

                                                                                                                                                    Famiglia: Cucurbitaceae

                                                                                                                                                    Genere: Cucurbita

                                                                                                                                                    Specie: Cucurbita maxima

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La zucca è una pianta annuale a fusto rampicante, originaria dei paesi caldi e quindi esigente in fatto di temperatura.

                                                                                                                                                    Diverse sono le specie coltivate che vengono classificate in base a caratteri botanici, tra cui la forma e la dimensione del frutto.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Specie di zucca

                                                                                                                                                    In botanica le zucche si suddividono in quattro specie: Cucurbita maxima, Cucurbita moschata, Cucurbita pepo e Cucurbita melanosperma, ma in pratica si hanno due grandi classi, le zucche da zucchini e le zucche da inverno.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Per quanto riguarda le zucche da zucchini è possibile ricavare tutte le informazioni consultando la relativa scheda nella pagina “zucchine”.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Le zucche da inverno che presentano fusto rampicante, appartengono a due specie Cucurbita maxima e Cucurbita moschata.

                                                                                                                                                    Le prime presentano frutti sferoidali a buccia variamente colorata con polpa gialla e dolce, mentre le seconde presentano frutti allungati più o meno curvati all’apice con polpa consistente di colore giallo arancio.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Proprietà nutrizionali della zucca gialla

                                                                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali della zucca gialla

                                                                                                                                                    Valori nutrizionali della zucca gialla

                                                                                                                                                    La zucca, come tutti gli ortaggi, è caratterizzata da un basso potere calorico dovuto all’elevata presenza di acqua.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La principale caratteristica della zucca, come tutti gli alimenti di colore arancione, è l’elevato contenuto di carotenoidi, sostanze che l’organismo utilizza per produrre la vitamina A.

                                                                                                                                                    Presenta inoltre un elevato contenuto di potassio, mentre altri sali minerali come calcio, fosforo e ferro sono presenti in quantità minori.

                                                                                                                                                    Contiene invece poca fibra alimentare.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    I semi di zucca contengono invece la cucurbitina, aminoacido caratteristico studiato per le proprietà protettive per l’organismo umano, e sono particolarmente ricchi di proteine e di grassi di buona qualità, come gli omega-3.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Benefici della zucca

                                                                                                                                                    I nutrienti presenti nella zucca apportano benefici all’organismo: il selenio, il manganese, la vitamina A, la vitamina C e la vitamina E hanno caratteristiche antiossidanti, le vitamine del gruppo B sono coinvolte in reazioni del metabolismo.

                                                                                                                                                    In particolare la vitamina A è importante anche per il mantenimento dell’integrità di pelle, mucose e ha un ruolo protettivo per la vista; alcuni studi scientifici suggeriscono che può proteggere dai tumori al polmone e alla cavità orale.

                                                                                                                                                    Tra i minerali ricordiamo il potassio che regola la pressione arteriosa, e il calcio che insieme al fosforo e al magnesio contribuiscono a mantenere in salute le ossa.

                                                                                                                                                    La zucca, inoltre, contiene il triptofano, un amminoacido essenziale che deve essere assunto tramite l’alimentazione.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La porzione standard di consumo consigliata è 200 grammi, che corrisponde a circa mezzo piatto di zucca.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Mezzo piatto di zucca contiene 1198 µg di vitamina A (come retinolo equivalenti), ricoprendo così quasi il doppio della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                                    Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina A (retinolo equivalenti) per la popolazione adulta è di 700 µg per gli uomini e 600 µg per le donne.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Il consumo di questo alimento è inoltre indicato in caso di diarrea in quanto povera di fibre.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Interazioni della zucca

                                                                                                                                                    I soggetti che assumono litio devono prestare attenzione al consumo di zucca.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Produzione e Tecnologia della zucca

                                                                                                                                                    Caratteri botanici della pianta di zucca

                                                                                                                                                    La zucca è una pianta originaria dell’America centrale, diffusa in Europa dai coloni spagnoli che la importarono dal XVI secolo.

                                                                                                                                                    In Italia è coltivata soprattutto nelle regioni settentrionali, il 25% della produzione nazionale si localizza in Lombardia, ma la coltivazione è diffusa anche in Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Lazio, Toscana e Campania.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Le foglie di questo ortaggio sono di grandi dimensioni e presentano sulla loro superficie una leggera peluria. Il frutto, cioè la zucca vera e propria, nella maggior parte dei casi, si presenta di colore arancio oppure verde, può avere anche altri colori e svariate forme. I fiori sono di colore giallo-arancio.

                                                                                                                                                    La zucca è un ortaggio di cui non si butta via nulla: la polpa viene utilizzata in cucina per la preparazione di svariati piatti, oltre che la preparazione di marmellate, mentre i semi di zucca vengono consumati dopo essere stati essiccati.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Coltivazione della zucca

                                                                                                                                                    La coltivazione delle zucche dovrebbe essere effettuata, preferibilmente, nell’ambito di un clima temperato e caldo, con temperature comprese tra i 18 e i 24°C.

                                                                                                                                                    La pianta soffre in maniera particolare il freddo e il gelo, e già con temperature inferiori ai 10°C può riportare danni; d’altra parte, sopporta male anche il caldo eccessivo soffrendo temperature superiori ai 28°C.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Per la buona riuscita della coltura, la zucca deve essere coltivata in terreni fertili o opportunamente concimati.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Le zucche da inverno si seminano una sola volta in aprile-maggio, si raccolgono ad ottobre e si conservano in locali asciutti e ventilati fino alla fine dell’inverno.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La zucca in commercio

                                                                                                                                                    In commercio si possono trovare vari tipi di zucca e molto spesso, date le loro dimensioni, sono vendute porzionate.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Nel momento dell’acquisto è bene far attenzione ad alcuni particolari: la zucca dev’essere ben soda, priva di ammaccature e col picciolo ben attaccato al frutto. Se acquistata già tagliata, i semi non devono essere troppo asciutti.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Stagionalità della zucca

                                                                                                                                                    La zucca è reperibile sul mercato da agosto a febbraio.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Preparazione e Conservazione della zucca

                                                                                                                                                    La zucca è uno dei prodotti più versatili della cucina italiana e può essere preparata in diversi modi, al vapore, lessata, stufata o cotta in forno. Può essere impiegata sia per preparazioni salate che dolci, oltre che abbinata a pasta, carne, formaggi e torte.

                                                                                                                                                    La polpa può essere cotta e frullata ottenendo un’ottima purea da accompagnare ai cibi come contorno.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    In ambito alimentare si hanno due principali tipologie di utilizzo, una relativa alla preparazione di tortelli, gnocchi, dolci e pane, l’altra come ingrediente di minestre e minestroni. Nel primo caso le varietà più adatte presentano polpa molto soda, asciutta e dolce. Per gli altri utilizzi sono adatte anche zucche meno dolci.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Vi ricordiamo che la biodisponibilità del beta-carotene contenuto nella zucca aumenta con la cottura e che, essendo solubile nei grassi, l’aggiunta ad esempio di olio EVO aiuta a favorirne l’assorbimento.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    I semi di zucca si sciacquano e si lasciano essiccare all’aria aperta o si tostano in forno per alcuni minuti ottenendo in tal modo un ottimo spuntino oppure possono essere aggiunti ad insalate.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La zucca va conservata in un luogo fresco, dopo essere stata privata della buccia è preferibile tenerla in frigo. Una volta cotta e tagliata a pezzetti può essere posta in appositi sacchetti e congelata in modo di averla a disposizione anche in periodi non tipici di questo ortaggio.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Le proposte di ricetta di FBO con la zucca

                                                                                                                                                    Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                                                                    Yogurt

                                                                                                                                                    yogurt

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Definizione di yogurt

                                                                                                                                                    Lo yogurt è il prodotto, derivante dal latte, ottenuto tramite fermentazione lattica operata da Streptococcus thermophilus e Lactobacillus bulgaricus. L’associazione tra questi due microrganismi stimola il reciproco sviluppo dando luogo a fermentazioni rapide.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Lo yogurt è un alimento di consistenza cremosa e di sapore acidulo che è prodotto utilizzando, come materia prima, latte fresco intero o parzialmente o totalmente scremato. È possibile produrre yogurt anche utilizzando latte di specie diverse da quella bovina (capra, bufala, pecora) o di derivazione vegetale, come il latte di soia, indicandolo però obbligatoriamente nella denominazione di vendita.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Tipi di yogurt

                                                                                                                                                    In commercio si trovano diverse tipologie di yogurt che in base al contenuto di grasso del latte utilizzato, possono essere suddivise in:

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    • yogurt da latte intero, con un contenuto lipidico compreso tra il 3 e il 4%;
                                                                                                                                                    • yogurt da latte parzialmente scremato con una quantità di grasso compresa tra l’1 e il 3%
                                                                                                                                                    • e yogurt da latte scremato che presenta una percentuale di lipidi inferiore all’1%.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    I vari tipi di yogurt possono trovarsi al naturale (yogurt bianco) oppure arricchiti con ingredienti di varia natura, come frutta, cereali, cacao, caffè e dolcificanti.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Proprietà nutrizionali dei diversi tipi di yogurt

                                                                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali dello yogurt da latte intero, da latte scremato, intero alla frutta, magro alla frutta e dello yogurt greco
                                                                                                                                                    Tabella con i valori nutrizionali dello yogurt da latte intero, da latte scremato, intero alla frutta, magro alla frutta e dello yogurt greco.

                                                                                                                                                    Valori nutrizionali dei diversi tipi di yogurt

                                                                                                                                                    Lo yogurt rappresenta un alimento interessante dal punto di vista nutrizionale in quanto oltre a fornire nutrienti come proteine, carboidrati semplici e grassi, che variano in funzione della tipologia di latte utilizzata nella produzione del prodotto, apporta vitamine del gruppo B e sali minerali, soprattutto calcio.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Il processo di fermentazione operato dai batteri lattici determina alcune trasformazioni nel contenuto nutrizionale, in quanto iniziano processi idrolitici su alcuni nutrienti come le proteine, che vengono rese maggiormente digeribili e il lattosio, che viene idrolizzato a galattosio e glucosio e quest’ultimo poi fermentato con produzione di acido lattico.

                                                                                                                                                    Questo processo rende lo yogurt maggiormente digeribile, anche per i soggetti con intolleranza al lattosio.

                                                                                                                                                    L’acidificazione determinata dalla fermentazione, inoltre, rende maggiormente assimilabili il calcio, il fosforo e il magnesio.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Lo yogurt aromatizzato può contenere zucchero e altre sostanze aromatizzanti quali frutta fresca, in conserva, surgelata o in polvere, ma la sostanza lattica non deve essere inferiore al 70% in peso del prodotto finale.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Lo yogurt greco è un particolare tipo di yogurt che differisce da quello tradizionale sia per il procedimento di produzione che per la consistenza finale.

                                                                                                                                                    È un prodotto molto più denso e cremoso, a volte infatti denominato “formaggio di yogurt” per la caratteristica spalmabilità.

                                                                                                                                                    Anche il sapore è più ricco e corposo e risulta meno aspro del tradizionale yogurt in quanto durante la produzione viene eliminato il siero di latte acido.

                                                                                                                                                    Lo yogurt greco ha valori nutrizionali differenti rispetto a quello classico.

                                                                                                                                                    Presenta circa il doppio di contenuto proteico e di lipidi rispetto alla yogurt intero. I carboidrati presenti derivano totalmente dagli zuccheri del latte. Per quanto riguarda il contenuto di micronutrienti, sali minerali e vitamine sono presenti in quantità analoghe a quelle dello yogurt classico.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Benefici dello yogurt

                                                                                                                                                    In generale lo yogurt contiene proteine di qualità e risulta facilmente digeribile poiché la fermentazione agisce come una sorta di pre-digestione che scinde il 30-40% del lattosio in molecole più piccole. Questo è anche uno dei motivi del perché lo yogurt può essere consumato anche da chi ha carenza della lattasi, l’enzima che trasforma il lattosio in glucosio e galattosio.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La porzione consigliata di yogurt è 125 grammi che corrisponde a un vasetto.

                                                                                                                                                    Con un vasetto da 125 g si copre circa il 15% del fabbisogno giornaliero di calcio, facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Il consumo di questo alimento può essere utile in caso di carenza di vitamina B12 o perdita di appetito. In quest’ultimo caso può essere considerato come uno spuntino a cui si può aggiungere frutta essiccata (es mela, albicocca, fichi) e/o cereali (es fiocchi d’avena).

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Interazioni dello yogurt

                                                                                                                                                    Lo yogurt può interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Produzione e Tecnologia dei diversi tipi di yogurt

                                                                                                                                                    La produzione artigianale dello yogurt

                                                                                                                                                    Prima dell’avvento della produzione industriale, lo yogurt si produceva artigianalmente in casa.

                                                                                                                                                    Bastava lasciare fermentare a temperatura ambiente il latte fresco (previa bollitura per favorirne la concentrazione e la delattelizzazione) in cui era disciolta una colonia di batteri, Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus, derivanti da una porzione di yogurt precedentemente prodotto.

                                                                                                                                                    Il risultato era un prodotto compatto con una parte di siero separata dalla massa coagulata.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Il perfezionamento delle tecniche industriali ha portato all’elaborazione di un processo che consente di ottenere uno yogurt dalla consistenza liscia e omogenea.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    La produzione industriale dello yogurt

                                                                                                                                                    A livello industriale la produzione dello yogurt avviene in diverse fasi.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Dopo la consegna allo stabilimento produttivo il latte viene scaldato e convogliato in un separatore che filtra eventuali impurità per poi essere raffreddato a temperature inferiori ai 5°C.

                                                                                                                                                    Il latte utilizzato deve rispondere ad alcuni requisiti quali l’integrità sanitaria e organolettica, essere fresco e privo di agenti antibiotici che inibirebbero la proliferazione dei microrganismi.

                                                                                                                                                    In sede di analisi vengono valutate le percentuali di proteine e di grassi presenti, i cui valori sono necessari per destinare il latte alla produzione di yogurt magro o intero.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Successivamente il latte viene pastorizzato in modo che il processo termico permetta di eliminare i microrganismi patogeni e i microrganismi in grado di inibire la fermentazione.

                                                                                                                                                    Una volta pastorizzato il latte viene trattato in omogeneizzatori che riducono le dimensioni delle particelle di grasso per evitare l’affioramento e per rendere il prodotto finale omogeneo e liscio.

                                                                                                                                                    Viene poi raffreddato fino a 40°C e si procede con l’inoculo delle colonie di Streptococcus thermophilus e Lactobacillus bulgaricus in pari proporzioni.

                                                                                                                                                    Con lo sviluppo dei batteri inizia la trasformazione del lattosio in acido lattico con conseguente abbassamento dei valori di pH fino a valori compresi tra 4 e 4,5.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Dopo l’inoculo dei batteri il prodotto può o essere direttamente travasato nel contenitore finale oppure trattato nei fermentatori e solo alla fine del processo fermentativo essere confezionato.

                                                                                                                                                    In entrambi i casi è necessario abbassare la temperatura per arrestare il processo fermentativo, impedendo in tal modo che l’acidità scenda ulteriormente rispetto a quanto desiderato a discapito anche della consistenza voluta.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Produzione dello yogurt aromatizzato

                                                                                                                                                    Per lo yogurt aromatizzato, nell’ultima fase sono aggiunti ingredienti quali zucchero, frutta o aromi, che conferiscono il sapore del gusto che si vuole produrre.

                                                                                                                                                    Ultimo passaggio è la chiusura dei barattoli e lo stoccaggio a freddo, cui segue la distribuzione e conservazione a temperatura controllata.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Preparazione e Conservazione dello yogurt

                                                                                                                                                    Per preservare la vitalità dei batteri lo yogurt deve essere conservato in frigorifero ad una temperatura di circa 4°C, rispettando i tempi riportati sulla confezione.

                                                                                                                                                    È bene precisare che la data indicata sulla confezione rappresenta la data entro cui è preferibile consumare il prodotto perché sia garantita la presenza di una certa percentuale di batteri lattici vivi e vitali nel prodotto.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Lo yogurt è un alimento largamente utilizzato per colazioni e spuntini, anche arricchito con frutta fresca, secca o cereali soffiati.

                                                                                                                                                    Il suo utilizzo è diffuso inoltre nella preparazione di salse da condimento o in alternativa a burro e panna per sughi e dolci.

                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                    Le proposte di ricetta di FBO con lo yogurt

                                                                                                                                                    Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                                                                    • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                      • Corradini C. (1995). “Chimica e tecnologia del latte”. Hoepli, Milano.

                                                                                                                                                      • Condoleo R., Bozzano A.  “La filiera del latte. Il percorso del latte: dall’allevamento alla tavola del consumatore”. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana.

                                                                                                                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                      • Martelli A., (2004), “Chimica degli alimenti”. Piccin, Padova.

                                                                                                                                                      www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                      www.humanitas.it

                                                                                                                                                      Uva

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      uva

                                                                                                                                                      Famiglia: Vitaceae

                                                                                                                                                      Genere: Vitis

                                                                                                                                                      Specie: Vitis vinifera L.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      L’uva è il frutto della vite, pianta rampicante antichissima appartenente alla famiglia delle Vitacee.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Le diverse specie di uva

                                                                                                                                                      Esistono diverse specie di vite per la produzione di uva.

                                                                                                                                                      La Vitis vinifera è originaria dell’Europa, di colore verde-ambra senza semi o di color porpora con semi, con bucce che generalmente aderiscono strettamente alla polpa.

                                                                                                                                                      Questi vitigni sono destinati alla produzione di uva da tavola, uva passa e uva da vino.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Le uve nordamericane, Vitis labrusca e Vitis rotundifolia, presentano invece diverse varietà: blu-nere di grandi dimensioni, rosso-rosate con buccia tenera e ambrate, meno dolci, senza semi e con bucce che si separano facilmente dalla polpa.

                                                                                                                                                      Sono adatte principalmente per la produzione di uva da tavola, marginalmente per la produzione di vino e non possono essere utilizzate per l’uva passa.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Uva da tavola, uva da vino e uvetta

                                                                                                                                                      Le uve da tavola presentano buccia sottile, polpa compatta, pochi semi e sono molto dolci in quanto durante la maturazione il contenuto degli acidi (acido tartarico e malico) diminuisce, incrementando il livello degli zuccheri.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Le uve da vino invece possiedono una polpa più succosa e tenera, sono difficilmente commestibili a causa della loro elevata acidità, caratteristica adatta per la vinificazione.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      L’uvetta (conosciuta anche come uva passa o sultanina) è uva disidratata che deriva dalla Vitis vinifera e presenta una buccia raggrinzita, di colore marrone scuro e una polpa gommosa dal sapore dolce.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Tipi di uva da tavola

                                                                                                                                                      Esistono due tipologie di uva da tavola: bianca e nera.

                                                                                                                                                      La varietà bianca più diffusa è l’uva Italia (oltre il 40% della produzione nazionale): uva con semi che presenta grappoli grandi e consistenti (da 700 grammi fino a 900 grammi), con acini sferici, croccanti e di colore giallo dorato, con un delicato sapore di moscato.

                                                                                                                                                      Molto diffusa è anche l’uva Regina, di provenienza probabilmente siriana, con acini grandi, giallo dorati e grappoli medio-grandi il cui peso può arrivare fino ai 700 grammi.

                                                                                                                                                      Ulteriore uva bianca è l’uva Vittoria, che presenta semi e grappoli grandi (con un peso medio di 800 grammi), e l’uva Sugraone, senza semi, con gusto dolce e dagli acini chiari.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Vi è inoltre la varietà denominata Pizzutello Bianco che presenta acini dalla forma allungata giallo-verdi, con grappoli che possono pesare fino a 400 grammi, dal sapore dolce e con una polpa succosa.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Nelle varietà nere rientrano l’uva Red Globe, con acini voluminosi di colore viola scuro con polpa dolce, la Rosada, l’Alphonse Lavalee, di origine francese con acini blu-neri e grappoli da 600 grammi e la Cardinal. Quest’ultima è un’uva californiana che presenta acini di medie dimensioni rosso-violacei con una polpa croccante e gusto neutro.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      I maggiori produttori di uva da tavola

                                                                                                                                                      I maggiori produttori di uva da tavola sono Italia (con il 18% della produzione totale), Turchia (13%),Cile (8%), Stati Uniti (7%), Spagna (6%), Francia, e Messico.

                                                                                                                                                      In Italia l’uva da tavola viene coltivata nelle pianure, sulle colline del centro Italia e nei terreni fertili del meridione quali Puglia (70% della produzione), Sicilia, coste ioniche della Basilicata, Abruzzo, Lazio e Sardegna.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali dell’uva e dell’uvetta

                                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali dell'uva e dell'uvetta
                                                                                                                                                      Tabella con i valori nutrizionali dell’uva e dell’uvetta (o uva sultanina).

                                                                                                                                                      Uva e uvetta valori nutrizionali

                                                                                                                                                      L’uva è costituita dall’80% di acqua e presenta un significativo contenuto di zuccheri.

                                                                                                                                                      I semi sono una fonte di potassio e calcio.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Nella buccia dell’uva nera sono presenti inoltre gli antociani, pigmenti responsabili della colorazione nero-viola, assenti nella varietà bianca.

                                                                                                                                                      Nella buccia degli acini d’uva e nella polpa si trova il resveratrolo. Il resveratrolo è un polifenolo non flavonoide, prodotto dalla pianta come risposta ad uno stress o per difesa da funghi e batteri, che svolge attività antiossidante. L’uva nera, rispetto a quella bianca, risulta più ricca di questo composto.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      L’uvetta contiene poca acqua ed è un alimento che fornisce un elevato apporto calorico (283 kcal per 100 grammi), dovuto alla presenza di fruttosio e glucosio. È anche una fonte di potassio, sodio e calcio.

                                                                                                                                                      A parità di peso presenta un contenuto di fibra più elevato rispetto all’uva, a fronte del minor contenuto di acqua. La fibra conferisce senso di sazietà ed è inoltre raccomandata per promuovere la regolare peristalsi intestinale, sebbene sia necessaria la precedente reidratazione con acqua perché questo effetto avvenga.

                                                                                                                                                      L’uvetta è anche una fonte di sostanze fenoliche, note e studiate per le loro numerose attività benefiche per la salute.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Uva e uvetta benefici

                                                                                                                                                      Sia l’uva fresca sia l’uva sultanina hanno caratteristiche antiossidanti e antinfiammatorie che aiutano a ridurre problemi causati dall’invecchiamento, a contrastare i tumori e a esercitare un’azione positiva a livello cardiovascolare.

                                                                                                                                                      Oltre a queste caratteristiche, l’uva agisce sull’insulina aiutandola ad avere una maggiore stabilità, mentre l’uvetta è fonte di fibre e minerali come il potassio che contribuisce a regolare la pressione arteriosa.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      La porzione standard consigliata di uva fresca è 150 grammi, che corrisponde a un grappolo piccolo (circa 20 acini). Per l’uva secca la porzione invece è di 30 grammi, che equivale a 2 cucchiai rasi di uvetta.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Il consumo di uvetta essiccata può essere utile per contrastare il gonfiore sottocutaneo o edema.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Uva e uvetta interazioni

                                                                                                                                                      I soggetti che assumono farmaci metabolizzati dal citocromo P450, anticoagulanti e antiaggreganti devono prestare attenzione al consumo di uva e uva sultanina.

                                                                                                                                                      L’uvetta inoltre potrebbe interferire con l’azione degli antibatterici ossazolidinonici (come il linezolid).

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia dell’uva e dell’uvetta

                                                                                                                                                      Caratteri botanici della pianta della vite

                                                                                                                                                      La pianta della vite vive in media 40-50 anni, entro i 600 metri s.l.m. prediligendo un clima asciutto e ben esposto al sole. La radiazione solare infatti determina il grado di maturazione e la temperatura influenza le varie fasi della pianta.

                                                                                                                                                      Questa pianta ha anche differenti esigenze idriche a seconda delle differenti fasi di maturazione. Se si verificano forti piogge durante l’estate si ha la formazione di un prodotto con un alto contenuto di acqua e di acidi e un basso livello di zuccheri. Se le forti piogge si verificano in autunno si favoriscono invece gli attacchi di muffe con conseguenze negative sul prodotto.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      I fiori della vite sono piccoli e verdastri, i frutti si presentano sotto forma di grappolo, composto da un graspo (o “raspo”) e da numerosi acini (saldamente attaccati al grappolo, detti anche “bacche”) di dimensioni più o meno grandi a seconda della varietà.

                                                                                                                                                      L’acino a sua volta è costituito all’esterno dall’epicarpo o buccia, all’interno dal mesocarpo o polpa, parte molle e succosa, e più internamente dall’endocarpo, tessuto membranoso contenente i semi (vinaccioli). Generalmente le uve senza semi sono meno dolci di quelle con semi.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Produzione dell’uva e dell’uvetta

                                                                                                                                                      La raccolta dell’uva avviene soprattutto nel periodo estivo, quando sono presenti temperature molto elevate. La raccolta manuale è da preferire a quella meccanica in quanto l’uva viene raccolta integra, senza problemi di schiacciamento o rottura degli acini.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Per mantenere inalterata la freschezza che si ha nel momento del distacco del grappolo dalla pianta, è opportuno trasferire l’uva in locali climatizzati adatti alla frigoconservazione.

                                                                                                                                                      Nella centrale ortofrutticola si selezionano i grappoli adatti ad essere immessi in commercio, che rispettano le caratteristiche di qualità richieste dall’acquirente. L’imballaggio da utilizzare può essere in legno (cassette) o in plastica (vaschette).

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      L’uvetta o uva passa/sultanina si ottiene in seguito alla disidratazione tramite essiccazione al sole. Tale processo può essere preceduto da un trattamento con biossido di zolfo, utile per far mantenere il colore e il sapore originario e far aumentare la durata di conservazione.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Stagionalità dell’uva

                                                                                                                                                      L’uva ha una stagionalità compresa tra la tarda estate e l’autunno. Per garantire la presenza del prodotto italiano in commercio per 230 giorni all’anno (da maggio a dicembre), si copre il vigneto con strutture di sostegno protette da un film di plastica.

                                                                                                                                                      l’uvetta invece è presente sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione dell’uva

                                                                                                                                                      L’uva è matura quando gli acini sono ben attaccati al grappolo, tendenti al giallo per l’uva chiara, di colore molto scuro per la varietà nera.

                                                                                                                                                      Solo prima del consumo deve essere sciacquata sotto acqua corrente fredda e asciugata con un tovagliolo. Se non si consuma tutto il grappolo in una volta, conviene separare i grappoli più piccoli dal gambo principale. Questo permette di evitare che il gambo si secchi e fare in modo che l’uva rimanga fresca.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      L’uva può essere conservata in frigorifero, nel reparto delle verdure, fino a una settimana all’interno di una scatola di plastica forata.

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                      L’uvetta invece può essere reidratata mettendola per qualche minuto in un contenitore con acqua calda coperto e la si può aggiungere a yogurt o a prodotti da forno, quali pane o biscotti. Ottima in aggiunta anche a primi, secondi piatti e con alcune verdure.

                                                                                                                                                      In alternativa può essere considerata come snack spezza fame, contribuendo a stimolare il senso di sazietà.

                                                                                                                                                      • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                        • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                        • Colapietra M. “Varietà di uva da tavola e periodi di commercializzazione in Italia e nel mondo”.

                                                                                                                                                        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                        • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                        • Yang J., Xiao Y.Y. (2013) “Grape phytochemicals and associated health benefits”, Critical Reviews in Food Science and Nutrition pag 1202-1225.

                                                                                                                                                        www.agraria.org

                                                                                                                                                        www.aicr.org

                                                                                                                                                        www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                        Uovo

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        uovo

                                                                                                                                                        Uovo: definizione e composizione

                                                                                                                                                        L’uovo ad uso alimentare, per definizione è quello non fecondato di gallina, cioè della specie Gallus domesticus.

                                                                                                                                                        Generalmente un uovo di gallina ha un peso medio che va dai 55 ai 60 g e la sua pezzatura varia principalmente in funzione dell’alimentazione del volatile.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Presenta una forma ovoidale con due estremità a diversa curvatura: una è arrotondata (polo ottuso) e l’altra più o meno appuntita (polo acuto).

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        È costituito per l’8,5-10,5% dal guscio, per il 60-66% dall’albume e per il restante 24-30% dal tuorlo.

                                                                                                                                                        Le proporzioni delle diverse parti possono variare in funzione di fattori come: l’età della gallina, la razza, l’alimentazione, il metodo di allevamento, le condizioni ambientali.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il guscio

                                                                                                                                                        Il guscio rappresenta la parte non edibile dell’uovo ed è una struttura mineralizzata permeabile ai gas e al vapore acqueo, costituita essenzialmente da carbonato di calcio.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Al suo interno si trovano due membrane, sovrapposte l’una all’altra che vanno a formare la così detta camera d’aria.

                                                                                                                                                        Quest’ultima non è presente nell’uovo appena deposto ma aumenta rapidamente di volume con l’invecchiamento, tanto è vero che l’altezza della camera d’aria è uno degli indici più utilizzati per valutare la freschezza dell’uovo.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il guscio, unitamente alle membrane interne, costituisce una barriera che si oppone all’ingresso dei microrganismi dall’esterno verso l’interno dell’uovo e ha quindi la funzione protettiva su tuorlo e albume; la sua integrità è un requisito fondamentale per la commercializzazione.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        L’albume (o bianco o chiara d’uovo)

                                                                                                                                                        L’albume, noto anche come bianco o chiara d’uovo, occupa il 60% del volume dell’uovo ed è costituito per quasi il 90% di acqua, il 10% di proteine e da piccole quantità di zuccheri e sali minerali.

                                                                                                                                                        E’ una soluzione acquosa semitrasparente e incolore che circonda il tuorlo.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        L’albume di un uovo fresco non è uniforme; esistono zone di albume più viscoso dall’aspetto gelatinoso e zone di albume più fluido.

                                                                                                                                                        Con l’invecchiamento dell’uovo, l’albume perde la sua consistenza gelatinosa, fluidificandosi. Di conseguenza, la presenza nell’uovo di albume totalmente liquido e acquoso è, salvo rare eccezioni, indice di scarsa freschezza.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Nell’albume si riconoscono inoltre due piccoli cordoni bianchi e gelatinosi avvolti a spirale, dette calaze, che hanno lo scopo di mantenere il tuorlo sospeso al centro dell’uovo.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il tuorlo (o rosso)

                                                                                                                                                        Il tuorlo è il costituente dell’uovo più ricco in nutrienti. E’ composto da un 50% di acqua e un 30% di lipidi, mentre la parte rimanente è rappresentata da proteine.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Presenta la tipica forma sferica ed una colorazione giallo-arancio che è influenzata, per tonalità e intensità del colore, dall’alimentazione della gallina.

                                                                                                                                                        Il colore viene percepito come attributo di qualità anche per il tuorlo, ma il suo colore dipende solo dall’alimentazione delle galline. Se nella dieta sono presenti molti carotenoidi, pigmenti contenuti naturalmente nei vegetali, i tuorli diventano di un giallo-arancio più intenso, altrimenti saranno più pallidi.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Le categorie di uovo in commercio

                                                                                                                                                        La commercializzazione delle uova da consumo è regolamentata da norme che fanno capo ai regolamenti 90/1907 e 96/1511 dell’Unione Europea.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        In base alla qualità le uova sono classificate in tre differenti categorie: A, B e C.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Categoria A

                                                                                                                                                        • uova fresche: non lavate, né refrigerate o sottoposte a trattamenti di conservazione; devono essere consumate entro i 28 giorni dalla data di confezionamento (riportata in etichetta). La camera d’aria deve essere inferiore a 6 mm.
                                                                                                                                                        • uova extra-fresche: come le precedenti, ma con camera d’aria inferiore ai 4 mm e devono essere consumate entro 7 giorni dall’imballaggio o 9 dalla deposizione.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Categoria B

                                                                                                                                                        • uova di seconda qualità o conservate. Si tratta di uova refrigerate a temperature inferiori ai 5°C, conservate in una miscela gassosa di composizione diversa da quella dell’aria. Devono avere una camera d’aria inferiore ai 9 mm.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Categoria C

                                                                                                                                                        • uova declassate che non soddisfano i requisiti delle altre categorie e destinate all’industria alimentare.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Le uova di classe A, sono ulteriormente suddivise in base al peso, in quattro gruppi: S peso inferiore a 53 g, M peso compreso tra i 53 e i 63 g, L peso compreso tra i 63 e i 73 g e infine XL peso maggiore ai 63 g.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        In commercio si possono trovare anche uova di altri volatili, come ad esempio quelli di oca, tacchina e anatra.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali dell’uovo

                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali dell'uovo di gallina, di oca, di tacchina e di anatra
                                                                                                                                                        Tabella con i valori nutrizionali dell’uovo di gallina, di oca, di tacchina e di anatra.

                                                                                                                                                        Valori nutrizionali uovo

                                                                                                                                                        L’uovo costituisce una fonte di principi nutritivi ed è adatto per consumatori di tutte le età.

                                                                                                                                                        Il suo valore nutritivo è correlato all’alto contenuto di proteine, (costituite da aminoacidi essenziali non sintetizzabili dall’organismo), da lipidi fosforati (che fanno parte della struttura delle membrane cellulari).

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Un uovo in media contiene il 73% di acqua, il 13% di protidi, il 12% di lipidi e il 2% di glucidi e di sali minerali. Le proteine dell’uovo sono complete dal punto di vita amminoacidico.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Le proteine dell’albume hanno una bassa digeribilità allo stato crudo che aumenta in seguito alla cottura; al contrario le proteine del tuorlo sono ben digerite allo stato crudo mentre la cottura a temperature elevate ne modifica la digeribilità.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        I lipidi dell’uovo, concentrati nel tuorlo, sono costituiti principalmente da trigliceridi e fosfolipidi.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Sono inoltre ricchi di acido linoleico, acido grasso essenziale, e di lecitina. Un uovo contiene circa 250 mg di colesterolo, elemento fondamentale per il corretto funzionamento delle membrane cellulari. Il tuorlo dell’uovo rappresenta anche un’ottima fonte di vitamine liposolubili, quali la vitamina A e la D e idrosolubili come la B12.

                                                                                                                                                        L’uovo è relativamente ricco di sali minerali come ferro e potassio. La maggior parte degli oligoelementi è localizzata nel tuorlo tranne il calcio che è invece abbondante nel guscio da dove viene mobilitato dall’embrione per il suo sviluppo.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Benefici uovo

                                                                                                                                                        I benefici apportati dall’uovo si riscontrano a livello proteico e a livello dei micronutrienti. Questo, infatti, è ricco di proteine che hanno potere saziante e di minerali come il fosforo che promuove la salute di ossa e denti e il potassio che regola la pressione arteriosa.

                                                                                                                                                        È una fonte anche di vitamina B12, fondamentale per la formazione dei globuli rossi e il corretto funzionamento del sistema nervoso.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Oltre a questi benefici, l’uovo influisce positivamente a livello del sistema immunitario, della pelle e della vista.

                                                                                                                                                        L’uovo contiene la colina, una molecola che riduce l’omocisteina. Quest’ultima è associata a problemi cardiovascolari.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        La porzione giornaliera standard consigliata è 50 grammi che corrisponde circa a un uovo.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il consumo di questo alimento può essere utile in caso di carenza di vitamina B12.

                                                                                                                                                        Infatti un uovo contiene 1,3 µg di vitamina B12, ricoprendo più della metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta (che è di 2,4 µg).

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia dell’uovo

                                                                                                                                                        La produzione delle uova

                                                                                                                                                        Da produzione tipicamente stagionale proveniente da piccole unità rurali (durante il periodo invernale non esistevano uova fresche) si è giunti a una produzione continuativa ed altamente specializzata.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Attualmente per la produzione di uova da consumo vengono impiegate galline di due differenti categorie: varietà che producono uova a guscio colorato, con colorazioni che vanno dal rosa al marrone e varietà che producono uova a guscio bianco.

                                                                                                                                                        Quest’ultime sono state selezionate a partire da una razza di origine italiana, nota come Livorno che è stata impiegata per la creazione degli ibridi commerciali. Le prime derivano invece da razze così dette intermedie come la New Hamphire, la Rhode Island e la Plymouth.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Allevamento delle galline ovaiole

                                                                                                                                                        L’allevamento delle galline ovaiole può essere effettuato in diversi modi:

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        • in gabbia o in batteria: viene effettuato in gabbie a rete metallica alte 40 cm in cui ogni volatile ha a disposizione delle vaschette per l’acqua e il mangime. La luce è artificiale e spesso viene mantenuta accesa oltre la durata di una normale giornata solare per accrescere la produzione di uova.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        • a terra: le galline ovaiole vengono mantenute in grandi capannoni nei quali possono muoversi liberamente. La covata delle uova avviene in nidi comuni, mentre per il mangime e l’acqua sono disponibili vaschette di dimensioni analoghe a quelle previste per l’allevamento in batteria.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        • all’aperto: in questo caso le galline ovaiole hanno a disposizione una stalla che deve soddisfare le stesse caratteristiche viste per l’allevamento a terra, ma in più gli animali possono spostarsi dalla stalla verso uno spazio all’aperto e viceversa.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        • biologico: in questo tipo di allevamento gli animali devono avere sempre a disposizione dei piccoli stagni nei quali poter sguazzare e sono presenti anche dei galli. Il mangime è esclusivamente biologico, e costituito da cereali e mais. L’aggiunta al nutrimento di sostanze con lo scopo di favorire la crescita, è severamente vietato.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        La vendita delle uova sul mercato

                                                                                                                                                        Il consumo medio di uova nell’UE è stimato intorno ai 12 kg pro capite all’anno. A livello europeo i principali produttori sono Francia e Spagna, seguiti da Italia, Germania e Paesi Bassi.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        La maggior parte delle uova viene venduta in confezioni da 4, 6 o 12 pezzi e dal 1°gennaio 2004 appare sul guscio e sugli imballaggi delle uova un codice che fornisce una serie di informazioni sulla tipologia di allevamento, il produttore e l’ubicazione dell’allevamento.

                                                                                                                                                        Il primo numero indica il sistema di allevamento delle galline ovaiole: “0” per l’allevamento biologico, “1” per l’allevamento all’aperto, “2” per quello a terra, mentre il “3” riguarda quello in gabbia (o batteria).

                                                                                                                                                        Segue una sigla che specifica il Paese di produzione delle uova (IT per l’Italia, FR per la Francia, ES per la Spagna, etc).

                                                                                                                                                        Un altro numero segnala il comune di appartenenza, mentre viene riportata anche la sigla della provincia dell’allevamento.

                                                                                                                                                        Le ultime tre cifre riguardano invece l’allevamento vero e proprio da cui provengono le uova.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        L’industria degli ovoprodotti

                                                                                                                                                        L’uovo in guscio pur essendo un prodotto completo già dotato di un involucro protettivo, presenta alcuni inconvenienti come fragilità, limitata shelf-life e possibilità di essere contaminato da batteri.

                                                                                                                                                        Per ovviare a queste problematiche nel corso degli anni è nata l’industria degli ovoprodotti che permette di trasformare questi alimenti in prodotti finiti sotto forma di liquidi, di congelati o di polveri essiccate, che possono essere addizionati anche di sostanze come sale, zucchero, o etc.

                                                                                                                                                        Per poter essere utilizzati come ingredienti alimentari, gli sgusciati devono subire un trattamento termico di pastorizzazione che ha lo scopo di ridurre la carica batterica totale ed eliminare eventuali batteri patogeni.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Stagionalità delle uova

                                                                                                                                                        Le uova (di gallina) sono sempre reperibili sul mercato.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione delle uova

                                                                                                                                                        Per sapere se un uovo è ancora fresco si possono mettere in atto diversi trucchi.

                                                                                                                                                        Il primo è quello di immergerlo in un bicchiere d’acqua con una manciata di sale, se galleggia non va consumato, se invece va a fondo vuol dire che l’uovo è fresco. L’uovo vecchio tende infatti a galleggiare per la presenza di gas nella camera d’aria.

                                                                                                                                                        Il secondo trucco è quello di rompere l’uovo su un piatto e di osservare la forma del tuorlo; le uova fresche hanno il tuorlo a cupola tenuto insieme da un anello di albume mentre se il tuorlo è piatto e l’albume è acquoso è meglio non utilizzare l’uovo, in quanto non è più fresco.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Le uova andrebbero conservate in frigo nella propria confezione. È bene non riporle nello scomparto del frigo predisposto per le uova a meno che questo non sia delimitato da un coperchio, per evitare contaminazioni crociate con altri alimenti.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        I diversi metodi di cottura dell’uovo

                                                                                                                                                        L’uovo è un alimento che può essere cotto in diversi modi: ad esempio alla coque, sodo o in camicia.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        L’uovo alla coque

                                                                                                                                                        L’uovo alla coque è la soluzione più veloce, il tempo di cottura si aggira intorno ai 3 minuti, a seconda della consistenza desiderata per l’albume.

                                                                                                                                                        Per cuocerlo in modo ottimale, l’uovo deve essere a temperatura media in quanto se è ancora freddo, immergendolo nell’acqua bollente, potrebbe rompersi. Un ulteriore accorgimento nel cuocere l’uovo alla coque è quello di apportare un piccolo forellino con uno spillo sulla punta più grossa dell’uovo, per evitare che a contatto con l’acqua calda si fessuri.

                                                                                                                                                        Bisogna quindi portare ad ebollizione una quantità di acqua sufficiente per coprire l’uovo.

                                                                                                                                                        Raggiunta l’ebollizione si abbassa la fiamma e si immerge l’uovo, aiutandosi con un cucchiaio e si lascia a cuocere per circa 3 minuti.

                                                                                                                                                        Al termine della cottura si fa raffreddare sotto l’acqua corrente e lo si incide creando un piccolo buco senza distruggerne il resto.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        L’uovo sodo

                                                                                                                                                        Per l’uovo sodo si ricopre d’acqua e si porta ad ebollizione.

                                                                                                                                                        Dal momento del bollore bisogna attendere 8-10 minuti,in base alle dimensioni dell’uovo. Terminato il tempo di cottura bisogna scolare le uova e una volta raffreddate, vanno sbucciate e sono quindi pronte per essere consumate.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        L’uovo in camicia

                                                                                                                                                        Per cucinare le uova in camicia, chiamate anche uova affogate in quanto cotte completamente nell’acqua, si possono utilizzare due differenti modalità.

                                                                                                                                                        Il primo metodo, più classico, consiste nel mettere dell’acqua in un tegame, portarla a bollore, aggiungendo anche un cucchiaio di aceto che aiuta a far coagulare gli albumi. L’acqua di cottura deve essere mescolata con un cucchiaio di legno in modo da creare un vortice nel  tegame e si versa così l’uovo aperto che dopo pochi minuti giungerà a cottura.

                                                                                                                                                        L’altro metodo invece prevede che le uova siano aperte in uno strato di pellicola, resistente alla temperatura, precedentemente disposto in un bicchiere. Si raccoglie poi la pellicola dai bordi in modo da contenere all’interno l’uovo, si aggiunge un pizzico di sale e poi si sigilla tutto con dello spago o con un’apposita pinzetta da cucina. Si immerge il tutto nell’acqua bollente e si fa cuocere per circa 3 minuti.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Le proposte di ricetta di FBO con le uova

                                                                                                                                                        Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                                                                        Tonno

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        tonno

                                                                                                                                                        Famiglia: Scombridae

                                                                                                                                                        Genere: Thunnus

                                                                                                                                                        Specie: Thunnus thynnus

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il tonno e le diverse specie

                                                                                                                                                        Con il termine generico di tonno, si intendono diverse specie ittiche, pelagiche a sangue caldo che colonizzano i diversi mari del pianeta.

                                                                                                                                                        In particolare, si comprendono varie specie della famiglia delle Scombridae quali: tonno alalunga, tonno albacares (pinna gialla), tonno atlanticus, tonno obesus, tonno orientalis, tonno thynnus (tonno rosso) e tonno tonggol.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Le diverse specie presentano caratteristiche e quindi proprietà organolettiche differenti; la più pregiata è sicuramente il tonno rosso del Mediterraneo, mentre il tonno “pinne gialle” è destinato prevalentemente all’inscatolamento.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il tonno è un predatore che si nutre prevalentemente di altri pesci (soprattutto pesce azzurro) e molluschi cefalopodi come seppie e calamari. È dotato di un corpo ovoidale e allungato con dimensioni elevate che vanno da un metro del Thunnus atlanticus ai 4,5 m del Thunnus thynnus.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        La produzione mondiale di tonno

                                                                                                                                                        Per decenni il tonno è stato consumato prevalentemente sottoforma di prodotto inscatolato e le produzioni infatti erano destinate quasi totalmente all’industria conserviera.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Oggigiorno la produzione di tonno rosso viene destinata quasi totalmente al mercato giapponese, dove questo prodotto viene consumato prevalentemente come sushi e sashimi, mentre una piccola parte viene esportata verso gli U.S.A.

                                                                                                                                                        I prezzi di mercato variano a seconda del metodo di commercializzazione (fresco, congelato) e della qualità del prodotto (contenuto di grasso, colore delle carni).

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        In Italia il tonno a maggior diffusione è il pinna gialla, una specie oceanica ampiamente diffusa, quindi di prezzo inferiore.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        In commercio, oltre al tonno fresco, è possibile infatti trovare tonno in scatola, sia al naturale sia sott’olio.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali del tonno fresco e conservato

                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali del tonno fresco, del tonno in salamoia e del tonno sott'olio
                                                                                                                                                        Tabella con i valori nutrizionali del tonno fresco, del tonno in salamoia e del tonno sott’olio.

                                                                                                                                                        Tonno valori nutrizionali

                                                                                                                                                        Il tonno, grazie al regime alimentare che segue, presenta una buona percentuale di grassi insaturi, prevalentemente omega-3.

                                                                                                                                                        Contiene, inoltre, elevati contenuti di proteine, potassio, selenio, vitamina B12, niacina e fosforo e rappresenta un alimento a bassissimo indice glicemico (IG=0).

                                                                                                                                                        Non contiene carboidrati (zuccheri) e la scarsa presenza di tessuto connettivo lo rende interamente edibile.

                                                                                                                                                        Se consumato con altri alimenti contenenti ferro, contribuisce all’assorbimento del ferro stesso.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il tonno in scatola può essere al naturale, cioè conservato solo nell’acqua di cottura, oppure sott’olio.

                                                                                                                                                        Quindi il tonno al naturale presenta meno calorie rispetto al tonno sott’olio (100 kcal per 100) e, per la sua produzione, non viene utilizzata la ventresca (la parte più grassa del tonno) ma solo i tagli più magri.

                                                                                                                                                        Il tonno sott’olio invece fornisce più calorie (190 kcal per 100 grammi) in quanto per la sua preparazione viene utilizzato l’olio di semi oppure l’olio di oliva o l’olio extra vergine d’oliva.

                                                                                                                                                        Inoltre il tonno in scatola (al naturale o all’olio) apporta un quantitativo di sale notevole e, proprio per questo motivo, il suo consumo andrebbe limitato.

                                                                                                                                                        Da come si può notare in tabella il tonno in scatola è quasi privo di acidi grassi omega-3 mentre la quantità di lipidi aumenta, rispetto a quello fresco, probabilmente per la conservazione effettuata sott’olio.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Da ricordare come i grandi pesci predatori come il tonno, sono maggiormente soggetti ad accumulo di metalli pesanti (come il mercurio noto come metallo tossico a livello neurologico) e tossine algali rispetto ai pesci di minori dimensioni, poiché il loro regime alimentare li porta a nutrirsi di altri pesci e molluschi.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Tonno benefici

                                                                                                                                                        Il tonno è una buona fonte di omega-3. Gli omega-3 sono grassi insaturi che agiscono positivamente a livello cardiovascolare, nel benessere della memoria e sull’umore.

                                                                                                                                                        Inoltre questo pesce è una buona fonte di fosforo e selenio. Il primo favorisce la salute di ossa e denti, mentre il secondo collabora con le difese immunitarie.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        La porzione standard consigliata di tonno fresco è 150 grammi che corrisponde a un filetto medio, mentre la porzione standard consigliata di tonno conservato è 50 grammi che corrisponde a una scatoletta piccola di tonno sott’olio o in salamoia.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Tonno e interazioni

                                                                                                                                                        Il consumo del tonno è sconsigliato ai soggetti in terapia con antitubercolari. Questo alimento infatti contiene istamina, che potrebbe causare mal di testa, sudorazione, palpitazioni, vampate di calore e ipotensione.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia del tonno

                                                                                                                                                        Allevamento e pesca del tonno

                                                                                                                                                        L’allevamento di questa specie genera elevati profitti ed è in continua espansione, infatti oggigiorno si pratica nella maggior parte dei Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo.

                                                                                                                                                        L’allevamento del tonno inizia con l’introduzione all’interno delle gabbie di allevamento degli esemplari catturati in natura.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Gli esemplari sono pescati nel periodo compreso tra il mese di aprile ed il mese di luglio e successivamente si procede al loro trasporto all’interno di gabbie offshore, che generalmente hanno un diametro compreso tra 30 e 90 m ed un volume totale che può superare i 230.000 m3.

                                                                                                                                                        Il trasferimento in gabbia si effettua nel periodo che va da maggio ad agosto e la taglia degli esemplari è compresa tra 4 e 20 kg per quanto riguarda i giovani, ma può arrivare anche a 300-400 kg per i tonni adulti.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il mantenimento in cattività può essere di due tipi: a breve termine, definito di finissaggio o affinamento, della durata di 7-8 mesi; a lungo termine, con una durata di circa 20 mesi.

                                                                                                                                                        Durante la fase di ingrasso gli animali sono alimentati con pesce a basso costo, come sarde, sgombri, acciughe e calamari e la quantità di cibo somministrata nei mesi estivi può raggiungere il 7-10% della biomassa totale presente in gabbia.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        La pesca dei tonni allevati avviene prevalentemente nel periodo autunno-invernale, quando il prodotto di origine selvatica è meno disponibile sul mercato ed i prezzi di vendita sono di conseguenza più elevati.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Tecniche di produzione del tonno 

                                                                                                                                                        Una volta pescato, il tonno si invia allo stabilimento di trasformazione, dove viene classificato in base alla specie e alla taglia, identificato ed immagazzinato in celle frigorifere.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        La lavorazione inizia con lo scongelamento, effettuato con acqua in vasche o a pioggia, e prosegue con il sezionamento in grossi tranci e la cottura in acqua o a vapore.

                                                                                                                                                        Dopo la cottura, i grossi pezzi sono mondati a mano e separati dalle lische, dalla pelle e dalle parti scure.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Si selezionano i filetti in base al colore e ad altre caratteristiche organolettiche e, successivamente, si tagliano con una lama affilata fino a diventare “pastiglie” dell’altezza desiderata.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il tonno è inscatolato in lattine o vasetti di vetro insieme al liquido di governo – olio oppure acqua, a seconda della tipologia – ed al sale.

                                                                                                                                                        Lattine e vasetti devono essere sigillati e sottoposti a sterilizzazione, ad una temperatura di 110°-120°C in autoclavi. In questo modo sono garantite la salubrità e la conservazione del prodotto.

                                                                                                                                                        Le scatole sono infine confezionate e imballate per il commercio.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Stagionalità del tonno

                                                                                                                                                        Il tonno fresco è di stagione nei mesi di febbraio, marzo, luglio, agosto, settembre, ottobre e dicembre.

                                                                                                                                                        Se conservato in scatola, invece, si può trovare sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione del tonno

                                                                                                                                                        La carne e i tagli del tonno

                                                                                                                                                        La carne del tonno può essere scorporata in diversi pezzi: testa, guancia, retro guancia, filetto (a sua volta differenziato in alto, medio e basso) e ventresca (a sua volta distinta in molto grassa, mediamente grassa e poco grassa). Le parti rimanenti non sono scartate (ad esempio le raschiature della coda, della pelle e della lisca), possono essere cotte e conservate sott’olio con il nome di buzzonaglia o buzzonaccia.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il taglio più pregiato è costituito dalla guancia e dal retro guancia, seguono la ventresca ed infine i filetti.

                                                                                                                                                        Di questi ultimi, la porzione qualitativamente migliore è quella centrale, seguita da quella vicino alla testa e da quella in prossimità della coda. Parallelamente, la ventresca di tonno più ambita risiede in posizione centrale, seguita da quella in prossimità della coda e per concludere dalla porzione dietro la testa.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Ovviamente, nemmeno i visceri del tonno sono destinati allo scarto: il cuore, la trippa (stomaco) e il fegato possono essere consumati cotti. Le uova invece, oltre a costituire un ingrediente fresco “di élite” per i sughi di accompagnamento o sopra i crostini, se affumicate, salate e pressate, rappresentano il tipo di bottarga più famoso, dopo quella di muggine.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il tonno e consigli pratici in cucina

                                                                                                                                                        A livello popolare, il tonno è conosciuto per la relativa prelibatezza in preparazioni come: tagliata di tonno (filetto e ventresca), carpaccio di tonno (filetto fresco, filetto affumicato, mosciame o tonnina – sotto sale), sushi e sashimi (che in tutte le loro varianti coinvolgono la totalità dell’animale).

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Bisogna tener conto che il consumo di tonno crudo comporta sicuramente un maggior rischio di intossicazioni e infezioni causate da batteri patogeni.

                                                                                                                                                        Il pesce crudo può essere infatti contaminato da diversi microrganismi, come Listeria, E. coli e Salmonella che causano disturbi gastrointestinali. Il rischio maggiore per chi consuma pesce crudo è dovuto però all’ Anisakis.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Il problema dell’Anisakis

                                                                                                                                                        L’Anisakis simplex è un nematode normalmente presente come parassita intestinale in numerosi mammiferi ed ospite intermedio, nel suo stadio larvale, di molti pesci tra cui tonno, salmone, sardina, acciuga, merluzzo, nasello e sgombro. L’Anisakis è estremamente diffuso, presente in più dell’85% delle aringhe, nell’80% delle triglie e nel 70% dei merluzzi.

                                                                                                                                                        Questi nematodi migrano dalle viscere del pesce alle sue carni se, dopo la pesca, non viene eviscerato.

                                                                                                                                                        Se il pesce infetto viene consumato crudo, non completamente cotto o in salamoia, le larve presenti possono aderire alle pareti dell’apparato gastrointestinale, dallo stomaco fino al colon.

                                                                                                                                                        Per difendersi dall’acidità dei succhi gastrici, perforano le mucose, provocando una parassitosi acuta che insorge poche ore dopo dall’ingestione e si manifesta con un intenso dolore addominale, con nausea e vomito.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Una circolare del Ministero di Sanità del 1992, ancora in vigore, obbliga chi somministra pesce crudo o in salamoia (il limone e l’aceto non hanno effetto sul parassita) ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo. Infatti l’Anisakis e le sue larve muoiono se sottoposti a cottura oltre 60°C, oppure dopo 96 ore a -15° C, 60 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C.

                                                                                                                                                        I pericoli maggiori provengono dal consumo casalingo; una volta acquistato fresco deve ssere quindi eviscerato e congelato per almeno 4/5 giorni a -18°C.

                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                        Le proposte di ricetta di FBO con il tonno

                                                                                                                                                        Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                                                                        • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                          • Cardia F. and Lovatelli A. A review of cage aquaculture: Mediterranean sea. In M. Halwart, D. Soto and J.R. Arthur (eds). “Cage aquaculture-regional reviews and global overview” pp.156-187. FAO Fisheries Technical paper. No.498. Rome, FAO. 2007. 241 pp.

                                                                                                                                                          https://adocnazionale.it/ 

                                                                                                                                                          • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                          • Manzoni, V. Tepedino., (2008).GRANDE ENCICLOPEDIA ILLUSTRATA DEI PESCI. Guida al riconoscimento di oltre 600 specie presenti nelle acque d’Europa o importate sui mercati europei. Eurofishmarket

                                                                                                                                                          • www.agraria.org

                                                                                                                                                           www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                          www.humanitas.it

                                                                                                                                                          • www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                          Tofu

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          tofu

                                                                                                                                                          Tofu: cos’è e categorie

                                                                                                                                                          Il tofu è un alimento originario della Cina che viene prodotto a partire dalla cagliata del latte (o meglio bevanda) di soia e dalla successiva pressatura in forme.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Il tofu può distinguersi in due categorie principali: o fresco, direttamente prodotto dalla spremuta delle fave di soia, o conservato, prodotto a partire dal tofu fresco.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Le tipologie di tofu fresco

                                                                                                                                                          A seconda della quantità d’acqua che si estrae dalla cagliata, il tofu fresco si può dividere in tre tipologie:

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          • Tofu delicato varietà che trattiene la maggior quantità di liquido con una consistenza simile a un budino;

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          • Tofu solido asiatico prodotto con l’utilizzo di una stoffa che avvolgendolo assorbe una maggior quantità di liquido nella fase di coagulazione. La superficie del tofu è generalmente segnata con il motivo della mussola nella quale la forma era inserita;

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          • infine vi è il Tofu secco occidentale, una particolare varietà di tofu con una quantità più bassa di acqua tra tutti i tofu freschi. È compatto come la carne cotta e, qualche volta, presenta una consistenza elastica. Se si affetta sottilmente, si sbriciola facilmente.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali del tofu

                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali del tofu

                                                                                                                                                          Tofu valori nutrizionali

                                                                                                                                                          Il tofu è un alimento ricco di proteine, ma a differenza della soia (da cui deriva) è molto più digeribile perché durante il processo di lavorazione le proteine si modificano.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Se è abbinato ad una fonte di carboidrati come pasta, riso, polenta, rappresenta, dal punto di vista proteico, un alimento completo di tutti gli amminoacidi essenziali.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Nel tofu è contenuta inoltre una buona quantità di sali minerali come calcio e ferro, è naturalmente privo di colesterolo e contiene prevalentemente acidi grassi po­linsaturi, di cui una piccola aliquota da acidi grassi omega 3.

                                                                                                                                                          Contiene in quantità notevoli la lecitina, sostanza presente nella soia che ostacola il deposito di colesterolo nei vasi sanguigni.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Questo “formaggio vegetale” è adatto a soggetti intolleranti al lattosio.

                                                                                                                                                          Anche le persone celiache possono assumere il tofu in quanto è pri­vo di glutine, tuttavia è importante che non abbia subito conta­minazioni crociate con altre sostanze o alimenti durante il processo di produzione, quindi è bene accertarsi che sia presente il simbolo identificativo della spiga barrata o altra dichiarazione o simbolo che certifichi questo processo (ad esem­pio logo del Ministero della Salute).

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Tofu benefici

                                                                                                                                                          Il tofu ha una buona fonte di proteine vegetali, di grassi insaturi e isoflavoni.

                                                                                                                                                          Queste caratteristiche, rispettivamente, fanno si che si presti ad essere consumato nelle diete vegetariane, nelle alimentazioni in cui bisogna tenere sotto controllo il colesterolo e come alleato nell’alimentazione contro i tumori al seno e alla prostata.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          La porzione standard consigliata è 100 grammi di tofu.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Tofu e interazioni

                                                                                                                                                          Il tofu contiene una grande quantità di fitoestrogeni ed è quindi da consumare con moderazione da parte delle donne in gravidanza, con tumori al seno o con problemi ginecologici e da parte dei soggetti che hanno problemi alla tiroide.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia del tofu

                                                                                                                                                          Gli agenti coagulanti per la produzione di tofu

                                                                                                                                                          Per la produzione industriale del tofu è possibile utilizzare diverse tipologie di coagulante in base alla consistenza del prodotto finale che si desidera.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Gli agenti coagulanti più diffusi sono:

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          • il solfato di calcio o cloruro di sodio utilizzati soprattutto nella preparazione del classico tofu cinese dalla consistenza morbida.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          • Il cloruro di magnesio detto anche nigari, invece è impiegato nella produzione del tofu giapponese e anticamente veniva ricavato dal mare, con un processo di estrazione simile a quello attuato per l’estrazione del sale marino. L’utilizzo di questa varietà di caglio permette di ottenere tofu con consistenza liscia e delicata.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          • Infine può essere utilizzato il glucone delta-lactone (GDL), un acido organico naturale che permette di ottenere una consistenza del tofu più gelatinosa e vellutata e dal sapore leggermente aspro.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          • È possibile utilizzare anche un coagulante di origine vegetale come il succo di limone.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Le fasi di produzione del tofu

                                                                                                                                                          I fagioli di soia vengono tenuti in ammollo per alcune e ore e poi scolati e macinati per ottenere una purea che, dopo aggiunta di acqua, passa alla fase di ebollizione all’interno di grossi pentoloni di acciaio che vengono mantenuti chiusi.

                                                                                                                                                          In tal modo, le elevate temperature, permettono alla purea di soia in cottura di perdere per volatilizzazione gran parte degli aromi sgradevoli (tipici delle leguminose).

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          La fase successiva alla cottura è l’estrazione del latte di soia (la parte utile per il tofu) dal residuo rimanente della polpa di soia.

                                                                                                                                                          Il latte di soia viene di nuovo scaldato per poi aggiungervi l’agente coagulante.

                                                                                                                                                          A questo punto le proteine della soia e le parti ad essa associate coagulano, l’acqua viene allontanata dalla cagliata ed in seguito al compattamento finale si ottiene il formaggio vegetale ovvero il tofu.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Il prodotto viene poi confezionato sottovuoto in porzioni da 200-400 grammi che ne permette la conservazione in frigorifero fino a 3 settimane.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Le varietà di tofu conservato

                                                                                                                                                          Esistono inoltre molte varietà di tofu conservato, dovute a diverse modalità di lavorazione del tofu fresco.

                                                                                                                                                          Alcune di queste tecniche, probabilmente, hanno avuto origine dalla necessità di conservare il tofu nelle epoche in cui ancora non erano disponibili i frigoriferi, o dalla volontà di aumentare la durata del prodotto.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Tofu in salamoia (a cubetti):

                                                                                                                                                          il tofu secco viene fatto essiccare all’aperto sotto il fieno e lasciato maturare lentamente per azione di batteri presenti nell’aria. Viene poi immerso in acqua salata, con aceto, pepe o con una miscela di riso, pasta di semi, e semi di soia.

                                                                                                                                                          Ne esiste una particolare varietà chiamata tofu in salamoia rosso.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Il sapore del tofu in salamoia è simile a quello di certi formaggi per la presenza di peptoni che si liberano durante la maturazione. Dato che il tofu è insapore e inodore, assume il sapore e il profumo del liquido in cui è immerso.

                                                                                                                                                          La composizione del tofu secco è simile a quella della crema di formaggio e viene venduto di solito in piccoli barattoli di vetro. Se posto in frigo, si conserva per diversi anni.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Tofu aromatizzato:

                                                                                                                                                          l’aromatizzazione viene effettuata nella fase di spremitura delle fave di soia, durante il processo di formazione della cagliata.

                                                                                                                                                          In commercio è possibile trovare tofu con diversi tipi di aroma (all’aglio, al basilico, al pomodoro piccante), ognuno dei quali contiene diverse tipi di verdure ed aromi che lo rendono più appetibile.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Tofu dolce:

                                                                                                                                                          il tofu per dessert più comune comprende il tofu all’arachide, alla mandorla, al mango e al cocco.

                                                                                                                                                          Per produrre questo tipo di tofu, vengono miscelati nella spremuta delle fave di soia, prima della coagulazione, zucchero, frutta acida e gli aromatizzanti.

                                                                                                                                                          Molti tofu dolci hanno una consistenza simile al tofu delicato e vengono serviti freddi.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Tofu salato o tofu all’uovo:

                                                                                                                                                          è il principale tipo di tofu salato e aromatizzato.

                                                                                                                                                          Prima di aggiungere l’agente coagulante, vengono filtrate e incorporate, nella spremuta delle fave di soia, uova intere sbattute. La miscela viene lasciata cagliare in speciali tubi in plastica, cotta e confezionata per la vendita.

                                                                                                                                                          Questo tofu presenta un colore giallo pallido, dovuto all’uovo. Non presenta porosità ma una consistenza piena ed un sapore simile al tofu delicato.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Stagionalità del tofu

                                                                                                                                                          Il tofu si può trovare sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione del tofu

                                                                                                                                                          Preparazione casalinga del tofu

                                                                                                                                                          Per la produzione del tofu a livello casalingo bisogna mettere a bagno la soia gialla in acqua fredda o tiepida per almeno 12 ore ricordandosi di cambiare l’acqua di ammollo almeno 3-4 volte per allontanare le sostanze anti-nutrizionali.

                                                                                                                                                          Una volta che la soia si è ammorbidita bisogna sciacquarla nuovamente e frullarla con un quantitativo di acqua pari al volume della soia.

                                                                                                                                                          Dopo aver messo un litro di acqua a bollire si aggiunge la soia frullata e un pizzico di sale e si lascia cuocere per mezz’ora, mescolando di tanto in tanto.

                                                                                                                                                          A cottura ultimata si filtra con un colino ottenendo il “latte di soia” che viene lasciato raffreddare e conservato in frigorifero per 3-4 giorni.

                                                                                                                                                          Successivamente si mette il latte di soia in una pentola (preferibilmente di acciaio), si aggiunge un pizzico di sale, si porta ad ebollizione e si fa cuocere per 5 minuti, mescolando in continuazione.

                                                                                                                                                          Si aggiunge a poco a poco il succo di limone (o l’aceto) finché la massa di formaggio si separa dal siero.

                                                                                                                                                          Dopo di che si scola con una schiumarola e si mette l’agglomerato in un colino foderato (ricoperto con una stoffa bianca, fine e pulita) o in un recipiente forato e si lascia sgocciolare per circa 20 minuti.

                                                                                                                                                          È consigliabile coprirlo con un piattino mettendo sopra un peso per facilitare la pressatura e accelerare così l’eliminazione del liquido in eccesso.

                                                                                                                                                          Al termine di queste operazioni il tofu si presenterà di colore bianco sporco e sarà pronto per essere utilizzato per le varie preparazioni dolci o salate.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Conservazione del tofu fresco e secco

                                                                                                                                                          Il tofu può essere conservato, meglio se immerso in acqua salata, per 3-4 giorni in frigorifero. È possibile anche congelarlo ma in questo caso viene persa parte della sua consistenza.

                                                                                                                                                          In commercio è possibile trovare anche tofu a lunga conservazione (con scadenza di qualche settimana) oppure secco.

                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                          Le proposte di ricetta di FBO con il tofu

                                                                                                                                                          Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                                                                          • • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                            •  www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                            • www.nutentecra.it

                                                                                                                                                            Tempeh

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            tempeh cos'è

                                                                                                                                                            Tempeh cos’è?

                                                                                                                                                            Il tempeh, anche definita “carne di soia”, è un prodotto tipico dei paesi del sud est asiatico.

                                                                                                                                                            Si ottiene dalla fermentazione dei semi della soia gialla, presenta un sapore robusto e vigoroso, di consistenza solida e, come il tofu, risulta molto più digeribile della soia.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            È un alimento molto importante nella dieta asiatica, soprattutto quella indonesiana, e sta diventando popolare anche in Occidente.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Proprietà nutrizionali del tempeh

                                                                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali del tempeh

                                                                                                                                                            Tempeh valori nutrizionali

                                                                                                                                                            Il tempeh è un alimento di origine vegetale che fornisce un buon apporto proteico, tanto da essere considerato simile alla carne.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            L’utilizzo dell’intero germoglio di soia nella sua produzione lo rende diverso da altri prodotti, conferendogli un alto apporto di fibre, che contribuiscono al corretto funzionamento della peristalsi intestinale e contribuiscono ad un maggiore senso di sazietà.

                                                                                                                                                            Nella frazione lipidica sono presenti acidi grassi polinsaturi ed una piccola quota è rappresentata dagli acidi grassi omega 3.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Il tempeh è anche una discreta fonte di potassio, fosforo e calcio e di vitamine del gruppo B.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            A differenza di altri prodotti fermentati a base di soia, come il miso, il tempeh possiede un basso contenuto di sodio, che lo rende adatto a chi necessita di seguire una dieta iposodica.

                                                                                                                                                            In questo alimento sono presenti anche saponine, isoflavoni, fitosteroli e lecitine tipici della soia.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Tempeh benefici

                                                                                                                                                            I benefici apportati dal tempeh sono da ricondurre alla ricchezza di fibre e ai minerali che possiede.

                                                                                                                                                            Il calcio, il fosforo e il potassio sono i minerali presenti in maggior quantità. I primi due contribuiscono a mantenere in salute le ossa, mentre il potassio regola la pressione arteriosa.

                                                                                                                                                            Al contrario, ha un basso contenuto di sodio e questa caratteristica lo rende un alimento utilizzabile in molti regimi dietetici.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Tempeh e interazioni

                                                                                                                                                            Il consumo del tempeh è sconsigliato ai soggetti ipotiroidei a causa della presenza degli isoflavoni e ai soggetti che hanno problemi renali a causa della presenza dell’acido ossalico.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Produzione e Tecnologia del tempeh

                                                                                                                                                            La produzione del tempeh

                                                                                                                                                            Il tempeh viene prodotto con i germogli di soia, ammorbiditi prima in acqua e in seguito parzialmente cotti e fermentati.

                                                                                                                                                            Per la fermentazione si aggiunge aceto e successivamente si inoculano microorganismi fermentanti, principalmente Rhizopus oligosporus, un micete (fungo) appartenente alla famiglia delle Mucoraceae.

                                                                                                                                                            Il composto ottenuto viene steso e lasciato fermentare per 24-36 ore ad una temperatura di circa 30°C, in modo tale che le spore del Rhizopus oligosporus possano sintetizzare i caratteristici miceli conferendo solidità e compattezza al tempeh.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            La digeribilità del tempeh

                                                                                                                                                            La maggior digeribilità del tempeh rispetto alla soia è da attribuire all’azione del Rhizopus oligosporus che, oltre a degradare parzialmente le proteine (peptidasi fungina), determina una idrolisi quasi completa degli oligosaccaridi (raffinosio e stachinosio) generalmente responsabili del meteorismo e della tensione intestinale prodotta dai legumi.

                                                                                                                                                            Inoltre i germogli di soia utilizzati per la produzione del tempeh vengono parzialmente cotti all’inizio del processo, comportando in questo modo l’inattivazione degli inibitori di peptidasi e amilasi, sensibili al calore.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Stagionalità del tempeh

                                                                                                                                                            Il tempeh è reperibile sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Preparazione e Conservazione del tempeh

                                                                                                                                                            Il tempeh presenta un colore biancastro con alcuni punti neri o grigi. Macchie di colore rosa, gialle o blu sono indice di un prodotto eccessivamente fermentato.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Questo prodotto, prima della cottura, si conserva in frigorifero fino a 10 giorni e può essere conservato in congelatore per molti mesi.

                                                                                                                                                            È consigliabile sbollentarlo per 5-10 minuti prima di cucinarlo in padella con aromi. È anche possibile marinarlo qualche ora in acqua con salsa di soia e zenzero per poi cuocerlo in forno.

                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                            Il tempeh costituisce un prodotto estremamente versatile che può essere utilizzato in innumerevoli modi. Può anche essere grattugiato come il formaggio o usato in zuppe, insalate, panini, può essere cotto al vapore o al forno e aggiunto alle più svariate pietanze.

                                                                                                                                                            • • Gobbi N. (aa 2014-2015) “Caratterizzazione della microflora spontanea di un alimento fermentato vegano”, tesi di laurea, Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna, Scuola di Agraria e Medicina Veterinaria.

                                                                                                                                                              • Watanabe T. “Il libro della soia”, Edizioni Mediterranee, 2001.

                                                                                                                                                              www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              tè

                                                                                                                                                              Famiglia: Theaceae

                                                                                                                                                              Genere: Camellia

                                                                                                                                                              Specie: Camellia sinensis

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tè: cos’è e varietà

                                                                                                                                                              Il tè è una bevanda che si ottiene dalla infusione in acqua delle foglie della Camellia sinensis, pianta legnosa originaria delle zone tropicali dell’Asia.

                                                                                                                                                              I differenti processi di lavorazione permettono di ottenere diverse tipologie di tè.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Le due principali varietà coltivate sono la Cinese e la Assamica.

                                                                                                                                                              La varietà Cinese è originaria della regione dello Yunnan in Cina, presenta foglie piccole e resiste alle basse temperature, mentre la varietà Assamica è originaria dell’India nella regione dell’Assam, possiede foglie grandi e cresce in climi più temperati.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              In entrambe le aree le piante del tè si trovavano allo stato selvatico e successivamente furono coltivate in Cina, Corea, Tibet, Giappone e in seguito in Europa.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Il metodo di lavorazione delle foglie costituisce il fattore più rilevante nella determinazione del tipo e della qualità del prodotto finito; sono quindi i processi di lavorazione che determinano le diverse tipologie di tè e le caratteristiche comuni all’interno della medesima tipologia.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Le sei principali tipologie di tè, identificate in base al colore del prodotto secco o dell’infuso, sono: tè verdi, tè bianchi, tè gialli, tè Oolong (detti blu-verdi in Cina), tè fermentati (detti neri in Cina) e tè neri (detti rossi in Cina).

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              In commercio il tè si trova in foglie sciolte essiccate o in bustine.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Proprietà nutrizionali del tè

                                                                                                                                                              tabella con i valori nutrizionali del tè in foglie e in tazza
                                                                                                                                                              Tabella con i valori nutrizionali del tè in foglie e del tè in tazza.

                                                                                                                                                              Valori nutrizionali del tè

                                                                                                                                                              Nelle foglie del tè si trovano numerosi composti fenolici, sostanze che in alcuni studi di laboratorio hanno mostrato attività antiossidante, antimicrobica ed antivirale, responsabili dell’aroma e del colore del tè, abbondanti soprattutto nelle foglie giovani.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              La quasi totalità dei fenoli è costituita dai flavanoli (catechine), e la restante parte è rappresentata da proantocianidine, acidi fenolici, flavonoli e flavoni.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              La catechine sono composti non colorati, idrosolubili, che conferiscono un sapore amaro e astringenza all’infuso di tè; le catechine principalmente presenti nel tè sono (-)-epigallocatechina gallato (EGCG), epigallocatechina (EGC), epicatechina gallato (ECG), gallocatechine (GC), (-)-epicatechina (EC) e (+)-catechina.

                                                                                                                                                              L’ossidazione delle catechine porta alla formazione di flavonoli, responsabili del colore e dell’aroma, quali le teaflavine, che conferiscono all’infuso un colore arancio-rosso e il cui contenuto diminuisce in seguito a tempi lunghi di fermentazione e temperature alte (intorno ai 30°C), e le tearubigine, che conferiscono un colore rosso-bruno o marrone e il cui contenuto non è significativamente influenzato dall’aumento della temperatura.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Nel tè si trovano inoltre gli acidi ossalico, malico, citrico e succinico. Sono inoltre presenti alcaloidi quali caffeina, teobromina e teofillina il cui contenuto è variabile in relazione alla tipologia e alla varietà di tè.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              L’aroma caratteristico del tè è dovuto alla presenza di diversi composti correlati al momento di raccolta delle foglie, al clima e alla durata delle varie fasi di lavorazione.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Benefici del tè

                                                                                                                                                              I benefici del tè sono dati dal contenuto di catechine che contiene, molecole che hanno azione antiossidante. Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Oltre a questa proprietà, il tè ha caratteristiche antiossidanti, antitumorali, apporta benefici alla salute cardiovascolare e a livello respiratorio e ha molecole derivate dai polifenoli che hanno funzione neuro-protettiva.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Per quanto riguarda il quantitativo di polifenoli e catechine, il tè verde è la tipologia che ne contiene maggiormente (su 100 grammi di peso secco il contenuto può anche arrivare al 30%).

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              La porzione di tè in foglie standard è 2 grammi, a cui poi si aggiunge l’acqua per creare la bevanda.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Il consumo di tè in bustina o sfuso (non quello freddo zuccherato) può essere utile per contrastare la disidratazione.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Interazioni del tè verde

                                                                                                                                                              Bisogna prestare attenzione quando si consumo tè verde in quanto potrebbe interferire con alcuni farmaci o fitoterapici.

                                                                                                                                                              In particolare, i soggetti in terapia antitumorale a base di bortezomib dovrebbero evitarne il consumo. Le molecole di Epigallocatechina gallato (EGCG) contenute nel tè verde infatti interagiscono con il farmaco legandosi ad esso ed impedendogli quindi di legarsi alle cellule tumorali e di danneggiarle.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Inoltre, se consumato in grandi quantità, potrebbe portare insonnia, nervosismo e ansia perché il tè contiene caffeina.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Produzione e Tecnologia del tè

                                                                                                                                                              Caratteri botanici della pianta del tè

                                                                                                                                                              La pianta del tè è una sempreverde, necessita di grandi quantità d’acqua e viene perciò coltivata in zone dal clima tropicale e subtropicale, con un’estate calda e umida e un inverno freddo ma non secco. La temperatura ideale può oscillare tra i 4° e i 30° C.

                                                                                                                                                              Il principale produttore mondiale è l’India, seguito da Cina, Brasile, Argentina e Sri Lanka; in Africa è il Kenya a produrre più della metà del tè africano e altri importanti Paesi produttori sono Turchia, Indonesia, Giappone, Tanzania, Uganda, Iran e Papua Nuova Guinea.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Coltivazione del tè

                                                                                                                                                              Il primo raccolto avviene dopo 4-5 anni e, trattandosi di un arbusto sempreverde, le foglie vengono raccolte continuamente ad intervalli di 9-10 giorni e per 8-9 mesi l’anno, in relazione al clima.

                                                                                                                                                              Per i tè di buona qualità la raccolta deve essere effettuata a mano, in quanto la raccolta meccanizzata ha sempre effetti negativi sull’integrità delle foglie.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Produzione delle diverse tipologie di tè

                                                                                                                                                              I tè possono essere classificati in base ai metodi di lavorazione e si distinguono in: tè verde, tè nero, tè Oolong (rosso o semifermentato), tè bianco, tè giallo e tè fermentato.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tè verde

                                                                                                                                                              Il tè verde è un tè che non è né ossidato né fermentato, ottenuto per stabilizzazione, effettuata subito dopo la raccolta, senza essere sottoposto a ossidazione.

                                                                                                                                                              La stabilizzazione è il processo termico che inattiva gli enzimi responsabili dell’ossidazione permettendo così alle foglie di mantenere il loro colore verde e di conservare inalterati molti componenti presenti nella foglia fresca.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              I principali produttori sono Cina e Giappone e può essere preparato secondo due metodi: cinese o giapponese.

                                                                                                                                                              Il metodo cinese prevede l’utilizzo del calore secco (tostatura) utilizzando un impianto di torrefazione, il metodo giapponese invece utilizza il calore umido (vaporizzatura) con vapore fluente a 95°C e successivo raffreddamento, essiccamento ed arrotolamento a temperature di 75-80°C.

                                                                                                                                                              ll tè verde è anche definito tè “non fermentato”.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tè nero

                                                                                                                                                              Il tè nero è un tè ossidato completamente dopo la raccolta e, durante il processo di ossidazione, si ha lo sviluppo del colore scuro, dell’aroma e del profumo tipico per la degradazione di parte delle sostanze presenti nelle foglie verdi.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Le foglie vengono essiccate, arrotolate, ulteriormente essiccate (per 4-18 ore), macerate in rulli sotto l’azione della pressione e successivamente lasciate fermentare per 1-3 ore in ambienti umidi e a 28°C su lastre di cemento, vetro o alluminio. Le foglie a questo punto assumono un colore rosso-rame e dopo un’ulteriore essiccazione (87-93°C per 20-30 minuti e umidità del 3%) assumono una colorazione bruno-nera.

                                                                                                                                                              Il tè nero si conserva più a lungo del tè verde ed è anche definito tè “completamente fermentato”.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tè Oolong o tè rosso

                                                                                                                                                              Il tè Oolong o tè rosso si ottiene attraverso il metodo di lavorazione usato per il tè nero ma il processo ossidativo viene interrotto prima del suo compimento (ossidazione parziale).

                                                                                                                                                              Inferiore è il grado di ossidazione maggiore è la somiglianza, per sapore e proprietà, con i tè verdi; viceversa aumentando il grado di ossidazione, maggiore è la somiglianza con i tè neri.

                                                                                                                                                              Questo tipo di tè viene anche definito tè “semifermentato”, anche se il termine più corretto sarebbe “semiossidato”.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tè bianco

                                                                                                                                                              Il tè bianco è il tè meno lavorato; si prepara raccogliendo i germogli e le prime foglie lanuginose di colore argenteo che vengono fatte appassire ed essiccate all’aria senza subire fermentazioni.

                                                                                                                                                              In tal modo la colorazione argentea viene conservata e per questo motivo è chiamato tè bianco; si tratta di un tè solo parzialmente ossidato.

                                                                                                                                                              Viene prodotto in alcune zone della Cina, e, da alcuni anni, anche in altri paesi.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tè giallo

                                                                                                                                                              Il tè giallo viene ottenuto con una variazione della lavorazione dei tè verdi, ovvero con l’aggiunta di una fase di ingiallimento, che dona a questi tè il caratteristico colore.

                                                                                                                                                              È un tè leggermente ossidato e la sua produzione si limita ad alcune piccole aree della Cina.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tè fermentato

                                                                                                                                                              Il tè fermentato è un tipo di tè che ha subito un processo di fermentazione, oltre che di ossidazione, ed è l’unico tè da invecchiamento.

                                                                                                                                                              Come sinonimo di tè fermentato viene spesso utilizzato il termine Pu’Er (Pu-Er o Pu-Erh), nome della città cinese che si trova al centro di una della più importanti e vaste aree di produzione di questi tè.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tè aromatizzati e tè deteinati

                                                                                                                                                              Oltre a queste tipologie in commercio si trovano anche i tè aromatizzati, ovvero una delle tipologie di tè descritta aromatizzata con l’aggiunta di essenze, oli essenziali, spezie, frutta ed altre sostanze aromatiche.

                                                                                                                                                              Il processo di aromatizzazione è condotto mediante l’utilizzo di tamburi rotanti che permettono la dispersione dell’aroma.

                                                                                                                                                              È un tipo di tè molto diffuso e ha un grande mercato in Italia e in Europa.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Un’ulteriore tipologia di tè è il tè deteinato, che deve avere un contenuto di teina inferiore allo 0,1% del peso sul prodotto secco.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Preparazione e Conservazione del tè

                                                                                                                                                              Il tè si degrada se esposto al calore, all’umidità o alla luce, conviene quindi conservarlo in un luogo fresco ed asciutto, lontano da altre spezie, dove mantiene inalterate le sue caratteristiche per circa un anno.

                                                                                                                                                              I contenitori ideali per la conservazione del tè sono quelli in latta, in cartone foderato internamente di alluminio, in legno o in materiali tipo lacca e bachelite. Andrebbero invece evitati quelli in plastica, in ferro, in vetro, in porcellana (poiché non ermetici) e i sacchetti di carta.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              La preparazione della bevanda prevede il riscaldamento dell’acqua, senza raggiungere l’ebollizione; è sufficiente infatti raggiungere temperature intorno ai 70-80°C, ovvero quando sul fondo del pentolino iniziano a formarsi delle bollicine. Successivamente avviene il riempimento della teiera con l’acqua e l’infusione di foglie o bustine per un tempo che varia a seconda della tipologia di tè, della temperatura dell’acqua, del grado di aroma del tè e del gusto del consumatore.

                                                                                                                                                              Generalmente per i tè neri si ha un tempo di infusione di 4-5 minuti a 90-95°C, per i tè verdi 3 minuti a 70°C, per i tè Oolong (o rossi) 5-7 minuti a 85-90°C, per i tè bianchi 4-10 minuti a 60°C, per i tè gialli 2-10 minuti 85°C e per i tè fermentati 3-5 minuti a 95°C.

                                                                                                                                                              Maggiore è il tempo di infusione, maggiore è la presenza di polifenoli nell’acqua in quanto si favorisce la sua solubilità.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Sarebbe meglio abituarsi a consumare il tè senza aggiungere zucchero. Inoltre l’addizione di latte (le cui proteine legano i fenoli) o di limone (acidificante) permette di ridurre l’astringenza del prodotto.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Le proposte di ricetta di FBO con il tè

                                                                                                                                                              Clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                                                                              Tacchino

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              carne di tacchino

                                                                                                                                                              Famiglia: Meleagridi

                                                                                                                                                              Genere: Meleagris

                                                                                                                                                              Specie: Meleagris gallopavo

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Il tacchino comune e il tacchino ocellato

                                                                                                                                                              Il tacchino (Meleagris gallopavo o tacchino comune) è originario dell’America del Nord (Messico, Stati Uniti e Canada), dove era largamente diffuso come animale selvatico. Tale specie veniva già allevata dagli Aztechi e da altre popolazioni locali, prima di essere diffusa ed importata in Spagna e, successivamente, in tutta Europa.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Questo tipo di tacchino appartenente al genere Meleagris presenta testa e cute priva di penne, di colore rosso pallido con sfumature azzurre e verruche di colore rosso intenso. Sul petto vi è il pennello, o granatello, formato da un insieme di setole nere nel maschio, quasi del tutto assenti nella femmina.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Il tacchino ocellato (Agriocaris ocellata) invece appartiene al genere Agriocaris ed è originario del Messico, dello Yucatan e del Guatemala; risulta leggermente più piccolo degli altri tacchini (il peso massimo arriva a 7-8 kg). La livrea presenta una colorazione con tinte dal nero, al verde-bruno, all’azzurro con riflessi color rame e oro con ocelli e picchiettature.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tipi e tagli di carne di tacchino comune

                                                                                                                                                              Esistono tre tipi di tacchino comune: leggero, medio e pesante.

                                                                                                                                                              I primi due sono destinati al consumo intero, mentre quelli pesanti (il maschio può arrivare fino a 18-20 kg, la femmina fino a 9-10 kg) sono destinati al consumo porzionato (ovvero sotto forma di diversi tagli).

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              I tipici tagli del tacchino sono: petto, coscia, sovracoscia ed ali.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Proprietà nutrizionali dei tagli di carne di tacchino

                                                                                                                                                              tabella con i valori nutrizionali dei diversi tagli di tacchino
                                                                                                                                                              Tabella con i valori nutrizionali dei diversi tagli di carne di tacchino.

                                                                                                                                                              Valori nutrizionali della carne di tacchino

                                                                                                                                                              La composizione chimica della carne di tacchino è soggetta a variabilità in quanto è fortemente influenzata da diversi fattori quali la specie, l’età alla macellazione, il tipo di alimentazione, la tecnologia di allevamento e le modalità di lavorazione e conservazione delle carni.

                                                                                                                                                              La carne di tacchino è un’ottima fonte proteica, una tra le carni più magre in quanto il contenuto lipidico varia (dall’1 all’11%) a seconda della parte considerata.

                                                                                                                                                              Il tacchino è inoltre una buona fonte di sali minerali e vitamine del gruppo B.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Benefici della carne di tacchino

                                                                                                                                                              Il tacchino è un’ottima fonte di proteine ad alto valore nutrizionale, che sono cioè costituite da tutte gli amminoacidi essenziali che bisogna introdurre con l’alimentazione.

                                                                                                                                                              Inoltre la carne del tacchino è tenera e questa caratteristica la rende adatta ad essere consumata in molti tipi di alimentazione come quella degli anziani e dei bambini che potrebbero fare fatica a masticare o nell’alimentazione degli sportivi grazie, appunto, alla sua fonte proteica.

                                                                                                                                                              La fesa di tacchino inoltre è utile per contrastare la diarrea.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              La porzione standard di consumo è 100 grammi, che corrisponde circa a una fetta di petto o una piccola coscia di tacchino.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Una porzione di tacchino copre circa il 30% del fabbisogno giornaliero di vitamina B3 (niacina), una vitamina coinvolta nella formazione di coenzimi necessari per il metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Produzione e Tecnologia del tacchino

                                                                                                                                                              Allevamento del tacchino

                                                                                                                                                              Il tacchino è un avicolo che può essere allevato sia in pianura che in collina ed è in grado di adattarsi a diverse condizioni d’allevamento.

                                                                                                                                                              In Italia l’allevamento è molto diffuso in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sia per la produzione di carne, sia per l’uso delle tacchine come incubatrici. Le razze italiane allevate sono: Brianzolo, Castano precoce, Bronzato comune, Bronzato dei Colli Euganei, Ermellinato di Rovigo, Nero d’Italia, di Parma e di Piacenza, Romagnolo.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Negli allevamenti intensivi vengono allevati solo ibridi selezionati da incroci industriali che sono caratterizzati da una velocità di accrescimento maggiore, per permettere la macellazione tra le 9 e le 18 settimane di età, una migliore fertilità ed un numero più elevato di uova prodotte.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Il 23% delle carni avicole consumate a livello mondiale è rappresentato dalla carne di tacchino e i principali produttori e consumatori sono gli Stati Uniti, seguiti da Francia, Germania e a pari livello Polonia ed Italia; in Asia il tacchino non viene né allevato né consumato.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Esistono diversi tipi di allevamento a seconda delle diverse esigenze di produzione; in Italia, Stati Uniti e Germania l’allevamento è rivolto principalmente alla produzione di tacchini pesanti, in Francia, Inghilterra e in alcuni paesi dell’Est la produzione è invece rivolta a tacchini leggeri.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Tecniche di allevamento e ciclo di vita del tacchino

                                                                                                                                                              Il tacchino nelle prime 8 settimane di vita necessita di un ambiente condizionato in quanto ha bisogno di calore e di essere al riparo da umidità e correnti d’aria. Superate le 8 settimane l’allevamento può svolgersi anche in ambienti non condizionati.

                                                                                                                                                              L’ambiente più idoneo per l’allevamento del tacchino è rappresentato da luoghi collinari, con buona ventilazione naturale, al riparo da venti eccessivamente forti e freddi, con temperature miti.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Nel primo periodo dell’allevamento, ovvero le prime 8 settimane, i tacchinotti arrivano all’allevamento già separati per sesso ed in ogni area delimitata trovano posto circa 200 pulcini.

                                                                                                                                                              Sulla lettiera viene predisposta una fonte di calore, che assicura una temperatura a terra di circa 38°C. La temperatura sotto le cappe calde viene diminuita progressivamente di 2°C la settimana, in modo da arrivare nel giro di 6-7 settimane a una temperatura di 22-25° C con il 60-65% di umidità relativa.

                                                                                                                                                              L’illuminazione, nei primi tre giorni deve essere totale, dal quarto giorno si diminuisce gradualmente fino ad arrivare, al 27° giorno, alle 6-8 ore di oscurità.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Raggiunte le 8 settimane di vita il tacchino diventa più resistente e può essere trasferito in un nuovo ambiente. In questo secondo periodo è comunque importante assicurare adeguate condizioni ambientali e l’allevamento viene condotto in capannoni con condizioni di ventilazione forzata o, dove l’ambiente lo permette, naturale.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              La separazione dei maschi dalle femmine, quando il sessaggio non è stato fatto alla nascita, si effettua a circa 3 mesi di età; da questo momento i due sessi saranno allevati separatamente.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              L’allevamento dei riproduttori avviene in capannoni climatizzati e la durata del ciclo di ovodeposizione delle tacchine varia da 5 a 6 mesi, con una produzione di uova maggiore nelle prime 5 settimane. Il numero delle uova deposte è mediamente 90, di cui circa 80 incubabili.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Step di produzione della carne di tacchino

                                                                                                                                                              I tacchini destinati alla produzione di carne sono pronti per la macellazione fra la 16a e la 26a settimana, quando non sono più presenti le piccole penne nere in accrescimento.

                                                                                                                                                              Arrivano al macello in gabbioni a più piani, dove poi vengono caricati su un apposito trasportatore, inviati al sistema di stordimento elettrico e successivamente condotti nella zona di dissanguamento.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              All’uscita del dissanguamento, entrano nella vasca di bagnatura, che provvede a facilitare l’operazione di spiumatura.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              I tacchini spiumati sono pronti per subire il processo di eviscerazione e successivamente vengono appesi su cestelli all’interno di un tunnel.

                                                                                                                                                              Nella prima sezione del tunnel viene condotta l’asciugatura, operazione importante per la conservazione della carne, e successivamente si passa alla zona di raffreddamento. Questo è il momento in cui inizia la catena del freddo, essenziale per la conservazione del prodotto finito.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Le frattaglie invece vengono lavorate nel reparto di eviscerazione, ottenendo così prodotti già separati, sgrassati e puliti, che successivamente entrano nel tunnel per essere asciugati e raffreddati.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Infine frattaglie e tacchino vengono confezionati in appositi contenitori da centri di confezionamento o direttamente dalle aziende produttrici, prezzati ed etichettati.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Per garantire la conservazione delle carni durante la lavorazione, il trasporto e lo stoccaggio vengono mantenute temperature di 0-2°C e un livello di umidità controllato dell’85%; a queste condizioni le carni eviscerate di tacchino hanno una shelf-life di 9 giorni.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Preparazione e Conservazione della carne di tacchino

                                                                                                                                                              Il tacchino deve avere petto sodo ma essere flessibile al tatto; le carni non devono presentare odori forti, la pelle deve essere bianca senza chiazze.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Bisogna fare attenzione a rispettare la catena del freddo dal momento dell’acquisto fino al consumo, in modo tale da evitare lo sviluppo di microrganismi.

                                                                                                                                                              La carne di tacchino può essere conservata nella parte più fredda del frigorifero, coperta da pellicola trasparente, per un massimo di 1-2 giorni.

                                                                                                                                                              Il tacchino può essere anche conservato in freezer all’interno di sacchetti per 6 mesi e, una volta scongelato, deve essere consumato entro 12 ore.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Al momento del consumo di vi consigliamo di eliminare la pelle in quanto è la parte più ricca di grassi.

                                                                                                                                                              Per aumentarne la disponibilità di ferro non eme il suggerimento che vi diamo è quello di condire le vostre insalate di tacchino con fonti di vitamina C (come succo e scorza di limone, arancio o del peperoncino fresco tagliato finemente aggiunto a crudo).

                                                                                                                                                              Per quanto riguarda i metodi di cottura invece meglio prediligere quelli in padella con un filo di olio o al vapore.

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                              Le proposte di ricette di FBO con il tacchino

                                                                                                                                                              clicca sulla ricetta per scoprirla

                                                                                                                                                              • • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                • Castellini C. “Dispense di avicoltura”, Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università degli Studi di Perugia.

                                                                                                                                                                • Chinello M. (AA 2013-2014) “Caratterizzazione genetica e struttura di popolazione di due razze venete di tacchino (Meleagris gallopavo) mediante l’uso di marcatori microsatellite”, tesi di laurea triennale, Università degli studi di Padova.

                                                                                                                                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                • Galli Volonterio A. (2009) “Microbiologia degli Alimenti”, Casa editrice Ambrosiana.

                                                                                                                                                                www.agraria.org

                                                                                                                                                                www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                • www.humanitas.it

                                                                                                                                                                www.venetoagricoltura.org

                                                                                                                                                                Salvia

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                salvia

                                                                                                                                                                Famiglia: Lamiaceae

                                                                                                                                                                Genere: Salvia

                                                                                                                                                                Specie: Salvia officinalis L.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                La Salvia officinalis L. o salvia comune è originaria delle zone dell’Europa meridionale caratterizzate da un clima mite.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Specie di salvia

                                                                                                                                                                Ne esistono due specie.

                                                                                                                                                                La prima è la Salvia officinalis, specie selvatica, in cui rientrano le cultivar Salvia officinalis “Albiflora” (con fiori bianchi, considerata la migliore per un uso culinario) e la Salvia officinalis “Purpurascens” (con fiori rossi, foglie un po’ dure, ottima per le sue proprietà terapeutiche).

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                L’altra specie è la Salvia sclarea, caratterizzata da foglie cuoriformi e fiori di colore azzurro-bianco, dotata di aromi particolari e per questo usata come pianta ornamentale.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                La salvia si può trovare in commercio come spezia sia fresca, sia secca macinata.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Proprietà nutrizionali della salvia fresca e della salvia secca

                                                                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali della salvia fresca e della salvia secca macinata
                                                                                                                                                                Tabella con i valori nutrizionali della salvia fresca e della salvia secca macinata.

                                                                                                                                                                Valori nutrizionali della salvia fresca e della salvia secca

                                                                                                                                                                Da come si può notare in tabella la salvia secca (macinata) presenta un quantitativo maggiore, a parità di peso, di macronutrienti e sali minerali rispetto alla salvia fresca, in quanto con l’essicazione i nutrienti si concentrano.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                La salvia è un’ottima fonte di calcio e potassio e presenta anche un buon contenuto di potassio e ferro; è inoltre molto ricca di carotenoidi.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Le foglie della salvia contengono un olio essenziale composto da tujone (fino al 50%), canfora, cineolo, borneolo, linalolo, β-terpineolo e β-cariofillene, che conferiscono alla pianta il tipico aroma.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Benefici della salvia

                                                                                                                                                                La salvia è ricca di antiossidanti, molecole che proteggono il nostro organismo dall’azione dei radicali liberi (ovvero composti reattivi dell’ossigeno che se in eccesso possono essere dannosi).

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Oltre a questa caratteristica, anche i prodotti della salvia come l’olio hanno effetti benefici. Esso infatti agisce positivamente sulla memoria e su patologie associate ad essa come l’Alzheimer. L’olio di salvia inoltre è formato da composti con proprietà antinfiammatorie, antimicotiche, toniche, antiallergiche, antisettiche etc.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                La porzione giornaliera di consumo consigliata è 5 grammi di salvia.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Il consumo di questa erba aromatica potrebbe essere d’aiuto per contrastare le alterazioni del gusto, effetto collaterale derivante dal trattamento oncologico.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Interazioni della salvia

                                                                                                                                                                I soggetti che assumono antidiabetici, anticonvulsivanti e sedativi devono prestare attenzione al consumo della salvia. In generale, per evitare controindicazioni, sarebbe meglio non eccedere con le dosi.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Produzione e Tecnologia della salvia fresca e secca

                                                                                                                                                                Caratteri botanici della salvia

                                                                                                                                                                È una specie perenne che può raggiungere anche un metro di altezza formando dei veri e propri cespugli.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Il fusto inizialmente è di colore verde, a sezione quadrangolare e molto ramificato; con il tempo poi diventa legnoso. Le foglie sono ovali-lanceolate, di colore grigio-verde, persistenti in inverno, ricche di oli essenziali che conferiscono alla pianta il caratteristico aroma. I fiori invece, si trovano principalmente nella parte terminale dello stelo, hanno una corolla violacea e fioriscono in primavera.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Coltivazione della salvia

                                                                                                                                                                La salvia è una pianta presente in tutte le regioni italiane e richiede un clima mite (è infatti una specie termofila ed eliofila) e non tollera gli inverni lunghi e freddi.

                                                                                                                                                                Per il terreno è preferibile una concimazione azotata che permette di aumentare la produzione e di prolungare la vita del salvieto fino a 4-5 anni.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                La semina viene effettuata all’inizio della primavera, al coperto ad una temperatura di 18°C e la germinazione avviene dopo 1-2 settimane. Si può anche seminare in tarda primavera, in campo aperto quando la temperatura rimane sopra i 7°C.; la germinazione in questo caso avviene dopo 2-3 settimane.

                                                                                                                                                                La semina può essere diretta o effettuata attraverso un trapianto di plantule o di talee radicate; in quest’ultimo caso l’operazione va effettuata su piccole superfici durante il mese di agosto. Il periodo ottimale di trapianto è quello compreso tra ottobre ed aprile nel meridione, ad aprile al settentrione.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Produzione della salvia fresca e della salvia secca

                                                                                                                                                                Il periodo migliore per raccogliere, conservare ed essiccare le foglie (e le sommità floreali) è compreso tra maggio e luglio, ovvero al momento della fioritura e nel periodo balsamico più intenso.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Le foglie vengono separate dai fusti e si lasciano essiccare in luogo ombroso e ventilato ad una temperatura di 35°C-45°C.

                                                                                                                                                                Nelle foglie il contenuto di olio è compreso tra 0,2-0,35% sul prodotto fresco e, per ridurre al minimo le perdite di frazione volatile, la temperatura di essiccazione non deve superare 45°C.

                                                                                                                                                                Una volta essiccate, le foglie vengono macinate e conservate in vasetti di vetro sigillati.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Preparazione e Conservazione della salvia fresca e secca

                                                                                                                                                                Le foglie di salvia fresche sono caratterizzate da un colore vivace e prive di macchie nere o giallognole.

                                                                                                                                                                Prima dell’uso devono essere strofinate con un panno umido e possono essere conservate in frigorifero per diversi giorni avvolte in un tovagliolo.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Le foglie essiccate invece (intere, macinate o in polvere) vengono conservate in un contenitore chiuso ermeticamente in luogo fresco, buio ed asciutto per circa 6 mesi.

                                                                                                                                                                La salvia, una volta essiccata, acquista un aroma più intenso, perdendo la componente leggermente amara delle foglie fresche.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                È una delle spezie maggiormente utilizzate in cucina per aromatizzare carne, pesce, minestre e verdure.

                                                                                                                                                                Generalmente viene usata da sola in quanto copre le altre spezie in virtù del suo aroma inteso, ciò consente anche di ridurre l’utilizzo di sale in una preparazione alimentare. Il sale infatti rappresenta un fattore di rischio per molte malattie croniche, tra cui ipertensione e tumori.

                                                                                                                                                                Rosmarino

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Famiglia: Lamiaceae

                                                                                                                                                                Genere: Rosmarinus

                                                                                                                                                                Specie: Rosmarinus officinalis

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Rosmarino cos’è e varietà

                                                                                                                                                                Il rosmarino è un arbusto appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, tipico della costa mediterranea.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Esistono due principali varietà di rosmarino, diversificate in base alla tipologia di fusto:

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • eretto con fusto dritto
                                                                                                                                                                • strisciante con fusto diviso in rami che tendono ad aprirsi a raggio

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Tra i rosmarini a portamento eretto i più importanti sono Albiflorus (con fiori bianchi), Gorizia (con fiori azzurro intenso), Majorca (con fiori rosa) e Ulysse (con fiori blu scuro).

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Invece Beneden Blu (con fiori blu intenso), Boule (con fiori azzurri punteggiati di blu), Corsican-blu (con fiori blu viola) e Montagnette (con fiori bianchi) sono le varietà più note di rosmarino strisciante.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                In commercio il rosmarino si può trovare sia fresco che secco.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Proprietà nutrizionali del rosmarino fresco e secco

                                                                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali del rosmarino fresco e del rosmarino secco
                                                                                                                                                                Tabella con i valori nutrizionali del rosmarino fresco e del rosmarino secco.

                                                                                                                                                                Valori nutrizionali del rosmarino fresco e del rosmarino secco

                                                                                                                                                                Le foglie del rosmarino sono ricche di un olio essenziale contenente pinene, borneolo, canfora e cineolo che insieme all’acido rosmarinico e all’acido carnosico conferiscono ottime proprietà antiossidanti a questo alimento.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                È un’ottima fonte di potassio e calcio oltre che a un buon contenuto di fosforo, sodio e ferro.

                                                                                                                                                                Tra le vitamine la più abbondante è la vitamina A.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Il rosmarino secco, contenendo un quantitativo di acqua nettamente inferiore rispetto a quello fresco, a parità di peso presenta maggiori concentrazioni di nutrienti.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Benefici del rosmarino secco e fresco

                                                                                                                                                                Il rosmarino contiene soprattutto calcio che favorisce a mantenere in salute le ossa e potassio che regola la pressione arteriosa.

                                                                                                                                                                Tra le vitamine invece è bene ricordare la vitamina A che è impiegata nei processi visivi, la vitamina C che contribuisce nelle funzioni antiossidanti del corpo, ai processi di produzione del collagene e a tenere alte le difese immunitarie ed infine i folati che sono utilizzati per il corretto sviluppo del sistema nervoso fetale.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                La porzione di consumo standard è 5 grammi.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Interazioni del rosmarino

                                                                                                                                                                I soggetti che assumono supplementi di ferro dovrebbero evitare di consumare questa erba aromatica.

                                                                                                                                                                In ogni caso è consigliabile non eccedere con il consumo di rosmarino in quanto potrebbe causare irritazioni a livello di stomaco e intestino.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Produzione e Tecnologia del rosmarino fresco e secco

                                                                                                                                                                Caratteri botanici della pianta del rosmarino

                                                                                                                                                                La pianta del rosmarino ha le somiglianze di un cespuglio, sempreverde e può raggiungere il metro e mezzo di altezza.

                                                                                                                                                                È molto resistente alla siccità, anche se periodi di forte aridità possono causare la caduta delle foglie. Quest’ultime sono strette e lunghe di colore verde intenso.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                I fiori, presenti tutto l’anno hanno un colore dall’azzurro al violetto e sono riuniti in grappoli; sono inoltre ermafroditi e l’impollinazione viene effettuata soprattutto dalle api che dal loro nettare producono un’ottima varietà di miele.

                                                                                                                                                                I frutti sono degli acheni che diventano scuri a maturità.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Coltivazione del rosmarino

                                                                                                                                                                Il rosmarino è spesso presente lungo i pendii, le strade, sugli argini in quanto, avendo un apparato radicale molto profondo, aiuta a contenere il terreno.

                                                                                                                                                                È una pianta che ama il sole, il caldo e l’aria e deve quindi essere coltivata all’aperto, anche in vaso, purché sia tenuta su un balcone o un davanzale.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Sono piante che crescono molto bene lungo le zone litoranee del mediterraneo e tollerano senza alcuna difficoltà l’aria salmastra, ma è preferibile che siano localizzate in zone riparate da eventuali venti freddi durante l’inverno. Temperature al di sotto di 10-15 °C sono mal tollerate specialmente se la pianta ha già un certo numero di anni.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Produzione del rosmarino fresco e secco

                                                                                                                                                                Il rosmarino fiorisce da marzo a settembre-ottobre. Se il clima si mantiene particolarmente mite la fioritura può durare più a lungo.

                                                                                                                                                                Della pianta vengono utilizzati sia le foglie, sia i fiori, che vanno raccolti in piena fioritura, durante l’estate.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                I rametti con i fiori del rosmarino vanno essiccati appena raccolti, il più velocemente possibile, appesi a testa in giù in luoghi asciutti, bui e aerati affinché non perdano le loro caratteristiche.

                                                                                                                                                                Una volta essiccati, si recuperano le foglie ed i fiori e si conservano in vasetti di vetro sigillati.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Per la produzione degli oli essenziali vengono invece utilizzate le sommità fiorite fresche.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Stagionalità del rosmarino

                                                                                                                                                                Il rosmarino fresco è reperibile sul mercato tutto l’anno se le condizioni climatiche lo permettono, altrimenti si trova in qualsiasi momento in commercio sotto forma essiccata.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Preparazione e Conservazione del rosmarino

                                                                                                                                                                Il rosmarino fresco è più aromatico rispetto a quello essiccato e si conserva per una settimana in frigorifero, avvolto in un tovagliolo umido.

                                                                                                                                                                Può essere anche congelato e conservato fino ad un massimo di 3 mesi.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                In mancanza di rametti freschi si può utilizzare il rosmarino secco che si conserva in luogo fresco e asciutto per circa 6 mesi, in un contenitore a chiusura ermetica.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                In cucina il rosmarino viene usato per insaporire carni, pesci, minestre e focacce, riducendo in tal modo l’utilizzo di sale. Infatti l’acido rosmarinico contenuto nel rosmarino si disperde facilmente nelle sostanze grasse (come l’olio extravergine d’oliva) permettendo così di aromatizzare i piatti.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Le proposte di ricetta di FBO con il rosmarino

                                                                                                                                                                Riso

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                riso

                                                                                                                                                                Famiglia: Graminacee

                                                                                                                                                                Genere: Oryza

                                                                                                                                                                Specie: Oryza sativa

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Storia del riso

                                                                                                                                                                Il riso, il cui nome scientifico è Oryza sativa, è un cereale originario delle regioni asiatiche, introdotto in Europa dagli Arabi durante il Medioevo.

                                                                                                                                                                Dalle prime specie selvatiche sono poi state coltivate dall’uomo due specie: l’Oryza sativa, di origine asiatica, e l’Oryza glaberrima, di origine africana con una diffusione limitata.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Ad oggi, la specie di riso più diffusa è l’Oryza sativa, di cui ne esistono diverse sottospecie.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Quelle maggiormente coltivate sono Oryza sativa indica, tipica delle zone equatoriali e umide, e Oryza sativa japonica, tipica delle zone temperate.
                                                                                                                                                                La prima sottospecie presenta una cariosside lunga e sottile, completamente vitrea, mentre la seconda è caratterizzata da chicchi corti, tondeggianti con un endosperma vitreo contenente una zona centrale opaca, costituita da amido addensato, definita perla.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Tipi di riso

                                                                                                                                                                Classificazione in base al trattamento

                                                                                                                                                                In commercio esistono differenti prodotti denominati “riso”, purché accompagnati dall’indicazione del diverso trattamento subito dal risone (riso appena raccolto dopo le operazioni di trebbiatura), quali ad esempio riso integrale e riso parboiled, come definito dalla Legge 18 marzo 1958, n. 325 “Disciplina del commercio interno del riso”, modificata dal Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n.109.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • integrale: detto anche riso decorticato o sbramato, è ottenuto dalla pulitura e sbramatura del risone.
                                                                                                                                                                  Il risone, rivestito dalle glume, involucri rigidi non commestibili, viene pulito, seccato e privato degli strati più esterni, ottenendo in questo modo il riso integrale, già commestibile, anche se richiede tempi di cottura piuttosto lunghi (circa 40 minuti).

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • brillato: è il riso che ha subito un processo di sbiancatura per eliminare sia le parti più esterne della cariosside, sia il germe del riso e il farinaccio.
                                                                                                                                                                  Infine, i chicchi vengono cosparsi con glucosio oleato per completare la brillatura.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • parboiled: tipologia di riso ottenuto mediante processo di parboilizzazione in cui il risone viene tenuto a bagno e poi trattato con il vapore in modo da favorire la migrazione dei micronutrienti idrosolubili dagli strati esterni verso l’interno della cariosside, in modo da ridurne le perdite durante le successive fasi di lavorazione.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • pigmentato: varietà di riso a pericarpo pigmentato (rosso o nero) caratterizzata da un elevato contenuto di antociani e di altri fitocomposti; sono inoltre caratterizzati da uno specifico aroma.
                                                                                                                                                                  I diversi strati di crusca che proteggono la cariosside dall’ambiente contengono un insieme di composti bioattivi responsabili della colorazione e dell’attività antiossidante. Il colore è visibile quando i semi vengono decorticati, cioè privati delle glumelle, e può essere rimosso dopo diversi cicli di lucidatura arrivando all’endosperma bianco.
                                                                                                                                                                  In Italia le varietà di riso nero più diffuse sono: Venere, Artemide, Nerone e Otello.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Classificazione in base alle dimensioni

                                                                                                                                                                Un’ulteriore classificazione commerciale del riso viene effettuata in base alle dimensioni della cariosside e prevede la suddivisone in riso:

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • comune,
                                                                                                                                                                • semifino,
                                                                                                                                                                • fino
                                                                                                                                                                • e superfino.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Proprietà nutrizionali dei diversi tipi di riso

                                                                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali del riso integrale, del riso brillato, del riso parboiled e del riso pigmentato
                                                                                                                                                                Tabella con i valori nutrizionali del riso integrale, del riso brillato, del riso parboiled e del riso pigmentato.

                                                                                                                                                                Valori nutrizionali dei diversi tipi di riso

                                                                                                                                                                La composizione chimica della cariosside di riso è caratterizzata da un alto contenuto di carboidrati complessi e da un basso tenore di proteine di buon valore biologico.

                                                                                                                                                                L’amido di riso è costituito per l’80% da granuli di piccole dimensioni che rendono questo alimento altamente digeribile.

                                                                                                                                                                L’elevata digeribilità e le buone caratteristiche nutrizionali fanno si che il riso sia un alimento adatto all’alimentazione nell’infanzia o in determinate situazioni patologiche.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Il riso integrale, mantenendo parte delle cuticole che rivestono la cariosside, è caratterizzato da un maggior contenuto di fibre e vitamine, tra cui la vitamina B1 (tiamina), la vitamina B2 (riboflavina) e l’acido folico.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Il riso bianco brillato è invece ricco di amido e può aiutare in caso di problematiche intestinali.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Per quanto riguarda il riso a pericarpo pigmentato, il riso nero ha un buon contenuto di proteine e di fibra alimentare.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                L’elevata digeribilità è dovuta alla tipica conformazione dei granuli di amido del riso, che rispetto a quelli degli altri cereali, come mais e frumento, risultano di dimensioni minori.

                                                                                                                                                                Infine, è utile ricordare che il riso è privo di glutine e per questo può essere consumato senza controindicazioni dai celiaci.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Benefici dei diversi tipi di riso

                                                                                                                                                                Il riso contiene vitamine del gruppo B e sali minerali. Le vitamine del gruppo B partecipano alle reazioni metaboliche del corpo, mentre i sali minerali presenti in maggior quantità e utilizzati per svariate funzioni sono il calcio, il fosforo, il magnesio, il selenio, il ferro e il potassio.

                                                                                                                                                                In particolare il calcio e il fosforo contribuiscono a mantenere in salute le ossa, il ferro risulta utile per la produzione dei globuli rossi e il potassio aiuta a regolare la pressione arteriosa.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                La porzione standard di consumo consigliata è 80 grammi, che corrisponde circa a 4 cucchiai di riso.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Il consumo di riso semintegrale può essere utile per contrastare la diarrea, la gastrite e il gonfiore addominale.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Produzione e Tecnologia del riso

                                                                                                                                                                Zone di coltivazione del riso

                                                                                                                                                                Il riso è una pianta erbacea annuale semiacquatica.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                È una delle principali risorse alimentari dell’umanità; nel mondo si producono annualmente oltre 550 milioni di t.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                In Italia la risicoltura è localizzata quasi totalmente nella Valle Padana ed in particolar modo nelle zone dove sono disponibili per l’irrigazione grandi quantità d’acqua a basso costo.

                                                                                                                                                                Le province maggiormente risicole sono quelle di Vercelli, Pavia, Novara, Milano, che da sole raggruppano poco meno del 90% della superficie totale investita a riso; altre province risicole sono Mantova, Verona, Rovigo e Ferrara.

                                                                                                                                                                Sporadiche coltivazioni di riso sono presenti anche nell’Italia centrale (Siena, Grosseto) e insulare (Sardegna).

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Fasi di produzione dei diversi tipi di riso

                                                                                                                                                                Quando il riso ha raggiunto la completa fase di maturazione, viene effettuata la raccolta mediante l’utilizzo di mietitrebbiatrici.

                                                                                                                                                                Il risone che esce dalla macchina presenta un contenuto di umidità generalmente superiore al 25%  che non permette una corretta lavorazione e conservazione del prodotto. Per tale motivo, entro le 15-20 ore dalla raccolta, viene effettuata una fase di essicazione che permette di ridurre il livello di umidità fino al 13%.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Successivamente viene effettuata la fase di pulitura che permette di allontanare le parti estranee al prodotto per poi poter mettere in atto la sbramatura da cui si ottiene il riso integrale caratterizzato da un elevato contenuto di fibra.

                                                                                                                                                                Dalla sbiancatura di quest’ultimo si ottiene poi il riso brillato.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Preparazione e Conservazione dei diversi tipi di riso

                                                                                                                                                                Il riso è un alimento che si presta a metodi di cottura molto diversi.

                                                                                                                                                                I tempi e le modalità di cottura variano principalmente in base alle dimensioni dei chicchi delle diverse varietà:

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • comune o originario con chicchi piccoli e tondi, cuoce in 12-13 minuti ed è adatto per minestre in brodo, minestroni e dolci, perché durante la cottura tende a rilasciare amido;

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • semifino con chicchi tondeggianti di media lunghezza o semi-lunghi, cuoce in 13-15 minuti ed è adatto per antipasti, supplì e timballi;

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • fino con chicchi lunghi, affusolati e semi-affusolati; cuoce in 14-16 minuti ed è adatto specialmente per risotti e contorni;

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                • superfino con chicchi grossi, lunghi e molto lunghi, cuoce in 16-18 minuti ed è ideale per risotti e contorni.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Il riso integrale, è utilizzato principalmente con bolliti e zuppe. Il riso parboiled e quello pigmentato, invece, tendono a mantenere meglio la cottura e sono quindi più adatti alla preparazione di risotti e insalate.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Un consiglio può essere quello nel momento in cui si effettua la cottura a risotto di utilizzare una casseruola bassa, con manico lungo, in rame e rivestita in acciaio.

                                                                                                                                                                Inoltre bisogna cercare di servire il risotto alla giusta consistenza, non troppo liquido ma neppure eccessivamente compatto: quando muovete la casseruola il risotto deve formare la classica “onda”.

                                                                                                                                                                Per preservare al meglio i nutrienti di questo alimento, è consigliato effettuare la fase di tostatura senza aggiunta di condimenti, come l’olio, che può essere aggiunto a crudo alla fine della cottura.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Ricordiamo inoltre che la cottura a risotto o il riso integralo hanno un indice glicemico inferiore rispetto al riso bianco o al riso bollito in acqua.

                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                Le proposte di ricetta di FBO con il riso

                                                                                                                                                                • • Biloni M., Mantegazza R., Spada A., (2004), “Biodiversità delle varietà di riso italiane”, Biodiversità e aspetti fitosanitari delle varietà di riso italiane, Aracne editrice S.r.l., Roma

                                                                                                                                                                  • Cabras P., Martelli A., (2004), “Chimica degli alimenti”,Piccin, Padova

                                                                                                                                                                  • Ente Nazionale Risi

                                                                                                                                                                  • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                  www.normativa.it

                                                                                                                                                                  www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                  www.bda-ieo.com

                                                                                                                                                                  www.agraria.org

                                                                                                                                                                  Ricotta

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  tipi di ricotta

                                                                                                                                                                  Cos’è la ricotta e origine del termine

                                                                                                                                                                  La ricotta è un prodotto caseario che viene ottenuto attraverso il riscaldamento (almeno 72°C) del siero di latte (la parte liquida del latte che si separa dalla cagliata durante la caseificazione), debolmente acidificato con acido citrico, formato dalla coagulazione delle sieroproteine.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Il termine ricotta (“cotta due volte”) deriva dal fatto che le proteine e il grasso che la compongono subiscono un doppio processo di riscaldamento: il primo durante la fase di produzione del formaggio, il secondo per l’ottenimento del prodotto.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La ricotta viene prodotta tutto l’anno e, a prodotto finito, presenta una forma in genere troncoconica con diametro medio di 8-15 cm e altezza di 5-18 cm, con una superficie di colore bianco caratterizzata dalla presenta di piccoli rilievi che riproducono l’impronta del contenitore.

                                                                                                                                                                  Il colore della pasta è bianco, la struttura è cremosa e poco consistente, il sapore leggermente dolce e l’odore delicato.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Riconoscimenti DOP

                                                                                                                                                                  Sono state riconosciute per questo prodotto due D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta):

                                                                                                                                                                  Ricotta Romana“(Reg CE 737/15 e Reg UE 1192/10) e “Ricotta di Bufala Campana” (Reg UE 634/10).

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Per la prima il disciplinare di produzione prevede che il siero debba essere ottenuto da latte intero di pecora proveniente dal territorio della regione Lazio e le operazioni di lavorazione, trasformazione e condizionamento devono avvenire nel solo territorio della regione Lazio.

                                                                                                                                                                  Per quanto riguarda la “Ricotta di Bufala Campana” invece la zona di produzione comprende zone ben definite delle regioni Campania, Lazio, Puglia e Molise.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Proprietà nutrizionali della ricotta

                                                                                                                                                                  tabella con i valori nutrizionali della ricotta di bufala, della ricotta di capra e della ricotta di pecora
                                                                                                                                                                  Tabella con i valori nutrizionali della ricotta di bufala, della ricotta di capra e della ricotta di pecora.

                                                                                                                                                                  Valori nutrizionali dei diversi tipi di ricotta

                                                                                                                                                                  La ricotta è una buona fonte di proteine e il suo contenuto varia anche in base al latte di partenza.

                                                                                                                                                                  Le proteine presenti nella ricotta derivano dal siero del latte e risultano altamente digeribili. S

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  L’apporto di carboidrati è più contenuto e limitato al lattosio, responsabile anche del tipico sapore dolciastro.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Il contenuto della frazione lipidica viene influenzato dal tipo di latte di partenza utilizzato (il latte di bufala ne è più ricco) e dal metodo di preparazione usato.
                                                                                                                                                                  Infatti il siero di latte di partenza è spesso addizionato con latte puro o crema di latte per aumentare la resa del prodotto e renderlo più cremoso; dunque, in base alle quantità aggiunte, la composizione lipidica può variare dal 5% al 15%.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La ricotta è un’importante fonte di sali minerali, in particolar modo di calcio e fosforo. L’apporto di sali risulta maggiore per la ricotta ottenuta dal latte di bufala.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Relativamente alle vitamine si osserva invece un contenuto similare tra le varie tipologie di ricotta.

                                                                                                                                                                  Le vitamine idrosolubili (vitamine del gruppo B e la vitamina C) sono presenti in quantità inferiori rispetto al latte in quanto in parte rimangono nel siero, anche se alcune vitamine del gruppo B (come la vitamina B12) possono essere sintetizzate da microorganismi durante la maturazione.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Benefici della ricotta

                                                                                                                                                                  La ricotta è composta da vitamine con azione antiossidante e minerali come il calcio e il fosforo che prevengono la salute delle ossa.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Inoltre le proteine contenute nella ricotta sono proteine ricche di amminoacidi essenziali, ovvero amminoacidi che l’organismo non riesce a sintetizzare e deve assumere con la dieta, in particolare leucina, valina, treonina.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La porzione di consumo standard consigliata è 100 grammi di ricotta fresca.

                                                                                                                                                                  Ricordiamo che una porzione di ricotta copre circa il 30% del fabbisogno giornaliero di calcio e più della metà della Dose giornaliera raccomandata di fosforo, facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile in caso di alterazioni del gusto e perdita di appetito, due effetti collaterali derivanti dal trattamento oncologico.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Interazioni della ricotta

                                                                                                                                                                  Si consiglia un consumo moderato, specialmente per chi soffre di ipertensione,. di questo alimento in quanto contiene sodio.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La ricotta, e in generale i latticini, possono interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

                                                                                                                                                                  In particolare se si assume la tetraciclina durante i pasti se si avverte mal di stomaco, bisognerebbe evitare il consumo di latte e latticini un’ora prima o due ore dopo.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Produzione e Tecnologia della ricotta

                                                                                                                                                                  La materia prima: il latte

                                                                                                                                                                  La lavorazione della ricotta avviene contemporaneamente a quella di formaggi ottenuti da latte di vacca, bufala o pecora.

                                                                                                                                                                  La tipologia del latte di partenza è molto importante ed influenza la formazione della ricotta, in quanto maggiore è il contenuto di sieroproteine, maggiore è la facilità di produzione.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Processo di produzione della ricotta

                                                                                                                                                                  La ricotta deriva dalla coagulazione caldo-acida del siero e, nel caso in cui fosse necessario acidificare il siero residuo della lavorazione del formaggio, si ricorre all’utilizzo di acido citrico monoidrato o lattofermento.

                                                                                                                                                                  Al siero si addiziona spesso una certa quantità di latte in modo tale da aumentare la resa, la consistenza (più morbida) e il gusto (più cremoso) della ricotta.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Durante il processo produttivo viene aggiunto anche il sale, immesso in caldaia quando il siero ha raggiunto i 63°C, che conferisce al prodotto una limitata sapidità, ma soprattutto agisce come coadiuvante nella flocculazione.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La produzione della ricotta DOP

                                                                                                                                                                  Per quanto riguarda la produzione delle D.O.P., la materia prima della “Ricotta Romana” è rappresentata dal siero di latte intero di pecora delle razze Sarda, Comisana, Sopravvissana, Massese e i loro incroci.

                                                                                                                                                                  Questo tipo di ricotta assume un caratteristico sapore dolciastro dovuto al siero utilizzato.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Per la produzione della “Ricotta di Bufala Campana” è utilizzato siero dolce proveniente dalla lavorazione del latte di bufala di Razza Mediterranea Italiana allevate in Campania, Lazio, Puglia e Molise.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Fasi di produzione della ricotta

                                                                                                                                                                  Inizialmente il siero viene filtrato, mediante colino a rete fine, per eliminare i residui di cagliata.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La successiva lavorazione avviene in caldaia di rame o di acciaio inox.

                                                                                                                                                                  La massa viene mantenuta sotto lenta agitazione e riscaldata a fuoco diretto fino a 85-90°C; a questo punto si può addizionare latte ed eventualmente il sale (0.3-0.5 kg/qle). A questa temperatura si ottiene l’affioramento dei fiocchi di proteine coagulate.

                                                                                                                                                                  Con il riscaldamento infatti le sieroproteine, coagulano e formano fiocchi caratteristici, che affiorano, inglobando altre sostanze contenute nel siero quali lattosio, grasso, sali minerali e vitamine.

                                                                                                                                                                  La temperatura necessaria perché la flocculazione avvenga è diversa a seconda del latte e dell’aggiunta di latte o panna; un riscaldamento troppo elevato rende la ricotta grumosa, dura, demineralizzata e con aroma di latte cotto.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Una volta che il coagulo ha assunto la giusta consistenza si procede alla raccolta entro 5-10 minuti.

                                                                                                                                                                  La ricotta viene quindi posta in fiscelle di vimini o plastica di forma tronco-conica e lasciata spurgare su tavoli di legno inclinati, in locali ben arieggiati e freschi, a temperatura ambiente (18-20 °C) per 4-5 ore in inverno e per pochi minuti in estate.

                                                                                                                                                                  Successivamente viene conservata per 1-2 giorni in frigorifero a 4°C in quanto, essendo un prodotto fresco, risulta facilmente deperibile ed il ridotto sale introdotto in caldaia non ha azione conservante.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Tecniche di conservazione della ricotta

                                                                                                                                                                  La ricotta può essere conservata per un periodo di tempo più lungo utilizzando diverse tecniche. La ricotta salata si ottiene salando la ricotta in seguito alla spurgatura, con una stagionatura massima di 90 giorni.

                                                                                                                                                                  Una maturazione massima di 30 giorni viene invece suggerita per la ricotta infornata, ovvero trattata a 150-180°C, in seguito alla salatura, fino ad imbrunimento della superficie esterna. Per ottenere invece la ricotta affumicata bisogna lasciarla asciugare all’aria per 2-3 giorni, salarla ed in seguito affumicarla.

                                                                                                                                                                  La ricotta stagionata o erborinata si ottiene con sale in presenza di Penicillium roqueforti e si suggerisce una maturazione massima di 60 giorni.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La stagionatura

                                                                                                                                                                  Per stagionare il prodotto è necessario cospargerlo di sale ogni due giorni, per circa dieci giorni.

                                                                                                                                                                  Le forme estratte dalle fiscelle vengono disposte su piani di legno in locali di conservazione freschi e poco illuminati, dove stagionano per 1-3 mesi, senza subire altro trattamento.

                                                                                                                                                                  Al termine della stagionatura il prodotto presenta una consistenza dura e una superficie lucida, dovuta all’affioramento del grasso. Il colore diventa giallo crema ed il sapore sapido, leggermente piccante.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La ricotta sul mercato

                                                                                                                                                                  La ricotta può essere commercializzata direttamente nelle fiscelle oppure estratta ed avvolta in carta pergamena o confezionato sottovuoto.

                                                                                                                                                                  Inoltre è un prodotto reperibile sul mercato durante tutto l’anno.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Preparazione e Conservazione della ricotta

                                                                                                                                                                  La ricotta artigianale va consumata subito dopo l’acquisto o in breve tempo, quella industriale invece si può conservare nel settore meno freddo del frigorifero per almeno 15 giorni o entro la data di scadenza indicata sulla confezione.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Siccome è un alimento fresco e facilmente deperibile, se si va oltre tale periodo si verifica un progressivo aumento dell’acidità, la pasta perde coesione, il colore passa dal bianco al giallognolo e si ha una modifica del sapore verso l’amaro.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  La durata di conservazione è legata al contenuto di umidità presente nella ricotta: maggiore è il quantitativo di acqua presente, maggiore è la possibilità che deperisca in breve tempo.

                                                                                                                                                                  La ricotta che si presenta più dura e compatta ha una minor quantità di acqua e quindi si può conservare più a lungo.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Questo alimento però è molto versatile, infatti può trovare impiego nella produzione di dolci, nella preparazione di paste ripiene e nella produzione di torte salate o come condimento per la pasta.

                                                                                                                                                                  Per via del suo contenuto proteico è da considerarsi come un secondo piatto.

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                  Le proposte di ricette di FBO con la ricotta

                                                                                                                                                                  • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                                    • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                    • Condoleo R., Bozzano A. “La filiera del latte. Il percorso del latte: dall’allevamento alla tavola del consumatore”, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana.

                                                                                                                                                                    • Galli Volonterio A. (2009) “Microbiologia degli Alimenti”, Casa editrice Ambrosiana.

                                                                                                                                                                    • Grassi M. (2015) “Manuale del casaro. Il latte, i fermenti, la coagulazione e la cagliata, la maturazione e i difetti dei formaggi”, Hoepli.

                                                                                                                                                                    http://ec.europa.eu

                                                                                                                                                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                    www.agraria.org

                                                                                                                                                                    www.agricoltura.regione.campania.it

                                                                                                                                                                    www.agrinnovazione.regione.sicilia.it

                                                                                                                                                                    www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                    www.dop-igp.eu

                                                                                                                                                                    www.isa.cnr.it

                                                                                                                                                                    www.politicheagricole.it

                                                                                                                                                                    Pomodoro

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    pomodoro fresco

                                                                                                                                                                    Famiglia: Solanaceae

                                                                                                                                                                    Genere: Solanum

                                                                                                                                                                    Specie: Solanum lycopersicum (o Lycopersicum esculentum)

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Storia del pomodoro

                                                                                                                                                                    La pianta del pomodoro, appartenente alla famiglia delle Solanacee, è una pianta erbacea annuale originaria dell’America sud-occidentale (Cile, Perù, Ecuador).

                                                                                                                                                                    Introdotta in Italia agli inizi del 1800, ad oggi è una delle principali coltivazioni sul territorio nazionale.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Tipi di pomodoro

                                                                                                                                                                    Il frutto è una bacca di varie forme e dimensioni; il Regolamento CEE 788/83 distingue tre tipi di pomodoro: allungato, tondo (sferico, comprendente anche il tipo “cherry”) e costoluto.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    In ambito industriale, i pomodori di forma allungata vengono utilizzati per la produzione di pelati, in quanto possiedono pochi semi e una buccia che si rimuove facilmente durante la fase di pelatura.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    La forma tondo-liscia, di dimensione grande o piccola, quella costoluta e il pomodoro “cherry”, sono utilizzati nelle insalate (definiti anche “insalatari” o da mensa).

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    I pomodori da mensa presentano buccia sottile, polpa soda ed abbondante, pochi semi e una colorazione che può variare dal verde al rosso vivo, a seconda della fase di maturazione.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Per la preparazione di concentrati o triturati si utilizzano i pomodori di colore rosso intenso, con alta resa industriale (ovvero pochi semi e poche bucce), alto contenuto di residuo secco, di zuccheri e di licopene, e un sapore marcato.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Proprietà nutrizionali del pomodoro

                                                                                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali del concentrato, della conserva, del succo di pomodoro e del pomodoro da insalata
                                                                                                                                                                    Tabella con i valori nutrizionali del concentrato, della conserva, del succo di pomodoro e del pomodoro da insalata.

                                                                                                                                                                    Valori nutrizionali del pomodoro

                                                                                                                                                                    Dalla tabella si può notare come il pomodoro sia una discreta fonte di vitamina C ed A. Il pomodoro è inoltre considerato una buona fonte di potassio.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Un altro importante componente di questo frutto è il β-carotene, di cui sono particolarmente ricchi i concentrati.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Molti studi si sono focalizzati sul ruolo protettivo del pomodoro grazie alla presenza di componenti bioattivi, in particolare il licopene (appartenente alla classe dei carotenoidi), molecola che conferisce il tipico colore rosso.

                                                                                                                                                                    Nel pomodoro il licopene si trova prevalentemente nella parte più esterna del mesocarpo (polpa) dove, in seguito alla maturazione del frutto, va a sostituire la clorofilla.

                                                                                                                                                                    La quantità di licopene nei pomodori può variare in modo significativo a seconda della varietà e della fase di maturazione, infatti nel pomodoro rosso maturo si ha più licopene rispetto a quello di colore verde-giallo che deve ancora completare la fase di maturazione.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Benefici del pomodoro

                                                                                                                                                                    Il pomodoro è fonte di antiossidanti. Tra le molecole che svolgono questa funzione ci sono il licopene, già citato precedentemente, e la zeaxantina ed entrambi proteggono l’organismo dai radicali liberi.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Oltre alle molecole antiossidanti ci sono anche vitamine e minerali che portano benefici a chi consuma il pomodoro. In particolare: la vitamina C aiuta l’azione delle difese immunitarie, è coinvolta nei processi di sintesi del collagene e ha azione antiossidante; la vitamina K che è coinvolta nei processi della coagulazione; le vitamine del gruppo B che hanno molteplici ruoli a livello metabolico.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Come scritto nel paragrafo sovrastante il pomodoro è anche una buona fonte di potassio che regola la pressione arteriosa, ma anche di calcio e fosforo che contribuiscono a mantenere in salute le ossa e i denti.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    La porzione standard di consumo è di 200 grammi di pomodoro fresco, che corrispondono circa a 3/4 pomodori.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Interazioni del pomodoro

                                                                                                                                                                    Il consumo di pomodoro potrebbe interferire con l’azione dei farmaci diuretici.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Produzione e Tecnologia del pomodoro

                                                                                                                                                                    Caratteri botanici della pianta di pomodoro

                                                                                                                                                                    Il pomodoro è un prodotto tipicamente estivo, la pianta tipica dei climi temperato- caldo è infatti molto sensibile al gelo.

                                                                                                                                                                    In commercio è presente prevalentemente dal mese di giugno fino a settembre-ottobre, anche se in realtà è possibile trovarlo in tutti i periodi dell’anno, in quanto viene coltivato nelle serre dove sono riproducibili le condizioni climatiche ideali per la crescita.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Coltivazione del pomodoro

                                                                                                                                                                    Viene coltivato in prevalenza in Campania, Puglia, Sicilia, Calabria, Lazio, Umbria ed Emilia Romagna.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    La raccolta per il pomodoro da insalata avviene manualmente, quando il colore della buccia inizia a tendere verso il rosa e, per avere una maturazione uniforme, le raccolte devono essere fatte in brevi intervalli di tempo (4 giorni massimo).

                                                                                                                                                                    I frutti così raccolti possono essere conservati per 3-4 settimane a 5-7°C con l’85-90% di umidità relativa dell’aria.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    I pomodori da cui si ottengono pelati, concentrati o succhi vengono raccolti quando i frutti sono completamente maturi (colorazione rossa) tra agosto e settembre, periodo di tempo coincidente con quello di lavorazione negli stabilimenti.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    La produzione delle polpe, del succo di pomodoro, dei concentrati e della passata di pomodoro

                                                                                                                                                                    In commercio, in seguito alla lavorazione industriale, si trovano diverse tipologie di prodotto.

                                                                                                                                                                    pomodori pelati sono ottenuti dalla varietà a frutto allungata, privati della buccia e inscatolati; i pomodori triturati e polpe, vengono privati della buccia e dei semi, triturati in piccoli cubetti e inscatolati insieme a succo di pomodoro ristretto.

                                                                                                                                                                    Sul mercato si trova anche il succo di pomodoro, liquido separato da semi e bucce, ottenuto in seguito alla triturazione dei frutti freschi, utilizzato direttamente come bevanda.

                                                                                                                                                                    Si trovano anche i concentrati di pomodoro: concentrato di pomodoro se presenta un residuo secco, al netto di sale aggiunto, superiore al 18%; doppio concentrato di pomodoro se ha un residuo secco netto superiore al 28%. Nel processo di preparazione dei concentrati si separano i semi e le bucce dal succo; si elimina una certa quantità di acqua (ad esempio mediante evaporazione) dal succo a seconda del tipo di concentrato che si vuole produrre.

                                                                                                                                                                    La passata invece si ottiene dalla spremitura del pomodoro fresco, con eventuale separazione di bucce e semi e parziale eliminazione dell’acqua (D.L. 23/9/2005).

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Stagionalità del pomodoro fresco

                                                                                                                                                                    Il pomodoro è presente sul mercato specialmente nel periodo estivo (giugno-settembre/ottobre) ma è possibile reperirlo durante tutto l’anno per via delle coltivazioni in serra.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Preparazione e Conservazione del pomodoro

                                                                                                                                                                    I pomodori possono essere acquistati anche se non completamente maturi, lasciandoli poi a maturare a temperatura ambiente.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Se maturi, si conservano invece in frigorifero, nel cassetto di frutta e verdura (8°-9° C) per un paio di giorni, ricordandosi di tirarli fuori dal frigorifero almeno una mezz’ora prima del consumo; è sconsigliata la conservazione in freezer perché il freddo ne impedisce il processo di maturazione e nella fase di scongelamento si ha perdita di sapore e di consistenza.

                                                                                                                                                                    La salsa di pomodoro invece può essere conservata in freezer senza subire alcuna alterazione.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Con la cottura si ha una perdita dei composti bioattivi presenti nel pomodoro fresco (come ad esempio la vitamina C), fatta eccezione per il licopene che aumenta la sua disponibilità di quasi cinque volte. Questo accade perché il calore utilizzato durante la cottura “libera” il carotenoide presente nel pomodoro fresco, rendendolo più biodisponibile. La vitamina C invece, essendo termolabile e idrosolubile, è maggiormente presente nel pomodoro fresco.

                                                                                                                                                                    Inoltre il licopene è un composto liposolubile, per cui il suo assorbimento a livello intestinale viene favorito se si assume insieme all’olio extravergine di oliva.

                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                    Le proposte di ricette di FBO con il pomodoro

                                                                                                                                                                    • • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                      • Calabrese D. “Il licopene come prodotto nutraceutico e funzionale”, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria (a.a. 2012/2013).

                                                                                                                                                                      • Khachik F., Goli M.B., Beecher G.R., Holden J., Lusby W.R., Tenorio M.D., Barrera M.R. (1992) “Effect of Food Preparation on Qualitative and Quantitative Distribution of Major Carotenoid Constituents of Tomatoes and Several Green Vegetables”, J. Agric. Food Chem., 40, 390-398.

                                                                                                                                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                      • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                      www.aicr.org

                                                                                                                                                                      www.agraria.org

                                                                                                                                                                      www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                      www.gazzettaufficiale.it

                                                                                                                                                                      Pollo

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      carne di pollo

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Il Pollo domestico (Gallus gallus domesticus) è la principale specie avicola allevata a livello mondiale sia per la sua carne sia per la produzione di uova.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Il numero di razze e varietà di polli domestici che sono state selezionate nei vari Paesi è notevolissimo; a livello industriale vengono utilizzati ibridi, che derivano da scelte genetiche finalizzate a diminuire i tempi e i costi di produzione.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Varietà di pollo

                                                                                                                                                                      In commercio si possono trovare varietà di pollo selezionate per la produzione di carne (broiler) e varietà selezionate per la produzione di uova (ovaiole).

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      A seconda del paese ci sono differenze nelle caratteristiche che questi animali devono possedere; il peso e l’età alla macellazione possono variare rispettivamente da 1 a 4 kg e dai 30 ai 55 giorni.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      In Italia sono tre le tipologie di pollo broiler:

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      • Pollo leggero, macellato a un’età di 32-37 giorni con un peso tra 1,5 e 1,7 kg. È destinato prevalentemente alle rosticcerie o a essere commercializzato intero.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      • Pollo medio macellato a un’età di 42-48 giorni, quando raggiunge un peso di circa 2.5 kg. È destinato alla trasformazione (sezionati o terza-quarta gamma).

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      • Pollo pesante destinato alla produzione di elaborati e trasformati, alla macellazione raggiunge un peso superiore ai 3 kg per un’età di circa 50-55 giorni.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      In alcune regioni è possibile trovare anche il polletto destinato alla rosticceria con un peso intorno a 1 kg e un’età di 25 giorni.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Prodotti in commercio

                                                                                                                                                                      In commercio è possibile reperire, oltre a polli interi confezionati, anche prodotti trasformati e sezionati (tagli di particolare interesse sono il petto e la coscia).

                                                                                                                                                                      La gamma dei prodotti elaborati include: spiedini, polpette, cotolette, hamburger, arrosti pronti o involtini di pollo.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      I prodotti carnei commercializzati vengono distinti in funzione delle caratteristiche che li contraddistinguono e dei processi di trasformazione che hanno subito. In particolare è possibile identificare prodotti di:

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      – prima gamma, pollo intero non cotto;

                                                                                                                                                                      – seconda gamma, sezionati (cosce, ali, fusi, petti);

                                                                                                                                                                      – terza gamma, preparati non cotti, carni pronte per esser cucinate (hamburger, spiedini, polpettone);

                                                                                                                                                                      – quarta gamma, preparati precotti (cotolette, cordon bleu)

                                                                                                                                                                      – e quinta gamma, trasformati pronti al consumo già cotti (salumi e rollè).

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali del pollo

                                                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali dell'ala, del fuso, del petto, della sovracoscia e del pollo intero senza pelle
                                                                                                                                                                      Tabella con i valori nutrizionali dell’ala, del fuso, del petto, della sovracoscia e del pollo intero senza pelle.

                                                                                                                                                                      Pollo valori nutrizionali

                                                                                                                                                                      La composizione chimica dei muscoli scheletrici, e conseguentemente della carne di pollo, è fortemente influenzata da svariati fattori quali varietà, tipo genetico, età di macellazione, regime e tipo di alimentazione e modalità di lavorazione.

                                                                                                                                                                      Pertanto, risulta difficile indicare una composizione media della carne riferibile con buona approssimazione a tutte le molteplicità zootecniche destinate a tali produzioni.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Dal punto di vista nutrizionale, la carne di pollo costituisce un’importante fonte proteica con un discreto tenore di acidi grassi essenziali omega-6, come acido linoleico e arachidonico, e basso contenuto in colesterolo (meno di 80 mg in 100 g di carne sottoposta a asportazione del grasso sottocutaneo).

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Il contenuto lipidico è variabile a seconda della parte considerata (da 0,8 a 14%), ma è comunque inferiore rispetto ad altre carni; il grasso inoltre è separabile perché è in maggior parte sottocutaneo e addominale.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Il pollo rappresenta inoltre una buona fonte di sali minerali come fosforo e magnesio ed è un’ottima fonte di niacina e di vitamina B12.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Dai dati riportati in tabella si può notare come le diverse porzioni del pollo presentino una composizione nutrizionale pressoché simile, ad eccezione della quantità di lipidi presenti nel petto che è nettamente inferiore rispetto alle altre parti anatomiche.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Pollo benefici

                                                                                                                                                                      Il pollo è una buona fonte di proteine “ad alto valore biologico”, che sono proteine costituite da tutti amminoacidi essenziali (caratteristica comune a tutte le proteine di origine animale) e che lo rendono un alimento adatto ad essere inserito all’interno di un’alimentazione sportiva.

                                                                                                                                                                      La carne del pollo, inoltre, essendo molto tenera, può essere consumata abbastanza facilmente anche da bambini e anziani.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Oltre alle proteine e alla consistenza della carne, è bene evidenziare che questa carne è fonte di ferro, zinco e potassio.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      La porzione di consumo consigliata è 100 grammi, che corrisponde circa a una fetta di petto o una coscia di pollo.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Una porzione di carne di pollo copre circa il 30% del fabbisogno giornaliero di niacina, vitamina coinvolta nella formazione di coenzimi necessari per il metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Il consumo del petto di pollo può essere utile per contrastare la diarrea.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia del pollo

                                                                                                                                                                      I maggiori Paesi produttori della carne di pollo

                                                                                                                                                                      La carne di pollo rappresenta la seconda tipologia di carne prodotta e consumata e si prevede un forte aumento dei suoi consumi. Attualmente si stima una produzione annuale di carne di pollo di 91 milioni di tonnellate.

                                                                                                                                                                      I maggiori produttori sono gli Stati Uniti, Cina e Brasile. Al quarto posto troviamo l’Unione Europea.

                                                                                                                                                                      Tra i principali produttori europei ci sono Francia, Germania, Italia, Olanda, Spagna e Regno Unito. Il nostro paese è al settimo posto a livello europeo.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      La situazione in Italia

                                                                                                                                                                      Il settore avicolo viene considerato il secondo comparto zootecnico nazionale per importanza produttiva ed economica dopo quello bovino.

                                                                                                                                                                      Il patrimonio avicolo è concentrato soprattutto in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, l’allevamento è per oltre il 90% di tipo intensivo, mentre il restante è di tipo rurale e finalizzato all’autoconsumo.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      L’allevamento dei polli broiler

                                                                                                                                                                      I polli broiler vengono allevati generalmente in ambienti chiusi e dotati di sistemi di controllo automatico delle condizioni climatiche. L’allevamento è condotto a terra dove viene sparso il mangime, per poi passare alle mangiatoie.

                                                                                                                                                                      È importante che l’acqua sia sempre presente, se infatti la somministrazione di acqua non è adeguata, si riduce anche il consumo di alimento e quindi la crescita.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Il controllo del microclima, ovvero temperatura, umidità relativa, luce e qualità dell’aria è importante per l’accrescimento, la salute e il benessere degli animali allevati e rappresenta un punto fondamentale da considerare.

                                                                                                                                                                      La temperatura in allevamento varia a seconda dell’età: all’accasamento e nelle successive 48 ore deve essere di 30-32°C a per i pulcini, per poi calare di circa un grado ogni tre giorni fino ad arrivare a 21°C a 27 giorni di età, e quindi rimanere costante.

                                                                                                                                                                      L’umidità relativa (UR) deriva dall’attività respiratoria, dalle condizioni della lettiera e dal sistema di distribuzione dell’acqua. Essa regola lo sviluppo della livrea e influisce sulla capacità di termoregolazione dell’animale.

                                                                                                                                                                      La luce è un parametro importante, il programma luminoso classico prevede 23 ore di luce e un’ora di buio al giorno, così che i polli possano alimentarsi durante l’intera giornata.

                                                                                                                                                                      L’intensità luminosa raccomandata è di 20 lux nella prima settimana di vita, in modo da favorire l’adattamento dei pulcini; viene poi gradualmente diminuita tra la seconda e la terza settimana di vita a 5-10 lux e mantenuta costante.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Il ciclo di allevamento del pollo broiler

                                                                                                                                                                      Il ciclo di allevamento del broiler viene suddiviso in tre fasi: svezzamento, crescita e finissaggio.
                                                                                                                                                                      Ogni momento è caratterizzato da particolari esigenze e sia gli animali che le condizioni del ricovero devono essere attentamente monitorate.

                                                                                                                                                                      Per quanto riguarda la densità di allevamento, essa è stabilita dalla direttiva europea 2007/43/CE, in vigore dal 30 giugno 2010, ed è pari a 33 kg/m2, con la possibilità di aumento a 39 e 42 kg/m2 nel caso in cui siano rispettate specifiche condizioni di allevamento.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      I pulcini devono possedere una protezione immunitaria adeguata e l’allevamento deve essere pulito e esente da patogeni. I broiler sono sottoposti a un programma vaccinale adattato alla zona geografica e a quanto previsto per i riproduttori.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      All’arrivo al macello, il veterinario ASL controlla il certificato di sanità ed esegue una visita ante mortem. I polli vengono quindi scaricati e passano attraverso la fase di stordimento.

                                                                                                                                                                      Si procede quindi al dissanguamento, scottatura, spennatura meccanica, taglio delle zampe e asportazione dei visceri.

                                                                                                                                                                      Si passa quindi alla fase di refrigerazione (più rapida possibile), sezionatura ed eventuali lavorazioni successive, confezionamento, spedizione.

                                                                                                                                                                      Le femmine e i “polletti” vengono macellati a pesi minori e commercializzati come pollo in busto, mentre i maschi vengono generalmente inviati alle prime, seconde e terze lavorazioni.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      I visceri edibili (ventriglio, fegato senza cistifellea, cuore) possono essere confezionati separatamente; le restanti parti vengono disidratate, stoccate e utilizzate per la produzione di farine di carne.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione del pollo

                                                                                                                                                                      Come per le altre tipologie di carni, anche il pollo se mal conservato può rappresentare un substrato per lo sviluppo di batteri e altri microrganismi. Specialmente nelle giornate più calde, occorre quindi prestare un’attenzione particolare al trasporto e alla successiva conservazione.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Se passa qualche ora dall’acquisto all’arrivo a casa è meglio chiudere il pollo in una borsa termica.

                                                                                                                                                                      Prima della conservazione in frigorifero, nel ripiano inferiore, occorre eliminare l’involucro originale e chiuderlo in un sacchetto di plastica adatto, per evitare possibili contaminazioni con gli altri alimenti presenti; si noti che la legge impone a macellerie, supermercati e ristoranti di conservare il pollame in un frigorifero separato.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Se il pollo non viene cucinato entro un paio di giorni, è preferibile conservarlo in freezer (prima di congelarlo bisogna però lavarlo), dove si può conservare fino a un anno, meno se congelato in pezzi.

                                                                                                                                                                      Lo scongelamento deve essere fatto in frigorifero mettendo il pollo su un piatto e coprendolo con un foglio di pellicola o alluminio.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Prima della cottura è buona prassi sciacquarlo a lungo sotto l’acqua corrente.

                                                                                                                                                                      Dopo averlo fatto sgocciolare lo si asciuga con carta da cucina, per poi passare alla cottura.

                                                                                                                                                                      La cottura può essere effettuata in svariati modi, al forno, alla piastra in fettine, in padella a tocchetti/straccetti o bollito, per essere quindi inserito a pezzetti in gustose insalate.
                                                                                                                                                                      In generale le modalità di cottura da prediligere sono in padella con un filo d’olio, al vapore o previa marinatura; da limitare invece la cottura alla griglia.

                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                      Le proposte di ricette di FBO con il pollo

                                                                                                                                                                      • • Bittante G., Andrighetto I., Ramanzin M. (2005) Avicoli, In: Tecniche di produzione animale (Cap. 7) pp. 437-455. Liviana, Padova,

                                                                                                                                                                        • Cerolini S. (2008) Allevamento del pollo da carne, In: Avicultura e Coniglicultura (Cap. 8) pp. 279-280. Point Veterinarie Italie, Milano.

                                                                                                                                                                        • Cerolini S., Zaniboni L. (2008) Qualità, valore nutritivo e commercializzazione della carne avicola, In: Avicultura e Coniglicultura (Cap. 14) pp. 356-365. Point Veterinarie Italie, Milano.

                                                                                                                                                                        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                        • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                        www.agraria.org

                                                                                                                                                                        • www.aviagen.com

                                                                                                                                                                        www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                        www.humanitas.it

                                                                                                                                                                        www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                        www.istat.it

                                                                                                                                                                        Pistacchio

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        pistacchio

                                                                                                                                                                        Famiglia: Anacardiaceae

                                                                                                                                                                        Genere: Pistacia

                                                                                                                                                                        Specie: Pistacia vera

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Storia del pistacchio

                                                                                                                                                                        Il pistacchio è una pianta originaria dell’Asia Minore, della Siria e del Turkestan.

                                                                                                                                                                        La sua coltivazione è diffusa soprattutto in Iran, Turchia, Grecia e Siria e solo recentemente si è diffusa anche negli Stati Uniti e in Italia, dove viene coltivata quasi esclusivamente in Sicilia.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        L’Iran è al primo posto nella produzione mondiale di pistacchio, seguito da Stati Uniti, Turchia, Siria e Cina.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        In commercio si trova il pistacchio fresco, essiccato e tostato e salato.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Il Pistacchio di Bronte DOP

                                                                                                                                                                        In Italia il “Pistacchio Verde di Bronte” con il Regolamento CE 510/06 e il Regolamento UE 21/10 ha ottenuto la DOP (Denominazione di Origine Protetta). Tale denominazione è riservata al prodotto in guscio, sgusciato o pelato della cultivar “Napoletana”, chiamata anche “Bianca” o “Nostrale”.

                                                                                                                                                                        La zona di produzione deve ricadere nella Provincia di Catania, nel territorio dei comuni di Bronte, Adrano e Biancavilla.

                                                                                                                                                                        Il “Pistacchio Verde di Bronte” all’atto dell’immissione in commercio deve possedere cotiledoni di un colore verde intenso, un forte aroma, un contenuto di umidità compreso tra il 4 e il 6% ed un alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi (predominante l’acido oleico con il 72%, seguito dal linoleico con il 15% e dal palmitico con il 10%).

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali del pistacchio

                                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali del pistacchio fresco, del pistacchio secco, del pistacchio tostato e salato e del pistacchio di Bronte
                                                                                                                                                                        Tabella con i valori nutrizionali del pistacchio fresco, del pistacchio secco, del pistacchio tostato e salato e del pistacchio di Bronte.

                                                                                                                                                                        Valori nutrizionali del pistacchio 

                                                                                                                                                                        Il pistacchio, come tutta la frutta secca, è un alimento altamente energetico.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Il pistacchio di Bronte è quello che presenta il maggior contenuto in proteine e fibra, rispetto alle altre tipologie.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        La frazione lipidica è costituita prevalentemente da acidi grassi monoinsaturi, principalmente da acido oleico; tra gli acidi grassi polinsaturi invece risulta maggiormente presente l’acido linoleico, un acido grasso essenziale.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Il pistacchio è anche un’ottima fonte di potassio, fosforo e magnesio; nel pistacchio tostato e salato, la presenza del sale fa innalzare notevolmente il contenuto di sodio e di cloro.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Le vitamine presenti in questa frutta a guscio sono quelle del gruppo B e le vitamine E e K; queste ultime sono maggiormente contenute nel pistacchio fresco e secco.

                                                                                                                                                                        Sono inoltre presenti buoni livelli di clorofilla e feofitina; inoltre sono presenti luteina e β-carotene, carotenoidi che conferiscono la tipica colorazione al frutto e dotati di attività antiossidante.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Benefici del pistacchio

                                                                                                                                                                        I pistacchi hanno proprietà anti-infiammatorie, controllano i livelli di colesterolo nel sangue e in generale hanno effetti positivi sulla salute cardiovascolare.

                                                                                                                                                                        Questi frutti sono inoltre ideali come spuntini dopo un allenamento in quanto riforniscono l’organismo di nutrienti.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        La porzione consigliata è 30 grammi di pistacchi secchi che corrispondono circa a tre cucchiai, ovvero a 15/20 pistacchi.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile in caso di perdita di appetito , di anemia sideropenica e per contrastare il gonfiore sottocutaneo o edema.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia dei pistacchi

                                                                                                                                                                        Caratteri botanici della pianta di pistacchio

                                                                                                                                                                        La pianta di pistacchio è alta mediamente 5-6 metri e può raggiungere i 300 anni di vita.

                                                                                                                                                                        Il frutto, è una drupa ovale riunita in grappolo; il seme (ovvero il pistacchio destinato al consumo), contenuto in due valve, è unico e allungato, di color verde chiaro. Il guscio (endocarpo) è liscio e lignificato.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Coltivazione dei pistacchi

                                                                                                                                                                        La pianta del pistacchio è molto resistente alla siccità, con una buona resistenza al freddo, anche se non sopporta bene le gelate primaverili.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        La maturazione dei frutti è scalare ed avviene verso la fine dell’estate o agli inizi dell’autunno.

                                                                                                                                                                        A maturazione completa il mallo (l’involucro del frutto) si presenta di color rossigno ed il guscio, che subisce la pressione esercitata dal seme, si apre spontaneamente lungo le proprie suture.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        La raccolta dei frutti avviene in due-tre riprese a partire dalla metà di agosto fino a tutto il mese di settembre.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Tecniche di produzione dei pistacchi

                                                                                                                                                                        L’operazione di raccolta può essere effettuata manualmente (tramite bacchiatura sulle reti o per brucatura) o tramite “scuotitori” (che battono i rami facendo cadere i frutti su reti per evitare che tocchino il suolo).

                                                                                                                                                                        Trasferiti in contenitori, i frutti vengono portati nello stabilimento di lavorazione rapidamente.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        L’operazione di rimozione del mallo richiede dai 3 ai 5 minuti e deve essere effettuata in breve tempo per ridurre al minimo lo sviluppo di muffe. I semi vengono successivamente lavati in acqua, in modo da rimuovere i residui di mallo.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Segue la fase di essiccazione che viene effettuata in correnti forzate di aria calda a 70-90°C per una durata di 5-10 ore, per ridurre l’umidità del prodotto fino a circa il 5%.

                                                                                                                                                                        Queste operazioni devono essere eseguite entro 24 ore dalla raccolta, in modo tale da preservare il delicato aroma del frutto e impedire un eccessivo imbrunimento del guscio.

                                                                                                                                                                        Il prodotto in guscio viene così posto in contenitori in locali ventilati ed asciutti; lo stoccaggio può durare fino a 24 mesi dopo la raccolta.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        La sgusciatura, ovvero la rimozione del guscio legnoso che racchiude il seme di pistacchio, viene effettuata mediante lavorazione meccanica, mentre per la pelatura, ovvero la rimozione dell’endocarpo (sottile pellicola viola-rossastra), si utilizza uno “scottatore”, impianto in cui il seme sosta per alcuni minuti a circa 90°C per poi passare attraverso cilindri gommati che, ruotando, distaccano la pellicola.

                                                                                                                                                                        Infine ciascuna tipologia di semilavorato può subire ulteriori processi di lavorazione quali: essiccazione o tostature e salatura.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Il prodotto nelle diverse tipologie (con guscio, sgusciato o pelato) deve essere conservato ad una temperatura compresa tra 13 e 17°C, in confezioni sigillate sottovuoto o in atmosfera modificata, in modo tale da conservare il prodotto dopo la trasformazione.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Le caratteristiche del Pistacchio di Bronte

                                                                                                                                                                        Il “Pistacchio Verde di Bronte” DOP in Italia viene coltivato quasi esclusivamente in Sicilia, alle pendici dell’Etna.

                                                                                                                                                                        In questa area i terreni sono di origine vulcanica e il clima è mediterraneo subtropicale, con estati lunghe e siccitose, una piovosità concentrata nel periodo autunnale ed invernale, e notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte.

                                                                                                                                                                        I fattori pedoclimatici, abbinati all’innesto di Pistacia terebinthus, conferiscono al frutto particolari caratteristiche di qualità quali un colore verde intenso, una forma allungata, un sapore aromatico ed un alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi, difficilmente riscontrabili in altre aree di produzione.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Stagionalità del pistacchio

                                                                                                                                                                        La stagionalità dei pistacchi è da agosto a settembre, ma grazie alle tecniche a cui possono essere sottoposti si trovano sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione dei pistacchi

                                                                                                                                                                        I pistacchi possono essere acquistati con il guscio o sgusciati, crudi o tostati e salati.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Quando è presente il guscio, conviene scegliere i pistacchi parzialmente aperti, in quanto il guscio chiuso è indice di immaturità del seme.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        I pistacchi con il guscio vengono conservati in frigorifero in un contenitore a chiusura ermetica, dove si mantengono per 3 mesi; se collocati in freezer in sacchetti sigillati si conservano per 6 mesi. I pistacchi sgusciati si conservano in frigorifero in un contenitore a chiusura ermetica per 6 settimane, se in freezer per diversi mesi.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Bisogna prestare attenzione al consumo dei pistacchi tostati in quanto, oltre a subire il processo tecnologico, presentano l’aggiunta di sale che, se in eccesso, provoca l’innalzamento della pressione sanguigna.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Questa frutta a guscio viene utilizzata soprattutto in pasticceria per la preparazione di gelati e creme, per insaporire torte, biscotti o budini e, se triturati, per guarnire primi e secondi piatti.

                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                        Le proposte di ricette di FBO con il pistacchio

                                                                                                                                                                        • • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                          • Giuffrida D., Saitta M., La Torre L., Bombaci L., Dugo G. (2006) “Carotenoid, chlorophyll and chlorophyll-derived compounds in pistachio kernels (Pistacia vera L.) from Sicily”, J. Food Sci. 3, 18, pag: 313-320.

                                                                                                                                                                          • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                          • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                          • Silaghi A. F. (2011) “Applicazioni industriali e di ricerca della spettroscopia NIR per la valutazione di indici qualitativi di prodotti alimentari”, tesi di dottorato, Università di Bologna, Ingegneria Agraria.

                                                                                                                                                                          www.agraria.org

                                                                                                                                                                          www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                          www.eur-lex.europa.eu

                                                                                                                                                                          www.gazzettaufficiale.it

                                                                                                                                                                          www.politicheagricole.it

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Piselli

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Famiglia: Fabaceae

                                                                                                                                                                          Genere: Pisum

                                                                                                                                                                          Specie: Pisum sativum

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Piselli: origine e cosa sono

                                                                                                                                                                          La pianta dei piselli (Pisum sativum), appartiene alla famiglia delle Fabacee ed è una pianta annuale diffusa in tutto il mondo, soprattutto nei paesi asiatici (India e Cina).

                                                                                                                                                                          I piselli sono legumi che iniziano a germogliare a marzo e completano la maturazione verso aprile/maggio quando avviene la raccolta.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Varietà di piselli

                                                                                                                                                                          Esistono diverse varietà di piselli; le più diffuse sono:

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          • piselli nani,
                                                                                                                                                                          • mezza rama,
                                                                                                                                                                          • rampicanti,
                                                                                                                                                                          • mangiatutto

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          A seconda del tipo di utilizzo vengono coltivate differenti varietà di piselli: nana o semi-nana, che permettono la raccolta meccanizzata per ottenere i piselli secchi; per il consumo fresco quelli rampicanti, raccolti a mano.

                                                                                                                                                                          I piselli verdi-verde scuro grinzosi, che rimangono dolci più a lungo, per il surgelamento; invece quelli piccoli, lisci, verde chiaro che maturano più velocemente per l’inscatolamento.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali dei piselli

                                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali dei piselli freschi, dei piselli secchi, dei piselli in scatola e dei piselli surgelati
                                                                                                                                                                          Tabella con i valori nutrizionali di piselli freschi, piselli secchi, piselli in scatola e piselli surgelati.

                                                                                                                                                                          Piselli valori nutrizionali

                                                                                                                                                                          Dai dati riportati in tabella, si può notare come i valori nutrizionali dei piselli freschi e di quelli surgelati siano molto simili; quelli in scatola invece, rispetto ai piselli freschi, possiedono un maggior quantitativo di zuccheri e sodio.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Questi legumi sono ricchi di proteine, anche se presentano difetti in relazione agli amminoacidi essenziali, presentando come amminoacido limitante la metionina e per questo è consigliato consumarli in associazione con cereali, in modo da ottenere un effetto complementare.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Il contenuto di carboidrati aumenta con il procedere della conservazione in quanto man mano si verifica una progressiva perdita di acqua.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          I piselli sono un’ottima fonte di luteina, un pigmento appartenente alla famiglia delle xantofille.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Piselli benefici

                                                                                                                                                                          I benefici dovuti al consumo di piselli sono da riconoscere alle vitamine, ai minerali e alle fibre in essi contenuti.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          In particolare questi legumi sono fonte di vitamine del gruppo B come i folati, che agiscono a livello del sistema nervoso fetale, di vitamina C che ha funzione antiossidante ed è coinvolta nei processi del collagene e di vitamina A (come retinolo equivalenti) con anch’essa funzione antiossidante e fondamentale nei processi visivi.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Inoltre sono fonte di calcio e fosforo che mantengono in salute le ossa e di fibra, che ha potere saziante e aiuta a controllare i livelli di colesterolo.

                                                                                                                                                                          Basti pensare che mezzo piatto di piselli surgelati contengono 11,7 g di fibra, ovvero quasi metà della dose giornaliera raccomandata di fibra per la popolazione adulta (che è di 25 g).

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          La luteina infine è strettamente legata alla vitamina A e fondamentale per la salute dell’occhio. Il contenuto di luteina diminuisce significativamente solo nei piselli secchi, tutte le altre tipologie di trattamento non ne determinano infatti una diminuzione.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          La porzione di consumo consigliata per i piselli freschi è 150 grammi, che corrispondono circa a mezzo piatto mentre la porzione consigliata per i piselli secchi è 50 grammi che corrispondono circa a 3/4 cucchiai.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Il consumo di questo legume potrebbe essere utile in caso di diarrea.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Piselli interazioni

                                                                                                                                                                          I piselli potrebbero interferire con i farmaci anticoagulanti (come ad esempio il warfarin).

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia dei piselli

                                                                                                                                                                          Caratteri botanici della pianta di piselli

                                                                                                                                                                          Il pisello è una pianta microterma che ha limitate esigenze di temperature per crescere e svilupparsi.

                                                                                                                                                                          Non è in grado di resistere alla siccità e alle alte temperature e per questo la coltura del pisello può essere fatta con successo negli ambienti o nelle stagioni fresche.

                                                                                                                                                                          In Italia la semina autunnale avviene nelle regioni a inverno mite (centro-meridionali), mentre in quelle settentrionali può essere adottata solo con varietà resistenti al freddo.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Tecniche di produzione delle diverse tipologie di piselli:

                                                                                                                                                                          Ottenimento dei piselli freschi

                                                                                                                                                                          I baccelli verdi di alcune varietà arrivati al corretto grado di maturazione si raccolgono e si mettono in commercio per il consumo diretto come ortaggio.

                                                                                                                                                                          I baccelli si possono raccogliere anche quando iniziano a impallidire e quindi si sgranano i semi, si eliminano quelli difettosi raggrinziti e si mettono in commercio come piselli freschi.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Ottenimento dei piselli surgelati

                                                                                                                                                                          Per la produzione dei piselli surgelati vengono generalmente utilizzate le varietà a seme rugoso, che sono tendenzialmente più dolci e più tenere di quelle a seme liscio.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Lo stadio di maturazione ottimale varia a seconda del calibro; in commercio si possono infatti trovare piselli surgelati extrafini (fino a 7,5 mm), finissimi (da 7,5 a 8,75 mm), fini (da 8,75 a 10,2) e medi (oltre 10,2).

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          La produzione di piselli surgelati richiede diverse fasi.

                                                                                                                                                                          Inizialmente viene effettuata la pulitura che permette di allontanare le parti vegetali estranee (baccelli, foglie, …) e successivamente i piselli vengono sottoposti a cicli di lavaggi per rimuovere le eventuali impurità ancora presenti.

                                                                                                                                                                          Dopo queste prime operazioni vengono scottati in vasche di acqua bollente o mediante vapore surriscaldato determinando l’inattivazione degli enzimi.

                                                                                                                                                                          All’uscita dello scottatore il prodotto deve essere raffreddato immediatamente e rapidamente ad una temperatura inferiore a 15°C, allo scopo di arrestare l’azione del calore, e limitare il rischio di proliferazione dei microrganismi, in quanto la scottatura priva i tessuti delle difese naturali. Nella pratica industriale il raffreddamento è realizzato mediante immersione del prodotto in acqua.

                                                                                                                                                                          Successivamente il prodotto viene lasciato a sgocciolare per poi effettuare la fase di surgelazione vera e propria che deve avvenire in tempi brevi.

                                                                                                                                                                          In questo modo si riescono a mantenere le caratteristiche strutturali del prodotto pressoché equivalenti a quelle del prodotto fresco.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Ottenimento dei piselli in scatola

                                                                                                                                                                          Le varietà di piselli idonee alla conservazione in scatola sono quelle caratterizzate da una superficie liscia e un alto contenuto zuccherino.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Per la produzione di piselli in scatola dopo le prime fasi di preparazione i piselli vengono scottati in acqua bollente e successivamente, mediante macchine riempitrici più o meno automatiche, vengono inseriti in contenitori idonei per gli alimenti, quali vasi di vetro e scatole di banda stagnata.

                                                                                                                                                                          Si procede quindi con l’aggiunta a caldo (superiore a 85°C) del liquido di governo, costituito da acqua e sale (ed eventuali altri ingredienti).

                                                                                                                                                                          Infine i contenitori vengono chiusi con sistemi che assicurano l’ermeticità e viene effettuata la sterilizzazione, a temperature superiori ai 100°C e per tempi variabili, dai 10 ai 60 minuti, in base al formato e al tipo di materiale utilizzato per il confezionamento.

                                                                                                                                                                          Dopo la sterilizzazione è opportuno, per una migliore qualità del prodotto, raffreddare rapidamente le confezioni fino al raggiungimento da parte del prodotto della temperatura di circa 40°C.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Ottenimento dei piselli secchi

                                                                                                                                                                          Per la produzione di piselli secchi vengono coltivate le varietà nana o semi nana che permettono la raccolta meccanizzata attraverso l’utilizzo di mietitrebbiatrici da frumento.

                                                                                                                                                                          Dopo la raccolta vengono lasciati essiccare al sole e poi setacciati in modo da allontanare eventuali agenti estranei per poi poter essere confezionati.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Stagionalità dei piselli

                                                                                                                                                                          In commercio si possono trovare i piselli freschi, i piselli secchi, quelli in scatola e surgelati.

                                                                                                                                                                          I piselli freschi si trovano sul mercato a giugno e luglio, altrimenti si possono trovare tutto l’anno essiccati, surgelati o inscatolati.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione dei piselli

                                                                                                                                                                          Tra tutti i legumi i piselli sono tra quelli con una maggiore digeribilità.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Dei piselli freschi non si scarta nulla, in quanto i baccelli sono commestibili e possono essere utilizzati per preparare creme, brodi e zuppe.

                                                                                                                                                                          I piselli secchi sono ideali per la preparazione di minestre e di zuppe, mentre quelli in scatola o surgelati vengono utilizzati principalmente come contorni.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          I piselli secchi vanno conservati in un luogo buio e fresco, lontano da fonti di calore e richiedono, prima della cottura, una fase di ammollo in acqua fredda per almeno due ore.

                                                                                                                                                                          L’ammollo è una fase fondamentale in quanto i legumi sono semi ricchi di amido e proteine, ricoperti da una buccia composta principalmente da fibre.

                                                                                                                                                                          L’amido all’interno del seme si trova sotto forma di granuli compatti che a contatto con l’acqua tendono a gonfiarsi.

                                                                                                                                                                          Durante la cottura prosegue il rigonfiamento dei granuli e l’amido “gelatinizza”, trasformandosi in una massa tenera e pastosa.

                                                                                                                                                                          Una volta reidratati i piselli si possono lessare o cuocere a vapore, a fiamma bassa preferibilmente nelle classiche pentole di terracotta. Un’alternativa può essere l’utilizzo della pentola a pressione che permette di ridurre i tempi di cottura.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          La proposta di ricetta di FBO con i piselli

                                                                                                                                                                          Peperone

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          peperone rosso

                                                                                                                                                                          Famiglia: Solanaceae

                                                                                                                                                                          Genere: Capsicum

                                                                                                                                                                          Specie: Capsicum annuum

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Storia del peperone

                                                                                                                                                                          Il peperone è una pianta annuale appartenente alla famiglia delle Solanaceae, a cui appartengono anche melanzane, pomodori e patate.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          La pianta è originaria dell’America meridionale, introdotta in Europa alla fine del 1400, attualmente è un ortaggio estivo coltivato in tutto il mondo.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Tipi di peperone

                                                                                                                                                                          I frutti possono essere di forma diversa a seconda delle varietà: quadrangolare, conica, cuoriforme o lunga ed affusolata.

                                                                                                                                                                          Le varietà più apprezzate per il consumo di peperone fresco sono quelle a forma quadrangolare (Capsicum annuum varietà grossum). Si hanno inoltre le cultivar con forma allungata (Capsicum annuum varietà longum) e quelle a forma troncata (Capsicum annuum varietà abbreviatum).

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Oltre alla forma i peperoni presenti in commercio possono essere di diverso colore:

                                                                                                                                                                          • il peperone verde, con retrogusto acidulo perché acerbo
                                                                                                                                                                          • quello giallo, dolce e succoso
                                                                                                                                                                          • e il peperone rosso, dalla consistenza croccante e dal sapore deciso

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          L’IGP (Indicazione Geografica Protetta) è stata riconosciuta al peperone di Carmagnola, che viene coltivato tra le province di Torino e Cuneo.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali del peperone

                                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali del peperone

                                                                                                                                                                          Peperone valori nutrizionali

                                                                                                                                                                          Come si può notare dalla tabella il peperone apporta poche calorie (22 Kcal per 100 g di prodotto) in quanto è costituito per più del 90% da acqua.

                                                                                                                                                                          È una buona fonte di diversi minerali.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Un peperone crudo copre ampiamente il fabbisogno giornaliero per la popolazione adulta di vitamina C, vitamina che svolge una funzione antiossidante nel nostro organismo. Questo ortaggio fornisce anche un ottimo apporto di vitamina A.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Nel peperone sono presenti anche i carotenoidi (β-carotene, licopene, luteina, zeaxantina, capsantina e capsorubina), molecole che conferiscono la colorazione tipica all’ortaggio e che possiedono attività antiossidante.
                                                                                                                                                                          Tali sostanze sono maggiormente presenti nel peperone rosso o giallo rispetto a quello verde che deve ancora completare la fase di maturazione.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Il sapore piccante è dovuto alla presenza di capsaicina, un alcaloide quasi assente nella varietà dolce, concentrato maggiormente nei semi e nel tessuto bianco e membranaceo della parte interna del frutto.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Peperone benefici

                                                                                                                                                                          Il peperone è composto da molecole antiossidanti, cioè le vitamine A, C ed E che aiutano le difese immunitarie. Nello specifico, inoltre, la vitamina A è coinvolta nei processi della visione, nel controllo della pelle e delle mucose, mentre la vitamina C è coinvolta nei processi del collagene.

                                                                                                                                                                          Tra i minerali è bene ricordare il selenio e il manganese che vengono utilizzati come cofattori nelle reazioni antiossidanti e il potassio che regola la pressione.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          La porzione standard consigliata è 1 peperone che corrisponde circa a 200 grammi.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Il consumo del peperone può essere utile in caso di carenza di vitamina C (1 peperone crudo contiene infatti 166 mg e la dose giornaliera raccomandata nella popolazione adulta per gli uomini è di 105 mg, per le donne 85 mg).

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia del peperone

                                                                                                                                                                          Caratteri botanici della pianta del peperone

                                                                                                                                                                          La pianta del peperone presenta fusti eretti con foglie di color verde intenso, medio-grandi, lucide e lanceolate.

                                                                                                                                                                          I fiori sono piccoli, generalmente bianchi o bianco-verdastri (raramente violacei), e il frutto è una bacca in buona parte cava con epicarpo sottile, liscio e lucente, e mesocarpo ed endocarpo carnosi, più o meno succulenti o asciutti, con numerosi semi.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Coltivazione del peperone

                                                                                                                                                                          Il peperone è una pianta sensibile al freddo e per crescere ha bisogno di un clima temperato-caldo, di una posizione soleggiata (la temperatura ottimale varia dai 16 ai 28°C) ed è piuttosto sensibile alla carenza idrica.

                                                                                                                                                                          In Italia viene coltivato all’aperto da aprile/maggio fino all’inizio di novembre in Pianura Padana, periodo che diventa più lungo nelle regioni centrali e meridionali quali Sicilia, Puglia, Campania, Lazio e Calabria.
                                                                                                                                                                          Non viene però coltivato in zone collinari o in montagna.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          In commercio si trova tutto l’anno ricorrendo alla coltivazione in ambiente protetto (serra).

                                                                                                                                                                          Attualmente i maggiori produttori mondiali di peperone sono Cina, Turchia, Spagna, Romania, Nigeria e Messico.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Produzione dei peperoni

                                                                                                                                                                          La raccolta, per i peperoni da sott’aceto, viene ripetuta almeno due o tre volte alla settimana in modo tale da raccogliere le piccole capsule tenerissime.

                                                                                                                                                                          Dopo ogni raccolta (o entro 48 ore prima della raccolta successiva) è necessario annaffiare per dare agio al terreno di prosciugarsi in superficie. Si evita così il costipamento del terreno che è deleterio alla pianta.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Quando non hanno ancora raggiunto la completa maturazione, anche il peperone rosso e il peperone giallo presentano una colorazione verde; solo a maturazione avvenuta la buccia assume il colore proprio della varietà.

                                                                                                                                                                          I peperoni possono essere raccolti ancora leggermente acerbi, in questo caso presentano un gusto un po’ aspro, mentre se raccolti maturi sono dolci e aromatici.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Ultimata la raccolta, il prodotto viene trasferito ai magazzini di lavorazione dove viene selezionato e confezionato secondo le esigenze di mercato e la destinazione del prodotto. I peperoni destinati al mercato fresco possono essere conservati in frigorifero a 5-10 °C e con umidità relativa pari a 85-90% per alcuni mesi.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Stagionalità dei peperoni

                                                                                                                                                                          I peperoni si raccolgono nel periodo di giugno-ottobre anche se, per via delle coltivazioni in serra, sono reperibili sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione dei peperoni

                                                                                                                                                                          Il peperone fresco si riconosce per la presenza del picciolo attaccato, una buccia liscia e tesa di colore brillante, priva di macchie, e una polpa soda.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Il peperone non lavato può essere conservato in frigorifero nel comparto della verdura fresca per circa 4 giorni.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Questo ortaggio può essere anche conservato congelato, se intero e non pelato, oppure sott’olio o sott’aceto, se tagliato a fette e successivamente sbollentato o grigliato.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Il peperone rosso, giallo o verde può essere consumato crudo in insalate e in piatti di verdure o cotto saltato in padella, al forno o alla griglia.

                                                                                                                                                                          Con la cottura la biodisponibilità dei carotenoidi può aumentare resistendo alle alte temperature, e poiché l’aggiunta di olio extravergine di oliva incrementa l’assorbimento di questi composti, in quanto molecole liposolubili.

                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                          Le proposte di ricetta di FBO con i peperoni

                                                                                                                                                                          • • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                            • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                            • Navarro J. M., Flores P., Garrido C., Martinez V. (2006) “Changes in the contents of antioxidant compounds in pepper fruits at different ripening stages, as affected by salinity.”, Food Chemistry, vol. 96, pagg. 66-73.

                                                                                                                                                                            www.agraria.org

                                                                                                                                                                            www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                            www.gazzettaufficiale.it

                                                                                                                                                                            www.humanitas.it

                                                                                                                                                                            Parmigiano Reggiano DOP

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            parmigiano reggiano dop

                                                                                                                                                                            Parmigiano Reggiano DOP: cos’è e caratteristiche

                                                                                                                                                                            Il Parmigiano Reggiano D.O.P. è un formaggio semigrasso a pasta dura, cotta e a lenta maturazione, prodotto con latte crudo, parzialmente scremato, proveniente da vacche la cui alimentazione è costituita prevalentemente da foraggi della zona d’origine.

                                                                                                                                                                            Il latte utilizzato nella produzione di Parmigiano Reggiano non può essere precedentemente sottoposto a trattamenti termici e non è ammesso l’uso di additivi.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il Parmigiano Reggiano presenta delle caratteristiche specifiche: la forma di almeno 30 kg è cilindrica, con facce piane leggermente orlate e scalzo alto dai 20 ai 26 cm, leggermente convesso o quasi dritto. La crosta è di colore paglierino con uno spessore di circa 6 mm, mentre la pasta minutamente granulosa ha aroma fragrante e delicato.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            In commercio, date le grandi dimensioni della forma, è possibile trovare pezzi di Parmigiano Reggiano di diverse dimensioni che presentano ancora parte della crosta e generalmente sono confezionati sottovuoto.

                                                                                                                                                                            Sono diffuse anche confezioni di Parmigiano Reggiano, tagliato a cubetti pronti per il consumo, già privati della crosta.

                                                                                                                                                                            Si possono trovare inoltre buste di formaggio grattugiato che permettono di chiudere ermeticamente il prodotto, evitando in tal modo il contatto con l’umidità dell’ambiente esterno.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Proprietà nutrizionali del Parmigiano Reggiano DOP

                                                                                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali del parmigiano reggiano DOP

                                                                                                                                                                            Parmigiano Reggiano valori nutrizionali

                                                                                                                                                                            Il Parmigiano Reggiano è un formaggio a pasta dura e a lunga stagionatura che presenta solo il 30% di acqua.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            È ricco di proteine, con una buona composizione in aminoacidi essenziali, facilmente assimilabili per la presenza di enzimi che modificano la caseina e la rendono altamente digeribile.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            È privo di lattosio e ha un contenuto di grassi moderato, rispetto alla maggior parte degli altri formaggi stagionati, in quanto prodotto con latte parzialmente scremato.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Presenta inoltre un elevato contenuto di sali minerali, come calcio e fosforo, e di vitamine, come la vitamina A.

                                                                                                                                                                            L’elevato contenuto di sodio è dovuto all’utilizzo di grandi quantità di sale durante le diverse fasi di lavorazione del Parmigiano Reggiano.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Parmigiano Reggiano benefici

                                                                                                                                                                            Il parmigiano è costituito da proteine ad alto valore biologico, cioè formate da aminoacidi essenziali.

                                                                                                                                                                            Inoltre è anche composto da minerali come calcio, ferro, zinco e vitamine del gruppo B. Queste molecole contribuiscono a mantenere in salute il corpo. Nello specifico, il gruppo delle vitamine B e lo zinco partecipano alle reazioni del metabolismo, il calcio contribuisce a mantenere in salute le ossa e il ferro viene utilizzato per la produzione dei globuli rossi.

                                                                                                                                                                            Inoltre, sia le vitamine del gruppo B sia il ferro sia lo zinco, aumentano le difese immunitarie del corpo.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il parmigiano è privo di lattosio, caratteristica lo rende consumabile anche da parte di soggetti allergici o intolleranti a questo zucchero. Questo perché durante la stagionatura i microorganismi digeriscono il lattosio lasciando solo tracce nel prodotto finito.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La porzione standard consigliata è di circa 50 grammi.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Interazioni del Parmigiano Reggiano

                                                                                                                                                                            In generale i latticini possono interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Produzione e Tecnologia del Parmigiano Reggiano DOP

                                                                                                                                                                            Le zone di produzione del Parmigiano Reggiano DOP

                                                                                                                                                                            Il Parmigiano Reggiano è una tipologia di formaggio prodotta esclusivamente nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e parte delle province di Mantova e Bologna, tra il Po e il Reno.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La Denominazione di Origine Protetta (DOP) è stata riconosciuta il 12 giugno 1996, sebbene fosse un formaggio D.O.C dal 1952.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La materia prima

                                                                                                                                                                            Il latte utilizzato deve provenire da bovine perfettamente sane, la cui alimentazione è costituita da foraggi di prato, mentre sono assolutamente vietati i foraggi insilati.

                                                                                                                                                                            Ogni giorno il latte della mungitura serale viene lasciato riposare fino al mattino in ampie vasche, nelle quali affiora spontaneamente la frazione grassa, destinata alla produzione del burro.

                                                                                                                                                                            Il latte scremato viene poi versato, insieme al latte intero della mungitura del mattino, nelle tipiche caldaie di rame. A questo viene aggiunto caglio di vitello e il sieroinnesto, coltura naturale di fermenti lattici ottenuta dal siero residuo della lavorazione del giorno precedente.

                                                                                                                                                                            Alla temperatura di 33-35°C, il latte coagula in circa 10 minuti.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La cagliata ottenuta viene frammentata in minuscoli granuli grazie all’utilizzo di un attrezzo detto spino. A questo punto, si innalza in maniera graduale la temperatura fino ai 55°C.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Al termine della cottura i granuli precipitano sul fondo della caldaia formando un’unica massa che dopo circa 50 minuti viene estratta e trasferita in appositi contenitori per la formatura.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La formatura e la salatura

                                                                                                                                                                            Ogni forma viene contrassegnata con un numero unico e progressivo che l’accompagnerà, come una carta d’identità.

                                                                                                                                                                            Dopo poche ore, una speciale fascia marchiante incide sulla forma il mese e l’anno di produzione, il numero di matricola che contraddistingue il caseificio e l’inconfondibile scritta a puntini su tutta la circonferenza delle forme.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            A distanza di pochi giorni le forme vengono immerse in una soluzione satura di acqua e sale; la salatura avviene per assorbimento e dura circa un mese a una temperatura di 16-18°C.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La stagionatura

                                                                                                                                                                            Terminata la fase di produzione viene effettuata la stagionatura. Le forme di formaggio vengono lasciate riposare su tavole di legno e man mano la parte esterna del formaggio si asciuga formando una crosta naturale, senza trattamenti, perciò perfettamente edibile.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La stagionatura minima è di 12 mesi, ma può essere protratta fino a 24 mesi.

                                                                                                                                                                            È solo a quel punto che si potrà dire se ogni singola forma potrà conservare il nome che le è stato impresso, in quanto solo le forme perfette ricevono le marchiature previste dal consorzio.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il controllo qualità

                                                                                                                                                                            L’accertamento di qualità avviene mediante un attento esame da parte dell’esperto responsabile dei controlli, che opera utilizzando due semplici strumenti: il tradizionale martelletto e l’ago a vite.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Dopo la verifica, viene applicato il bollo a fuoco sulle forme che possiedono i requisiti della Denominazione d’Origine Protetta:

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            • Un bollino color aragosta caratterizza il Parmigiano Reggiano con oltre 18 mesi di stagionatura. E’ un prodotto che presenta una base lattica piuttosto accentuata, con note vegetali quali erba, fiori e frutta.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            • Un bollino argento individua il formaggio con una stagionatura di oltre 22 mesi, con aromi che si vanno decisamente accentuando. Tra questi si possono apprezzare note di frutta fresca e agrumi, oltre a aromi di frutta secca.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            • Un bollino oro, infine, rende riconoscibile il prodotto con oltre 30 mesi di stagionatura, il più deciso nel sapore e complesso negli aromi.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Stagionalità del Parmigiano Reggiano

                                                                                                                                                                            Il Parmigiano Reggiano è reperibile sul mercato italiano tutto l’anno.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Preparazione e Conservazione del Parmigiano Reggiano

                                                                                                                                                                            Per tagliare il Parmigiano Reggiano, si utilizza preferibilmente il tipico coltello con lama corta e appuntita, dalla forma a mandorla.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Per brevi periodi di tempo, può essere messo in esposizione a temperatura ambiente presso gli esercizi di vendita senza che subisca alterazioni, ma effettuato l’acquisto, è consigliato conservarlo in ambiente refrigerato.

                                                                                                                                                                            Il Parmigiano Reggiano preconfezionato sottovuoto può essere conservato in frigorifero ad una temperatura compresa fra i 4 e gli 8 °C. E’ importante assicurarsi che la confezione sia sigillata, integra, e non esposta all’aria.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il Parmigiano Reggiano mantiene intatte le sue caratteristiche organolettiche se conservato ad un livello di umidità ottimale e lontano da altri alimenti, in quanto tende ad assorbire altri odori; è consigliato quindi conservarlo in contenitori di vetro o plastica.

                                                                                                                                                                            Si consiglia invece di non congelare questo formaggio.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Ogni confezionatore si fa carico di indicare sulla confezione una data di utilizzo (detta TMC, Termine Minimo di Conservazione), preceduta dalla frase ”da consumarsi preferibilmente entro…” .

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Una volta aperta la confezione, o nel caso di acquisto di un pezzo di formaggio tagliato direttamente dalla forma, le indicazioni e i suggerimenti sul periodo di conservazione del Parmigiano Reggiano variano a seconda dell’umidità.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Per un formaggio un po’ più giovane (13-15 mesi) e quindi più ricco di umidità, la conservazione può essere di circa 15 giorni; oltre vi è il rischio che si sviluppi un po’ di muffa.

                                                                                                                                                                            Per un Parmigiano Reggiano di stagionatura classica (24 mesi e oltre) la conservazione è di circa un mese e se si nota sulla superficie della pasta un po’ di muffa, è possibile rimuoverla con un coltello.

                                                                                                                                                                            Pane

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            tipologie di pane

                                                                                                                                                                            Definizione di pane

                                                                                                                                                                            Il pane, secondo la legge n. 580 del 4/7/1967, è “il prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune”.

                                                                                                                                                                            In presenza di questi soli ingredienti il pane viene definito comune, mentre se vi sono altri ingredienti si parla di pane speciale.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Riconoscimenti DOP, IGP e STG del pane

                                                                                                                                                                            Con il Regolamento CE 1291/03 è stata attribuita la DOP (Denominazione di Origine Protetta) al “Pane di Altamura”, pane ottenuto dal rimacinato di semola di grano duro.

                                                                                                                                                                            La produzione deve avvenire nei Comuni di Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge (BA).

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Con il Regolamento CE 516/09 è stata assegnata la DOP anche alla “Pagnotta del Dittaino”, prodotta in alcuni comuni delle Province di Enna e Catania, ottenuta attraverso l’impiego della semola rimacinata di grano duro prodotta in questi territori.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Nel 2016 è avvenuto il riconoscimento DOP anche per il “Pane Toscano”, prodotto in tutto il territorio toscano ed ottenuto con l’impiego di lievito madre (o pasta acida), acqua e farina di grano tenero tipo “0”.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Sono state riconosciute anche diverse IGP (Indicazioni Geografiche Protette), come il “Pane di Matera”, il “Pane Casareccio di Genzano” e la “Coppia Ferrarese”.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Invece il “Pane di Segale” (o pane nero) ottenuto dalla sostituzione della farina di segale al posto di quella di frumento, ha ottenuto la certificazione STG (Specialità Tradizionale Garantita).

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            In commercio si trovano diverse tipologie di pane: tipo “0”, tipo “00” (o comune), integrale, di segale, di grano duro.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Proprietà nutrizionali del pane

                                                                                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali del pane tipo 0. pane tipo 00, pane integrale, pane di segale e pane di grano duro
                                                                                                                                                                            Tabella con i valori nutrizionali di diverse tipologie di pane: tipo 0. tipo 00, integrale, segale e grano duro.

                                                                                                                                                                            Valori nutrizionali di diverse tipologie di pane (tipo 0, 00, integrale, segale e grano duro)

                                                                                                                                                                            Le diverse tipologie di pane vengono prodotte con diversi tipi di farina. Le farine di “tipo 00” e di tipo “0” sono ottenute dal grano tenero con un processo di raffinazione e caratterizzate da un elevato contenuto di carboidrati, presenti principalmente sotto forma di amido, ed un ridotto apporto di fibra.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La farina di “tipo 00” è la tipologia di farina con il maggior grado di raffinazione; presenta un colore bianchissimo ed è la più facilmente lavorabile.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La farina “integrale” invece presenta un colore scuro in quanto viene prodotta macinando tutto il chicco del grano tenero. Infatti il pane prodotto con farina “integrale”, rispetto al pane prodotto con farina di tipo “0” o “00”, risulta più ricco di lipidi e fibra, mantenendo sempre un buon apporto di carboidrati e proteine.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La farina di “segale” da sola, o mescolata a farina di grano di grano tenero, porta alla produzione del pane di “segale” (noto anche come “pane nero”) che è riconoscibile, rispetto al pane comune, per il suo tipico colore bruno.

                                                                                                                                                                            Questo pane presenta un buon apporto di proteine, lipidi e fibra.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La farina di “grano duro” presenta, rispetto a quella di grano tenero, un più alto contenuto di proteine, lipidi e fibra.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il nutriente principale del pane è rappresentato dai carboidrati (circa il 58%), presenti soprattutto sotto forma di amido, ma sono presenti anche disaccaridi (maltosio) e monosaccaridi (glucosio).

                                                                                                                                                                            Questo alimento è anche una buona fonte proteica (circa il 9%), mentre il contenuto lipidico è limitato (intorno all’1%).

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Benefici del consumo delle diverse tipologie di pane

                                                                                                                                                                            Il pane ha un alto potere saziante e ha un buon contenuto di carboidrati.

                                                                                                                                                                            Dai carboidrati, dopo una serie di processi metabolici, si ottiene il glucosio che è una molecola utilizzata da organi del corpo, come il cervello e i muscoli, per ottenere energia.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Un’altra caratteristica del pane è che è privo di colesterolo. Quest’ ultima informazione è utile soprattutto ai soggetti con problemi cardiovascolari.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il pane integrale è più ricco in fibra rispetto al pane bianco e per questo motivo è indicato ad essere consumato soprattutto da parte di soggetti che hanno problemi di stitichezza.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La porzione di consumo consigliata è di 50 grammi che corrisponde a un panino piccolo (come la rosetta o la michetta vuote) oppure a mezza ciabattina.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il consumo di pane integrale tostato può essere utile per contrastare la gastrite e la sensazione di nausea e vomito.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Interazioni del pane

                                                                                                                                                                            Devono prestare attenzione al consumo di pane i soggetti diabetici e, se le farine utilizzate per produrre il pane contengono glutine, i soggetti intolleranti al glutine o celiaci.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Produzione e Tecnologia delle diverse tipologie di pane

                                                                                                                                                                            Produzione del pane: il processo di panificazione

                                                                                                                                                                            La produzione di pane è un processo discontinuo, in quanto le diverse fasi di lavorazione (impastamento, lievitazione e cottura) sono condotte su quantità discrete di materiale e in impianti separati.

                                                                                                                                                                            In un impasto per panificazione gli ingredienti base sono: la farina, l’acqua, il lievito e il sale.

                                                                                                                                                                            La farina è l’elemento strutturante nelle fasi di impastamento, lievitazione e cottura.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Fase I: l’impastamento

                                                                                                                                                                            La prima tappa del processo di panificazione, al quale sono collegati fenomeni fisici e chimici, è l’impastamento.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            In questa fase vengono miscelate acqua e farina permettendo la formazione di una pasta liscia, omogenea, tenace e viscoelastica.

                                                                                                                                                                            L’acqua viene aggiunta in dosi variabili a seconda del tipo di pane e del metodo di lavorazione.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Durante l’impastamento, a seguito dell’aggiunta di acqua, si ha la formazione della maglia glutinica, un complesso proteico che, idratandosi, forma una struttura molto elastica.

                                                                                                                                                                            L’azione dell’acqua non si limita alla formazione della maglia glutinica: essa regola le attività enzimatiche, idrata i granuli d’amido durante la cottura ed esplica un’azione solvente per gli altri ingredienti.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Le funzioni del sale sono essenzialmente sensoriali e secondariamente strutturali, per la sua capacità di incrementare la forza dell’impasto a causa dei legami salini con le proteine del glutine.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            L’aggiunta di altri ingredienti, oltre quelli di base, può avere una funzione organolettica o tecnologica e generalmente mira a migliorare la qualità del prodotto oppure a renderlo più appetibile per il consumatore.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Fase II: la lievitazione

                                                                                                                                                                            La fase successiva di lievitazione comprende due tappe:

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            • dalla fine del mescolamento fino alla formatura degli impasti abbiamo la fermentazione primaria,
                                                                                                                                                                            • mentre dalla formatura degli impasti fino alla messa in forno abbiamo la fermentazione secondaria.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            L’impasto è sottoposto alla fermentazione grazie all’aggiunta del lievito (Saccharomyces cerevisiae), normalmente usato in panificazione nella misura del 2% del peso della farina.

                                                                                                                                                                            In assenza o quasi di ossigeno i lieviti, per mantenersi in attività, utilizzano gli zuccheri per produrre energia, trasformando il glucosio in etanolo e in anidride carbonica.

                                                                                                                                                                            I gas che si formano determinano lo sviluppo dell’impasto e l’aumento del volume, mentre l’alcool evaporerà dopo la messa in forno.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            In seguito, per conferire al prodotto la forma desiderata, si passa alla formatura, che può essere condotta manualmente o in forma meccanizzata e che consiste nella messa in forma della pasta.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Dopo la formatura, la pasta viene lasciata riposare per un ulteriore periodo, durante il quale avviene la seconda fase di lievitazione.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Fase III: la cottura

                                                                                                                                                                            L’operazione conclusiva è rappresentata dalla cottura, condotta in forno generalmente a una temperatura intorno ai 250° C, per tempi proporzionali alla pezzatura del prodotto.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Durante la cottura il volume del pane aumenta per dilatazione dei gas contenuti negli alveoli, dapprima drasticamente e poi progressivamente in seguito all’accelerazione della fermentazione, finché gli enzimi dei lieviti sono inattivati dal calore.

                                                                                                                                                                            In questa fase si verifica l’evaporazione dell’acqua e dell’alcool formatosi nella fermentazione.

                                                                                                                                                                            La temperatura interna del pane raggiunge i 90°C, mentre quella esterna della crosta raggiunge i 250° C; all’interno dell’impasto la temperatura più bassa rende l’amido collante formando la mollica.

                                                                                                                                                                            Contemporaneamente si sviluppano le reazioni di Maillard che conferiscono il colore caratteristico della crosta, accompagnate dalla produzione di composti volatili responsabili dell’aroma del pane.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il trasudamento interessa il periodo compreso tra l’uscita dal forno e il raffreddamento durante il quale il pane è soggetto a una diminuzione del suo peso, variabile dal 2% al 5%, a causa della perdita d’acqua sotto forma di vapore acqueo.

                                                                                                                                                                            Secondo la legge n 580 del 4/7/1967 il contenuto in acqua del pane a cottura completa è stabilito in base alla pezzatura.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Tipologie di pane DOP e IGP in commercio

                                                                                                                                                                            In relazione ai diversi pani con marchio di tipicità, in commercio il “Pane di Altamura” (DOP) si presenta sotto due forme tradizionali: la prima è una pagnotta nella tradizionale forma accavallata con baciature ai fianchi, l’altra è più bassa e non presenta baciature.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La “Pagnotta del Dittaino” (DOP) si trova in commercio nella tradizionale forma rotonda con una pezzatura compresa tra 500 e 1.100 grammi.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il “Pane Toscano” (DOP) può presentare diverse pezzature. Il profumo è quello di nocciola tostata, mentre il sapore è definito “sciocco”, cioè privo di sale e leggermente acidulo.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il “Pane di Matera” (IGP) commercialmente presenta una forma a cornetto oppure a pane alto.

                                                                                                                                                                            Per poter mantenere integre ed inalterate le caratteristiche tipiche è necessario confezionare il pane con un microforato plastico, in parte colorato ed in parte trasparente per dare visibilità al prodotto, o con carta multistrato finestrata, che garantisce al pane la conservabilità per almeno una settimana.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il “Pane Casareccio di Genzano” (IGP) in commercio si trova in forma di pagnotta con “baciatura ai fianchi”, o di filoni rotondi e lunghi; la mollica, che si conserva a lungo, appare soffice e spugnosa.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            La “Coppia Ferrarese” (IGP) invece è formata da due pezzi di pasta uniti, con forma di nastro nella parte centrale, ciascuno con le estremità ritorte in modo da formare un ventaglio di quattro corna, le cui estremità sono dette crostini.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Preparazione e Conservazione del pane

                                                                                                                                                                            I formati più grandi di pane come le pagnotte, specie se realizzate con lievito madre, si conservano meglio rispetto ai panini più piccoli e croccanti. Quest’ultimi infatti tendono a perdere la loro fragranza più facilmente.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Per conservare il pane è bene tenerlo in un luogo fresco e asciutto, a temperatura ambiente, al riparo da fonti di calore e dai raggi del sole. Può essere importante mantenere integro il sacchetto di carta in cui è confezionato il pane.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Il pane che non viene consumato in giornata può anche essere congelato; il congelamento però può alterare la consistenza della mollica rendendo il pane più friabile.

                                                                                                                                                                            Una soluzione può essere quella di scongelare il pane in forno, o nel tostapane, per renderlo più gradevole e croccante.

                                                                                                                                                                            In ogni caso, oltre i 3 mesi, il pane perde le sue caratteristiche originali.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            Non è consigliabile invece posizionare il pane in frigorifero in quanto in relazione ai fenomeni di condensa il pane ammuffirebbe velocemente.

                                                                                                                                                                            • • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                              eur-lex.europa.eu

                                                                                                                                                                              • Fadda C. (2009) “Pani tradizionali prodotti con pasta acida: valutazione delle caratteristiche tecnologiche degli impasti, delle caratteristiche di texture del prodotto finito e cambiamenti durante la conservazione”, tesi di dottorato, Università degli Studi di Sassari.

                                                                                                                                                                              • Galli Volonterio A. (2009) “Microbiologia degli Alimenti”, Casa editrice Ambrosiana.

                                                                                                                                                                              • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                              www.agraria.org

                                                                                                                                                                              www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                              www.gazzettaufficiale.it

                                                                                                                                                                              www.humanitas.it

                                                                                                                                                                              Orzo

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              orzo perlato

                                                                                                                                                                              Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)

                                                                                                                                                                              Genere: Hordeum

                                                                                                                                                                              Specie: Hordeum vulgare L.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Storia dell’orzo

                                                                                                                                                                              L’orzo è un cereale appartenente alla famiglia delle Graminacee coltivato in Medio Oriente già nel VII millennio a.C., da cui si diffuse in tutto il mondo.

                                                                                                                                                                              L’orzo, per la sua grande capacità di adattamento ai vari climi, è una delle piante più diffuse al mondo, infatti è il quarto cereale per produzione dopo frumento, riso e mais.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              La parte d’uso alimentare dell’orzo è la cariosside avvolta esternamente da due glumelle.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Si parla di orzo “vestito” quando le glumelle sono intimamente attaccate alla cariosside, “nudo” quando si liberano facilmente di queste parti durante la trebbiatura.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              La struttura anatomica della cariosside è sostanzialmente simile per tutti i cereali e si possono distinguere tre parti:

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              • il pericarpo, che ha una funzione protettiva,
                                                                                                                                                                              • l’endosperma amilaceo o mandorla farinosa, parte preponderante,
                                                                                                                                                                              • e il germe o embrione, parte più interna, che presenta un’elevata concentrazione di nutrienti.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Le tipologie di orzo che si trovano in commercio sono: orzo perlato, orzo integrale o mondo, orzo decorticato e la farina d’orzo.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Proprietà nutrizionali dell’orzo

                                                                                                                                                                              tabella con i valori nutrizionali dell'orzo perlato e della farina d'orzo
                                                                                                                                                                              Tabella con i valori nutrizionali dell’orzo perlato e della farina d’orzo.

                                                                                                                                                                              Valori nutrizionali dell’orzo e della farina d’orzo

                                                                                                                                                                              L’orzo fornisce un grande apporto di carboidrati (circa il 70%) e, in misura minore, di proteine (circa il 10%). I carboidrati sono rappresentati da amido.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Dalla tabella si può notare anche come l’orzo sia una buona fonte di fosforo e potassio.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              L’orzo si distingue dagli altri cereali per un significativo contenuto nella cariosside di fibra solubile, la cui componente principale è rappresentata dai β-glucani.

                                                                                                                                                                              I β-glucani sono polisaccaridi lineari costituiti da molecole di glucosio unite attraverso legami glicosidici β-(1-3) e β-(1-4), che, per la loro struttura chimica e la loro natura solubile, hanno effetti funzionali molto importanti.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              La farina d’orzo, rispetto all’orzo, presenta un contenuto maggiore di vitamine e sali minerali; rimane invece simile il quantitativo di proteine e di lipidi mentre si registra un leggero incremento del contenuto in fibra.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Benefici dell’orzo

                                                                                                                                                                              L’orzo è un alimento con una buona quantità di micronutrienti (minerali e vitamine) che apportano benefici all’organismo, inoltre gode di proprietà sazianti, antinfiammatorie, emollienti e riduce problemi cardiovascolari contribuendo a regolare i livelli del colesterolo.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Tra i minerali maggiormente presenti troviamo il potassio, il fosforo e il magnesio: il primo contribuisce a regolare la pressione arteriosa, il secondo favorisce la salute delle ossa e dei denti, mentre il terzo partecipa a molte reazioni cellulari ed è utilizzato per la produzione di energia del metabolismo.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Tra le vitamine invece sono presenti quelle del gruppo B che favoriscono il buon funzionamento del metabolismo e la vitamina K che è implicata nei processi della coagulazione.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              La porzione giornaliera standard è 80 grammi che corrisponde circa a 4 cucchiai di orzo.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Una porzione di orzo perlato contiene 7,3 g di fibra, coprendo circa un quarto della dose di fibra raccomandata per la popolazione adulta (fissata a 25 g), mantenendo anche un buon contenuto di beta-glucani.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Inoltre il consumo di questo cereale può essere utile per contrastare la diarrea e la gastrite; se semiintegrale per contrastare il gonfiore addominale.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Produzione e Tecnologia dell’orzo

                                                                                                                                                                              Coltivazione dell’orzo

                                                                                                                                                                              L’orzo è il cereale che meglio si adatta ai vari climi in quanto ha scarse esigenze idriche, una grande velocità di sviluppo e tollera le alte temperature.

                                                                                                                                                                              L’orzo però è meno resistente al freddo del frumento per cui la semina, nell’Italia settentrionale, viene fatta a marzo; può essere effettuata in autunno solo per le varietà resistenti al freddo.

                                                                                                                                                                              In Italia centrale e meridionale la semina viene condotta solitamente in autunno.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Produzione di orzo perlato, orzo integrale (o mondo), orzo decorticato e farina d’orzo

                                                                                                                                                                              In commercio si trovano tre tipologie di orzo: perlato, integrale o mondo e decorticato.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              L’orzo perlato subisce un processo di raffinazione, simile alla sbiancatura del riso, che allontana le glume e glumelle di rivestimento ed una porzione del pericarpo.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              L’orzo integrale o mondo è spogliato soltanto delle glumelle esterne risultando in questo modo più ricco di carboidrati, fibre, minerali, vitamine del gruppo B e di proteine.

                                                                                                                                                                              All’esame organolettico si presenta più scuro e con un gusto diverso.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              L’orzo decorticato è una via di mezzo tra l’orzo mondo e quello perlato, nel quale vengono eliminate solo alcune parti esterne; conserva perciò buone caratteristiche nutrizionali, contenendo più fibre, sali minerali, vitamine, e meno calorie.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              In commercio si trova anche la farina d’orzo, ottenuta dalla macinazione dell’orzo con un processo tecnologico simile a quello degli altri cereali.

                                                                                                                                                                              La farina d’orzo viene usata non solo per la preparazione di prodotti da forno dolci e salati, ma anche per quella della pasta. Per la panificazione si usa in genere in miscela ad altre farine, in particolare di frumento.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              L’orzo, nella forma tostata e macinata, trova il suo impiego come surrogato del caffè.

                                                                                                                                                                              I fiocchi d’orzo invece, ottenuti dai semi schiacciati e sottoposti a riscaldamento, possono arricchire minestre, zuppe oppure si possono aggiungere allo yogurt.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Stagionalità dell’orzo

                                                                                                                                                                              L’orzo è disponibile sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Preparazione e Conservazione dell’orzo

                                                                                                                                                                              Le modalità consigliabili per cuocere l’orzo sono la bollitura e la cottura al vapore o in una pentola a pressione. L’orzo, gonfiandosi molto durante la cottura ed avendo una notevole quantità di fibre, consente di preparare zuppe e minestre molto sazianti.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Devono essere seguiti differenti tempi di ammollo e cottura secondo la varietà di orzo.

                                                                                                                                                                              L’orzo integrale o mondo va posto in ammollo per 24 ore, la cottura del cereale richiede un’ora e mezza circa.

                                                                                                                                                                              L’orzo decorticato, dopo l’ammollo per una notte, viene cotto per 45 minuti circa. La quantità di acqua utilizzata per l’ammollo è pari a una parte di orzo per tre parti di acqua, mentre nelle zuppe è richiesto un apporto maggiore di acqua e tempi di cottura più prolungati.

                                                                                                                                                                              L’orzo perlato invece richiede un tempo di cottura di 30-40 minuti circa e cuoce bene anche senza ammollo.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Nella pentola a pressione i tempi si riducono: 50 minuti per l’orzo mondo, 40 per il decorticato, 30 per il perlato.

                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                              Le proposte di ricetta di FBO con l’orzo

                                                                                                                                                                              • • Baik B.-K., Ullrich S.E. (2008), “Barley for food: characteristics, improvement, and renewed interest”, Journal of Cereal Science 48: 233-242.

                                                                                                                                                                                • Bonoli M., Verardo V., Marconi E., Caboni M. F. (2004) “Antioxidant Phenols in Barley (Hordeum vulgare L.) Flour: Comparative Spectrophotometric Study among Extraction Methods of Free and Bound Phenolic Compounds”, Journal of Agricultural and Food Chemistry 52, 5195-5200.

                                                                                                                                                                                • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                • Marconi E. (2012) “Alimenti funzionali e cereali”, Università degli Studi del Molise, Inaugurazione Anno Accademico 2012-2013.

                                                                                                                                                                                • Panfili G., Fratianni A., Di Criscio T., Marconi E. (2008) “Tocol and β-glucan levels in barley varieties and in pearling by-products”, Food Chemistry 107, 84-91.

                                                                                                                                                                                • Sullivan P., Arendt E., Gallagher E. (2013) “The increasing use of barley and barley by-products in the production of healthier baked goods”, Trends in Food Science & Technology 29, 124-134.

                                                                                                                                                                                http://nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                www.aicr.org

                                                                                                                                                                                www.agraria.org

                                                                                                                                                                                www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                Olio Extravergine di oliva

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                olio EVO

                                                                                                                                                                                Definizione e Tipologie di oli

                                                                                                                                                                                L’olio extravergine di oliva si ricava dai frutti dell’olivo (Olea europaea L) e ad oggi i maggiori produttori di olio di oliva sono Italia e Spagna.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Esistono tre tipologie di oli ottenuti da olive:

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                • i primi sono ottenuti con mezzi meccanici e comprendono le categorie di olio “extra vergine” e “vergine” di oliva che sono direttamente commestibili e olio “lampante” destinato al processo di raffinazione in quanto non direttamente commestibile.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                • Nella seconda tipologia si trova l’olio di oliva raffinato, ottenuto dall’olio lampante e che, dopo aver subito una serie di trattamenti chimico-fisici, viene miscelato a quantità variabili di oli vergini per essere commercializzato con la denominazione “olio di oliva”.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                • Terza tipologia sono gli oli estratti dalla “sansa”, residuo solido derivante dalla lavorazione delle olive da cui l’olio è estratto tramite solventi e successivamente sottoposto al processo di raffinazione, vengono quindi miscelati a una quantità variabile di olio vergine prendendo la denominazione commerciale di “olio di sansa di oliva”.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Riconoscimenti DOP e IGP dell’olio EVO

                                                                                                                                                                                Molte zone produttrici di olio extravergine di oliva (EVO) hanno ottenuto la DOP (Denominazione di Origine protetta), quali ad esempio Puglia, Sicilia, Sardegna, Calabria e Lazio.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Esistono anche delle IGP (Indicazione Geografica Protetta) come quella riconosciuta all’ ”olio toscano” che è anche il prodotto oleario con il maggior numero di operatori e la più ampia superficie coltivata.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Proprietà nutrizionali dell’olio EVO

                                                                                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali dell'olio extravergine di oliva

                                                                                                                                                                                Olio extravergine di oliva valori nutrizionali

                                                                                                                                                                                L’olio extravergine di oliva è una fonte eccellente di acido oleico, un acido grasso monoinsaturo (C 18:1), con livelli presenti (70 – 80%) anche quattro volte superiori rispetto a quelli di altre tipologie di oli di semi.

                                                                                                                                                                                La composizione in acidi grassi è influenzata dalle condizioni climatiche e dalla varietà, infatti nelle zone con clima caldo l’olio presenta valori di acido oleico inferiore rispetto a quelli provenienti da zone a clima più freddo.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Nell’olio extra vergine di oliva è presente anche una certa quantità di acidi grassi polinsaturi, in particolare l’acido linoleico (ω-6) intorno al 7%, acidi grassi essenziali che l’uomo non è in grado di sintetizzare e può assumere solo attraverso la dieta, indispensabili per il funzionamento dell’organismo.

                                                                                                                                                                                Risulta invece moderato l’apporto degli acidi grassi saturi.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Tra i costituenti minori dell’olio d’oliva, rientrano circa 220 sostanze; alcune di esse conferiscono note aromatiche all’olio, altre sono antiossidanti naturali che conferiscono al prodotto resistenza all’invecchiamento e ai processi ossidativi. Si tratta di sostanze importanti perché coinvolte in numerosi processi biochimici e fisiologici.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Nell’olio si ha la presenza di tocoferoli, noti anche come vitamina E (circa 150-300 mg/kg di olio), di cui il più abbondante è l’α-tocoferolo, molecola a maggiore attività biologica e maggior potere antiossidante.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Inoltre gli oli di oliva vergine ed extra-vergine sono gli unici grassi vegetali che contengono naturalmente quantità apprezzabili (50-500 mg/kg) di sostanze polifenoliche.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Diversi studi condotti hanno evidenziato l’importante ruolo che queste due classi di composti ad attività antiossidante svolgono sulla stabilità dell’olio d’oliva, intesa come resistenza nel tempo all’ossidazione.

                                                                                                                                                                                È stata inoltre evidenziata anche l’azione sinergica tra polifenoli e α-tocoferoli (vitamina E) sulla stabilità dell’olio d’oliva vergine. Durante l’invecchiamento però si osserva una diminuzione del contenuto di queste due classi per cui è consigliabile un acquisto di olio dell’annata più recente.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Caratteristiche dell’olio EVO: il gusto e l’aroma

                                                                                                                                                                                La sensazione gustativa tipica dell’olio extravergine deriva dalla presenza di molecole aromatiche e di polifenoli; ad esempio la spiccata nota amara è tipica dell’oleuropeina, il gusto piccante dell’oleocantale.

                                                                                                                                                                                La percezione di queste note aromatiche non rappresenta un difetto, è anzi indice della qualità dell’olio. Infatti i vari prodotti di degradazione, quali idrossitirosolo e tirosolo, non possiedono né sapore amaro né piccante e ciò spiega il cambiamento di sapore dell’olio nel tempo.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Caratteristiche dell’olio EVO: la colorazione

                                                                                                                                                                                Il colore dell’olio extravergine di oliva invece è dovuto alla presenza di pigmenti liposolubili quali i carotenoidi, che conferiscono il colore giallo come xantofille, luteoxantina, β-carotene e luteina, e le clorofille, caratterizzate da colore verde.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                La quantità totale di questi pigmenti dipende dalla varietà, dal grado di maturazione, dalla durata di conservazione dei frutti, dal metodo di estrazione e dalle condizioni di stoccaggio dell’olio.

                                                                                                                                                                                La colorazione di un olio extravergine va quindi dal verde vivace fino al giallo.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Olio extravergine di oliva benefici

                                                                                                                                                                                L’olio EVO contiene molte molecole antiossidanti che influiscono positivamente sulla salute dell’organismo.

                                                                                                                                                                                Diversi studi, inoltre, hanno dimostrato gli effetti positivi di questo olio: sembra infatti migliorare il profilo lipidico, diminuendo l’ossidazione delle LDL del colesterolo, e la risposta degli zuccheri e dell’insulina.

                                                                                                                                                                                Alcuni studi hanno provato che l’oleocantale va ad agisce sugli stessi target molecolari di alcuni farmaci antinfiammatori.

                                                                                                                                                                                L’olio extravergine di oliva sembra avere anche un effetto antibatterico e sembra ridurre alcune forme tumorali, soprattutto a livello intestinale.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                La porzione standard consigliata è 10 grammi di olio extravergine di oliva, che corrispondono a un cucchiaio.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Produzione e Tecnologia dell’olio EVO

                                                                                                                                                                                Coltivazione dell’olivo

                                                                                                                                                                                In Italia si possono distinguere tre diverse zone di coltivazione dell’olivo in base alle differenti condizioni climatiche.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                • La prima comprende le regioni meridionali e le isole dove la coltura è estesa in quanto le condizioni climatiche sono più favorevoli. Tra di esse la Puglia è la regione a maggior produzione (fornisce infatti quasi la metà della produzione italiana), seguita da Calabria e Sicilia.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                • La seconda zona è costituita dalle regioni centro-meridionali (Lazio, Abruzzo, Campania e Molise),

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                • la terza è rappresentata dalle regioni centro-settentrionali (Veneto, Liguria, Romagna) dove la resa è inferiore in quanto il clima è meno favorevole.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Caratteri botanici dell’olivo

                                                                                                                                                                                L’olivo è un albero incline all’alternanza di produzione: l’annata con fruttificazione abbondante è seguita da un’annata con una scarsa produzione di frutti.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Il frutto dell’olivo è una drupa le cui dimensioni e forma dipendono dalla cultivar e dalle condizioni di coltura.

                                                                                                                                                                                Le drupe, nelle varietà precoci, maturano in ottobre, o tra dicembre e gennaio in quelle medio-tardive.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Con il procedere della maturazione dei frutti il colore cambia, passando dal verde intenso al giallo fino al rosso-vinoso o nero corvino che caratterizza la maturazione completa. Questa progressiva colorazione è la conseguenza dell’accumulo di antociani in seguito alla graduale scomparsa delle clorofille.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Produzione dell’olio extravergine di oliva

                                                                                                                                                                                La raccolta viene fatta, a seconda delle regioni, da fine ottobre a gennaio-febbraio (in alcune zone a clima più mite anche fino al mese di marzo) quando si è nel periodo di piena maturazione delle olive con il massimo contenuto di olio ottenibile. La raccolta delle olive può essere effettuata manualmente o meccanicamente.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Le olive vengono trasportate al frantoio per la successiva lavorazione, entro massimo 2-5 giorni dalla raccolta. Vengono quindi posizionate in modo stratificato su graticci, e conservate in un luogo ben ventilato e fresco con una temperatura ottimale di 8-10°C.

                                                                                                                                                                                Più è breve il periodo di immagazzinamento, migliore risulterà la qualità dell’olio.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                L’estrazione dell’olio dalle olive

                                                                                                                                                                                Per poter estrarre l’olio dalle olive bisogna effettuare una serie di operazioni: defogliazione e lavaggio, frangitura, gramolazione ed estrazione.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                La prima fase consiste nell’eliminazione, mediante macchine automatiche, di foglie, terriccio e rametti e nel lavaggio delle olive in una vasca a circolazione forzata dell’acqua.

                                                                                                                                                                                In seguito si esegue la frangitura, operazione che ha lo scopo di rompere le cellule della polpa determinando la fuoriuscita dell’olio.

                                                                                                                                                                                Questa fase potrebbe presentare un problematica, ovvero il surriscaldamento della pasta.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                L’operazione si effettua con due diverse tipologie di attrezzatura: il frantoio a molazze e il frangitore metallico.

                                                                                                                                                                                – Il primo prevede lo schiacciamento del frutto e il rimescolamento della pasta senza conferire alle olive un’eccessiva sollecitazione meccanica.

                                                                                                                                                                                – Il frangitore metallico invece può essere a martelli, a cilindri o a dischi e ha il vantaggio di condurre l’operazione di molitura delle olive in modo continuato e di essere meno costoso ed ingombrante del frantoio a molazze.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                La successiva gramolazione, condotta con le gramolatrici, crea un movimento lento e continuo dell’impasto con l’obiettivo di incrementare la quantità di olio “libero”, favorendo la formazione di gocce d’olio di maggiori dimensioni e la rottura dell’emulsione olio/acqua.

                                                                                                                                                                                Durante questa operazione, aumentando la temperatura e il tempo di gramolazione, aumenta la resa ma il contenuto di polifenoli può diminuire per possibili fenomeni ossidativi, con effetto sulla qualità dell’olio e sulla sua conservabilità.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Infine l’olio viene separato mediante diversi metodi meccanici:

                                                                                                                                                                                pressione,

                                                                                                                                                                                centrifugazione, che per la separazione sfrutta la differenza tra i pesi specifici dei liquidi e del materiale solido,

                                                                                                                                                                                percolamento, che si basa sulla differenza di tensione superficiale tra olio e acqua.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Caratteristiche commerciali dell’olio EVO

                                                                                                                                                                                La normativa europea, con il Regolamento CEE n. 2568/91 (e successivo aggiornamento Reg CE 1513/2001), ha stabilito gli standard qualitativi minimi per poter commercializzare un olio di oliva con la dicitura “Olio Extra Vergine”.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Per avere tale denominazione, l’olio deve essere ottenuto dall’oliva tramite un processo che comprende soli metodi meccanici a freddo, ossia a temperature controllate inferiori a 28°C, in modo da non alterarlo, e con una acidità libera, espressa in acido oleico, che non deve superare lo 0,8%.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                La dicitura extravergine può essere attribuita solo all’olio che si ottiene dalla prima pressione delle olive e che quindi non abbia subito un processo di raffinazione o di estrazione mediante solventi, alte temperature o che sia stato miscelato con oli di altro tipo.

                                                                                                                                                                                Deve inoltre dimostrarsi privo di difetti all’esame organolettico.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Preparazione e Conservazione dell’olio EVO

                                                                                                                                                                                L’olio extravergine di oliva esposto al calore, all’aria e alla luce è soggetto a irrancidimento.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Per questo si consiglia di conservarlo in contenitori di vetro scuro, ben sigillati per evitare l’ossidazione e la degradazione di sostanze quali polifenoli e vitamina E.

                                                                                                                                                                                Si raccomanda anche di tenerlo lontano da fonti di calore, preferibile un luogo fresco, buio ed asciutto.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Importante ricordare che scaldando l’olio in padella a lungo, si assiste all’ossidazione e alla perdita, per azione del calore, della vitamina E.

                                                                                                                                                                                Bisognerebbe pertanto evitare di scaldare l’olio per troppo tempo e, prediligere invece cotture rapide con olio ben caldo. Per i soffritti è consigliabile aggiungere un filo d’acqua in modo da evitare che la temperatura dell’olio aumenti troppo.

                                                                                                                                                                                L’utilizzo ottimale sarebbe quello di aggiungere l’olio a cottura ultimata in modo tale da non degradare i composti in esso presenti.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Gli oli ricchi di acido oleico (e quindi in particolare l’olio di oliva) sono più resistenti alle alte temperature e, in fase di cottura, risultano più stabili sviluppando un quantitativo inferiore di composti di ossidazione problematici per la salute rispetto a quello sviluppato da oli più instabili (come gli oli di semi).

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Sebbene l’olio d’oliva rappresenti un alimento ricco di benefici per la salute, rimane pur sempre molto calorico (apporta 900 kcal per 100 g di prodotto), ed è perciò consigliabile utilizzare dei cucchiai per dosare l’olio, in modo da rendersi conto dell’utilizzo che se ne fa.

                                                                                                                                                                                Noce

                                                                                                                                                                                varietà di noci

                                                                                                                                                                                Famiglia: Juglandaceae  

                                                                                                                                                                                Genere: Juglans

                                                                                                                                                                                Specie: Juglans regia

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Storia del noce

                                                                                                                                                                                Il noce è una pianta da frutto molto diffusa sul territorio italiano in quanto oltre a produrre noci che vengono consumate come frutta secca, è conosciuta e apprezzata anche per il suo legno ricercato e prezioso.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Originario dell’Asia sud-occidentale, è stato introdotto in Europa in epoca antichissima per i suoi frutti eduli.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Varietà di noci

                                                                                                                                                                                Esistono molte varietà di noci, ma le più diffuse sono: Sorrento, Franquette e Hartley.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                La prima varietà di noci è quella più diffusa sul territorio italiano. Produce noci di buona qualità e di forma ovale.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                La varietà Franquette viene coltivata nelle zone più fredde per il suo bisogno di temperature basse.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Infine la varietà di noci Hartley è in grado di adattarsi sia alle condizioni climatiche dei paesi del nord che a quelle del sud e produce frutti di forma subovale di ottima qualità.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Proprietà nutrizionali della noce

                                                                                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali della noce fresca e della noce secca
                                                                                                                                                                                Tabella con i valori nutrizionali della noce fresca e della noce secca.

                                                                                                                                                                                Valori nutrizionali della noce fresca e secca

                                                                                                                                                                                La noce è formata da un guscio legnoso contenente il gheriglio che rappresenta la parte edibile del frutto.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                È altamente energetica in quanto costituita per circa il 60% da lipidi.

                                                                                                                                                                                I grassi delle noci sono prevalentemente acidi grassi polinsaturi come l’acido linoleico e l’acido α-linolenico, appartenenti rispettivamente alla classe degli omega-6 e omega-3. Questi acidi grassi sono fondamentali per il corretto funzionamento dell’organismo umano e sono definiti essenziali in quanto il nostro corpo non è in grado di sintetizzarli e devono quindi essere introdotti con la dieta.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Le noci sono anche una buone fonte di proteine e di aminoacidi essenziali, come arginina.

                                                                                                                                                                                Presentano inoltre un buon contenuto di fibra.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Questi frutti a guscio contengono inoltre sali minerali come potassio, fosforo, magnesio e zinco, vitamina E e vitamine del gruppo B.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Benefici della noce

                                                                                                                                                                                Le noci godono di innumerevoli benefici: aiutano la salute cardiovascolare diminuendo la quantità di colesterolo cattivo LDL, agiscono a livello dei vasi sanguigni migliorandone il tono, riducono le molecole infiammatorie e quindi si comportano come alimenti anti-infiammatori, agiscono preventivamente nel contrastare l’insorgenza di alcune patologie come la sindrome metabolica, il diabete di tipo 2 e i tumori. Inoltre questi frutti migliorano le capacità cognitive e favoriscono un buon riposo.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Le noci, in particolare, possiedono proprietà antiossidanti, ovvero proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, composti reattivi dell’ossigeno che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                La porzione di consumo consigliata per la frutta secca è 30 grammi, che corrisponde circa a 7/8 noci.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Una porzione è in grado di soddisfare il fabbisogno medio giornaliero di omega-3 per la popolazione adulta.

                                                                                                                                                                                Inoltre con una porzione di noci brasiliane, ovvero circa 6 noci, si riesce a coprire quasi la metà del fabbisogno giornaliero di magnesio per la popolazione adulta.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Questo alimento ricco di nutrienti può essere utile da consumare come spuntino in caso di perdita di appetito e per contrastare il gonfiore sottocutaneo o edema.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Interazioni della noce

                                                                                                                                                                                Le noci possono causare fenomeni allergizzanti e possono interferire con l’azione di farmaci contro l’ipotiroidismo come la levotiroxina; in questo caso bisogna informare il proprio medico in quanto potrebbe essere necessario modificare la dose del farmaco.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Produzione e Tecnologia della noce

                                                                                                                                                                                Caratteri botanici del noce

                                                                                                                                                                                Il noce è una pianta arborea originaria dell’Asia sud-occidentale, presente anche nella zona dell’Himalaya e diffusa ampiamente nella Cina sudoccidentale e in Russia centrale.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                È presente come pianta spontanea in zone montane e collinari dai 500 fino ai 1200 metri di altitudine. È concentrato soprattutto nelle zone appenniniche dal Nord fino al Sud Italia dove trova un clima piuttosto mite con inverni da mediamente rigidi a miti.

                                                                                                                                                                                A livello europeo il nostro paese è il secondo produttore dopo la Francia.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Produzione delle noci

                                                                                                                                                                                La raccolta delle noci avviene da metà settembre a fine ottobre.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Prima di essere immesse in commercio le noci vengono sottoposte a una serie di operazioni che ne permettono una corretta conservazione.

                                                                                                                                                                                Inizialmente viene effettuata la smallatura, fase in cui viene allontanato l’involucro che le riveste, in modo da evitare l’annerimento del guscio, a cui segue il lavaggio per eliminare i residui del mallo.

                                                                                                                                                                                Le noci vengono poi essiccate in modo graduale allo scopo di ridurre il contenuto di umidità fino al 4-5% impedendo in tal modo lo sviluppo di muffe.

                                                                                                                                                                                Infine vengono selezionate e calibrate prima di passare al confezionamento.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                In commercio le noci intere possono essere reperite confezionate o sfuse. È inoltre possibile acquistare confezioni di noci già sgusciate, in diversi formati anche monodose, da circa 30 grammi.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Stagionalità delle noci

                                                                                                                                                                                Le noci si possono trovare sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Preparazione e Conservazione delle noci

                                                                                                                                                                                Le noci non sgusciate si possono conservare in luoghi bui, freschi e asciutti per circa 5 mesi, se invece sono prive di guscio si conservano, in frigorifero anche per 2 mesi, purché riposte in recipienti chiusi ermeticamente.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                L’ideale sarebbe raccogliere le noci quando sono ancora attaccate all’albero all’interno del mallo in modo da avere un prodotto pulito che non necessita di grosse lavorazioni.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Se raccolte da terra, sarà necessario pulirle per liberarle dal terriccio. Questo può essere fatto in due modi, o sfregandole con una spazzola dalle setole fitte e rigide oppure lavandole sotto acqua corrente.

                                                                                                                                                                                Le noci pulite e prive di terra potranno essere conservate sia come prodotto secco, sia come prodotto fresco. L’ideale sarebbe stendere le noci in un luogo asciutto su un telo traspirante e lasciarle al sole per 3-4 giorni, smuovendole di tanto in tanto, avendo l’accortezza di porle al riparo dall’umidità di notte.

                                                                                                                                                                                Per l’asciugatura è anche possibile mettere le noci in forno ventilato o a forno semi aperto alla minima temperatura e mantenerle lì fino a che la noce non risulterà asciutta. Ad asciugatura completa le noci potranno essere conservate in un luogo fresco e asciutto, lontano da fonti di calore o da sorgenti luminose dirette.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Se si preferisce conservare le noci fresche, senza essiccarle, si possono congelare o conservare in frigorifero. In entrambi i casi andranno inserite in contenitori ermetici o, sottovuoto, sigillati e conservati in frigorifero per 1-3 mesi oppure in congelatore per 4-6 mesi.

                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                Le proposte di ricetta di FBO con le noci

                                                                                                                                                                                • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                                                  • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                  • Liotta E., Pelicci P.G., Titta L., (2016) “La dieta smartfood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                  www.agraria.org

                                                                                                                                                                                  www.aicr.org

                                                                                                                                                                                  www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                  Noce Pecan

                                                                                                                                                                                  noce Pecan

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Famiglia: Juglandaceae

                                                                                                                                                                                  Genere: Carya

                                                                                                                                                                                  Specie: Carya illinoensis

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Storia della noce Pecan

                                                                                                                                                                                  Il Pecan è una pianta originaria dell’America Settentrionale, nella zona al confine tra Messico e Stati Uniti.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Ne esistono numerose varietà (circa 500) che vengono distinte in orientali, adatte a climi caldo-umidi, e occidentali, che resistono meglio alla siccità.

                                                                                                                                                                                  In Italia è coltivata in piccoli appezzamenti specializzati in Sicilia e in alcune aree della Puglia.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Proprietà nutrizionali della noce Pecan

                                                                                                                                                                                  tabella con i valori nutrizionali della noce Pecan

                                                                                                                                                                                  Valori nutrizionali delle noci Pecan

                                                                                                                                                                                  Il gheriglio di noce Pecan rappresenta la parte edibile del frutto, racchiusa all’interno di un guscio legnoso e, contenendo più del 70% di lipidi, risulta un alimento molto energetico.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  La frazione lipidica è costituita prevalentemente da acidi grassi monoinsaturi, in particolar modo acido oleico, ed in secondo luogo da acidi grassi polinsaturi, acido linoleico e linolenico, ovvero acidi essenziali che devono essere assunti con la dieta.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  La noce Pecan presenta anche un buon contenuto di fibra, proteine e arginina, un amminoacido essenziale.

                                                                                                                                                                                  Offre anche un buon apporto di potassio, fosforo e magnesio, di vitamine del gruppo B e di vitamina E.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Benefici delle noci Pecan

                                                                                                                                                                                  Le noci Pecan svolgono funzioni positive a livello cardiovascolare, aumentano la quantità di HDL a discapito delle LDL e sono fonte di vitamine e minerali coinvolti in numerose reazioni metaboliche.

                                                                                                                                                                                  Inoltre questi frutti svolgono funzioni antiossidanti, grazie a molecole come la vitamina E che le noci Pecan contengono, proteggendo il corpo da fenomeni di stress ossidativo.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Per la frutta secca la porzione di consumo consigliata è di 30 grammi, che corrisponde circa a 8 noci Pecan.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Questo alimento, così ricco di nutrienti, può essere utile in caso di perdita di appetito o per contrastare il gonfiore sottocutaneo (o edema).

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Produzione e Tecnologia della noce Pecan

                                                                                                                                                                                  Caratteri botanici della pianta Pecan

                                                                                                                                                                                  Il Pecan è una pianta che si adatta bene a climi caldi, a causa del lungo periodo vegetativo, è a foglia caduca e resiste alle basse temperature invernali (fino a -10°C).

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  I frutti sono drupe dalla forma cilindrica allungata con guscio liscio e sottile, di dimensioni variabili a seconda della varietà, e con un gheriglio di sapore gradevole.

                                                                                                                                                                                  Sono costituiti da un epicarpo, meno spesso rispetto alla noce tradizionale, inizialmente di colore verde ed in seguito marrone, un mesocarpo ed un endocarpo, di consistenza dura e legnosa e di colore bruno o rosso a seconda della varietà, che avvolgono il seme (la parte edibile del frutto).

                                                                                                                                                                                  Il seme si presenta meno tubercolato e di colore più rossiccio rispetto a quello della noce comune ed in commercio si trova spesso all’interno del guscio, attorniato da una pellicola di colore rosso chiaro.

                                                                                                                                                                                  Il sapore è simile a quello della noce.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Coltivazione delle noci Pecan

                                                                                                                                                                                  Questa frutta a guscio è coltivata soprattutto nel sud degli Stati Uniti, in Brasile, in Australia e in Israele.

                                                                                                                                                                                  In Italia si trova in Sicilia, in Puglia e in altre aree meridionali.

                                                                                                                                                                                  Il maggior produttore mondiale è rappresentato dagli Stati Uniti (tra l’80 e il 95% della produzione totale), con significative produzioni in: Texas, Georgia, Alabama, Louisiana e Oklahoma.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Le noci Pecan giungono a piena maturazione in autunno, nel mese di ottobre, e la raccolta è effettuata nei mesi di ottobre-novembre (subito dopo quella delle noci “classiche”).

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Produzione delle noci Pecan

                                                                                                                                                                                  Dopo la raccolta le noci Pecan sono sottoposte alla smallatura, procedimento che permette l’allontanamento dell’involucro di rivestimento. Successivamente vengono lavate ed essiccate in modo da ridurre il contenuto di umidità al 4-5%.

                                                                                                                                                                                  Tutte queste operazioni hanno come obiettivo l’aumento della shelf-life del prodotto ed una migliore conservazione.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Queste noci possono essere conservate fresche oppure essiccate.

                                                                                                                                                                                  L’essiccazione viene condotta su un pavimento al chiuso oppure su pannelli sollevati dal suolo, in luoghi protetti dalle precipitazioni e dall’umidità; per ottenere un’essiccazione completa sono necessarie circa 2 settimane.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  In commercio si possono trovare noci Pecan fresche o essiccate, confezionate o sfuse.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Stagionalità della noce Pecan

                                                                                                                                                                                  Grazie alle tecniche di conservazione a cui sono sottoposti, questi frutti sono sempre reperibili.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Preparazione e Conservazione della noce Pecan

                                                                                                                                                                                  Le noci Pecan possono essere conservate a temperatura ambiente, in luogo fresco ed asciutto all’interno di contenitori chiusi ermeticamente; in frigorifero si possono conservare per circa 2 mesi, se in freezer invece per 4-6 mesi.

                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                  Trovano numerosi impieghi in cucina: possono essere utilizzate nell’impasto di biscotti, muffin, torte morbide o crostate; possono arricchire primi e secondi piatti o essere aggiunte a verdure ed insalate.

                                                                                                                                                                                  • • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                    • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                    www.agraria.org

                                                                                                                                                                                    www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                    www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                    Nocciola

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    tipi di nocciola

                                                                                                                                                                                    Famiglia: Corylaceae

                                                                                                                                                                                    Genere: Corylus

                                                                                                                                                                                    Specie: Corylus avellana

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Il nocciolo è una pianta originaria dell’Asia Minore e dell’Europa; in Italia, uno tra i principali produttori al mondo, viene coltivata soprattutto in Piemonte, Campania, Lazio, Liguria e Sicilia.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Tipi di nocciola e riconoscimenti DOP e IGP

                                                                                                                                                                                    Alla “Nocciola Romana” (con Reg CE 667/09) è stata riconosciuta la DOP (Denominazione di Origine Protetta); questa nocciola è diffusa nelle province di Roma e Viterbo, è caratterizzata da frutto medio-grosso, buona resa in sgusciato, con ottime caratteristiche organolettiche per l’aroma finissimo e persistente.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    La “Nocciola del Piemonte” (con Reg 1107/96) e la “Nocciola di Giffoni” (con Reg 2325/97) invece hanno il riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta).

                                                                                                                                                                                    La prima è prodotta in Piemonte nelle province di Cuneo, Asti ed Alessandria nell’area compresa tra le colline delle Langhe, del Roero e del Monferrato. La varietà coltivata è la “Tonda Gentile Trilobata”. Presenta un seme sferoidale, gusto ed aroma eccellenti dopo la tostatura, elevata pelabilità, buona conservabilità.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    La seconda invece è coltivata in Campania, nel salernitano, nella valle dell’Irno e nella zona dei Monti Picentini, presenta una forma rotondeggiante, polpa bianca consistente e aromatica, perisperma (ovvero la pellicola interna) facilmente rimovibile. È indicata per la tostatura e per la produzione di pasta e granella.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Proprietà nutrizionali della nocciola

                                                                                                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali della nocciola

                                                                                                                                                                                    Valori nutrizionali della nocciola

                                                                                                                                                                                    Le nocciole sono un alimento altamente energetico (655 kcal per 100 g di prodotto) in quanto costituite per oltre il 60% da lipidi.

                                                                                                                                                                                    La frazione lipidica delle nocciole, che ne determina la qualità, è costituita prevalentemente da acido oleico, seguito dagli acidi linoleico, palmitico e stearico; questi acidi grassi rappresentano oltre il 95% del lipidi totali.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Le nocciole presentano anche un buon contenuto proteico e di fibra.

                                                                                                                                                                                    Sono inoltre un’ottima fonte di potassio, fosforo, magnesio e calcio e di buoni quantitativi di vitamina E e vitamine del gruppo B.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Benefici della nocciola

                                                                                                                                                                                    Il principale beneficio del consumo delle nocciole è che apportano miglioramenti cardiovascolari, soprattutto diminuendo i livelli di colesterolo.

                                                                                                                                                                                    Oltre a questa caratteristica, le nocciole sono ricche di minerali, acidi grassi insaturi, proteine e di vitamina E. La vitamina E è una molecola antiossidante, cioè protegge il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    La porzione di consumo consigliata per la frutta secca è 30 grammi, che corrisponde circa a 15/20 nocciole.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Una porzione di nocciole contiene 7,5 mg di vitamina E, ricoprendo così più di metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina, facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                                                                    Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina E per la popolazione adulta è di 13 mg per gli uomini e 12 mg per le donne.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Come spuntino, il consumo di questo alimento è utile per contrastare la perdita di appetito e in caso di anemia sideropenica.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Interazioni delle nocciola

                                                                                                                                                                                    In seguito all’assunzione di farmaci antiulcera è possibile sviluppare un’ipersensibilità alle nocciole.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Produzione e Tecnologia della nocciola

                                                                                                                                                                                    Caratteri botanici del nocciolo

                                                                                                                                                                                    Il nocciolo è una pianta che predilige zone con clima temperato e umido, caratterizzate da portamento cespuglioso, con una corteccia liscia e compatta.

                                                                                                                                                                                    Le foglie sono di colore verde scuro e ovoidali, il frutto ha un pericarpo legnoso e contiene un seme dolce e oleoso (nocciola).

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    La fruttificazione del nocciolo inizia nei mesi di maggio-giugno e dal mese di giugno le nocciole cominciano a crescere rapidamente e, all’interno, si avvia lo sviluppo del seme.

                                                                                                                                                                                    I frutti incrementano il loro peso a partire dalla fine di giugno fino alla raccolta: in un primo momento crescono in dimensioni, successivamente si consolida la struttura e la consistenza del guscio e per ultimo avviene il completamento del seme.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Coltivazione delle nocciole

                                                                                                                                                                                    La raccolta viene condotta tra agosto e settembre, periodo corrispondente alla piena maturazione dei frutti e alla caduta naturale delle nocciole. La raccolta può essere effettuata a mano o meccanicamente.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Le macchine utilizzate per la raccolta sono raccoglitrici pneumatiche trainate, che aspirano da terra le nocciole insaccandole direttamente e realizzando la cernita, oppure raccoglitrici semoventi, che aspirano il frutto da terra grazie a spazzole che spingono le nocciole verso un nastro trasportatore che porta a dispositivi di cernita.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Attualmente i principali Paesi produttori di nocciole sono: Turchia (al primo posto con circa il 70% della produzione mondiale), Italia (al secondo posto), Spagna, Francia e Stati Uniti (in Oregon e California).

                                                                                                                                                                                    In Italia le nocciole sono coltivate in Campania nelle province di Caserta, Napoli, Avellino, Benevento e Salerno, nel Lazio in provincia di Viterbo, in Piemonte nelle Langhe e in Sicilia.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Produzione delle nocciole

                                                                                                                                                                                    Le nocciole, una volta raccolte, vengono fatte passare in macchine ventilatrici che separano quelle sane dallo scarto e successivamente vengono essiccate per abbassarne il tasso di umidità.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    L’essiccazione può essere effettuata in modo naturale esponendo le nocciole al sole su pavimentazione in cemento o graticci, o può essere forzata all’interno di essiccatori che lavorano a temperature di 45°C.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    La conservazione dei frutti deve avvenire in locali idonei in grado di garantire condizioni di umidità ed areazione adeguate.

                                                                                                                                                                                    Le cultivar con una bassa percentuale di acido linoleico risultano più idonee a lunghi periodi di conservazione ed immagazzinamento in quanto l’acido linoleico è il più soggetto a ossidazione nel seme, con comparsa di sapori indesiderati durante la conservazione.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Prodotti ottenuti dalle nocciole

                                                                                                                                                                                    Le nocciole generalmente si consumano essiccate e leggermente tostate, per eliminare più facilmente la pellicola superficiale e per sviluppare ulteriori aromi.

                                                                                                                                                                                    La tostatura provoca un cambiamento nel colore e nella consistenza della nocciola, oltre ad una parziale distruzione dei microorganismi; si esegue in forni ventilati a temperature comprese tra 100-180°C per 10-60 minuti.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Dalle nocciole si ottengono prodotti diversi a seconda delle tecniche utilizzate:

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    • le nocciole sgusciate sono ottenute in seguito ad operazioni di sgusciatura, sottoponendo il prodotto all’azione del vapore e dell’acqua bollente per eliminare il tegumento;

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    • le nocciole tostate invece vengono sgusciate e tostate;

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    • la granella di nocciole è il prodotto ottenuto dalla nocciola che viene sgusciata, tostata ed infine tritata;

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    • la pasta invece è un semilavorato che deriva dalla macinazione e successiva raffinazione della nocciola, fino ad ottenere un prodotto fluido impiegato nel settore dolciario.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Stagionalità della nocciola

                                                                                                                                                                                    Le nocciole si trovano sul mercato tutto l’anno ma si raccolgono nei periodi estivi.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Preparazione e Conservazione della nocciola

                                                                                                                                                                                    Al momento dell’acquisto le nocciole devono presentarsi croccanti, con tessitura compatta, senza vuoti interni; esse sono disponibili tutto l’anno, sgusciate o con guscio, oppure tritate sotto forma di granella.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Le nocciole fresche deperiscono rapidamente, soprattutto se sgusciate, quindi andrebbero consumate rapidamente evitando di esporle alla luce, al calore e all’umidità. Per le nocciole sgusciate invece la conservazione può avvenire in contenitori a chiusura ermetica per 1 anno o più in freezer o in frigorifero per 6-9 mesi, ad una temperatura tra 0 e 3°C.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Le nocciole con il guscio invece possono essere conservate a temperatura ambiente e in luogo asciutto per circa un mese.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    La pasta di nocciole invece deve essere conservata in luogo fresco ed asciutto, ad una temperatura di 8°C ±2°C lontano da fonti di calore e di luce. Si consiglia di consumare il prodotto entro 3 mesi lasciando aperta la confezione solo per il tempo strettamente necessario.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Le nocciole grazie al loro sapore e al loro aroma trovano largo impiego nella preparazione di prodotti dolci e salati. Le nocciole sgusciate vengono utilizzate dall’industria dolciaria per la preparazione di dolci, i semi rotti o fuori calibro e raggrinziti generalmente vengono impiegati per la produzione di pasta o granella.

                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                    Le proposte di ricette di FBO con la nocciola

                                                                                                                                                                                    • • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                      • Cristofori V. “Fattori di qualità della nocciola”, tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia, Viterbo, Dipartimento di Produzione Vegetale Sezione Ortofloroarboicoltura.

                                                                                                                                                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                      • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                      • Fardelli A. “Effetto dei sistemi di conservazione sulla qualità delle nocciole (Corylus avellana L.)”, tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia, Viterbo, Facoltà di Agraria.

                                                                                                                                                                                      • Secondo convegno nazionale sul nocciolo “Le frontiere della corilicoltura italiana”, 5 ottobre 2002, Giffoni Valle Piana, Salerno.

                                                                                                                                                                                      www.agraria.org

                                                                                                                                                                                      www.agricoltura.regione.campania.it

                                                                                                                                                                                      www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                      • www.efsa.europa.eu

                                                                                                                                                                                      www.eur-lex.europa.eu

                                                                                                                                                                                      www.gazzettaufficiale.it

                                                                                                                                                                                      www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                      Nasello

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      nasello surgelato

                                                                                                                                                                                      Famiglia: Merlucciidae

                                                                                                                                                                                      Genere: Merluccius

                                                                                                                                                                                      Specie: Merluccius merluccius

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Cos’è il nasello

                                                                                                                                                                                      Il nasello è un pesce bianco che vive in branco in acque profonde tra i 30 e i 100 metri, deponendo le uova in prossimità delle coste dove le temperature sono più miti.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Il nasello è un pesce migratore ed è il più pescato al mondo per la sua grande diffusione.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Specie di nasello

                                                                                                                                                                                      Nel genere Merluccius rientrano diverse specie:

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      –  Merluccius merluccius (“nasello”) presente nel Mar Mediterraneo, nel sud del Mar Nero e nell’Oceano Atlantico orientale,

                                                                                                                                                                                      – il Merluccius productus (“nasello del Pacifico”) diffuso nell’Oceano Pacifico nel tratto compreso tra l’isola di Vancouver e il golfo di California,

                                                                                                                                                                                      – il Merluccius hubbsi (“nasello atlantico”) che si trova soprattutto nell’Oceano Atlantico sud occidentale, lungo le coste dell’Argentina,

                                                                                                                                                                                      – e il Merluccius capensis (“nasello sudafricano”) presente nell’Oceano Atlantico lungo le coste sudafricane e dell’Angola.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      La specie più diffusa è il “nasello”, Merluccius merluccius, che raggiunge i 140 cm di lunghezza e 15 kg di peso per quello pescato nel mare del Nord, o i 35 cm e i 5 kg se pescato nel Mediterraneo; il motivo di tale differenza risiede nella maggior disponibilità di cibo nel mare del Nord.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      In commercio è disponibile il nasello fresco, surgelato e a filetti.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali del nasello surgelato e fresco

                                                                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali del nasello fresco e del nasello surgelato
                                                                                                                                                                                      Tabella con i valori nutrizionali del nasello crudo, del nasello surgelato e del nasello surgelato a filetti.

                                                                                                                                                                                      Valori nutrizionali del nasello surgelato e fresco

                                                                                                                                                                                      Sia il nasello surgelato che quello crudo, presentando un contenuto lipidico inferiore all’1%, rientrano nella categoria “pesce magro”. Il contenuto dei grassi nei pesci varia in funzione della morfologia, delle condizioni di sviluppo, della tipologia di alimentazione e anche dei metodi di trasformazione che subisce.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      I lipidi del nasello, collocati prevalentemente nella parte ventrale del pesce, presentano un buon quantitativo di acidi grassi polinsaturi quali EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico) che, andando facilmente incontro a degradazione, contribuiscono a rendere il pesce deperibile.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Il nasello contiene proteine in cui sono presenti amminoacidi quali acido glutammico, acido aspartico, lisina e leucina, e fornisce un buon apporto proteico che, come si può notare in tabella, non varia tra il fresco e il surgelato, ma si riduce leggermente nei filetti di nasello surgelati.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Per quanto riguarda i carboidrati la loro presenza è minima o in traccia.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      La frazione azotata non proteica invece è responsabile del tipico sapore delle carni del pesce ed è costituita da amminoacidi liberi, quali arginina, lisina ed istidina, da dipeptidi e oligopeptidi, da urea, ammoniaca e TMAO (ossido di trimetilamina).

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Il nasello rappresenta una buona fonte di fosforo. Con la surgelazione la riduzione dell’apporto di vitamine e sali minerali è minima.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Benefici del nasello

                                                                                                                                                                                      Il nasello è costituito da una carne molto digeribile che può essere quindi inserita in numerosi piani nutrizionali.

                                                                                                                                                                                      Questo pesce è inoltre composto da proteine al alto valore biologico, omega- 3 che è un grasso essenziale e potassio, un minerale che regola la pressione arteriosa.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      La porzione di consumo consigliata è 150 grammi di pesce fresco che corrisponde a un pesce piccolo o un filetto medio. Altrimenti, se il pesce è conservato, la porzione consigliata è di 50 grammi.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia del nasello

                                                                                                                                                                                      Il nasello è un pesce bianco con carni magre, saporite e facilmente digeribili; presenta un corpo allungato e sottile, di colore grigio-nero sul dorso, argenteo sui fianchi, bianco sporco sul ventre e la bocca nera.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Vive in acque profonde sui fondali dove riesce a reperire il nutrimento e si avvicina alle coste in branchi numerosi solo per la riproduzione, che avviene nel periodo invernale e primaverile.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Il nasello nel Mediterraneo viene pescato durante tutto l’anno mediante l’utilizzo di reti a strascico o, in alcune zone, catturato con la lenza.

                                                                                                                                                                                      A causa delle difficoltà di approvvigionamento e per garantire una continua presenza sui banchi del mercato, oggi si trova prevalentemente quello di allevamento.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Sul mercato il nasello si può trovare fresco intero o sfilettato o congelato, intero o a filetti o tranci.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione del nasello

                                                                                                                                                                                      In un nasello fresco la carne si presenta soda ed elastica, di colore bianco con sfumature iridescenti.

                                                                                                                                                                                      Il corpo non deve presentare tracce di sangue e l’occhio deve essere vivo e sporgente, il tutto secondo quanto stabilito dal Regolamento CE n. 2406 del 26/11/96, relativo alla valutazione della freschezza del pesce.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Se acquistato fresco, è preferibile consumare il pesce il giorno stesso, ricordandosi di lavarlo accuratamente e di privarlo della pelle scura presente sotto l’addome prima della cottura.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      La cottura alla griglia è il metodo che permette maggiormente di evitare la perdita di acidi grassi insaturi ω-3, diversamente dalla cottura al forno o in acqua bollente per 20 minuti.

                                                                                                                                                                                      Per il consumo casalingo è preferibile consumare il pesce cotto anziché crudo o marinato (ovvero con aggiunta di aceto e succo di limone) in modo tale da evitare la presenza di un parassita, l’Anisakis, che si elimina attraverso la cottura o l’abbattimento termico in congelatore.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Se non si consuma subito può essere conservato nella zona più fredda del frigorifero per un giorno oppure può essere congelato in freezer, dove si conserverà per circa 6 mesi.

                                                                                                                                                                                      Durante lo scongelamento, per evitare sbalzi termici elevati, si consiglia di porlo in frigorifero. Anche se il congelamento non altera il valore nutrizionale, la conservazione in freezer determina comunque l’irrancidimento degli ω-3.

                                                                                                                                                                                      Mirtillo

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      varietà di mirtillo

                                                                                                                                                                                      Famiglia: Ericaceae

                                                                                                                                                                                      Genere: Vaccinium

                                                                                                                                                                                      Specie: Vaccinium myrtillus

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Varietà di mirtillo

                                                                                                                                                                                      Il Mirtillo è una pianta spontanea dell’emisfero boreale appartenente alla famiglia delle Ericaceae, che comprende circa 130 specie diverse.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Le principali varietà di mirtillo da un punto di vista agronomico sono:

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      • Mirtillo nero (Vaccinum myrtillus): varietà di mirtillo che cresce spontanea in Europa.
                                                                                                                                                                                        È una pianta alta dai 20 ai 40 cm, con fusti ramosi. Presenta bacche solitarie o accoppiate nere e con polpa colorata. Fiorisce a maggio e i frutti compaiono nei mesi di luglio e agosto. È diffuso nelle Alpi e negli Appennini fino a circa 2000 metri.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      • Mirtillo rosso (Vaccinum vitisidaea): varietà che cresce spontanea in Europa e in Italia si può trovare soprattutto sulle Alpi e sugli Appennini settentrionali.
                                                                                                                                                                                        È alto dai 10 ai 40 cm; la pianta sempreverde presenta fiori bianchi o rosa riuniti in grappoli terminali, mentre i frutti sono delle bacche rosse, acide e amarognole.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      • Mirtillo blu: (Vaccinum uliginosum): varietà europea.
                                                                                                                                                                                        È alta dai 15 ai 25 cm con foglia caduca e fiori bianco-rosso. Le bacche sono di colore nero-bluastro.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      • Mirtillo gigante americano: (Vaccinum corymbosum): varietà spontanea del Nord America.
                                                                                                                                                                                        È caratterizzata da piante alte da 1 a 4 metri con foglie caduche e fiori bianchi o rosati. Le bacche riunite in grappoli sono di colore nero-azzurro e molto profumate. È una varietà resistente al freddo.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      • Cranberry o Bacca delle gru (Vaccinium macrocarpon).

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Attualmente tra le varietà di mirtillo nero quelle più coltivate sono quelle derivanti dal mirtillo gigante americano e dal cranberry.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali del mirtillo

                                                                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali del mirtillo nero

                                                                                                                                                                                      Valori nutrizionali del mirtillo

                                                                                                                                                                                      I mirtilli appartengono alla classe dei frutti di bosco e sono bacche di dimensioni simili a quelle dei piselli.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Inizialmente hanno un colore bianco rossastro che diventa nero, tendente al blu quando arrivano a maturazione.

                                                                                                                                                                                      Hanno un sapore acidulo astringente.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      I mirtilli rappresentano anche una discreta fonte di composti fenolici, come i tannini, e di vitamina C.

                                                                                                                                                                                      Sono caratterizzati anche da un buon contenuto di sali minerali come potassio, calcio e fosforo, oltre a fornire un discreto quantitativo di fibra.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Benefici del mirtillo

                                                                                                                                                                                      Questi frutti sono caratterizzati da un elevatissimo contenuto di antocianine, pigmenti che conferiscono la tipica colorazione e sono dotate di attività antiossidanti e antinfiammatorie.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Sono stati condotti diversi studi per vedere i benefici dati dal consumo di mirtillo. Alcuni studi dimostrano che il consumo di mirtilli abbia portato effetti positivi sulla salute di cuore e arterie, altre ricerche preliminari invece riportano di benefici associati alla retina ed infine sembra che questo frutto influenzi positivamente la memoria.

                                                                                                                                                                                      Il mirtillo, inoltre, grazie alle sue proprietà, è considerato un alimento utile per prevenire fenomeni di iperglicemia e tumori.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      La porzione di consumo giornaliera consigliata è 150 grammi, che corrisponde a circa una manciata di mirtilli.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Interazioni del mirtillo

                                                                                                                                                                                      Bisognerebbe evitare il consumo di succo di mirtillo o prodotti a base di mirtillo durante l’utilizzo di anticoagulanti (es warfarin) perché possono modificare l’effetto del farmaco.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Inoltre i soggetti che hanno problemi renali (poichè il mirtillo contiene ossalati) o i soggetti che assumono farmaci antidiabetici (poichè il mirtillo ne aumenta l’effetto) devono prestare attenzione al consumo questi frutti.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia del mirtillo

                                                                                                                                                                                      Mirtillo gigante americano: caratteri botanici e coltivazione

                                                                                                                                                                                      Il mirtillo gigante americano è una pianta a portamento cespuglioso che ha origine dalla varietà selvatica di mirtillo americano.

                                                                                                                                                                                      Viene coltivata prevalentemente in zone di pianura e collinari, in luoghi riparati da forti venti.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Nel nostro paese la coltivazione di questa specie si riscontra prevalentemente in Piemonte. La pianta può raggiungere i 2 metri di altezza e la fioritura avviene in primavera.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Esistono diverse varietà di mirtillo gigante americano:

                                                                                                                                                                                      • Duke, che fiorendo in ritardo, rifugge dalle gelate tardive, producendo i primi mirtilli di color azzurro chiaro, con un gusto bilanciato tra il dolce e l’aspro;
                                                                                                                                                                                      • Jersey, producono grossi mirtilli, inizialmente aciduli, ma molto dolci a completa maturazione verso fine di giugno-inizio di luglio;
                                                                                                                                                                                      • Patriot, produce vistose fioriture bianche primaverili e mirtilli di grandi dimensioni, di color blu-viola, leggermente schiacciati alle estremità.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Mirtillo rosso: caratteri botanici e coltivazione

                                                                                                                                                                                      Il mirtillo rosso viene invece coltivato prevalentemente in Germania.

                                                                                                                                                                                      Deriva da selezioni del mirtillo rosso selvatico di bosco, tipico dei paesi scandinavi e del Nord Europa. Il mirtillo rosso può essere coltivato nelle stesse aree dove si coltiva il mirtillo gigante poiché le esigenze di terreno e di clima sono simili, ma lo sviluppo della pianta è molto più ridotto, circa 30 cm di altezza.

                                                                                                                                                                                      La maturazione dei frutti è più tardiva, avviene in settembre ed essi vengono raccolti a mano con l’ausilio di appositi “pettini”.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Prodotti ottenuti dai mirtilli

                                                                                                                                                                                      Oltre i mirtilli freschi, disponibili solo in alcuni periodi dell’anno, in commercio si possono trovare mirtilli surgelati e diversi prodotti a base di questi frutti come succhi e marmellate.

                                                                                                                                                                                      Diverse ricerche hanno dimostrato che la concentrazione di antocianine si mantiene anche nelle bevande come i succhi, per i quali è preferibile consumare quelli costituiti al 100% da frutta, senza aggiunta di zuccheri, purché derivino da succo fresco e non concentrato.

                                                                                                                                                                                      Si è inoltre visto che con la cottura si perde parte dei polifenoli contenuti in questi frutti che risultano però essere presenti in quantità tali da svolgere un’azione protettiva dai processi ossidativi per la salute del consumatore.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Stagionalità del mirtillo

                                                                                                                                                                                      I mirtilli sono raccolti nei periodi estivi, per la precisione tra luglio e settembre.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione del mirtillo

                                                                                                                                                                                      Dopo la raccolta i mirtilli possono essere conservati a basse temperature (circa 2-3°C) per qualche settimana.

                                                                                                                                                                                      È importante eliminare prima della conservazione tutti i frutti danneggiati o troppo maturi, per evitare la formazione di muffe.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      In alternativa è possibile conservare i frutti in congelatore dopo averli chiusi in sacchetti di plastica.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      È stato infatti dimostrato che il freddo non altera, se non in minima parte, le proprietà nutritive del mirtillo. Prima di consumare mirtilli congelati è pero consigliato, per evitare problemi di contaminazione, da parte ad esempio del virus dell’epatite A, di cuocerli, facendoli bollire in un po’ di acqua per un paio di minuti.

                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                      Le proposte di ricette di FBO con i mirtilli

                                                                                                                                                                                      • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                                                        • Eigenmann, I. Ubaldini, “Nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata”. Hoepli, Milano.

                                                                                                                                                                                        • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                        • Liotta E., Pelicci P.G., Titta L., (2016) “La dieta smartfood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                        www.agraria.org

                                                                                                                                                                                        www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                        www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                        www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                        Merluzzo

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        merluzzo o baccalà

                                                                                                                                                                                        Famiglia: Gadidae

                                                                                                                                                                                        Genere: Gadus

                                                                                                                                                                                        Specie: Gadus morhua

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Specie di merluzzo

                                                                                                                                                                                        Il merluzzo è un pesce bianco che vive in branco in acque profonde, è un pesce migratore, depone le uova in prossimità delle coste ed è il più pescato al mondo grazie alla sua diffusione.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Esistono diversi tipi di merluzzo del genere Gadus, in cui rientrano le specie: Gadus morhua (detto anche “merluzzo bianco” o “merluzzo comune”), Gadus macrocephalus (noto anche come “merluzzo nordico”), entrambi presenti nell’Oceano Atlantico, nel Mare di Norvegia e nel Mare del Nord, e Gadus ogac (il “merluzzo della Groenlandia”) diffuso nelle acque della Groenlandia.

                                                                                                                                                                                        Non è presente nel Mare Mediterraneo, dove invece vivono specie affini (nasello).

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La specie più diffusa è il merluzzo bianco (Gadus morhua) che, per la grande disponibilità di nutrienti che trova nel mare del Nord, raggiunge i 2 metri di lunghezza e 50 kg di peso.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        In commercio è disponibile il merluzzo fresco (a filetti o a tranci), surgelato, ma anche sotto sale (noto come baccalà) o essiccato (detto stoccafisso); inoltre dal fegato si estrae l’olio di fegato di merluzzo.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali del merluzzo, del baccalà e dello stoccafisso

                                                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali del merluzzo, del baccalà e dello stoccafisso
                                                                                                                                                                                        Tabella con i valori nutrizionali del merluzzo (crudo), del baccalà (ammollato e secco) e dello stoccafisso (ammollato e secco).

                                                                                                                                                                                        Valori nutrizionali di merluzzo, baccalà e stoccafisso

                                                                                                                                                                                        Il merluzzo crudo e i due prodotti derivati quando ammollati (baccalà e stoccafisso), presentando un contenuto lipidico inferiore all’1%, rientrano nella categoria di “pesci magri”.

                                                                                                                                                                                        Il contenuto dei grassi nei pesci varia infatti in funzione della morfologia, delle condizioni di sviluppo, della tipologia di alimentazione e anche dei metodi di trasformazione che subiscono.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Il merluzzo fornisce un buon apporto proteico e, come si può notare in tabella, il quantitativo maggiore è relativo allo stoccafisso essiccato e al baccalà essiccato, in cui è ridotto il contenuto di acqua.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La frazione azotata non proteica invece è responsabile del tipico sapore delle carni del pesce ed è costituita da amminoacidi liberi quali arginina, lisina ed istidina, da dipeptidi e oligopeptidi, da urea, da ammoniaca e da TMAO (ossido di trimetilamina).

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Il merluzzo fresco e le sue lavorazioni rappresentano una buona fonte di fosforo e potassio (lo stoccafisso essiccato ne conferisce il maggior apporto), mentre il baccalà (in special modo quello essiccato) presenta elevati livelli di sodio, dovuti al processo di lavorazione condotto per ottenere il prodotto finito. Il merluzzo è anche una fonte di vitamine del gruppo B.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Benefici del merluzzo

                                                                                                                                                                                        Il merluzzo è una buona fonte di proteine ad alto valore biologico per l’organismo. Nello specifico le proteine ad alto valore biologico contengono tutti gli amminoacidi essenziali che devono essere assunti con l’alimentazione in quanto il corpo umano non riesce a sintetizzarli da solo.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Questo pesce, inoltre, è anche fonte di acidi grassi essenziali come gli omega-3, di micronutrienti come la vitamina D, potassio e selenio. La vitamina D favorisce la salute delle ossa, il potassio agisce a livello cardiovascolare regolando la pressione arteriosa e il selenio è utilizzato nelle difese antiossidanti.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La porzione giornaliera consigliata è 150 grammi di merluzzo.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Il consumo di questo pesce potrebbe essere utile per contrastare la diarrea.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia di merluzzo, baccalà e stoccafisso

                                                                                                                                                                                        Differenza tra merluzzo e nasello

                                                                                                                                                                                        Il merluzzo comune si distingue dal nasello in quanto presenta un corpo allungato e massiccio, tre pinne dorsali e una coda tronca e robusta. Ha un colore scuro, con macchie dal bluastro al grigiastro sul dorso e macchie rotonde marroni sul dorso e sui fianchi, mentre il ventre è biancastro.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Caratteristiche del merluzzo

                                                                                                                                                                                        Vive in acque profonde sui fondali dove riesce a reperire il nutrimento.

                                                                                                                                                                                        Si avvicina alle coste in branchi numerosi solo per la riproduzione, che avviene nel periodo invernale e primaverile (per il merluzzo da dicembre a maggio nel Mare del Nord oppure da febbraio ad aprile nei mari delle coste norvegesi) e per la ovodeposizione.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Produzione del merluzzo

                                                                                                                                                                                        I maggiori produttori di merluzzo comune nell’Atlantico settentrionale sono Norvegia, Islanda e Canada.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Il merluzzo viene pescato durante tutto l’anno mediante l’utilizzo di reti a strascico o, in alcune zone, catturato con la lenza. A causa delle difficoltà di approvvigionamento e per garantire una presenza continua nel mercato, oggi si trova prevalentemente quello di allevamento.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Sul mercato il merluzzo si può trovare fresco intero o a tranci. Il merluzzo può essere trasformato con due diverse tecniche di conservazione che portano alla produzione di due differenti prodotti: il baccalà e lo stoccafisso.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Tecniche di produzione del baccalà

                                                                                                                                                                                        Il baccalà si ottiene dal pesce decapitato ed eviscerato sulle imbarcazioni subito dopo la pesca dove viene sfilettato o aperto.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        In seguito viene lavato con abbondante acqua e posto in una salamoia concentrata per circa una settimana, in modo tale da permettere al sale di raggiungere il muscolo in profondità.

                                                                                                                                                                                        Il sale ha la funzione di sottrarre acqua ai tessuti e di limitare lo sviluppo di batteri, permettendo una conservazione più lunga.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Successivamente viene collocato in contenitori di plastica alternando strati di sale a strati di pesce, e lasciato stagionare per 3-4 settimane.

                                                                                                                                                                                        Al termine di questo periodo il pesce deve aver assorbito un minimo del 18% di sale, e aver assunto il profumo, la consistenza ed il sapore tipico del baccalà.

                                                                                                                                                                                        Un baccalà di buona qualità deve presentare una polpa bianca e morbida, un odore intenso ma non sgradevole.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Tecniche di produzione dello stoccafisso

                                                                                                                                                                                        Lo stoccafisso invece, dopo l’eviscerazione e il lavaggio con abbondante acqua, viene appeso su rastrelliere di legno e lasciato all’aria aperta senza aggiunta di sale.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Tale metodica viene condotta nelle isole Lofoten del nord della Norvegia dove un microclima adatto permette la completa disidratazione del pesce senza che esso vada in putrefazione, conferendogli un aspetto legnoso con un profumo molto intenso.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Stagionalità del merluzzo

                                                                                                                                                                                        Il merluzzo, grazie alle diverse tecniche di conservazione a cui viene sottoposto, è presente in commercio tutto l’anno, però il suo periodo di pesca è tra dicembre e marzo.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione di merluzzo, baccalà e stoccafisso

                                                                                                                                                                                        Scelta e conservazione del merluzzo fresco

                                                                                                                                                                                        Nel merluzzo fresco la carne si presenta soda ed elastica, di colore bianco con sfumature iridescenti.

                                                                                                                                                                                        Il corpo non deve presentare tracce di sangue e l’occhio deve essere vivo e sporgente, secondo quanto stabilito dal Regolamento CE n. 2406 del 26/11/96, relativo alle regole per la valutazione della freschezza del pesce.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Se acquistato fresco, è preferibile consumare il pesce il giorno stesso, ricordandosi di lavarlo accuratamente e di privarlo della pelle scura presente sotto l’addome, prima della cottura.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        In alternativa può essere conservato nella zona più fredda del frigorifero per un giorno oppure essere congelato in freezer, dove si conserverà per circa 6 mesi.

                                                                                                                                                                                        Durante lo scongelamento, per evitare sbalzi termici elevati, si consiglia di porlo in frigorifero prima della cottura.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Anche se il congelamento non ne altera il valore nutrizionale, la conservazione in freezer non blocca l’irrancidimento dei grassi.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Scelta e conservazione del baccalà

                                                                                                                                                                                        Il baccalà in commercio è presente sotto forma di filetti lunghi almeno 30 cm e spessi circa 3 cm nel punto più alto, che non devono presentare macchie gialle o essere troppo bianchi (indice del trattamento con agenti sbiancanti quali la calce).

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Prima del consumo deve essere dissalato, immergendolo in acqua fresca per 24/48 ore cambiando l’acqua ogni 6 ore o, in alternativa, ponendolo sotto acqua corrente; al termine del processo presenterà una consistenza morbida e sarà pronto per la cottura.

                                                                                                                                                                                        Quando è ancora sotto sale, il baccalà può essere conservato in frigorifero per diversi giorni avvolto in un foglio di carta o in un sacchetto di plastica per alimenti.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Scelta e conservazione dello stoccafisso

                                                                                                                                                                                        Lo stoccafisso di prima scelta deve essere di grosse dimensioni, con collo e ventre aperti senza macchie, una pelle di color grigio-chiaro e una polpa secca e dura.

                                                                                                                                                                                        Se si acquista lo stoccafisso secco bisogna valutare se è necessario batterlo su un tagliere con un batticarne per intenerirlo.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        In seguito va posto in ammollo in acqua per 4-6 giorni (a seconda delle dimensioni del pesce) cambiando l’acqua giornalmente.

                                                                                                                                                                                        Una volta ammollato è necessario eliminare le lische, la pelle e tagliarlo.

                                                                                                                                                                                        Con l’ammollo, il peso aumenterà di circa il 30% per il baccalà e del 40% per lo stoccafisso.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Le proposte di ricette di FBO con il merluzzo

                                                                                                                                                                                        Menta

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        varietà di menta

                                                                                                                                                                                        Famiglia: Lamiaceae

                                                                                                                                                                                        Genere: Mentha

                                                                                                                                                                                        Specie: Mentha spicata

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Storia della menta

                                                                                                                                                                                        Il genere Mentha comprende piante originarie dell’Europa, appartenenti alla famiglia delle Lamiaceae, la cui coltivazione iniziò nel 1750 in Inghilterra e da lì si diffuse in Asia, in Nord America ed in Australia.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        E’ una pianta molto diffusa, coltivata in quasi tutte le parti del mondo a clima temperato, nota per la produzione di un olio essenziale di cui sono ricche le ghiandole situate sotto l’epidermide delle foglie.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Varietà di menta

                                                                                                                                                                                        In natura esistono specie differenti di menta, ciascuna con specifiche proprietà e un differente aroma.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Le più note sono:

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        – Mentha piperita, è la varietà di menta più conosciuta, dall’aroma molto intenso e balsamico. Si usa in tisane, decotti ed è la varietà di menta scelta per la produzione dello sciroppo e dei liquori. La pianta raggiunge i 70 cm, con fusto legnoso.

                                                                                                                                                                                        Ne esistono diverse sottovarietà: come la menta nera, pianta molto rustica e la menta bianca, varietà più rinomata per il suo aroma.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        – Mentha gentilis ha un gusto meno pronunciato e per questo è ottima come spezia in cucina.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        – Mentha arvensis, varietà campestre dalle foglie ricoperte da peluria, tipica di zone sub montane.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        In commercio è possibile trovare sia la menta fresca che la menta secca.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali della menta

                                                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali della menta fresca e della menta secca
                                                                                                                                                                                        Tabella con i valori nutrizionali della menta fresca e menta secca.

                                                                                                                                                                                        Valori nutrizionali della menta fresca e menta secca

                                                                                                                                                                                        Le foglie della menta ne rappresentano la parte commestibile e hanno un apprezzabile contenuto di fibra e proteine, mentre presentano un basso contenuto lipidico.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Presentano, inoltre, un buon contenuto di vitamine, soprattutto del gruppo B, di vitamina C e E e di sali minerali, come potassio, calcio, fosforo e ferro.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Dall’olio essenziale di questa pianta si ricava il mentolo, composto ampiamente utilizzato in ambito alimentare, farmaceutico e cosmetico.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La menta secca, contenendo un minor quantitativo di acqua rispetto alla fresca, a parità di peso presenta una maggior concentrazione di nutrienti.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Benefici della menta

                                                                                                                                                                                        La menta ha caratteristiche rinfrescanti e gode di proprietà antiossidanti. Quest’ultima caratteristica è da riconoscere alla vitamina C contenuta in questa pianta che, oltre a neutralizzare l’azione dei radicali liberi, innalza le difese immunitarie.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Anche i minerali, come il potassio e il calcio che sono quelli presenti in quantità maggiore, hanno una funzione positiva. Nello specifico il calcio influenza positivamente la salute di ossa e denti e il potassio regola la pressione arteriosa.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La porzione giornaliera consigliata per la menta è 5 grammi.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La menta fresca per aromatizzare l’acqua potrebbe essere utile per combattere la disidratazione e per contrastare il gonfiore sottocutaneo o edema.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Interazioni della menta

                                                                                                                                                                                        I soggetti con reflusso gastroesofageo o che assumono farmaci trasformati dal fegato o la ciclosporina devono prestare attenzione al consumo di menta.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia della menta

                                                                                                                                                                                        Caratteri botanici della pianta di menta

                                                                                                                                                                                        La menta è una pianta erbacea perenne con radici rizomatose che si sviluppano profondamente nel terreno.

                                                                                                                                                                                        E’ un genere polimorfo, ovvero di aspetto molto variabile a seconda della specie.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Il fusto ha una lunghezza variabile da 30 cm fino ad un metro; può avere una colorazione che va dal verde al violetto; in genere molto ramificato ed a sezione quadrangolare.

                                                                                                                                                                                        Le foglie, nella maggior parte delle specie contengono ghiandole ricche di oli essenziali che conferiscono il caratteristico aroma. Sono semplici, di colore verde più o meno intenso, opposte, per lo più lanceolate e ricoperte da una leggera peluria.

                                                                                                                                                                                        I fiori sono portati da infiorescenze disposte a capolino o a spicastro (insieme di fiori inseriti all’ascella delle foglie disposte a corona sui nodi, molto ravvicinati simili ad una spiga) con fiori lobati tipici della famiglia.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Coltivazione della menta

                                                                                                                                                                                        La menta è una pianta che cresce in climi diversi da ritrovarsi dall’Alaska al Kenya, ma è più frequente in zone con primavera fredda e umida e estate calda e asciutta. Da qui ne deriva che può crescere in pieno sole e in zone ombreggiate, anche se una maggiore luminosità favorisce una maggiore formazione di oli essenziali.

                                                                                                                                                                                        La quantità di oli essenziali è influenzata positivamente dalle temperature: maggiore è la temperatura, maggiore sarà la produzione di oli essenziali.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La menta può essere coltivata sia in vaso, sia in terra e richiede delle annaffiature regolari e generose soprattutto durante il periodo estivo.

                                                                                                                                                                                        E’ importante evitare di bagnare le foglie in quanto l’evaporazione favorisce la dispersione degli oli essenziali.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La menta non ha particolari esigenze in fatto di terreno, l’importante è che si tratti di un terreno fertile ricco di humus, poroso, a pH neutro o leggermente acido (pH 6-7), ben drenante per evitare i ristagni idrici; sono assolutamente da evitare terreni pesanti ed argillosi.

                                                                                                                                                                                        Essendo una pianta che ha necessità di sostanza organica nel terreno, è bene rinnovare il terriccio ogni 2-3 anni considerando che si tratta di una pianta longeva e dalla crescita abbondante.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Produzione della menta

                                                                                                                                                                                        Le foglie di menta si possono raccogliere tutto l’anno, anche al momento della piena fioritura, per lo più nel mese di agosto, hanno il maggior contenuto di oli essenziali e di mentolo libero e un basso contenuto in mentone, altro componente dell’olio essenziale, che conferisce però un odore aspro.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Una volta raccolta va consumata allo stato fresco oppure essiccata all’aria e all’ombra, infatti anche secca mantiene il suo aroma.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Stagionalità della menta

                                                                                                                                                                                        La menta è sempre reperibile sul mercato essendo una pianta perenne.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione della menta

                                                                                                                                                                                        La menta è più aromatica appena colta ma può essere essiccata, sia con un essiccatore, sia ponendo i rami in un luogo asciutto e arieggiato.

                                                                                                                                                                                        Le foglie secche vengono impiegate soprattutto nella preparazione di tisane e del tè alla menta.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        È un’erba aromatica diffusa nelle cucine di tutto il mondo. In genere in cucina non si usa la Mentha piperita per l’aroma troppo marcato, ma la varietà di Menta spicata. Viene impiegata per aromatizzare insalate, frittate, torte salate e verdure.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Può essere impiegata anche per preparare infusi o per aromatizzare l’acqua naturale, insieme eventualmente a limone o lime, per rendere più gradevole l’acqua, specialmente nella stagione calda.

                                                                                                                                                                                        Melanzana

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        varietà di melanzana

                                                                                                                                                                                        Famiglia: Solanaceae

                                                                                                                                                                                        Genere: Solanum

                                                                                                                                                                                        Specie: Solanum melongena

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Storia della melanzana

                                                                                                                                                                                        La pianta della melanzana appartiene alla famiglia delle Solanaceae ed è originaria dell’India.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        In Italia questo ortaggio ha iniziato a diffondersi intorno al 400 d.C. ad opera degli Arabi; a oggi il nostro paese è uno dei principali esportatori a livello europeo.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Varietà di melanzana

                                                                                                                                                                                        Esistono diverse varietà di melanzana, distinte in base alla forma, che può essere più o meno ovale, allungata, o rotonda e al colore che va dal viola scuro al lilla.

                                                                                                                                                                                        Più rara è una particolare tipologia di melanzana caratterizzata dall’assenza di pigmenti e che quindi appare completamente bianca.

                                                                                                                                                                                        Questo alimento non può essere consumato crudo, in quanto, oltre ad avere un gusto sgradevole, contiene la solanina, fattore antinutrizionale che viene inattivata mediante la cottura.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        In Italia le varietà di melanzana più diffuse e consumate sono: la violetta di Firenze con forma rotondeggiante, la violetta di Napoli con una forma più allungata e il sapore più deciso.

                                                                                                                                                                                        Si trova poi la Larga Morada, dal colore più chiaro con strisce violacee e con un gusto molto delicato.

                                                                                                                                                                                        La gigante di New York, viola e di grande dimensioni ed infine la violetta lunga Palermitana dal colore viola scuro e dalla forma allungata.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali della melanzana

                                                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali della melanzana

                                                                                                                                                                                        Valori nutrizionali della melanzana

                                                                                                                                                                                        La melanzana è un ortaggio caratterizzato da una buona quantità di fibra sia solubile che insolubile.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        È inoltre considerata una buona fonte di potassio, ha una discreta quantità di minerali e vitamine del gruppo B, in particolare la niacina (o vitamina B3).

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        E’ ricca di antocianine, pigmenti vegetali responsabili della colorazione viola, concentrati nella buccia che quindi sarebbe da non allontanare durante le diverse preparazioni.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Benefici della melanzana

                                                                                                                                                                                        Le fibre solubili presenti nella melanzana apportano effetti benefici a livello cardiovascolare poiché regolano la quantità di colesterolo circolante.

                                                                                                                                                                                        Questo ortaggio, inoltre, contribuisce a regolare la pressione arteriosa grazie al potassio, minerale maggiormente presente nella melanzana.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Sono presenti anche le vitamine del gruppo B che contribuiscono al buon funzionamento del metabolismo e da antocianine, presenti nella buccia, che sono composti caratterizzati da proprietà antinfiammatorie, antiaging e antitumorali.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La porzione giornaliera consigliata è 200 grammi, che corrisponde circa a mezzo piatto di melanzane.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Il consumo di questo ortaggio, se sbucciato, potrebbe essere utile in caso di diarrea e stipsi o costipazione.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Interazioni della melanzana

                                                                                                                                                                                        Bisogna fare attenzione all’eccessivo consumo delle melanzane in quanto contengono solanina, un alcaloide potenzialmente tossico il cui effetto però viene ridotto con la cottura.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia della melanzana

                                                                                                                                                                                        Caratteri botanici della melanzana

                                                                                                                                                                                        La melanzana è una pianta annuale a ciclo primaverile-estivo, con foglie di forma differente a seconda della varietà che frequentemente presentano spine sulla parte inferiore.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Coltivazione della melanzana

                                                                                                                                                                                        È un ortaggio tipicamente estivo, in quanto al di sotto dei 12°C la pianta non riesce a crescere.

                                                                                                                                                                                        Andrebbe coltivata in terreni fertili e ben drenati, in posizione soleggiata ma riparata. Ha bisogno di un clima che non sia né troppo freddo, né troppo umido e ventoso.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        In Italia, la coltivazione delle melanzane ha un’estensione di circa 12000 ettari e le principali regioni produttrici sono: Sicilia, Campania, Calabria e Puglia.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        La raccolta viene effettuata quando i frutti sono ancora immaturi, da luglio fino a metà ottobre. In realtà è possibile trovare in commercio le melanzane tutto l’anno, in quanto vengono coltivate in serre, dove le condizioni climatiche ideali per la crescita sono riproducibili.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Commercializzazione delle melanzane

                                                                                                                                                                                        Per la melanzana, come per altri ortaggi, sono state stabilite norme di qualità che ne consentono la commercializzazione all’interno dell’U.E.

                                                                                                                                                                                        Il Regolamento C.E. 1292/81 fissa le regole per il prodotto, non destinato alla trasformazione industriale, suddiviso in due categorie: lungo e globoso.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Le bacche avviate alla commercializzazione, dopo la selezione e il condizionamento, devono presentarsi: mature, intere, consistenti e di aspetto fresco oltre che munite di calice e peduncolo.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Le melanzane che non rispettano tali requisiti vengono destinate alla trasformazione industriale.

                                                                                                                                                                                        In commercio infatti oltre alle melanzane fresche è possibile trovare melanzane grigliate surgelate oppure barattoli di melanzane in pezzi o in tranci sott’olio o sott’aceto.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Prodotti della melanzana: melanzane grigliate surgelate e sott’olio

                                                                                                                                                                                        Le melanzane grigliate surgelate vengono prodotte in diverse fasi.

                                                                                                                                                                                        Dopo le prime operazioni di lavaggio e calibratura, le melanzane vengono affettate a macchina e grigliate. La grigliatura permette di stabilizzare il prodotto, mantenendo inalterate le proprietà della polpa e disidratando il prodotto di circa il 50%.

                                                                                                                                                                                        Successivamente si effettua il raffreddamento con aria forzata e poi le fette di melanzane grigliate vengono congelate e confezionate.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Per la produzione delle melanzane sott’olio invece bisogna tagliare a fette le melanzane e metterle sotto sale per almeno 24 ore, lasciando percolare l’acqua.

                                                                                                                                                                                        Successivamente, dopo averle lasciate asciugare per altre 24 ore, si sbollentano per due minuti in acqua e aceto e poi di nuovo ad asciugare per un altro giorno al termine del quale sono collocate nei barattoli e aromatizzate.

                                                                                                                                                                                        Gli aromi più frequentemente usati sono: origano, aglio, prezzemolo, peperoncino, semi di finocchio selvatico, basilico, alloro.

                                                                                                                                                                                        Una volta ricoperte di olio, i barattoli vengono chiusi ermeticamente e conservati in luogo buio e fresco. Sono pronte dopo 4-5 mesi.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Stagionalità della melanzana

                                                                                                                                                                                        Le melanzane sono raccolte dal mese di giugno al mese di ottobre anche se è possibile trovarle in commercio tutto l’anno grazie alla coltivazione in serra.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione della melanzana

                                                                                                                                                                                        Le melanzane, in quanto raccolte in fase di attivo accrescimento, sono caratterizzate da una intensa attività metabolica per cui le possibilità di conservazione sono piuttosto limitate.

                                                                                                                                                                                        Può essere conservata in frigorifero, nell’apposito cassetto per frutta e verdura, per circa una settimana, possibilmente senza rimuovere il picciolo, che contribuisce a mantenere più a lungo la freschezza.

                                                                                                                                                                                        Le bacche di forma allungata sembrano più idonee alla conservazione rispetto a quelle rotondeggianti.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        È un ortaggio molto versatile che può essere cucinato in svariati modi: al vapore, al forno, alla griglia e può essere impiegato in sughi per la pasta.

                                                                                                                                                                                        Indipendentemente dal tipo di cottura utilizzato è consigliabile, prima di cuocerla, tagliarla e lasciarla in uno scolapasta in modo da allontanare i liquidi che conferiscono un gusto amaro e una volta sciacquate passare alla preparazione.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Alcuni studi scientifici hanno valutato la variazione dei fitocomposti di questo ortaggio in base ai diversi metodi di cottura e si è notato che la grigliatura riduce notevolmente il contenuto di antocianine, mentre la bollitura con aggiunta di olio extravergine ne fa aumentare la concentrazione.

                                                                                                                                                                                        Quindi un buon metodo per preservare le qualità di questo alimento è quello di cuocerla con un filo di acqua e solo a fine cottura aggiungere olio extravergine di oliva a crudo.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Si consiglia inoltre di consumare l’ortaggio senza togliere la buccia, in modo da evitare di perdere le antocianine, pigmenti responsabili della tipica colorazione che svolgono ruoli protettivi per la salute.

                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                        Le proposte di ricette di FBO con la melanzana

                                                                                                                                                                                        • • Bimestrale di informazione e aggiornamento medico n°6- 2014.

                                                                                                                                                                                          • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                          • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                          • Lazzarini E. (2013) “Gli ortaggi e le piante aromatiche”. Hoepli, Milano.

                                                                                                                                                                                          • Liotta E., Pelicci P.G., Titta L., (2016) “La dieta smartfood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                          • Mattila P., Hellstrom J. (2006) “Phenolic acids in potatoes, vegetables, and some of their products”, Journal of Food Composition and Analysis.19, 205-211.

                                                                                                                                                                                          www.agraria.org

                                                                                                                                                                                          www.agricoltura.regione.emilia-romagna.it

                                                                                                                                                                                          www.bda-ieo.com

                                                                                                                                                                                          www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                          www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                          www.salute.gov.it

                                                                                                                                                                                          Mela

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          varietà di mele

                                                                                                                                                                                          Famiglia: Rosaceae

                                                                                                                                                                                          Genere: Malus

                                                                                                                                                                                          Specie: Malus domestica

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Storia della mela

                                                                                                                                                                                          La mela è il frutto del melo, pianta tipica dell’Asia centrale con un fusto che può raggiungere gli 8 metri di altezza.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il melo è oggi coltivato intensivamente in Cina, Stati Uniti, Russia e Europa (soprattutto in Italia e Francia).

                                                                                                                                                                                          In Italia la produzione è concentrata nel settentrione: l’80% del raccolto nazionale, infatti, proviene da tre regioni del Nord: Trentino-Alto Adige (46%), Emilia-Romagna (17%) e Veneto (14%).

                                                                                                                                                                                          Altre aree di una certa importanza sono Piemonte, Lombardia e Campania.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Varietà di mele

                                                                                                                                                                                          In Italia la mela è uno dei frutti più diffusi e ne sono disponibili diverse varietà.

                                                                                                                                                                                          Le più note sono:

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          • Red Delicious (dal colore rosso e croccanti),
                                                                                                                                                                                          • Stark Delicius (rosse con polpa molto fine, quasi sabbiosa),
                                                                                                                                                                                          • Renetta del Canada (dalla forma irregolare, colore rosso e verde),
                                                                                                                                                                                          • Granny Smith (colore verde, croccante al morso),
                                                                                                                                                                                          • Fuji (aspetto rotondo, buccia colore rosso chiaro, sapore dolce e abbastanza croccante),
                                                                                                                                                                                          • Golden Delicius (gialla, dal sapore molto dolce e con polpa croccante).

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Esiste poi una varietà tipica della regione Campania, la mela Annurca, riconosciuta con il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). che può essere della tipologia Sergente o Caporale.

                                                                                                                                                                                          La prima ha un sapore acidulo con la buccia striata di colore giallo-verde, mentre la seconda, più dolce, è rossa con puntini bianchi.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali della mela

                                                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali della mela fresca (con e senza buccia), mela disidratata e purea di mela
                                                                                                                                                                                          Tabella con i valori nutrizionali della mela fresca (con e senza buccia), mela disidratata e purea di mela.

                                                                                                                                                                                          Valori nutrizionali della mela fresca, mela disidratata e purea di mela

                                                                                                                                                                                          La mela fornisce potassio e fosforo e tra le vitamine, sono presenti la vitamina A e la C, concentrati prevalentemente nella buccia.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Caratteristico di questo frutto è l’acido malico, composto organico ampiamente utilizzato in ambito industriale come conservante, per la sua azione acidificante.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Sia nella polpa che nella buccia sono inoltre presenti eteri, tannini, alcoli, aldeidi e terpeni che ne rendono vario il profumo e il sapore.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le mele sono una buona fonte di fibra solubile, specialmente di pectina, ampiamente utilizzata nella preparazione di confetture per le sue proprietà addensanti.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le mele fresche sono considerate un alimento con un modesto apporto energetico, mentre lavorate possono avere un valore energetico maggiore in quanto i nutrienti si concentrano, per esempio nella fase di disidratazione o di altre lavorazioni.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La composizione chimica e quindi il valore nutrizionale delle mele varia a seconda del tipo di mela, del clima, del grado di maturazione e della composizione del terreno.

                                                                                                                                                                                          In tabella sono riportate alcune varietà di mele a diversa composizione.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali di diverse varietà di mela
                                                                                                                                                                                          Tabella con i valori nutrizionali di diverse varietà di mela: Mele Annurca, Mele Delicious, Mele Golden, Mele Granny Smith, Mele Imperatore e Mele Renette.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          I benefici della mela

                                                                                                                                                                                          I principali benefici della mela sono da riconoscere ai fitonutrienti e alle fibre che la compongono. Tra le fibre una delle protagoniste è la pectina che riduce il colesterolo a livello cardiovascolare e regola gli zuccheri nel sangue.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La mela sembra godere, inoltre, di caratteristiche antiossidanti e antinfiammatorie.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La porzione giornaliera consigliata è di 150 grammi che corrisponde circa a una mela. Attenzione però perchè esistono differenti tipi di mela di diverse dimensioni.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile in caso di:

                                                                                                                                                                                          –  alterazione del gusto usando l’aceto di mele come marinatura

                                                                                                                                                                                          perdita di appetito come frutta essiccata all’interno di yogurt bianchi al naturale

                                                                                                                                                                                          diarrea

                                                                                                                                                                                          stipsi, se consumata cotta

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Interazioni della mela

                                                                                                                                                                                          I soggetti che assumono antistaminici come la fexofenadina devono prestare attenzione al consumo di mele in quanto il loro succo potrebbe interferire con l’efficacia del farmaco.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia della mela

                                                                                                                                                                                          Caratteri botanici del melo

                                                                                                                                                                                          Il melo è una pianta di dimensioni medio-elevate, resistente al freddo e in grado di adattarsi alle diverse tipologie di terreno.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il frutto è disponibile in tutti i periodi dell’anno, anche se la sua maturazione naturale avviene dalla fine di agosto fino alla metà di settembre.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Dopo la raccolta le mele vengono conservate a temperature basse (0-4°C) con un’umidità dell’85/90%.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Produzione delle mele

                                                                                                                                                                                          In ambito industriale la mela è un alimento che viene ampiamente impiegato nella produzione di svariati prodotti, quali succhi, puree, omogenizzati e dolci.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La purea di mela

                                                                                                                                                                                          Per la produzione delle puree viene utilizzata prevalentemente la varietà di mele Golden in quanto presenta caratteristiche che permettono di ottenere prodotti con proprietà organolettiche migliori.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La produzione viene effettuata in diverse fasi.

                                                                                                                                                                                          Dopo i primi stadi di preparazione dei prodotti freschi (lavaggio, rimozione del torsolo e triturazione), si ha un processo di scottatura, effettuato a 90-95°C, che provoca l’inattivazione degli enzimi che potrebbero provocare alterazione del colore e del sapore.

                                                                                                                                                                                          La massa polposa così ottenuta viene sottoposta a una fase di estrazione, mediante l’utilizzo di setacci in acciaio da cui si ottiene la purea vera e propria.

                                                                                                                                                                                          La presenza di ossigeno costituisce un fattore di rischio per possibili fenomeni di ossidazione dei polifenoli e relative alterazioni del colore. Risulta quindi fondamentale la successiva fase di disaerazione.

                                                                                                                                                                                          La purea ottenuta viene quindi stoccata in contenitori asettici destinati alla commercializzazione oppure impiegata per la produzione di nettari.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La mela disidratata

                                                                                                                                                                                          In commercio si possono trovare anche mele disidratate.

                                                                                                                                                                                          Per ottenerle si parte dalle mele fresche che vengono sbucciate, private del torsolo e tagliate a fettine regolari. In seguito vengono essiccate in forni a 40/45°C per 24-30 ore assicurando una buona ventilazione del forno.

                                                                                                                                                                                          La bassa temperatura di essiccazione permette di non perdere eccessivamente le qualità e le proprietà della mela durante il processo.

                                                                                                                                                                                          Successivamente le mele vengono insacchettate.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Stagionalità delle mele

                                                                                                                                                                                          Le mele si trovano sul mercato dal periodo estivo fino all’inizio del periodo invernale.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione delle mele

                                                                                                                                                                                          Un consiglio che si può suggerire è quello di consumare le mele con la buccia, dove risiedono le sostanze con proprietà benefiche, facendo attenzione a lavarle accuratamente e ad asciugarle sfregando con un panno.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Per il consumo casalingo esistono diverse opzioni come la cottura in forno, infusi e decotti.

                                                                                                                                                                                          Nel caso della mela grattugiata è bene aggiungere del succo di limone per rallentare l’ossidazione dei polifenoli e conseguente inscurimento.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le proposte di ricette di FBO con la mela

                                                                                                                                                                                          Mandorla

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          mandorla dolce

                                                                                                                                                                                          Famiglia: Rosaceae

                                                                                                                                                                                          Genere: Prunus

                                                                                                                                                                                          Specie: Prunus dulcis

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Storia della mandorla

                                                                                                                                                                                          La mandorla è il seme commestibile del mandorlo, pianta di grandi dimensioni, appartenente alla famiglia delle Rosaceae.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il mandorlo è una pianta originaria dell’Asia centro occidentale e, marginalmente, della Cina.

                                                                                                                                                                                          Venne introdotto in Sicilia dai Fenici, proveniente dalla Grecia, tanto che i Romani lo chiamavano “noce greca“. In seguito si diffuse anche in Francia e Spagna e in tutti i Paesi del Mediterraneo.

                                                                                                                                                                                          Ad oggi i principali produttori sono Stati Uniti, Spagna, Italia, Cile e Grecia.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Nel nostro paese crescono le varietà di mandorle più pregiate al mondo, come Pizzuta, Fascionello e Romana che vengono coltivate in Sicilia.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Varietà di mandorle

                                                                                                                                                                                          A questa specie appartengono tre principali sottospecie di interesse frutticolo:

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          • sativa (con seme dolce ed endocarpo duro; comprende la maggior parte delle specie coltivate),
                                                                                                                                                                                          • amara (ha seme amaro per la presenza di amigdalina),
                                                                                                                                                                                          • fragilis (con seme dolce ed endocarpo fragile).

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La mandorla dolce è la più utilizzata in ambito alimentare in quanto non contiene amigdalina. Tale molecola infatti è in grado di rilasciare acido cianidrico che può avere un effetto antinutrizionale per l’uomo se assunto in una percentuale del 2-4%.

                                                                                                                                                                                          La legge italiana prevede infatti limiti massimi di acido cianidrico negli alimenti, pari a 1 mg/kg nelle bevande e a 50 mg/Kg in prodotti come torroni e altri dolci.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali della mandorla

                                                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali della mandorla dolce (fresca e secca)
                                                                                                                                                                                          Tabella con i valori nutrizionali della mandorla dolce (fresca e secca).

                                                                                                                                                                                          Valori nutrizionali della mandorla dolce

                                                                                                                                                                                          La mandorla è un’ottima fonte di acidi grassi insaturi, come l’acido oleico (C18:1) e il linoleico (C18:2).

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le mandorle sono ricche anche di sali minerali come potassio, fosforo, magnesio e calcio e presentano un ottimo contenuto di vitamina E.

                                                                                                                                                                                          Nelle mandorle sono presenti buone percentuali di proteine e fibra alimentare.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Benefici della mandorla dolce

                                                                                                                                                                                          Le mandorle sono fonte di vitamina E e minerali.

                                                                                                                                                                                          La vitamina E è una molecola antiossidante e quindi protegge il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                                                                                                                                          Tra i minerali invece spiccano il potassio che regola la pressione, mentre il fosforo, il magnesio e il calcio favoriscono la salute di ossa e denti.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Alcuni studi suggeriscono che i soggetti che consumano una quantità di mandorle compresa tra 28 e 50 grammi al giorno abbia, nel tempo, un miglioramento del profilo lipidico. Però solamente altri studi clinici di lunga data potranno confermare queste affermazioni.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La porzione di consumo delle frutta secca, tra cui rientrano le mandorle, suggerita dalle linee guida è 30 grammi. Questi corrispondono a circa 15-20 mandorle.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Una porzione di mandorle contiene 7,8 mg di vitamina E, soddisfando così più della metà del fabbisogno giornaliero di questa vitamina per la popolazione adulta (13 mg per gli uomini e 12 mg per le donne).

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il consumo di questa frutta secca a guscio può essere utile per contrastare alcuni effetti collaterali causati dal trattamento oncologico:

                                                                                                                                                                                          – come spuntino in caso di perdita di appetito, in quanto è un alimento ricco di nutrienti;

                                                                                                                                                                                          – come bevanda vegetale senza zuccheri aggiunti in caso di stomatite;

                                                                                                                                                                                          in caso di anemia sideropenica perché è un alimento appartenente al mondo vegetale che presenta un buon quantitativo di ferro.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Interazioni della mandorla

                                                                                                                                                                                          E’ sconsigliato mangiare mandorle insieme a una dose massiccia di vitamina C perché questa unione potrebbe causare intossicazione da cianuro.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia della mandorla dolce

                                                                                                                                                                                          Caratteri botanici del mandorlo e coltivazione

                                                                                                                                                                                          Il mandorlo una pianta a medio sviluppo, alta 8-10 m e molto longeva.

                                                                                                                                                                                          L’epoca di fioritura, pur variando fra i diversi ambienti (da gennaio a marzo) è alquanto precoce.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le migliori condizioni pedoclimatiche per la coltivazione del mandorlo sono aree temperate dove sono meno frequenti le brinate tardive.

                                                                                                                                                                                          La raccolta si attua tra la fine di agosto e la fine di settembre, in relazione alla cultivar.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Produzione della mandorla dolce

                                                                                                                                                                                          Dopo la raccolta, i frutti vengono fatti asciugare all’aria e successivamente viene effettuata meccanicamente la smallatura, fase in cui viene allontanato l’involucro che li riveste.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le mandorle smallate vengono nuovamente essiccate per diversi giorni in modo da prevenire lo sviluppo di muffe e sono pronte per essere conservate.

                                                                                                                                                                                          Se le mandorle non sono completamente secche spesso si irrancidiscono, assumendo un sapore amaro che non ne permette il consumo, e il più delle volte all’interno si sviluppano delle muffe.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La maggior parte delle mandorle viene utilizzata dall’industria dolciaria per la preparazione di confetti, torroni e dolci di vario genere; una parte minore viene invece immessa in commercio come frutta secca.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          In commercio si trovano soprattutto mandorle tostate, quelle al naturale si possono trovare anche senza cuticola (mandorle pelate). Infine, si può trovare la farina di mandorla, utilizzata principalmente per la realizzazione di dolci e biscotti.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Stagionalità delle mandorle

                                                                                                                                                                                          Le mandorle sono reperibili sul mercato tutto l’anno, ma la raccolta dei frutti avviene tra agosto e settembre.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione della mandorla dolce

                                                                                                                                                                                          Le mandorle con il guscio si conservano a temperatura ambiente per circa cinque mesi.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Per quelle sgusciate, è preferibile l’acquisto in confezioni sigillate, poiché gli acidi grassi irrancidiscono facilmente se esposti all’aria, alla luce o al calore. Pertanto le mandorle sgusciate vanno conservate in un barattolo a chiusura ermetica, riposte in un luogo fresco e asciutto, lontano da fonti di luce e consumate entro 1-2 mesi.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le mandorle possono essere utilizzate come spuntino, ingrediente per insalate o per l’impanatura dopo averle macinate.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le proposte di ricette di FBO con la mandorla

                                                                                                                                                                                          Mais

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          mais o granoturco

                                                                                                                                                                                          Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)

                                                                                                                                                                                          Genere: Zea

                                                                                                                                                                                          Specie: Zea mays

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Cos’è il mais o granoturco

                                                                                                                                                                                          Il mais o granoturco è un cereale appartenente alla famiglia delle Graminaceae.

                                                                                                                                                                                          Originario dell’America, la diffusione in Europa avvenne a partire dal 1600 nelle regioni Balcaniche e successivamente in Italia.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La cariosside del mais è costituita dall’embrione (12-14%), dall’endosperma (75-80%) e dal pericarpo (8-10%).

                                                                                                                                                                                          L’embrione è ricco di lipidi, vitamina E ed A. L’endosperma è costituito da una parte ricca di sostanze azotate, e una parte farinosa, costituita quasi esclusivamente da amido e povera di sostanze proteiche.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Tipi di mais

                                                                                                                                                                                          Il mais può essere di diverso colore (bruno, violetto, rosso, giallo o bianco) e con forme differenti (rotondeggiante, schiacciata, appuntita).

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le tipologie più importanti in Italia sono il mais bianco, detto anche “Biancoperla”, in quanto presenta chicchi bianchi, vitrei e brillanti ed è un prodotto tipico veneto tutelato come presidio di Slow Food.

                                                                                                                                                                                          Altra tipologia è il mais rosso, tipico del Piemonte, caratterizzato dalla presenza di antocianine, responsabili della colorazione.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il mais si trova in commercio sotto forma di farina, chicchi o in scatola previa cottura.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali del mais o granoturco

                                                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali del mais dolce in scatola e crudo e della farina di mais
                                                                                                                                                                                          Tabella con i valori nutrizionali del mais dolce in scatola e crudo e della farina di mais

                                                                                                                                                                                          Valori nutrizionali del mais

                                                                                                                                                                                          Il mais è un’ottima fonte di carboidrati, in particolare di amido.

                                                                                                                                                                                          Da come si può notare dalla tabella la farina di mais, presentando un quantitativo di carboidrati superiore rispetto al mais dolce crudo ed in scatola, fornisce un apporto energetico più elevato; il mais dolce crudo invece apporta meno calorie.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Sono presenti anche discreti livelli di potassio e fosforo e un discreto quantitativo di vitamina A e di vitamine del gruppo B.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Nel passato il mais è stato oggetto di interesse nutrizionale in quanto in zone povere con alimentazione quasi esclusivamente a base di mais era stata osservata la comparsa della pellagra, una malattia causata dalla carenza di vitamina PP nella cariosside di mais.

                                                                                                                                                                                          Tale deficienza è dovuta al basso contenuto in triptofano (amminoacido essenziale fonte di vitamina PP) della zeina, una proteina che, assieme alla zeatina, è presente nel mais.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il quantitativo di sodio risulta più elevato nel mais in scatola per la presenza del liquido di governo, acqua e cloruro di sodio, utile al miglioramento della conservazione del prodotto.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Benefici del mais

                                                                                                                                                                                          Il mais è composto da molecole con azione antiossidante come la vitamina A, la vitamina C, la vitamina E e i carotenoidi.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Oltre alle vitamine appena citate, il mais contiene una discreta quantità di vitamine del gruppo B che contribuiscono a mantenere in salute l’organismo.

                                                                                                                                                                                          I minerali maggiormente presenti sono il potassio che regola la pressione arteriosa, il fosforo e il magnesio che contribuiscono a mantenere in salute le ossa e i denti.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          L’Associazione Italiana Celiachia (AIC) afferma che il mais in chicco cotto al vapore è un alimento che può essere consumato liberamente anche dai celiaci in quanto naturalmente privo di glutine o appartenente ad una categoria alimentare non a rischio per i celiaci, poiché nel corso del processo produttivo non sussiste rischio di contaminazione.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La porzione di consumo standard consigliata è 80 grammi, che corrisponde a circa 4 cucchiai.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia del mais o granoturco

                                                                                                                                                                                          Zone di produzione del mais

                                                                                                                                                                                          Il mais è un cereale che viene coltivato in tutto il mondo e gli Stati Uniti producono circa il 40% del raccolto mondiale; altri grandi Paesi produttori sono Cina, Brasile, Messico, Indonesia.

                                                                                                                                                                                          In Italia la produzione di mais è concentrata soprattutto nelle regioni del nord (Friuli, Lombardia, Veneto e Piemonte) che coprono quasi il 70% della produzione.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La principale causa di questa disomogeneità nella distribuzione produttiva è il clima. Il mais infatti trova il suo ambiente favorevole in zone in cui le piogge hanno una certa frequenza e regolarità.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Coltivazione della pianta del mais

                                                                                                                                                                                          Il mais esige temperature elevate per tutto il suo ciclo vitale e la germinazione non avviene se le temperature sono inferiori a 10°C. La temperatura ottimale per l’accrescimento è di 22-24°C, per la fioritura di 26°C.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il ciclo del mais inizia con cariossidi che pesano circa 0,3 grammi e si conclude con piante che, in buone condizioni di crescita, raggiungono un peso secco di 400-500 grammi.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il mais da granella può essere raccolto dalla maturazione fisiologica, con un livello di umidità che ne rende necessaria l’essiccazione con aria calda.

                                                                                                                                                                                          La raccolta del mais può essere fatta in spiga o in granella. Il primo sistema è tipico della raccolta manuale: le spighe vengono staccate dalla pianta, “scartocciate” (eliminando le brattee che le avvolgono), lasciate essiccare ed infine sgranate con macchina sgranatrice.

                                                                                                                                                                                          Il sistema più rapido e più diffuso è quello con macchina combinata, che esegue contemporaneamente la raccolta e la sgranatura. Le mietitrebbiatrici da mais sono normali mietitrebbiatrici che per operare sul mais vengono munite di apposita testata spannocchiatrice.

                                                                                                                                                                                          Solitamente la stagione di raccolta del mais da granella va dalla seconda metà di settembre alla fine di ottobre.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Prodotti ottenuti dalla macinazione a secco del mais

                                                                                                                                                                                          La granella di mais può essere utilizzata in varie forme e per vari usi e in ogni caso necessita di un processo di lavorazione industriale.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La maggior parte del mais per zootecnica e per l’alimentazione umana viene trasformato per macinazione a secco. Con questo tipo di lavorazione si ottiene prima la separazione dell’embrione dai tegumenti della cariosside e successivamente, attraverso passaggi di setacciatura, vengono separati sfarinati di diversa granulometria.

                                                                                                                                                                                          Da questo processo derivano diversi sfarinati:

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          • spezzature grosse (o hominy), da sottoporre successivamente alla laminazione in fiocchi (corn flakes) per alimentazione umana o per mangimi;
                                                                                                                                                                                          • spezzature fini (o grits), per l’industria della birra in parziale sostituzione del malto d’orzo o per mangimi;
                                                                                                                                                                                          • farine per prodotti da forno.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il germe, una volta essiccato, viene sottoposto all’estrazione dell’olio, la crusca invece viene destinata all’industria zootecnica.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il prodotto più abbondante ed importante ottenuto dal mais è l’amido, utilizzato tal quale dopo essiccamento (amido nativo) o modificato mediante trattamenti chimici, fisici o enzimatici.

                                                                                                                                                                                          Per idrolisi acida e/o enzimatica si ottengono sciroppi di glucosio, destrosio, fruttosio impiegati come dolcificanti nell’industria alimentare e farmaceutica.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Tecnica dell’appertizzazione per il mais in scatola

                                                                                                                                                                                          Il mais in scatola viene invece prodotto con il metodo denominato “appertizzazione”, che prevede la sterilizzazione del prodotto inscatolato, preceduto da una serie di operazioni preliminari.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Si effettua un pretrattamento termico, ovvero una precottura più o meno prolungata, ed in seguito viene confezionato in scatole di banda stagnata.

                                                                                                                                                                                          Quindi, ad una temperatura superiore agli 85°C, vengono addizionati acqua e sale.

                                                                                                                                                                                          I contenitori vengono chiusi ermeticamente e sterilizzati a temperature superiori ai 100°C e per un tempo che può variare dai 10 ai 60 minuti, secondo il formato e il materiale utilizzato per il confezionamento.

                                                                                                                                                                                          Infine, per ottenere un prodotto di buona qualità, le confezioni vengono raffreddate rapidamente fino a una temperatura di circa 40°C.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le scatole, dopo il raffreddamento, devono presentare il fondo leggermente concavo a causa del vuoto parziale al loro interno. Scatole con il fondo bombato invece devono essere scartate poiché potrebbero essere contaminate da spore (come il botulino), produttrici di gas resistenti alle alte temperature.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Stagionalità del mais o granoturco

                                                                                                                                                                                          Il mais viene raccolto nei mesi di agosto e settembre, ma grazie alle lavorazioni a cui viene sottoposto si trova sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione del mais o granoturco

                                                                                                                                                                                          I chicchi freschi appaiono turgidi ed aderenti gli uni agli altri e possono essere consumati lessati o cotti al vapore, dopo averli sgranati, insieme ad un’insalata o come contorno.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le pannocchie possono essere anche cotte al forno, avendo cura di lasciarle a bagno per pochi minuti prima della cottura.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il mais in scatola può essere conservato per 48 mesi dalla data di produzione in un luogo fresco ed asciutto, lontano da fonti di luce. Una volta aperto è da conservare in frigorifero e consumare preferibilmente entro 2-3 giorni.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La farina di mais è utilizzata nella preparazione di diversi piatti (tra i quali in Italia il più noto è la polenta), alcuni tipi di pane e alcuni dolci.

                                                                                                                                                                                          Si distingue in farina bramata, a grana grossa, per polente particolarmente saporite e gustose, fioretto di farina per polente pasticciate, morbide e delicate, fumetto di mais, per una farina finissima adatta alla produzione di dolci e biscotti (quali le paste di meliga).

                                                                                                                                                                                          In commercio esiste anche una miscela di farine, nota come taragna, costituita da farina di mais e farina di grano saraceno, con cui si produce una polenta più scura e grezza rispetto a quella tradizionale di mais.

                                                                                                                                                                                          Esiste anche la farina di mais integrale, di colore più scuro rispetto alla farina di mais gialla, utilizzata per la produzione di polenta e la preparazioni di dolci; non è invece adatta per la produzione di pane, a meno di non miscelarla con una parte di farina di frumento.

                                                                                                                                                                                          La farina di mais integrale o la taragna sono in grado di apportare un buon contenuto in fibra, sono prive di glutine e hanno un indice glicemico inferiore rispetto alla farina di mais gialla.

                                                                                                                                                                                          Lupino

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          semi di lupino

                                                                                                                                                                                          Famiglia: Papilionaceae          

                                                                                                                                                                                          Genere: Lupinus

                                                                                                                                                                                          Specie: Lupinus albus

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Lupino: cos’è e storia

                                                                                                                                                                                          Il lupino è una leguminosa da granella.

                                                                                                                                                                                          È nota e diffusa fin dall’antichità nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente per la sua notevole adattabilità agli ambienti meno favorevoli, come terreni acidi, dove le altre tipologie di leguminose difficilmente riescono a crescere.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Tipi di lupino

                                                                                                                                                                                          Si conoscono più di 200 specie di lupino, ma tre sono le più diffuse e coltivate: il lupino bianco (Lupinus albus L.), il lupino azzurro o blu (Lupinus angustifolius L.) e il lupino giallo (Lupinus luteus L.).

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          I semi di lupino bianco hanno dimensioni maggiori, con un diametro che va dagli 8 ai 14 mm, una forma circolare appiattita e sono di colore giallo-crema. Il lupino azzurro ha semi rotondi molto simili a quelli della soia, mentre quello giallo presenta semi rotondi, beige o marroni con piccole macchioline e sono più piccoli e stretti di quelli azzurri.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali del lupino

                                                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali del lupino

                                                                                                                                                                                          Lupino valori nutrizionali

                                                                                                                                                                                          semi di lupino sono molto ricchi in proteine, hanno una rilevante percentuale di olio e contengono poco amido.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La composizione in acidi grassi del lupino è principalmente rappresentata da grassi insaturi, quali l’acido linoleico (C18:2) e l’acido oleico (C18:1).

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il lupino presenta una buona quota di fibra, in parte costituita da pectine.

                                                                                                                                                                                          Il contenuto di sodio e calcio è inferiore rispetto alle altre leguminose, mentre è molto ricco di fosforo.

                                                                                                                                                                                          Inoltre la presenza di carotenoidi, in particolare β-carotene, è tale da conferire il caratteristico colore giallo non solo ai semi, ma anche alle farine che si possono ottenere dalla loro trasformazione.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Nel lupino è presente una classe caratteristica di composti amari, noti come alcaloidi chinolizidinici (lupanina, albina, sparteina) che vengono sintetizzati dai tessuti verdi della pianta e, una volta immagazzinati nei semi, utilizzati come meccanismo di difesa dai predatori.

                                                                                                                                                                                          Questi composti hanno infatti un’azione tossica e per uso alimentare vengono infatti impiegate varietà di lupino definite “dolci”, come quella bianca, gialla o azzurra, contenenti cioè una concentrazione di alcaloidi inferiore allo 0,002%.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il lupino è naturalmente privo di glutine ed è quindi un alimento adatto ai soggetti celiaci, tuttavia è diffusa l’allergia alle proteine di questo legume.

                                                                                                                                                                                          Le proteine allergizzanti del lupino risultano stabili a condizioni di pH estreme e hanno proprietà molto simili alle proteine dell’arachide. In alcuni casi è infatti stata riscontrata una cross-sensibilizzazione con l’arachide e la soia.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Lupino benefici

                                                                                                                                                                                          I lupini sono caratterizzati da un basso indice glicemico, caratteristica che li rende utilizzabili in vari tipi di alimentazioni (come, ad esempio, per i diabetici).

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Un’altra caratteristica positiva di questi legumi è che sono composti da steroli vegetali che sono molecole che sfavoriscono l’aumento delle LDL (lipoproteine a bassa densità) del colesterolo. Hanno potere saziante e contrastano la stitichezza.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La porzione di consumo consigliata è mezzo piatto di lupini freschi che corrisponde a 150 grammi o 3/4 cucchiai di lupini secchi che corrispondono a 50 grammi.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia del lupino

                                                                                                                                                                                          Caratteri botanici della pianta di lupino

                                                                                                                                                                                          Il lupino è una pianta annuale, eretta, alta fino a 1,5 metri e poco ramificata. ù

                                                                                                                                                                                          I baccelli sono di forma allungata e schiacciata, contengono da tre a sette semi che variano per dimensioni, colore, aspetto e composizione in base alla specie.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Coltivazione del lupino

                                                                                                                                                                                          La peculiarità di questa pianta è quella di prosperare sui terreni acidi e le esigenze di acidità variano con la specie.

                                                                                                                                                                                          Per quanto riguarda le necessità climatiche, l’elemento più importante è la resistenza alle basse temperature. Solo il lupino bianco resiste al freddo tanto da poter essere seminato in autunno in Italia e d’altra parte tollera il calore e la siccità che incontra nella fase di maturazione.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          La maturazione si raggiunge tra il mese di giugno e luglio e la raccolta viene effettuata a mano.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          In Italia la specie di lupino maggiormente coltivata è quella bianca e le principali regioni produttrici sono Calabria, Lazio, Puglia e Campania.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Prodotti del lupino

                                                                                                                                                                                          Solitamente in commercio i lupini si trovano confezionati sottovuoto ma è possibile trovare altri numerosissimi prodotti a base di farina di lupino ottenuta dalla macinazione di questi legumi essiccati e leggermente tostati.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Le farine di lupino soprattutto per la loro struttura proteica infatti hanno proprietà emulsionanti e nell’industria alimentare permettono ad esempio di migliorare la distribuzione dei vari ingredienti, specialmente dei grassi nella fase dell’impasto.

                                                                                                                                                                                          Trovano infatti applicazione nella produzione di pasta, pane e sostituti del pane (crackers), biscotti e fette biscottate, ma anche di prodotti a base di latte, come yogurt, gelati e sostituti del latte.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Il lupino è un ottimo ingrediente per migliorare le caratteristiche dei prodotti dietetici destinati all’alimentazione dei soggetti celiaci. Infatti l’aggiunta di farina di lupino ai prodotti gluten-free permette di migliorarne soprattutto le caratteristiche organolettiche (sapore, odore, texture e colore).

                                                                                                                                                                                          Inoltre il lupino e i suoi derivati sono sempre più utilizzati nella produzione di prodotti a base vegetale pensati per l’alimentazione di vegetariani e vegani.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Stagionalità del lupino

                                                                                                                                                                                          I lupini vengono raccolti nei mesi di giugno-luglio.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione del lupino

                                                                                                                                                                                          I lupini sono legumi che possono essere consumati freschi oppure sotto forma di zuppe e creme, previa cottura.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Prima del loro utilizzo devono subire un processo di deamarizzazione che è di fondamentale importanza in quanto permette di allontanare le sostanze amare nocive per la salute umana contenute in questi legumi . Questa fase, necessaria anche per le tipologie di lupini “dolci”, si può effettuare trattenendo i lupini in ammollo per un tempo prolungato.

                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                          Dopo aver lavato accuratamente i lupini e aver eliminato quelli non integri, vanno messi in una ciotola con acqua fredda e lasciati in ammollo per 12 ore.

                                                                                                                                                                                          In questo modo si reidratano e aumentano di volume, oltre che cambiare colore.

                                                                                                                                                                                          Dopo di che vanno scolati e sciacquati sotto l’acqua corrente. Si mettono poi in una pentola capiente e si portano a bollore a fuoco medio, per circa 1 ora.

                                                                                                                                                                                          Terminata la cottura, che non deve superare il tempo stabilito per evitare il loro rammollimento, vanno nuovamente scolati e posti in una ciotola coperti di acqua. L’acqua va cambiata 3/4 volte al giorno per 5/6 giorni, fino a quando i lupini non diventano dolci.

                                                                                                                                                                                          A questo punto possono essere impiegati per diverse preparazioni tra cui la salamoia.

                                                                                                                                                                                          • • A.A. Mohamed, P.Rayas-Duarte. (1995). “Composition of Lupinus albus”. Cereal Chemistry, vol 72,643-647

                                                                                                                                                                                            • Duranti, A. Consonni, C. Magni, F. Sessa, A. Scarafoni. (2008). “The major proteins of lupin seed: Characterisation and molecular properties for use as functional and nutraceutical ingredients”. Trends in Food Science & Technology, vol 19,624-633

                                                                                                                                                                                            • Jiménez-Martínez, H. Hernández-Sánchez, G. Alvárez-Manilla, N. Robledo-Quintos, J. Martínez-Herrera, G. Dávila-Ortiz. (2001) “Effect of aqueous and alkaline thermal treatments on chemical composition and oligosaccharide, alkaloid and tannin contents of Lupinus campestris seeds”. Science of Food and Agriculture, vol 81, 421-428

                                                                                                                                                                                            • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                            • R.S. Hall, S.K. Johnson. (2004) “Sensory Acceptability of Foods Containing Australian Sweet Lupin (Lupinus angustifolius) Flour”. Food Science, vol 69, 92-97.

                                                                                                                                                                                            www.agraria.org

                                                                                                                                                                                            www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                            www.entecra.it

                                                                                                                                                                                            www.fao.org

                                                                                                                                                                                            Coniglio

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            carne di coniglio

                                                                                                                                                                                            Famiglia: Leporidae

                                                                                                                                                                                            Genere: Oryctolagus

                                                                                                                                                                                            Specie: Oryctolagus cuniculus

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Storia del coniglio

                                                                                                                                                                                            Il coniglio (Oryctolagus cuniculus) è un mammifero appartenente alla famiglia dei Leporidi.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            La specie oggi allevata deriva dal coniglio selvatico europeo, diffuso in Europa centro-meridionale e in Africa settentrionale. Il coniglio selvatico è molto più piccolo del coniglio domestico comune e raramente supera il chilogrammo.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Il maggior Paese produttore a livello mondiale di carne di coniglio è la Cina seguita dall’Italia, che detiene quindi il primato a livello europeo fornendo il 40% della produzione.

                                                                                                                                                                                            In Italia l’allevamento e la produzione di carne di coniglio si colloca al quarto posto dopo la carne bovina, suina ed avicola.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            La diffusione territoriale della produzione cunicola italiana non risulta omogenea poiché influenzata da diversi fattori, quali il clima e motivi tecnico-strutturali.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Tipologia e qualità della carne di coniglio

                                                                                                                                                                                            Le razze domestiche allevate sono numerose e si distinguono, a seconda della mole, in pesanti, medie e leggere.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            La qualità delle carni cunicole commercializzate in Italia e nell’intera Unione Europea si caratterizza, di norma, per la scarsa uniformità; ciò dipende dalle differenze riscontrabili tra le varie razze e ibridi commerciali impiegati, dall’età e dal peso alla macellazione.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Il coniglio in commercio si può trovare intero, come coscio o frattaglie.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Proprietà nutrizionali del coniglio

                                                                                                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali delle frattaglie, del coscio e del coniglio intero
                                                                                                                                                                                            Tabella con i valori nutrizionali del coniglio: coscio, frattaglie e intero

                                                                                                                                                                                            Valori nutrizionali del coniglio

                                                                                                                                                                                            Le carni di coniglio, come quelle avicole, sono definite “carni bianche”, sono caratterizzate da un contenuto di lipidi relativamente basso, da un buon apporto di proteine e dall’assenza di fattori allergenici o antinutrizionali.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            La composizione nutrizionale, come si può notare in tabella, presenta valori simili ad eccezione del contenuto lipidico che risulta differente a seconda della tipologia e del taglio della carne preso in esame.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Il coniglio presenta anche un buon contenuto di fosforo, zinco e di vitamina B12.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Benefici del coniglio

                                                                                                                                                                                            La carne di coniglio è un’ottima fonte di proteine ad alto valore nutrizionale, che sono cioè costituite da tutte gli amminoacidi essenziali che bisogna introdurre con l’alimentazione.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Inoltre la carne, proprio per la sua composizione, è adatta ad essere consumata in molti tipi di alimentazione come quella degli anziani e dei bambini.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            La porzione standard di consumo è 100 grammi, che corrisponde circa a una fetta di petto di coniglio.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Produzione e Tecnologia del coniglio

                                                                                                                                                                                            Caratteristiche del coniglio

                                                                                                                                                                                            In Italia, la carne di coniglio viene ottenuta in genere dalla macellazione di animali di 2,5 kg di peso e nel periodo compreso tra 11 e 13 settimane.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            La femmina ha un periodo di gravidanza della durata di 30 giorni, può partorire da 6 a 7 volte all’anno (se la stagione è favorevole e se vi è disponibilità di alimenti) con una media di 6-7 piccoli per nidiata, che sono in grado di abbandonare il nido dopo 3 settimane.

                                                                                                                                                                                            I piccoli dopo cinque mesi sono già atti alla riproduzione, anche se lo sviluppo completo viene raggiunto non prima degli otto mesi.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Allevamento del coniglio

                                                                                                                                                                                            La filiera di produzione cunicola italiana è costituita sia da piccoli allevamenti, sia da allevamenti intensivi (professionali).

                                                                                                                                                                                            Nella quasi totalità dei casi gli allevamenti sono a ciclo chiuso, ovvero è presente sia il settore di riproduzione sia il settore di ingrasso, collocati in locali separati.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            I conigli vengono allevati in gabbie di rete metallica disposte in uno o più piani (conigliera).

                                                                                                                                                                                            Sono animali sensibili a fattori stressanti, bisogna quindi assicurare l’aerazione e la luminosità, una temperatura e un’umidità costanti; è inoltre obbligatorio possedere un sistema di raccolta di feci e urine che deve essere di facile manutenzione e disinfezione.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            I conigli adulti sottoposti all’ingrasso sono alimentati con grano, crusca, farine o alimenti misti concentrati.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Produzione della carne di coniglio

                                                                                                                                                                                            I conigli che arrivano nell’impianto di macellazione vengono selezionati, storditi e portati nella zone di macellazione.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            La fase successiva è il “dissanguamento”: il sangue che gocciola viene raccolto in una apposita vasca mantenuta costantemente pulita, mediante un impianto di aspirazione a vuoto.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Segue quindi la fase di scuoiamento. In seguito il coniglio è pronto per essere eviscerato, operazione che avviene in una zona munita di apposita vasca di raccolta.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Una volta eviscerati i conigli sono sottoposti al controllo sanitario, per stabilire la loro idoneità alla vendita, e successivamente trasportati nella zona in cui è posizionata la cabina per il lavaggio delle teste, dove si provvede ad asportare il sangue residuo.

                                                                                                                                                                                            L’animale viene quindi trasferito dalla catena di macellazione a quella del tunnel di raffreddamento, dove si abbatte la temperatura fino a 4°C.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Infine il coniglio viene portato nel reparto di confezionamento per l’ottenimento del prodotto finito; qui viene confezionato intero, in cassetta da più capi o in confezione singola, o tagliato e confezionato in porzioni secondo le esigenze di mercato.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Al momento della vendita il peso oscilla fra i 2,2 e i 3 kg, con valori medi che si aggirano sui 2,5 kg.

                                                                                                                                                                                            Il peso della carcassa, in media 1,6 kg, è più elevato che negli altri paesi europei, imponendo cicli d’allevamento più lunghi (75-85 giorni), contro i (65-70 giorni) di Francia e Spagna dove il consumatore preferisce carcasse più leggere.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Stagionalità del coniglio

                                                                                                                                                                                            La carne di coniglio si può reperire durante tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            Preparazione e Conservazione del coniglio

                                                                                                                                                                                            Al momento dell’acquisto è consigliabile prediligere tagli magri scegliendo carni dal colore rosa chiaro e con un grasso di colore bianco; infatti carni di colore diverso e il grasso di colore giallo sono indice di una cattiva conservazione.

                                                                                                                                                                                            Inoltre una buona carne di coniglio deve presentare il fegato di un colore rosso vivace e le cosce carnose.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            La carne di coniglio si conserva, al pari di altre carni bianche, nei ripiani più freddi del frigorifero per un tempo massimo di 3 giorni, avvolta in pellicola da alimenti.

                                                                                                                                                                                            Può essere congelata, avendo l’accortezza di consumarla entro due mesi.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            I metodi di cottura da prediligere sono quelli in padella (utilizzando un filo d’olio) o al vapore.

                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                            In base al piatto che si desidera preparare converrebbe scegliere l’esemplare più adatto; per l’arrosto è preferibile un coniglio giovane di 1,5 kg circa di peso; per il coniglio in umido è più adatto un esemplare adulto, che possiede una carne meno tenera ma risulta più saporito. Inoltre, durante la cottura prolungata in umido, converrebbe aggiungere del brodo vegetale durante la preparazione evitando così di eccedere con condimenti che risulterebbero molto più grassi.

                                                                                                                                                                                            • • Castellini C. “Dispense di avicoltura”, Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università degli Studi di Perugia.

                                                                                                                                                                                              • Desolei M. (2008-2009) “Miglioramento della conversione alimentare e dell’efficienza di utilizzazione proteica nel coniglio in accrescimento”, tesi di laurea, Università degli Studi di Padova.

                                                                                                                                                                                              • Masia F. (2009-2010) “Lo svezzamento nel coniglio: effetti della stagione e dell’età sulla produzione e qualità della carne”, tesi di dottorato, Università degli Studi di Sassari.

                                                                                                                                                                                              • Salvadori D. (2006-2007) “Studio delle risposte produttive e fisiologiche di conigli in accrescimento allevati con diverse condizioni luminose e in presenza di un arricchimento della gabbia”, tesi di laurea, Università degli Studi di Padova.

                                                                                                                                                                                              www.agraria.org

                                                                                                                                                                                              www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                              www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                              www.treccani.it

                                                                                                                                                                                              Carciofo

                                                                                                                                                                                              tipi di carciofo

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Famiglia: Asteraceae

                                                                                                                                                                                              Genere: Cynara

                                                                                                                                                                                              Specie: Cynara scolymus

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Storia del carciofo

                                                                                                                                                                                              Il carciofo è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae di origine mediterranea, ampiamente coltivata in Italia e in altri paesi limitrofi.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Le regioni italiane a maggior produzione sono Puglia, Sicilia e Sardegna. A livello europeo altri grandi produttori di carciofi sono Francia e Spagna.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              In commercio esistono molte varietà di carciofo che possono essere classificate secondo diversi criteri.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Tipi di carciofo

                                                                                                                                                                                              La classificazione avviene in base a 3 diverse caratteristiche:

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              1. alla presenza e allo sviluppo delle spine si possono avere le varietà spinose o quelle inermi
                                                                                                                                                                                              2. al colore si distinguono le varietà violette e quelle verdi
                                                                                                                                                                                              3. alle caratteristiche agronomiche-commerciali si hanno le varietà autunnali e quelle primaverili.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Al gruppo delle varietà autunnali, detti anche rifiorenti, appartengono varietà di carciofi la cui produzione si verifica a cavallo dell’inverno, con inizio ad ottobre-novembre, e, dopo una stasi invernale, continua in primavera fino a maggio.

                                                                                                                                                                                              Generalmente sono caratterizzate da un capolino medio-piccolo, del peso di circa 150-200 g. Una parte consistente della seconda produzione, cioè quella che appare dopo l’inverno, viene destinata all’industria alimentare per la trasformazione.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Le varietà primaverili sono coltivate nelle aree costiere dell’Italia centro-settentrionale e forniscono una produzione più o meno precoce che può durare da febbraio-marzo fino a maggio-giugno.

                                                                                                                                                                                              Questi carciofi rappresentano una produzione molto pregiata, in quanto hanno un capolino molto più grande dei rifiorenti. Le varietà primaverili si dividono in due grandi famiglie: i “Romaneschi” e i “Toscani”.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              La maggior parte della produzione di carciofi è destinata al consumo fresco, ma in commercio è possibile trovare sia carciofi surgelati che in barattolo, conservati sott’olio.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Proprietà nutrizionali del carciofo

                                                                                                                                                                                              tabella con i valori nutrizionali del carciofo

                                                                                                                                                                                              Valori nutrizionali del carciofo

                                                                                                                                                                                              Il carciofo è un ortaggio caratterizzato da un basso apporto calorico e ricco di oligoelementi fondamentali per l’organismo umano.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Ha un basso contenuto di lipidi, mentre è una buona fonte di fibra dietetica. Uno dei principali componenti di quest’ultima è l’inulina, un polimero del fruttosio.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Il carciofo è inoltre un’ottima fonte di sali minerali come potassio, calcio e fosforo.

                                                                                                                                                                                              Un’altra molecola caratteristica di questo ortaggio è la cinarina, molecola con azione antiossidante che deriva dall’acido caffeico.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Tutti i nutrienti oltre ad essere presenti nel capolino, sono contenuti anche nel gambo che quindi non è da scartare, ma è molto interessante da un punto di vista nutrizionale.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Dai dati riportati in tabella si può notare come il processo di surgelazione non vada ad alterare la composizione di questo alimento.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Benefici del carciofo

                                                                                                                                                                                              L’inulina è un polisaccaride idrosolubile, che non viene digerito dal nostro organismo, ma viene metabolizzato dai bifido-batteri intestinali che ne traggono nutrimento, è quindi utile per la proliferazione della flora batterica intestinale ed è fondamentale soprattutto per il nostro microbiota intestinale, in quanto è in grado di selezionare i batteri positivi a discapito di quelli negativi.

                                                                                                                                                                                              Questa fibra solubile agisce come prebiotico e aiuta a ridurre l’assorbimento da parte dell’intestino di grassi e zuccheri: in questo modo, aiuta a proteggere la salute cardiometabolica da eccessi di glucosio e colesterolo nel sangue. 

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Il potassio garantisce il corretto funzionamento muscolare e ha effetti positivi su cuore e arterie, il fosforo è fondamentale per la salute di ossa e denti, il calcio è implicato nei meccanismi di contrazione e rilasciamento dei muscoli, nella coagulazione del sangue, nella regolazione della permeabilità cellulare.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              La porzione consigliata, sia cruda che cotta, è di 200 grammi che equivale a 2 carciofi.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Consumando una porzione di carciofi crudi si soddisfa quasi un quinto del fabbisogno giornaliero di calcio e ferro facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                                                                              L’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di calcio per la popolazione adulta è di 1000 mg (sia per gli uomini che per le donne); per il ferro invece è di 10 mg per gli uomini e 18 mg per le donne.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Inoltre il consumo di questo alimento risulta utile per contrastare il gonfiore sottocutaneo o edema e nel caso di stipsi/costipazione causata dalle terapie oncologiche.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Interazioni del carciofo

                                                                                                                                                                                              Il consumo di carciofi potrebbe interferire con l’azione dei farmaci diuretici.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Produzione e Tecnologia del carciofo

                                                                                                                                                                                              Caratteri botanici della pianta del carciofo

                                                                                                                                                                                              Il carciofo è una pianta erbacea perenne con fusto eretto, ramificato e alto dai 50 ai 150 cm.

                                                                                                                                                                                              Le foglie disposte in maniera alterna sono grandi e di colore verde più o meno intenso, mentre i fiori azzurri sono riuniti in una infiorescenza a capolino.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Il carciofo richiede un clima mite e sufficientemente umido, per cui il suo ciclo normale è autunno-primaverile nelle condizioni climatiche del bacino mediterraneo; tende alla produzione primaverile-estiva nelle zone più fredde.

                                                                                                                                                                                              Resiste abbastanza bene fino a temperature di 0°C. Temperature inferiori possono provocare danni più o meno gravi alle infiorescenze ed alle foglie. Il carciofo risente anche delle elevate temperature, per cui la fase del riposo vegetativo avviene tra la fine della primavera e l’estate.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              La raccolta dei carciofi ha inizio verso la prima decade di ottobre per la coltura precoce e termina in giugno con quella più tardiva. La raccolta è effettuata a mano con taglio dei capolini con stelo lungo ed alcune foglie.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Produzione dei carciofi

                                                                                                                                                                                              La valutazione qualitativa dei carciofi viene effettuata in base alla pezzatura, alla compattezza ed alle caratteristiche di freschezza e sanità.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              In questo secondo caso il prodotto viene sottoposto a trasformazione, generalmente a partire dal mese di marzo per protrarsi fino al mese di maggio, per l’ottenimento di diversi prodotti come conserve al naturale, sott’olio e surgelati.

                                                                                                                                                                                              Negli ultimi anni si sta sviluppando la produzione di prodotti cosiddetti di IV e V gamma. Con i primi si intende carciofi liberati delle foglie, sgambati, confezionati in vaschette chiuse con film plastici e commercializzati in condizioni di refrigerazione; i secondi invece sono carciofi preparati come in precedenza, sottoposti a cottura e successivamente commercializzati in condizioni di refrigerazione, quindi pronti al consumo.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Le conserve

                                                                                                                                                                                              Le conserve possono essere al naturale o sott’olio.

                                                                                                                                                                                              Per la produzione di quelle naturali viene impiegata una salamoia acidulata come liquido di governo e i carciofi si presentano sotto forma di cuori, metà, fette o spicchi. L’impiego di una salamoia acidulata è necessario per portare il pH a valori inferiori a 4.6 (limite minimo per la crescita del Clostridium botulinum) e rendere possibile l’impiego di un trattamento termico di pastorizzazione (T<=100°C) per ottenerne la stabilità microbiologica.

                                                                                                                                                                                              Il problema principale che si riscontra nella produzione di conserve di carciofi al naturale è dovuto alla presenza di inulina nelle confezioni di prodotto finito. Questo polisaccaride, solubile in acqua calda, viene estratto dal prodotto nel corso della pastorizzazione e nella fase di raffreddamento precipita formando un deposito bianco granuloso all’interno dei contenitori e sui carciofi stessi, con negative ripercussioni sulla presentazione del prodotto finito.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Le conserve di carciofo sott’olio sono di norma costituite da carciofi interi (soprattutto di piccoli calibri), a spicchi o metà, condizionati con olio extravergine di oliva, olio di oliva o olio di semi di girasole, aromatizzati con spezie e piante aromatiche e confezionati in vasi di vetro chiusi con capsula metallica. Questi prodotti hanno di norma un pH compreso tra 3.8 e 4.2 e possono essere stabilizzati con un trattamento termico blando.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              I surgelati

                                                                                                                                                                                              I carciofi sottoposti a surgelazione sono i cuori e i fondi.

                                                                                                                                                                                              Le singole operazioni di preparazione sono identiche a quelle necessarie per tutti gli altri prodotti, ma successivamente al blanching viene introdotta una fase di preraffreddamento in acqua gelida, o aria raffreddata, necessaria a prevenire alterazioni di colore per la permanenza a temperature elevate.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              La surgelazione deve avvenire in tempi rapidi per consentire una cristallizzazione adeguata delle molecole di acqua contenute nel vegetale; il mancato rispetto di questa condizione porta alla formazione, sulla parete esterna del vegetale, di uno strato cristallizzato inestensibile, fragile e fessurabile.

                                                                                                                                                                                              Di norma viene condotta in tunnel ad aria forzata in cui al prodotto viene fatta percorrere un tunnel ad aria fredda e ventilata.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Stagionalità del carciofo

                                                                                                                                                                                              In commercio i carciofi possono trovarsi sia a ottobre-novembre (per la varietà autunnale) che da gennaio fino a maggio-giugno (per la varietà primaverile).

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Preparazione e Conservazione del carciofo

                                                                                                                                                                                              Il carciofo è un ortaggio dal buon valore alimentare ed adatto ed essere preparato in una infinità di modi.

                                                                                                                                                                                              Si possono cucinare al forno, in padella, ripieni, lessi oppure possono essere usati come condimento di pasta e riso.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Qualsiasi sia il metodo di cottura utilizzato bisogna sempre scegliere carciofi teneri, poco spinosi e allontanare le foglie esterne che risultano essere più dure. Nel fare questa operazione è consigliato utilizzare dei guanti in modo da proteggersi dalla presenza di eventuali spine.

                                                                                                                                                                                              Man mano che i carciofi vengono puliti, li si può tagliare a spicchi e immergerli in una scodella riempita d’acqua e contenente il succo di mezzo limone dove devono essere lasciati fino a quando non si è pronti alla cottura, in modo da evitare fenomeni di imbrunimento enzimatici (per azione delle polifenolossidasi).

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Un consiglio per limitare la perdita di fibra è quello di consumarli rapidamente dopo la raccolta o conservarli in frigorifero avvolti con pellicola.

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                              Le proposte di ricette di FBO con i carciofi

                                                                                                                                                                                              • • AA.VV. (2003). “Il Carciofo: storia, tecnica colturale, politica comunitaria, ricerca, trasformazione” di Roggio T., Scano E.A., Catzeddu, Campus M., CappuccinelliR., Porcu M.C., Secchi N., Stara G.

                                                                                                                                                                                                • Alamanni M.C., Cossu M., Mura M., (2001). “Valutazione della composizione chimica e valore nutrizionale del Cynar ascolymusvar. Spinoso sardo”. La rivista di scienze dell’alimentazione. Anno 30, n°4.

                                                                                                                                                                                                • Miglioli L., (1995) “La scottatura dei prodotti vegetali, Industria Conserve”. 70,148.

                                                                                                                                                                                                • LARN, livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                                • Leoni O., F. Van Sumere C., (1990).” Polyphenol Oxidase from artichoke (Cynara scolymus L.)”, Food Chemistry.38, 27-39.

                                                                                                                                                                                                www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                www.crea.gov.it

                                                                                                                                                                                                www.l’informatoreagrario.it

                                                                                                                                                                                                www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                                Carota

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                proprietà della carota

                                                                                                                                                                                                Famiglia: Apiaceae

                                                                                                                                                                                                Genere: Daucus

                                                                                                                                                                                                Specie: Daucus carota

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Storia della carota

                                                                                                                                                                                                La carota (Daucus carota) è un ortaggio da radice molto consumato, appartenente alla famiglia delle Apiaceae, apprezzato per il sapore dolciastro.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Il suo nome deriva dal greco Karoton, termine usato per indicare questo ortaggio.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                In origine le prime carote coltivate erano di colorazione violacea, e solo successivamente vennero selezionate le cultivar arancioni, in onore della dinastia degli Orange, che aveva guidato l’Olanda nella guerra d’indipendenza contro la Spagna.

                                                                                                                                                                                                Questa scelta venne apprezzata dai consumatori, poiché tale colorazione era più gradevole alla vista ed il prodotto mostrava un gusto più dolce e delicato.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                La carota è considerata uno dei dieci vegetali più consumati al mondo e complessivamente ha un grande valore commerciale.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                La carota è coltivata in tutto il Mondo, soprattutto in Europa e in Asia.

                                                                                                                                                                                                I paesi in cui la coltura è maggiormente diffusa sono la Russia, la Cina, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. In Italia le regioni maggiormente interessate dalla coltura sono la Sicilia, l’Abruzzo, il Veneto, la Puglia, la Lombardia e il Lazio.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Per quanto riguarda le carote nere, esse vengono prodotte principalmente in Turchia, ma la maggior parte viene esportata in Francia, Germania, Italia e Danimarca, oltre all’esportazione in paesi orientali, come Giappone e Corea.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Tipi di carota

                                                                                                                                                                                                Esistono diverse varietà di carota distinguibili per:

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                • la forma del fittone , che le distingue in corte, mezze-lunghe e lunghe
                                                                                                                                                                                                • la colorazione che può essere arancione, bianca, rossa, gialla o violacea.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Le varietà più conosciute sono Antonina, Purple Haze, Deep Purple, Nantese, Kuroda, Berlicum e Flakkee.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                In commercio oltre al prodotto fresco è possibile trovarle surgelate.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Proprietà nutrizionali della carota

                                                                                                                                                                                                carota tabella

                                                                                                                                                                                                Valori nutrizionali delle carote

                                                                                                                                                                                                Le carote come tutti gli ortaggi determinano un basso apporto calorico.

                                                                                                                                                                                                Sono però ricche di vitamine e rappresentano un’ottima fonte di fibre ed antiossidanti; sono soprattutto un’importante fonte di beta- carotene, il precursore della vitamina A.

                                                                                                                                                                                                Inoltre le carote contengono piccole quantità di minerali, tra cui potassio, calcio, fosforo.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                In base alla loro colorazione il contenuto di vitamine e fitocomposti varia sensibilmente:

                                                                                                                                                                                                – la varietà arancione contiene vitamina A e β-carotene;

                                                                                                                                                                                                – quella bianca contiene lignina e quercetina;

                                                                                                                                                                                                – la rossa principalmente licopene;

                                                                                                                                                                                                – mentre la varietà gialla è ricca di xantofille e luteina;

                                                                                                                                                                                                – infine la violacea è ricca di polifenoli, flavonoidi ed antocianine.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Questi ortaggi presentano un sapore complesso, influenzato da diversi fattori tra cui composti non volatili, come zuccheri, fosfati, composti amari, composti fenolici e acidi organici, ma anche molecole volatili, come terpeni e sesquiterpeni.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Benefici delle carote

                                                                                                                                                                                                I carotenoidi presenti, quali β-carotene, licopene e luteina, sono responsabili della colorazione e della produzione di vitamina A, che a sua volta svolge azioni protettive ed è essenziale per la visione, la crescita e il normale sviluppo dei tessuti.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Le vitamine del gruppo B favoriscono un buon metabolismo, invece la vitamina C contribuisce a rafforzare il sistema immunitario, ha la capacità di aumentare l’assorbimento del ferro negli alimenti ed è importante anche per la sintesi di collagene, proteina principale del tessuto connettivo.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Tra i sali minerali spicca il potassio che aiuta a promuovere la buona salute dell’apparato cardiovascolare.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Questo alimento risulta utile per contrastare la diarrea, che può essere un effetto avverso legato al trattamento oncologico.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                La porzione consigliata è  di 200 grammi, che equivale a 3-4 carote.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Inoltre con il consumo di una porzione di carote crude si soddisfa il fabbisogno giornaliero di vitamina A (retinolo equivalenti), facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                                                                                L’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina A, calcolata come retinolo equivalenti, per la popolazione adulta è di 700 µg per gli uomini e 600 µg per le donne.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Produzione e Tecnologia della carota

                                                                                                                                                                                                Caratteri botanici della pianta di carota

                                                                                                                                                                                                La carota è una pianta erbacea biennale che cresce in campi secchi e nei prati, dal fusto alto fino a 100 cm, robusto e di colore verde, coltivata in tutto il mondo.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                La parte commestibile della pianta della carota è la radice. Quest’ultima è a fittone, carnosa, di colore arancio o bianco-giallastro con una forma variabile da sferica a cilindrica, a conica più o meno allungata a seconda della varietà.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Coltivazione delle carote

                                                                                                                                                                                                La tecnica di coltivazione richiede un’accurata preparazione del terreno, che deve essere profondo ed uniforme per permettere frequenti irrigazioni, e la distribuzione dei semi avviene in file distanti circa 20 cm tra marzo ed aprile.

                                                                                                                                                                                                La concimazione deve essere abbondante, perché la carota richiede elevate quantità di composti nutritivi.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Produzione delle carote

                                                                                                                                                                                                La raccolta avviene nel mese di ottobre, prima che la radice raggiunga il suo massimo sviluppo e può essere effettuata manualmente o tramite macchinari che ne permettano l’estrazione dal terreno, oltre alla rimozione delle foglie e della terra.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Una volta raccolte le carote vengono sottoposte a un processo di lavaggio, fondamentale per donare loro un aspetto migliore e per sanificarle.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Dopo essere state lavate, le carote vengono suddivise per calibri e per qualità per poter essere destinate alle diverse lavorazioni, ovvero al confezionamento o all’industria o allo sfuso.

                                                                                                                                                                                                Per calibrare le carote il metodo più comune è l’uso delle calibratrici a rulli che le dividono per diametro con rulli successivi.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Sempre più spesso le carote vengono lavorate per poi essere inserite all’interno di buste insieme ad insalata per esempio. Per trasformare le carote bisogna necessariamente rimuovere la testa e la coda delle stesse, con un’operazione detta “scollettatura“, quindi pelarle ed infine, tagliarle delle dimensioni desiderate.

                                                                                                                                                                                                L’operazione di scollettatura avviene attraverso un sistema che singolarizza la carote e poi, tramite nastri con orientamento inverso, porta le 2 estremità verso le lame che provvedono a rimuovere testa e coda.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                La pelatura invece può essere effettuata o con pelatrici a coltelli in linea, che consentono di limitare al massimo gli scarti, seguendo il contorno della carota anche quando ha una forma irregolare, o con pelatrici abrasive meno precise che producono più scarti.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                A seconda della destinazione finale le carote pelate possono essere tagliate alla julienne, in stick, in cubetti, in rondelle o in innumerevoli altre forme.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Inoltre le carote nere contengono quantità elevate di antocianine e, per questo motivo, i loro estratti sono utilizzati per colorare succhi e nettari di frutta; per la loro proprietà conservante invece vengono adoperati in marmellate e confetture.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Stagionalità della carota

                                                                                                                                                                                                Le carote sono reperibili sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Preparazione e Conservazione della carota

                                                                                                                                                                                                Al momento dell’acquisto può essere meglio scegliere quelle di un arancione più intenso; ovvero a maggior contenuto di β-carotene. La consistenza deve essere soda e compatta.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                È importante consumare le carote intere, per esempio in pinzimonio, piuttosto che grattugiate in quanto il β-carotene tende ad ossidarsi facilmente a contatto con l’aria non venendo in tal modo convertito in vitamina A.

                                                                                                                                                                                                Per lo stesso motivo è consigliabile prepararle poco prima del consumo.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Un accorgimento molto importante inoltre è quello di condirle con olio crudo o con alimenti che contengano lipidi in quanto la vitamina A presente, essendo liposolubile, si assimila più facilmente se associata a queste sostanze.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                L’utilizzo della carota in cucina è ampiamente diffuso in quanto è un ortaggio che si presta ad accompagnare molte preparazioni, sia dolci che salate, e sono adatte per essere consumate come contorni, insalate e zuppe di verdure.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Con la carota si prepara uno dei centrifugati di verdura più apprezzati.

                                                                                                                                                                                                Il succo ha un colore arancio brillante, il profumo è delicato. Il suo sapore è dolce, e si armonizza perfettamente con quello di molte altre verdure. Per questo motivo si utilizza spesso anche per correggere il gusto troppo marcato di altri succhi di verdure, caratterizzati da gusti amari.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Oltre alla radice è possibile consumare della carota anche le foglie e gli steli che vengono impiegati soprattutto nella preparazione di minestre.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Viene consumata abitualmente cotta, in diverse preparazioni.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Modalità di cottura

                                                                                                                                                                                                Le modalità di cottura sono diverse: a vapore, lessata, al forno, stufata.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Sono consigliate cotture brevi e a basse temperature e per chi utilizza la cottura in acqua, è bene non salare troppo il liquido, perché le carote possono assumere una consistenza legnosa.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                La più indicata rimane la cottura al vapore, che sembra anche favorire la biodisponibilità della provitamina A. Il betacarotene, a differenza di altre sostanze sensibili al calore, è moderatamente termoresistente, in più, essendo liposolubile, non ha la tendenza a disperdersi in acqua.

                                                                                                                                                                                                Le carote, una volta cotte, vanno subito riposte in frigorifero.

                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                Le proposte di ricette di FBO con le carote

                                                                                                                                                                                                • • Cabras P., Martelli A., (2004), “Chimica degli alimenti”, Piccin, Padova

                                                                                                                                                                                                  • Cerretelli G., Vazzana C., (1995). “Un seme, un ambiente: manuale di autoriproduzione delle sementi”. Regione Toscana – Giunta regionale, Dipartimento di Agricoltura e Foreste, Edizioni Regione Toscana, Firenze.

                                                                                                                                                                                                  • LARN, livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                                  • Liotta E., Pellicci P.G., Titta L., (2016), “La dieta smartfood”, Rizzoli, Milano

                                                                                                                                                                                                  www.agraria.com

                                                                                                                                                                                                  www.gazzettaufficiale.it

                                                                                                                                                                                                  www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                                  Burro

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  tipi di burro

                                                                                                                                                                                                  Definizione di burro

                                                                                                                                                                                                  In base alla legge n.1526 del 23/12/1956 (modificata dalla n. 202 del 13/05/1983), si può definire “burro”:

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  il prodotto ottenuto dalla crema ricavata dal latte di vacca e il prodotto ottenuto dal siero di vacca, nonché dalla miscela dei due indicati prodotti, che risponde ai requisiti chimici, fisici ed organolettici indicati”.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Ai prodotti ottenuti dalla crema e dal siero provenienti da animali diversi dalla vacca può essere attribuita la denominazione “burro”, purché seguita dalla indicazione della specie animale.

                                                                                                                                                                                                  È infatti possibile trovare in commercio burro prodotto a partire da materia grassa di latte di bufala, capra e pecora.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Storia del burro

                                                                                                                                                                                                  L’origine del burro viene fatta risalire all’inizio della domesticazione degli animali da latte e veniva utilizzato principalmente dai popoli nordici.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Ad oggi i principali produttori di burro a livello mondiale sono Stati Uniti, Francia, Germania e Nuova Zelanda.

                                                                                                                                                                                                  L’Italia si colloca al quinto posto in Europa e le principali regioni produttrici sono Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Tipi di burro

                                                                                                                                                                                                  Esistono diverse tipologie di burro con differente denominazione e specifica regolamentazione:

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • Burro: prodotto con un tenore minimo di grasso di latte dell’80% e tenori massimi di acqua del 16% e di estratto secco non grasso lattiero del 2%.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • Burro leggero a ridotto tenore di grasso (3/4): prodotto con un tenore di grassi lattieri minimo del 60% e massimo del 62%.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • Burro leggero a basso tenore di grasso (1/2): prodotto con un tenore di grassi lattieri minimo del 39% e massimo del 41%.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • Burro concentrato: materia grassa minima 96%.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Per tutte le tipologie di burro, ad eccezione del burro concentrato, è obbligatorio riportare in etichetta la percentuale di grasso presente.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  In commercio è possibile trovare anche il burro decolesterolizzato, generalmente prodotto in altri paesi dell’Unione Europea ed importato e confezionato in Italia.

                                                                                                                                                                                                  Questa tipologia di burro viene prodotta con un trattamento tecnologico che permette di ridurre il contenuto di colesterolo di circa il 65%.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Proprietà nutrizionali del burro

                                                                                                                                                                                                  tabella con i valori nutrizionali del burro

                                                                                                                                                                                                  Valori nutrizionali del burro

                                                                                                                                                                                                  Il burro è costituito per la maggior parte di materia grassa, cui fa seguito una quota di acqua (non superiore al 16%), e una parte di materia secca non grassa definita come “residuo secco magro”.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  La matrice lipidica del burro è costituita per il 97-98% da trigliceridi.

                                                                                                                                                                                                  La composizione in acidi grassi di questo alimento può variare notevolmente in base al tipo di alimentazione dell’animale. Quest’ultima infatti influenza la composizione del latte crudo utilizzato per la produzione del burro.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Gli acidi grassi liberi costituiscono uno dei parametri comunemente utilizzati per valutare la qualità del burro, soprattutto in relazione al suo stato di conservazione, e non devono superare 1,2 mmoli/100 g di grasso.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Nel burro è presente anche un alto contenuto di colesterolo, intorno ai 2,5 mg/g.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  La frazione non lipidica del burro che rappresenta al massimo il 2% del totale.

                                                                                                                                                                                                  È composta principalmente da zuccheri (1%), per la maggior parte lattosio, e da proteine (0,8%), soprattutto caseine.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Tra i sali minerali sono presenti soprattutto calcio e fosforo.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Nel caso del burro anidro il residuo secco magro è quasi del tutto assente, mentre nel caso del burro salato, può raggiungere valori del 4% in quanto comprende la quota massima di cloruro di sodio addizionabile (circa 2%).

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Benefici del burro

                                                                                                                                                                                                  Il burro è una buona risorsa alimentare per quanto riguarda la vitamina A e il suo principale precursore, il β-carotene, un pigmento che è il principale responsabile della colorazione giallo-paglierina di questo alimento.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Il contenuto di questi composti varia in base al periodo e all’alimentazione: il burro invernale è di colorazione molto pallida, mentre il burro di altre specie, del tutto privo di β-carotene, è completamente bianco.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Tra le altre vitamine liposolubili è presente in grandi quantità la vitamina E, mentre nettamente inferiore è il contenuto di vitamina D e K.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Tuttavia sarebbe bene non eccedere con l’utilizzo del burro data la presenza di grassi saturi che causano un aumento del colesterolo nel sangue.

                                                                                                                                                                                                  A questo proposito le linee guida consigliano di non superare dosi giornaliere superiori al 10% di grassi saturi.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  La porzione consigliata è di 10 grammi al giorno, che corrisponde a mezza noce.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Interazioni del burro

                                                                                                                                                                                                  Il burro, come tutti i latticini, può interferire con l’assunzione di antibiotici quali ciprofloxacina e tetraciclina.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Produzione e Tecnologia del burro

                                                                                                                                                                                                  Il burro può essere prodotto da:

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • Crema “dolce” di centrifuga, ottenuta mediante centrifugazione del latte e con un tenore di grasso variabile dal 30 al 50%. Centrifugando ulteriormente la panna si possono raggiungere concentrazioni di grasso vicine al 90%.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • Crema “acida” di affioramento, legata alla produzione di formaggi duri a lunga maturazione, prodotti con una quota di latte parzialmente scremato.
                                                                                                                                                                                                    Lasciando il latte a riposo, il grasso lentamente e spontaneamente affiora portando alla formazione di crema con un contenuto di grasso di circa 20-30%. Durante il riposo del latte, che può richiedere dalle 7 alle 15 ore, si sviluppano batteri lattici che sono responsabili del carattere acido.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • Crema da siero. Esistono due tipologie di panna da siero, dolce e forte.
                                                                                                                                                                                                    La prima è ottenuta per centrifugazione del siero di lavorazione di formaggi prodotti con caglio dolce (di vitello liquido o in polvere) mentre la seconda con caglio forte (in pasta, di agnello o capretto). La crema di siero è generalmente di qualità scadente e deve quindi essere rielaborata.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • Creme “rigenerate” ottenute a partire da burro fuso, miscelato a crema, latticello o latte.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  • “Zangolato di creme fresche per burrificazione”. È da considerarsi un semilavorato che deriva dalla zangolatura di panne di affioramento crude.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Fasi di produzione del burro

                                                                                                                                                                                                  La prima fase per la produzione di burro è quella definita “titolazione delle creme” e consiste nel standardizzare il contenuto di grasso.

                                                                                                                                                                                                  È un passaggio fondamentale soprattutto se si utilizzano creme di diversa derivazione che presentano una quantità di grasso differente.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  La crema viene quindi pastorizzata in modo di inattivare gli enzimi idrolitici, che potrebbero causare l’alterazione del grasso, e distruggere i microrganismi patogeni.

                                                                                                                                                                                                  Alla crema pastorizzata vengono aggiunti, in una percentuale pari al 3-4%, i microorganismi acidificanti e aromatizzanti che metabolizzano lattosio ed acido citrico, producendo composti aromatici e gas.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Si passa alla fase di maturazione durante la quale la crema è sottoposta a cicli termici per ottenere le modificazioni fisiche (cristallizzazione) e biologiche (per lo sviluppo di aroma) che si desiderano.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Nel caso di creme dolci si effettua una maturazione fisica, mentre in caso di creme acide viene applicata una maturazione biologica.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Terminata la maturazione la crema viene agitata meccanicamente attraverso l’utilizzo della zangola.

                                                                                                                                                                                                  Il processo di zangolatura richiede circa 30 minuti ed è tanto più veloce tanto più alto è il titolo di grasso della crema.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Successivamente viene effettuato il lavaggio. A questo punto viene data la forma tipica del panetto di burro e si effettua il confezionamento.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Confezionamento del burro

                                                                                                                                                                                                  I materiali più utilizzati per questa fase sono fogli di alluminio in quanto sono flessibili e proteggono il prodotto dalla luce e la carta pergamena che invece risulta essere molto resistente all’umidità.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  In commercio si possono trovare panetti di burro di diversi formati: 10 g impiegati nella ristorazione collettiva, 125 g e 250 g utilizzati prevalentemente in ambito domestico e quelli da 1-25 kg richiesti dall’industria.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Stagionalità del burro

                                                                                                                                                                                                  Il burro è disponibile sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Preparazione e Conservazione del burro

                                                                                                                                                                                                  Bisogna mantenere il burro sempre a temperature di refrigerazione, sia durante la distribuzione che durante la shelf-life, pena la perdita di qualità.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  Attualmente non è stabilito per legge un termine minimo di conservazione, che quindi è lasciato al produttore e normalmente corrisponde a 90 giorni a partire dalla data di produzione.

                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                  I fattori maggiormente responsabili di degradazione del burro sono la temperatura, l’umidità e l’esposizione all’aria.

                                                                                                                                                                                                    • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.
                                                                                                                                                                                                    • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.
                                                                                                                                                                                                    • Galli Volonterio A. (2009) “Microbiologia degli Alimenti”, Casa editrice Ambrosiana
                                                                                                                                                                                                    • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.
                                                                                                                                                                                                    • www.nut.entecra.it
                                                                                                                                                                                                    • www.agraria.org
                                                                                                                                                                                                    • www.humanitas.it
                                                                                                                                                                                                    • www.politicheagricole.it

                                                                                                                                                                                                    Alici o Acciughe

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    Famiglia: Engraulidae

                                                                                                                                                                                                    Genere: Engraulis

                                                                                                                                                                                                    Specie: Engraulis encrasicolus

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Storia delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    L’acciuga (o alice) è un pesce azzurro dalle dimensioni ridotte, circa 12 cm, ma può arrivare anche a misurare 20 cm.

                                                                                                                                                                                                    È una specie pelagica, il che significa che trascorre gran parte del ciclo vitale lontano dal fondo marino anche se depone le uova sui bassi fondali sabbiosi.

                                                                                                                                                                                                    Infatti nei mesi autunnali ed invernali vive a 100-200 m di profondità, salvo poi avvicinarsi alle coste spostandosi in branchi nei restanti periodi dell’anno.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Si tratta di una specie diffusa nel Mare Mediterraneo, nel Mar Nero, nell’Oceano Atlantico orientale (tra la Norvegia e il Sudafrica) e nel Mar Baltico.

                                                                                                                                                                                                    In Italia si trova soprattutto nel Mar Adriatico, nel Golfo di Genova e nel Canale di Sicilia.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Tipologie di Acciuga

                                                                                                                                                                                                    In Liguria le larve di acciuga (e di sarda) sono indicate con i termini di “bianchetti” o “gianchetti“.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Con il Regolamento CE n 776 del 4/08/2008 è stata riconosciuta l’IGP (Indicazione Geografica Protetta) alle “ Acciughe sotto sale del Mar Ligure”, indicazione riservata a acciughe salate, prodotte e lavorate nella Regione Liguria.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    In commercio l’acciuga è disponibile fresca, sott’olio, sotto sale e come pasta di acciuga.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Proprietà nutrizionali delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    alici tabella

                                                                                                                                                                                                    Valori nutrizionali delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    La concentrazione di lipidi, carboidrati e proteine nei pesci è influenzata oltre che dalla specie, dalla morfologia, dalle condizioni di sviluppo e di alimentazione, anche dalla tipologia di trasformazione (sotto sale, sott’olio) applicata.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    L’alice fresca appartiene alla famiglia del pesce azzurro e rientra nella classe dei pesci “magri” in quanto presenta un contenuto lipidico inferiore al 3%.

                                                                                                                                                                                                    I lipidi dei pesci contengono una buona quantità di acidi grassi insaturi che vanno incontro facilmente ad alterazioni, rendendo il pesce facilmente deperibile.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Maggior fonte dei lipidi è rappresentato da trigliceridi (l’olio di pesce) e possono contenere acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA), due acidi grassi polinsaturi della classe ω-3.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Le proteine, componenti fondamentali dei muscoli, rappresentano circa il 17% delle alici fresche.

                                                                                                                                                                                                    Sono presenti anche amminoacidi liberi quali arginina, lisina, istidina che, insieme a creatina, creatinina, dipeptidi e oligopeptidi, urea, ammoniaca e ossido di trimetilammina (TMAO), che costituiscono la frazione azotata non proteica responsabile del sapore tipico della carne dei pesci.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Le alici sott’olio risultano più caloriche e apportano un quantitativo maggiore di proteine, lipidi, potassio e magnesio rispetto a quelle sotto sale o fresche.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    L’acciuga in generale è una buona fonte di calcio, potassio, fosforo, cloro e zolfo e di vitamine del gruppo B (soprattutto di niacina), di vitamina A e D.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Benefici delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    Gli ω-3, acidi grassi polinsaturi, contenuti nelle alici sono grassi buoni ed essenziali importanti per la salute del sistema cardiovascolare, per il corretto sviluppo del sistema nervoso e per una corretta struttura cellulare.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Le acciughe, così come tutto il pesce azzurro, presentando un buon contenuto di calcio sono utili per la prevenzione dell’osteoporosi.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    La porzione consigliata per il prodotto fresco o surgelato è di 150 grammi, per quello conservato è di 50 grammi (riferita al peso sgocciolato).

                                                                                                                                                                                                    Solitamente si consiglia di consumare pesce fresco 2-3 volte alla settimana e di non utilizzare più di una volta a settimana quello conservato.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Una decina di alici crude contengono 16,5 µg di vitamina D, superando così la dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta (che è di 15 µg sia per gli uomini che per le donne).

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Interazioni delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    Il consumo di alici potrebbe interferire con l’assunzione dei farmaci inibitori delle MAO (monoamminoossidasi) utilizzati per trattamento della depressione o del Parkinson, e del linezolid, un antibatterico ossazolidinonico.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Produzione e Tecnologia delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    Caratteristiche delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    L’acciuga presenta un corpo affusolato con ventre liscio ed arrotondato. La testa è allungata e rappresenta circa il 25% della lunghezza totale. La colorazione è azzurra con sfumature verdastre sul dorso (che diventa grigiastra dopo la pesca), argentea sui fianchi e sul ventre.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Si nutre prevalentemente di zooplancton, un insieme naturale di organismi erbivori e carnivori, ma anche di molluschi, pesci e crostacei di piccole dimensioni.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Il periodo di riproduzione va da aprile a novembre e ogni femmina può deporre fino a 40.000 uova del diametro di un millimetro che, dopo due o tre giorni dall’emissione, si schiudono.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    La pesca

                                                                                                                                                                                                    La pesca si effettua da marzo a maggio (in questo periodo si hanno le acciughe più pregiate in quanto le uova sono appena state deposte) e da luglio ad ottobre nell’area del Mediterraneo, Mar Nero ed Atlantico orientale.

                                                                                                                                                                                                    Questa specie abbonda nei mari ma si può anche ritrovare in lagune, stagni salmastri ed estuari per via della sua capacità di adattarsi agli sbalzi di salinità.
                                                                                                                                                                                                    Inoltre l’allevamento o acquacoltura permette di trovare l’acciuga nei mercati ittici per tutto l’anno e a prezzi contenuti.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    La pesca delle acciughe può essere effettuata con diverse tecniche.

                                                                                                                                                                                                    La più nota è quella con le cosiddette “lampare”, ovvero grandi lampade montate sulle imbarcazioni che illuminano una porzione di mare in modo da attirare i pesci in superficie; in seguito i pescatori imprigionano il branco nelle reti a circuizione calate a profondità diverse.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Tecniche di Produzione per i diversi tipi di alici

                                                                                                                                                                                                    Una volta pescate le acciughe vengono subito sottoposte alla ghiacciatura, ovvero coperte con ghiaccio tritato per mantenere la freschezza fino ad un massimo di 14 giorni, ed entro 12 ore vengono portate nello stabilimento dove vengono immerse in salamoia per 15-20 minuti.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Le acciughe fresche

                                                                                                                                                                                                    In seguito le acciughe fresche vengono raccolte in apposite ceste e trasferite nei banchi di lavoro dove vengono eviscerate, selezionate, risciacquate in salamoia e conservate a -2°C.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Il prodotto fresco viene posto in cassette di legno, stoccato ed inviato alla distribuzione, facendo attenzione alla catena del freddo (a temperature di refrigerazione).

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Le acciughe sotto sale

                                                                                                                                                                                                    Per la produzione delle acciughe sotto sale invece, in seguito all’eviscerazione, il prodotto viene messo in barili di castagno o in vasi di terracotta in strati sovrapposti, ricoprendo ogni strato con sale alimentare marino a media granulatura. Questo passaggio permette una lenta maturazione delle carni ed il controllo delle fermentazioni.

                                                                                                                                                                                                    Sull’ultimo strato viene collocato un disco di legno e un peso di circa 40/50 Kg che esercita una pressione costante durante tutto il periodo di stagionatura.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    La stagionatura dura circa 40/50 giorni in condizioni di temperatura controllata.

                                                                                                                                                                                                    I pesi permettono la formazione del liquido di estrazione, che dopo 4-5 giorni deve essere sostituito con una salamoia di media (18-25%) o forte (25-33%) concentrazione.

                                                                                                                                                                                                    La salagione ottimale si ha quando la carne risulta compatta, consistente e raggiunge una colorazione dal rosa intenso al marrone.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Successivamente le acciughe vengono poste in contenitori cilindrici di vetro trasparente, denominati “arbanelle“.

                                                                                                                                                                                                    Per evitare l’ossidazione del prodotto, nelle arbanelle l’ultimo strato di acciughe viene completamente ricoperto dalla salamoia e sopra di esso viene posto un dischetto di ardesia, di vetro o in plastica ad uso alimentare che ha lo scopo di tenere pressate le acciughe.

                                                                                                                                                                                                    La confezione, pronta per l’immissione sul mercato, deve essere sigillata.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Le acciughe sott’olio

                                                                                                                                                                                                    Le acciughe sott’olio, invece, dopo la stagionatura vengono lavate in salamoia e filettate, ovvero ne viene estratta la lisca.

                                                                                                                                                                                                    In seguito all’asciugatura vengono poste in contenitori di vetro, immerse in olio. I contenitori sono chiusi ermeticamente ed etichettati.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    La pasta di acciughe

                                                                                                                                                                                                    Per l’ottenimento della pasta di acciughe, in seguito alla salatura, le acciughe vengono triturate ed impastate con olio, in modo da amalgamare e rendere omogeneo il prodotto. A questo si aggiungono sale ed aromi naturali.

                                                                                                                                                                                                    Successivamente la pasta viene confezionata in recipienti a chiusura ermetica quali scatole o tubetti.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Stagionalità delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    Le alici sono presenti sul nostro mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Preparazione e Conservazione delle alici o acciughe

                                                                                                                                                                                                    Nel Regolamento CE n. 2406 del 26/11/96 sono definite le regole per la valutazione della freschezza del pesce.

                                                                                                                                                                                                    I prodotti sono suddivisi in quattro categorie:

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    • extra ovvero un “prodotto privo di scorticature, segni di pressione, sudiciume di decolorazione e di odori anormali”
                                                                                                                                                                                                    • A
                                                                                                                                                                                                    • B in cui si hanno segni evidenti di pressioni e scorticature
                                                                                                                                                                                                    • non ammesso alla commercializzazione

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Il pesce è fresco quando presenta una pigmentazione viva e lucente, un muco cutaneo trasparente ed occhi convessi (sporgenti) con una pupilla nera brillante e cornea trasparente.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Le alici intere appena acquistate non devono essere sciacquate in acqua dolce perché la rimozione di sale accelera la decomposizione, ma vanno eviscerate e poste in frigorifero per una conservazione di massimo due giorni.

                                                                                                                                                                                                    Se non vengono consumate in giornata, si possono conservare in frigorifero per 1-2 giorni o, in alternativa congelarle in freezer, dove si potranno conservare per circa 6 mesi.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Per evitare sbalzi termici elevati, si consiglia di effettuare lo scongelamento in frigorifero prima della cottura. Anche se il congelamento non altera il valore nutrizionale, la conservazione in freezer determina comunque l’irrancidimento degli ω-3.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Il metodo di cottura migliore, per evitare perdita di ω-3, è quello alla griglia; una minima riduzione si ha invece con la cottura al forno o in acqua bollente per un massimo di 20 minuti.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Per il consumo casalingo è preferibile assumere pesce cotto anziché crudo o marinato (ovvero con aggiunta di aceto e succo di limone) per evitare di incorrere nella presenza dell’Anisakis, un parassita la cui presenza si elimina con la cottura o l’abbattimento termico in appositi congelatori.

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    Le nostre proposte di ricette con le alici

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                    • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                                                                      • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                                      • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                                      • Galli Volonterio A. (2009) “Microbiologia degli Alimenti”, Casa editrice Ambrosiana.

                                                                                                                                                                                                      www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                      www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                                      www.biologiamarina.eu

                                                                                                                                                                                                      www.ismea.it

                                                                                                                                                                                                      www.politicheagricole.it

                                                                                                                                                                                                      Basilico

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      varietà di basilico

                                                                                                                                                                                                      Famiglia: Lamiaceae

                                                                                                                                                                                                      Genere: Ocimum

                                                                                                                                                                                                      Specie: Ocimum basilicum

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Storia del basilico

                                                                                                                                                                                                      Il basilico è una pianta originaria dell’Asia tropicale, in particolar modo dell’India.

                                                                                                                                                                                                      Attraverso il Medio Oriente si è diffusa in Europa soprattutto in Italia e nel sud della Francia.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Varietà di basilico

                                                                                                                                                                                                      In natura esistono diverse varietà di basilico:

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      • la “Cinnamon” è originaria del Messico.
                                                                                                                                                                                                        Presenta fiori di colore rosa-malva, steli di colore porpora-bruni con foglie dal colore variabile (dall’oliva al verde-marrone), dalla superficie lucente, ovali, appuntite, leggermente dentate, con un sapore molto speziato.
                                                                                                                                                                                                      • La “Dark Opal”.
                                                                                                                                                                                                        Ha fiori di un colore rosa-malva, steli di colore viola chiaro, foglie appuntite e ovali di colore viola scuro, dal sapore molto speziato.
                                                                                                                                                                                                      • La “Minimum”, detta anche basilico greco.
                                                                                                                                                                                                        Si presenta come un cespuglio compatto con foglie di colore verde, piccole, ovali e appuntite, fiori bianchi ed un aroma di media intensità. Questa specie tollera climi più freddi rispetto ad altre varietà di basilico.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Il “Basilico Genovese DOP” ha ottenuto il Riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta nel 2005, viene coltivato nel solo versante tirrenico della regione Liguria ed è originario di Pra.

                                                                                                                                                                                                      Si distingue per le foglie di dimensione medio-piccola, dalla forma ovale e convessa, e per il caratteristico colore verde tenue.

                                                                                                                                                                                                      Ha un profumo più delicato rispetto a quello di altri tipi di basilico ed è privo della fragranza di menta che si riscontra invece quando viene coltivato in altre località.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      In commercio si trova il basilico fresco o secco macinato.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali del basilico

                                                                                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali del basilico

                                                                                                                                                                                                      Valori nutrizionali del basilico

                                                                                                                                                                                                      Il basilico secco presenta, a parità di peso, un quantitativo maggiore di macronutrienti e sali minerali rispetto al basilico fresco in quanto, durante l’essicazione, i nutrienti si concentrano.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Il basilico, in special modo quello secco, è un’ottima fonte di potassio e calcio; è inoltre una fonte di β-carotene, vitamina A. La vitamina C invece si riscontra solo nel basilico fresco.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      L’aroma tipico del basilico è dovuto alla presenza di un olio essenziale che è costituito da eugenolo, estragolo, linalolo, cineolo e metileugenolo; tali molecole sono presenti in quantità variabili conferendo in tal modo al basilico un aroma particolare e più o meno profumato.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Benefici del basilico

                                                                                                                                                                                                      Le molecole responsabili dell’aroma conferiscono al basilico proprietà anti-infiammatorie e antibatteriche.

                                                                                                                                                                                                      In particolare la molecola dell’eugenolo sembra migliorare lo sviluppo delle malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide o le malattie infiammatorie intestinali perchè inibisce l’attività della ciclossignenasi.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Oltre a questi benefici il basilico è utile a contrastare alcuni microorganismi grazie alla sua azione antisettica e ad alleviare le sensazioni di nausea.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile in caso di alterazione del gusto, gonfiore sottocutaneo (o edema) e di anemia sideropenica, effetti avversi derivanti dalla terapia oncologica.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La porzione standard consigliata è 5 grammi di basilico fresco.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia del basilico

                                                                                                                                                                                                      Caratteri botanici

                                                                                                                                                                                                      Il basilico è una pianta erbacea annuale dai fusti eretti, alti fino a 50 cm, con foglie dotate di picciolo, ovali lanceolate, di dimensioni e colore variabile a seconda della specie.

                                                                                                                                                                                                      I fiori sono normalmente di colore bianco o roseo; l’epoca di fioritura va da giugno ad agosto.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Coltivazione del basilico

                                                                                                                                                                                                      Le temperature ottimali di coltivazione sono comprese tra i 20 e i 25°C ma, con un buon tenore di umidità, sono tollerate anche temperature più alte. Al di sotto dei 10°C invece si creano dei problemi.

                                                                                                                                                                                                      E’ una pianta che cresce in pieno sole e può essere coltivata sia in vaso che in piena terra.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La semina avviene nei mesi di marzo-aprile, periodo in cui non si verificano più le gelate notturne che potrebbero compromettere la germinazione dei semi.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Produzione del basilico

                                                                                                                                                                                                      Le foglie di basilico e le sommità floreali vengono raccolte gradualmente durante tutta l’estate e consumate fresche oppure essiccate e conservate intere o sminuzzate.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      L’essicazione del basilico avviene all’ombra, in un luogo areato, e questo processo determina una perdita di gran parte dell’aroma; successivamente viene conservato in barattoli di vetro chiusi ermeticamente.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Stagionalità del basilico

                                                                                                                                                                                                      È possibile reperire il basilico tutto l’anno, ma i periodi di raccolta vanno da aprile a ottobre (compresi).

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione del basilico

                                                                                                                                                                                                      Le foglie di basilico fresche, adatte al consumo, sono quelle più tenere, ovvero più giovani, che si trovano nella parte superiore del fusto, con un colore verde brillante e senza segni di imputridimento.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Prima di essere utilizzate devono essere lavate delicatamente, facendo attenzione a non asciugarle al sole.

                                                                                                                                                                                                      Una volta sciacquate le foglie possono essere conservate in frigorifero, avvolte in un canovaccio leggermente umido, per 2 giorni o, in alternativa, congelate in contenitori a chiusura ermetica per 3 mesi.

                                                                                                                                                                                                      Il congelamento permette di mantenere abbastanza inalterato l’aroma del basilico.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      È preferibile aggiungere il basilico ai piatti a fine cottura, in modo tale da preservarne l’aroma in quanto gli oli essenziali presenti sono molto volatili.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      In cucina questa pianta aromatica viene utilizzata per aromatizzare insalate, sughi, minestre, salse.

                                                                                                                                                                                                      Con il basilico si può aromatizzare l’olio lasciando le foglie in infusione oppure si possono preparare gli aceti aromatici sempre per infusione.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Le ricette proposte da FBO con il basilico

                                                                                                                                                                                                      Avena

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      avena benefici

                                                                                                                                                                                                      Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)

                                                                                                                                                                                                      Genere: Avena

                                                                                                                                                                                                      Specie: Avena sativa L.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Storia dell’avena

                                                                                                                                                                                                      L’avena è una pianta erbacea annuale alta 60-150 cm, comparsa in Europa nel VI secolo a.C., che richiede un grande consumo idrico ed è suscettibile a temperature calde e secche.

                                                                                                                                                                                                      Per questo motivo è una specie che predilige climi freschi e umidi.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      È molto diffusa nelle regioni del Nord Europa, ma in Italia si coltiva soprattutto nelle regioni meridionali.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      I principali produttori di avena nel mondo sono Russia e Canada, seguono USA, Australia, Polonia, Germania, Finlandia e Svezia.

                                                                                                                                                                                                      La coltura dell’avena in Italia è diffusa soprattutto in Puglia, Basilicata, Toscana, Lazio, Campania e Sardegna.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Tipologie di avena

                                                                                                                                                                                                      La specie più diffusa è l’Avena sativa (o “avena comune”) che rappresenta circa il 90% dell’avena coltivata, la parte restante è rappresentata dall’Avena byzantina (o “avena rossa”).

                                                                                                                                                                                                      L’Avena sativa è tipica dei climi freschi tipici del centro e nord Europa, l’Avena byzantina invece, sopportando siccità e alte temperature meglio della sativa, è diffusa nel Mediterraneo e nel Medio Oriente.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La maggior parte della produzione è utilizzata nell’alimentazione del bestiame, soprattutto dei cavalli, sia come granella (biada) che come paglia.

                                                                                                                                                                                                      Solo il 5% è destinato all’alimentazione umana.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La parte destinata al consumo alimentare è la cariosside, che presenta una struttura simile a quella di tutti gli altri cereali, in cui si riconoscono tre regioni:

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      • i “tegumenti” nella parte esterna,
                                                                                                                                                                                                      • l’“endosperma amilaceo” (o mandorla farinosa),parte preponderante della cariosside,
                                                                                                                                                                                                      • l’”embrione” (o germe) più internamente.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      In commercio si trovano diversi prodotti ottenuti dalla lavorazione dell’avena: fiocchi, crusca e farina.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali dell’avena

                                                                                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali dell'avena, della farina di avena e dei fiocchi di avena

                                                                                                                                                                                                      Valori nutrizionali dell’avena

                                                                                                                                                                                                      L’avena, rispetto a tutti gli altri cereali, presenta il maggior contenuto proteico, variando dal 16 al 20%.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Relativamente alla composizione amminoacidica, l’avena presenta il più alto contenuto di lisina (amminoacido essenziale).

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Inoltre la frazione prolaminica, che rappresenta una frazione proteica dei cereali, nota nell’avena come avenina (4-14% delle proteine totali), non determinerebbe effetti dannosi per individui celiaci, come invece accade per altri cereali contenenti glutine quali frumento, orzo e segale.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Contiene buone quantità di lipidi, ricchi in acido linoleico, un acido grasso polinsaturo essenziale.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Questo cereale presenta anche un buon contento di fibra solubile, la cui componente principale è rappresentata dai β-glucani, polisaccaridi lineari costituiti da molecole di glucosio unite attraverso legami glicosidici β-(1-3) e β-(1-4).

                                                                                                                                                                                                      La fibra è presente principalmente nella crusca, in quantità più ridotte nella farina di avena (7%).

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Nell’avena si riscontra anche un contenuto di ferro più elevato rispetto agli altri cereali e fornisce inoltre un buon apporto di fosforo.

                                                                                                                                                                                                      Rappresenta anche una buona fonte di vitamine del gruppo B e di vitamina E.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Avena e celiachia

                                                                                                                                                                                                      Secondo l’Associazione Italiana Celiachia (AIC) la maggior parte dei celiaci potrebbe inserire l’avena nella propria dieta senza effetti negativi per la salute.

                                                                                                                                                                                                      È bene precisare che se si tratta di una questione ancora oggetto di studi e ricerche da parte della comunità scientifica, in particolare sulle varietà di avena con meno problematiche per i celiaci.

                                                                                                                                                                                                      Si deve tener conto comunque del problema della cross-contaminazione dell’avena con altri cereali contenenti glutine nella filiera produttiva.

                                                                                                                                                                                                      Pertanto l’AIC suggerisce il consumo di avena solo per quei prodotti a base di, o contenenti, avena presenti nel Registro Nazionale dei prodotti senza glutine del Ministero della Salute, che garantisce sull’idoneità dell’avena impiegata.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Benefici dell’avena

                                                                                                                                                                                                      β-glucani presenti nell’avena svolgono importanti funzioni all’interno dell’organismo, in particolar modo azioni preventive sulle patologie cardiovascolari e sul diabete.

                                                                                                                                                                                                      Grazie alla loro capacità di legarsi ad altre molecole riducono l’assorbimento nell’intestino di colesterolo totale, colesterolo LDL e zuccheri assunti con gli alimenti. 

                                                                                                                                                                                                      Inoltre, sempre nell’intestino, sembrano stimolare la produzione dei fagociti, una classe di globuli bianchi che svolge un’attività di difesa per l’organismo.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La fibra conferisce senso di sazietà e favorisce il transito intestinale mentre l’avenina sarebbe dotata di effetti tonificanti, energetici e riequilibranti.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La presenza di avenantramidi, composti fenolici azotati, permette inoltre di ridurre le infiammazioni e di inibire la proliferazione delle cellule tumorali. 

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Nell’avena è contenuto anche il ferro, un elemento essenziale per un corretto trasporto dell’ossigeno nel sangue, e il fosforo, utile per il mantenimento di ossa e denti.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Il consumo di questo alimento risulta utile nel caso di anemia sideropenica.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Una porzione di fiocchi d’avena è di 30 grammi, che corrisponde a circa 6 cucchiai.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Interazioni dell’avena

                                                                                                                                                                                                      Le fibre contenute nella crusca potrebbero essere in grado di ridurre l’assorbimento della lovastatina, una statina utilizzata per il trattamento delle dislipidemie che aiuta a ridurre i livelli di colesterolo LDL nel sangue.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia dell’avena

                                                                                                                                                                                                      Caratteri botanici dell’avena

                                                                                                                                                                                                      L’avena è caratterizzata da culmi (ovvero fusti) robusti, costituiti da un numero di nodi maggiore rispetto a quello degli altri cereali, con foglie a lamina larga di colore verde bluastro.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Le infiorescenze sono pannicoli tipici che presentano numerose ramificazioni che portano spighette con due o tre fiori.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Il frutto è una cariosside dalla forma oblunga e affusolata con un profondo solco longitudinale, ricca di amido.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La cariosside è costituita da tre regioni: i “tegumenti”, che svolgono una funzione protettiva, l’”embrione” (o germe), in cui è presente la maggior concentrazione dei nutrienti e l’“endosperma amilaceo” (o mandorla farinosa) che rappresenta la parte preponderante della cariosside che contiene i polisaccaridi di riserva.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Coltivazione dell’avena

                                                                                                                                                                                                      L’avena è un cereale meno resistente al freddo rispetto a frumento tenero ed orzo, privilegia terreni alcalini e tendenzialmente acidi, ma non si adatta bene a terreni troppo sabbiosi e/o caratterizzati da eccessiva umidità invernale.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La semina autunnale viene effettuata nel mese di ottobre nelle zone dell’Italia meridionale dove il clima è caldo-arido, quella primaverile tra marzo ed aprile al nord.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      La raccolta della granella con la mietitrebbia avviene a inizio estate, tra maggio e giugno.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Produzione dell’avena

                                                                                                                                                                                                      Nell’alimentazione umana l’avena viene utilizzata soprattutto sotto forma di farina e fiocchi.

                                                                                                                                                                                                      La farina si ottiene dalla macinazione delle cariossidi decorticate, ovvero private della crusca, e possiede un basso indice glicemico.

                                                                                                                                                                                                      I fiocchi derivano anch’essi dalle cariossidi decorticate che successivamente vengono frantumate, cotte al vapore, laminate in scagliette sotto appositi rulli di acciaio, stabilizzate e leggermente tostate.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      In commercio si trova anche l’avena integrale e la crusca, strato più esterno della cariosside.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Stagionalità dell’avena

                                                                                                                                                                                                      L’avena si trova sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione dell’avena

                                                                                                                                                                                                      L’avena, presentando un quantitativo superiore di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi rispetto agli altri cereali, può irrancidire più facilmente, soprattutto in forma di fiocchi e farine.

                                                                                                                                                                                                      La conservazione delle cariossidi integre risulta invece più sicura per la presenza di componenti antiossidanti nella crusca.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Questo cereale si conserva per 2 mesi in contenitori ermeticamente chiusi, in luogo fresco, buio e privo di umidità o, in alternativa, può essere congelata e conservata per 1 mese.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      L’avena in grani viene utilizzata per la preparazione di zuppe e minestre. La farina viene impiegata, miscelata con farine di altri cereali, per la realizzazione di biscotti, pane e prodotti da forno.

                                                                                                                                                                                                      I fiocchi di avena invece sono diffusi come alimento per la prima colazione, per la preparazione del porridge o del mϋesli.

                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                      Le ricette con l’avena proposte da FBO

                                                                                                                                                                                                      • • Bellato S. (2010) “Cereali nell’alimentazione umana come fonte di composti utili per il miglioramento e il mantenimento dello stato di salute. L’Avena come caso-studio”, Università Campus Bio-Medico di Roma.

                                                                                                                                                                                                        • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                                        • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                                        • Marconi E. (2012) “Alimenti funzionali e cereali”, Università degli Studi del Molise, Inaugurazione Anno Accademico 2012-2013.

                                                                                                                                                                                                        • Masood Sadiq Butt, Muhammad Tahir-Nadeem, Muhammad Kashif Iqbal Khan, Rabia Shabir, Mehmood S. Butt (2008) “Oat: unique among the cereals”, European Journal of Nutrition, Volume 47, Issue 2, pp 68–79.

                                                                                                                                                                                                        www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                        www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                                        www.celiachia.it

                                                                                                                                                                                                        www.cialombardia.org

                                                                                                                                                                                                        www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                                        Arancia Rossa

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        arancia rossa

                                                                                                                                                                                                        Famiglia: Rutaceae

                                                                                                                                                                                                        Genere: Citrus

                                                                                                                                                                                                        Specie: Citrus sinensis L.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Storia dell’arancia

                                                                                                                                                                                                        L’arancia è il frutto dell’arancio, pianta sempreverde originaria della Cina e del sud-est asiatico, che venne introdotta in Europa nel XIV sec. da marinai portoghesi.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        L’arancia è un agrume costituito da tre parti:

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        • esterna detta pericarpo o scorza,
                                                                                                                                                                                                        • interna chiamata endocarpo suddivisa in spicchi (o logge) contenenti semi e succo,
                                                                                                                                                                                                        • intermedia, il mesocarpo o albedo.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Tipologie di Arancia Rossa

                                                                                                                                                                                                        L’“Arancia rossa di Sicilia IGP”, che ha ottenuto l’IGP (Indicazione Geografica Protetta) con il Reg CE n 1107/96, indica le varietà di arancia a polpa rossa (quali Moro, Tarocco e Sanguinello) coltivate esclusivamente in Sicilia, nelle province di Catania, Siracusa ed Enna.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        La varietà Tarocco presenta un frutto di grosso calibro.

                                                                                                                                                                                                        Il colore della buccia è giallo-arancio e può essere arrossato su metà della superficie. La polpa, priva di semi, è di colore giallo-arancio, con pigmentazioni rossastre più o meno intense, a seconda del momento di raccolta.

                                                                                                                                                                                                        Fra gli agrumi, questo tipo di arancia presenta il più elevato contenuto di vitamina C.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        La varietà Moro è la prima tra le arance rosse a maturare, con la possibilità di disporne già dai primi giorni di dicembre.

                                                                                                                                                                                                        La buccia è arancione con sfumature rosso vinose, mentre la polpa, senza semi, è interamente di colore rosso scuro, specialmente a maturazione avanzata.

                                                                                                                                                                                                        Il colore del succo è sanguigno per via della presenza di una maggiore quantità di antocianine nella polpa e nella buccia rispetto alle altre varietà.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        La varietà Sanguinello inizia invece a maturare da febbraio ed il periodo massimo di raccolta si ha tra marzo e aprile.

                                                                                                                                                                                                        La buccia è di colore arancio con possibili sfumature rosso intenso. La polpa, quasi sempre senza semi, è di colore arancio con numerose screziature sanguigne.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali dell’arancia rossa

                                                                                                                                                                                                        Tabella con i valori nutrizionali dell'arancia rossa

                                                                                                                                                                                                        Valori nutrizionali delle arance rosse

                                                                                                                                                                                                        L’arancia apporta poche calorie (34 Kcal per 100 g di prodotto) e fornisce un discreto quantitativo di fibra, presente soprattutto nell’albedo (la parte bianca che avvolge la polpa).

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Questo agrume è un’ottima fonte di vitamina C (o acido ascorbico), potassio ed una discreta fonte di altri minerali.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Sono presenti inoltre, in quantitativi piuttosto elevati, pigmenti responsabili della tipica colorazione rossa, quali antociani e carotenoidi (β-carotene).

                                                                                                                                                                                                        La quantità di antociani varia a seconda della varietà e delle condizioni ambientali e climatiche; è stato osservato come la stessa cultivar di arancia rossa coltivata in un luogo non idoneo non riesca a produrre frutti a polpa rossa.

                                                                                                                                                                                                        Altri antiossidanti presenti in concentrazioni maggiori nelle arance rosse rispetto ad altre tipologie di arance sono flavanoni (esperidina e narirutina) e acidi idrossicinnamici (caffeico, cumarico, ferulico, sinapico).

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        La scorza di arancia presenta un notevole contenuto di fibra e di vitamina C ed un buon apporto di potassio e di calcio.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Il tipico odore di questo agrume è dato dalla presenza di terpeni nella scorza.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Benefici delle arance rosse

                                                                                                                                                                                                        Le arance sono ricche di vitamina C, che contribuisce a rafforzare il sistema immunitario, ha la capacità di aumentare l’assorbimento del ferro negli alimenti ed è importante anche per la sintesi di collagene, proteina principale del tessuto connettivo.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Una porzione di arance contiene 75 mg di vitamina C, ricoprendo così quasi la dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per le donne facendo riferimento alla popolazione adulta (che è di 85 mg).

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Il β-carotene invece per via delle sue proprietà antiossidanti contrasta l’azione dei radicali liberi, modulando e prevenendo processi degenerativi e riducendo lo stress ossidativo.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Rivestono un ruolo cardioprotettivo gli antociani presenti in questi agrumi: essi infatti sono in grado di ridurre il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari abbassando la pressione, aumentando l’elasticità dei vasi sanguigni e diminuendo gli stati infiammatori.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Il consumo di arance risulta utile in caso di ipovitaminosi causata dalle terapie oncologiche.

                                                                                                                                                                                                        Per combattere la disidratazione invece si può realizzare una spremuta o utilizzare la scorza di questi agrumi per aromatizzare l’acqua.

                                                                                                                                                                                                        Nel caso di alterazioni del gusto dovute alle terapie si suggerisce la tecnica della marinatura.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        La porzione consigliata è di 150 grammi, che corrisponde a 1 arancia di medie dimensioni.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Interazioni delle arance rosse

                                                                                                                                                                                                        Le arance, essendo ricche di potassio, devono essere evitate in caso di assunzione di ACE-inibitori, quali captopril (Capoten®), lisinopril (Zestril®, Zestoretic®), enalapril (Converten®, Enapren®, Vasoretic®), fosinorpil (Eliten®), ramipril (Triatec®, Triatec HCT®), perindopril (Reaptan®, Coversyl®), benazepril (Cibacen®) e quinapril (Acequin®), utilizzati per il trattamento dell’ipertensione ma trovano impiego anche nella terapia dell’insufficienza cardiaca congestizia e dell’infarto del miocardio.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Quando si utilizzano diuretici che possono aumentare il potassio nell’organismo bisogna evitare di eccedere con le arance.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Questo agrume potrebbe interferire anche con l’azione degli antibiotici macrolidi, quali ad esempio claritromicina, eritromicina e azitromicina e midecamicina, e degli antistaminici.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia dell’arancia rossa

                                                                                                                                                                                                        Caratteri botanici delle arance rosse

                                                                                                                                                                                                        L’arancio è un albero dalla chioma compatta e rotondeggiante che può raggiungere gli 8-10 metri di altezza, presenta foglie ovate e lucide e fiori (zagare) bianchi e profumati.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Il frutto è un agrume costituito esternamente da un pericarpo o scorza che inizialmente è di colore verde e poi, quando il frutto è maturo, diventa di colore rosso, spessa e contenente oli essenziali che conferiscono la profumazione caratteristica.

                                                                                                                                                                                                        La parte interna, endocarpo, è polposa e commestibile ed è suddivisa per mezzo di sottili membrane in 8-12 spicchi (logge) che contengono i semi e il succo.

                                                                                                                                                                                                        Nella parte intermedia è presente il mesocarpo (albedo) di colore biancastro, spugnoso e amarognolo.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        È una pianta di origine tropicale e per svilupparsi necessita di un clima caldo e sufficientemente umido, caratterizzato da inverni miti.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Coltivazione delle arance rosse

                                                                                                                                                                                                        Si coltiva in Sicilia, nelle pianure delle province di Siracusa, Catania ed Enna dove, per via della forte escursione termica tra giorno e notte nel periodo di maturazione dei frutti (ottobre-dicembre) e della composizione del suolo, per difendersi i frutti producono le antocianine, pigmenti responsabili del colore.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        La presenza di questi pigmenti risulta inferiore nelle arance coltivate nelle aree tropicali, in quanto l’assenza del forte stress termico non induce la pianta a produrre quantità elevate di sostanze protettive.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Produzione di questo agrume

                                                                                                                                                                                                        La raccolta viene effettuata da dicembre fino ad aprile a seconda della varietà, ovvero nel momento in cui i frutti hanno raggiunto un grado di maturazione sufficiente; infatti, una volta che gli agrumi vengono staccati dall’albero, non completano la maturazione.

                                                                                                                                                                                                        I frutti vengono raccolti mediante l’ausilio di apposite forbici.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Una volta arrivato al magazzino, il prodotto viene lavato, sottoposto al trattamento anticrittogamico, cerato, selezionato, calibrato e confezionato. I frutti vengono quindi conservati in atmosfera normale o controllata.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Oltre che per il consumo fresco, le arance possono essere utilizzate nell’industria per ottenere prodotti quali essenze o oli essenziali, succhi, scorze in salamoia e candite, confetture.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Stagionalità dell’arancia rossa

                                                                                                                                                                                                        La stagione delle arance inizia a novembre e termina ad aprile.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione dell’arancia rossa

                                                                                                                                                                                                        L’arancia deve presentarsi soda e, rispetto alla dimensione, pesante; infatti un frutto più è leggero maggiore sarà la presenza di buccia, dimostrandosi così meno succoso.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        L’arancia si conserva a temperatura ambiente per 2 settimane o in frigorifero per un periodo di tempo più lungo.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Questo agrume può essere consumato fresco o spremuto. Per non perdere il contenuto della vitamina C presente nel frutto, quando si consuma la spremuta sarebbe bene berla subito, essendo la vitamina soggetta a fenomeni di ossidazione a contatto con l’aria, a differenza delle antocianine che resistono anche al fenomeno del congelamento.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Le nostre proposte di ricetta

                                                                                                                                                                                                        Albicocca

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        albicocca proprietà

                                                                                                                                                                                                        Famiglia: Rosacee

                                                                                                                                                                                                        Genere: Prunus

                                                                                                                                                                                                        Specie: Prunus armeniaca L.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Storia dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                        L’albicocca (Prunus armeniaca L. o Armeniaca vulgaris Lam.) è il frutto, una drupa, dell’albicocco, una pianta perenne appartenente alla famiglia delle Rosacee di cui fanno parte anche ciliegia, pesca e prugna.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        L’albicocco è originario della Cina nordorientale al confine con la Russia, in Italia è diffusa principalmente nelle regioni meridionali.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Tipologie di albicocca

                                                                                                                                                                                                        Esistono diverse varietà di albicocco coltivate in Italia, soprattutto in Campania ed Emilia Romagna.

                                                                                                                                                                                                        La varietà “Goldrich”(o “Sungiant”) presenta frutti dalle grosse dimensioni e dalla buccia di color arancio intenso, molto dolci (soprattutto a maturazione avanzata); è una delle varietà più coltivate in quanto i frutti rimangono per un lungo periodo sulla pianta consentendo un tempo di raccolta più lungo, che avviene nella seconda metà di giugno. I frutti di questa varietà sono utilizzati per il consumo fresco.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Le albicocche in commercio si possono trovare fresche o trattate in modi diversi (per via della loro facile deperibilità) ottenendo così albicocche secche, disidratate o sciroppate.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        In commercio si trovano anche numerosi prodotti derivati: succo, marmellata e gelatina di albicocca.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali dell'albicocca

                                                                                                                                                                                                        Valori nutrizionali dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                        L’albicocca, in particolar modo quella disidratata o secca, è una buona fonte di potassio.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        È una fonte anche di carotenoidi quali β-carotene (il principale), licopene e luteina, responsabili del colore rosso-arancio dei frutti.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Benefici dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                        I carotenoidi vengono utilizzati dall’organismo per la produzione di vitamina A, svolgendo importanti funzioni protettive.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        La biodisponibilità di licopene e β-carotene inoltre aumenta con la concomitante assunzione di sostanze grasse, essendo molecole liposolubili; pertanto è consigliabile abbinare il consumo di albicocche con, ad esempio, della frutta a guscio.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        La porzione consigliata per il frutto fresco è di 150 grammi, che equivale a 2 frutti piccoli.

                                                                                                                                                                                                        Per il frutto secco zuccherino invece è di 30 grammi, che corrisponde a 3 albicocche secche.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                        Caratteri botanici dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                        L’albicocco presenta una fioritura precoce e, per questo motivo, i ritorni di gelate nel periodo primaverile provocano danni importanti; i frutti necessitano di 3-6 mesi per la maturazione e lo sviluppo.

                                                                                                                                                                                                        La fruttificazione inizia già dal secondo anno, anche se la piena produzione si ha a partire dal terzo-quinto anno.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Questi alberi da frutto prediligono zone dal clima temperato ed asciutto e vengono coltivati principalmente negli Stati Uniti, in Italia (nelle regioni di Campania, Emilia-Romagna, Basilicata, Sicilia e Piemonte), Francia, Spagna, Grecia e Turchia.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Produzione dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                        La raccolta delle albicocche si effettua dai primi di maggio fino alla metà di luglio nell’area del Mediterraneo; quelle reperibili sul mercato nei mesi di dicembre e gennaio vengono invece importate da Cile e Nuova Zelanda.

                                                                                                                                                                                                        Le albicocche, una volta raccolte, in attesa della vendita vengono conservate a temperature compresa tra -1 e 0°C e in presenza di elevata umidità per 3 settimane.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        I frutti con una polpa consistente, arancioni o giallo lucenti, che presentano un gusto gradevole ed un nocciolo di ridotte dimensioni sono adatti per essere sciroppati; quelli con forma, pezzatura, colore e maturazione omogenea ed un nocciolo piccolo sono destinati all’essiccazione.

                                                                                                                                                                                                        Le albicocche con drupe di grandi dimensioni, gialle-arancioni, con tonalità rosse, sode e con polpa fragrante, con buoni requisiti organolettici sono destinate al consumo fresco.

                                                                                                                                                                                                        I frutti lesionati durante la raccolta invece sono destinati alla preparazione di succhi e marmellate.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        L’ottenimento delle albicocche essiccate prevede diversi passaggi:

                                                                                                                                                                                                        inizialmente le drupe vengono lavate, asciugate e snocciolate; in seguito possono essere trattate con anidride solforosa, che permette di mantenere il colore chiaro e brillante anche dopo l’essicazione.

                                                                                                                                                                                                        Vengono quindi disposte su graticci o griglie in un luogo ben esposto al sole ed aerato o, in alternativa, vengono poste in forni con programmi termici che raggiungono la temperatura di 100°C.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Stagionalità dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                        In Italia le albicocche destinate al consumo fresco sono di stagione nei mesi estivi, tra giugno e luglio.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione dell’albicocca

                                                                                                                                                                                                        Un’albicocca è fresca e matura quando presenta un colore giallo-arancio, una buccia vellutata e una polpa che, se premuta, cede leggermente.

                                                                                                                                                                                                        È immatura se ha un colore giallo ed è dura al tatto; troppo matura quando è molle e pastosa.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Le albicocche fresche che non hanno raggiunto una completa maturazione andrebbero conservate a temperatura ambiente, quelle mature invece bisogna tenerle in frigorifero tra 0 e 3°C, al massimo per 6-7 giorni, in sacchetti o contenitori di plastica.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Le albicocche secche si conservano per 12 mesi e possono essere consumate come tali o in seguito a reidratazione in acqua tiepida per almeno due ore.

                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                        I semi dell’albicocca invece sono usati in pasticceria come essenza negli amaretti, in sciroppi o liquori avendo un leggero gusto amarognolo.

                                                                                                                                                                                                        Tuttavia il loro consumo è limitato ad un uso aromatico in quanto contengono (come le foglie e i fiori dell’albicocco) un derivato dell’acido cianidrico che, ad alte dosi, risulta tossico.

                                                                                                                                                                                                        • • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                                          • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                                          • Hock-Eng Khoo, K. Nagendra Prasad, Kin-Weng Kong, Yueming Jiang, Amin Ismail (2011) “Carotenoids and Their Isomers: Color Pigments in Fruits and Vegetables”, Molecules, 16, 1710-1738.

                                                                                                                                                                                                          www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                          www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                                          Lenticchia

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          lenticchie in scatola

                                                                                                                                                                                                          Famiglia: Papilionaceae

                                                                                                                                                                                                          Genere: Lens

                                                                                                                                                                                                          Specie: Lens esculentas moench

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Storia delle lenticchie

                                                                                                                                                                                                          La lenticchia è una delle più antiche piante alimentari che l’uomo ha domesticato.

                                                                                                                                                                                                          È originaria della regione medio-orientale della “Mezzaluna fertile” (Siria e Iraq settentrionale), agli albori della civiltà agricola, e si è diffusa poi in tutto il mondo.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Era chiamata anche “carne dei poveri” in quanto in passato rappresentava l’alimento principale delle popolazioni economicamente svantaggiate.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Nel mondo si coltivano 3,2 milioni di ettari, con una produzione di circa 4 milioni di tonnellate di lenticchie all’anno. Nonostante questi legumi siano un alimento alla base della dieta mediterranea, in Italia sono solo 1000 ettari destinati alla coltivazione della lenticchia.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Varietà di lenticchia

                                                                                                                                                                                                          Esistono diverse varietà di lenticchia che si distinguono per le dimensioni dei semi e per il loro colore.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Si possono avere lenticchie grandi, medie e piccole. Quelle di dimensioni più piccole sono considerate le più pregiate.

                                                                                                                                                                                                          Il colore del seme varia dal marrone, al rosso, al verde, al biondo. Tra le varietà più pregiate si ricordano le lenticchie di Altamura e di Villalba, di colore verde. Queste, insieme alle lenticchie di Colfiorito e di Fucino, sono molto apprezzate e vengono esportate all’estero.

                                                                                                                                                                                                          Le lenticchie più note sono quelle di Castelluccio di Norcia a cui è stato conferito anche il marchio IGP.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          In commercio si possono trovare lenticchie secche e lenticchie in scatola che una volta scolate sono pronte per il consumo.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Proprietà nutrizionali della lenticchia

                                                                                                                                                                                                          tabella con i valori nutrizionali di lenticchie secche crude e lenticchie in scatola scolate
                                                                                                                                                                                                          Tabella con i valori nutrizionali delle lenticchie secche crude e delle lenticchie in scatola scolate.

                                                                                                                                                                                                          Valori nutrizionali delle lenticchie in scatola e secche

                                                                                                                                                                                                          Le lenticchie sono legumi molto ricchi di carboidrati e proteine.

                                                                                                                                                                                                          Generalmente, come per tutti i legumi, si consiglia si assumere le lenticchie in associazione con i cereali in quanto queste due classi presentano una composizione amminoacidica complementare.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Contengono inoltre un buon contenuto di fibra, presente prevalentemente nella forma insolubile.

                                                                                                                                                                                                          Altre componenti di interesse nutrizionale sono: ferro, fosforo e vitamine del gruppo B.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Le lenticchie, per la loro composizione, sono l’alimento ideale per coloro che devono seguire un’alimentazione priva di glutine, come soggetti celiaci.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Con la conservazione in scatola questi legumi mantengono la maggior parte dei loro nutrienti, ma aumenta il quantitativo di sodio dovuto alla salamoia del liquido di governo.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Benefici delle lenticchie

                                                                                                                                                                                                          Tra i benefici che apportano le lenticchie ci sono quelli di favorire il transito intestinale grazie alle fibre che le compongono e contrastare situazioni di affaticamento, denutrizione e anemia grazie alla presenza di sali minerali contenuti in questi legumi.

                                                                                                                                                                                                          Il consumo di questi legumi infatti potrebbe essere utile in caso di anemia sideropenica e gonfiore sottocutaneo (o edema).

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Nelle lenticchie si trova anche la vitamina B1, chiamata anche Tiamina, che aiuta la memoria e la concentrazione, la vitamina B3 o vitamina PP che apporta benefici a livello cardiovascolare e contribuisce alle funzioni energetiche dell’organismo e gli isoflavoni che svolgono funzione antiossidante.

                                                                                                                                                                                                          A quest’ultimo proposito, gli antiossidanti sono molecole importanti per il nostro organismo in quanto lo proteggono dai radicali liberi, composti reattivi dell’ossigeno prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          La porzione standard di consumo è 150 grammi di lenticchie fresche che corrispondono a circa mezzo piatto oppure 50 grammi di lenticchie secche che corrispondono circa a 3/4 cucchiai.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Interazioni delle lenticchie

                                                                                                                                                                                                          Le lenticchie contengono purine ed è quindi sconsigliato il consumo ai soggetti affetti da gotta o uremia. Il consumo è sconsigliato anche ai soggetti che soffrono di problemi intestinali.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Produzione e Tecnologia della lenticchia

                                                                                                                                                                                                          Caratteri botanici della pianta di lenticchie

                                                                                                                                                                                                          La lenticchia è una pianta annuale con un’altezza che va dai 25 ai 40 cm. I legumi presentano forma appiattita e di solito contengono 1 o 2 semi rotondi, lenticolari. ù

                                                                                                                                                                                                          In base alla dimensione e al peso dei semi la specie si può dividere in due gruppi: microsperma, a seme piccolo, e macrosperma, a seme grande.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Il colore dei semi varia sia per il colore dei cotiledoni (giallo o arancio), sia dei tegumenti: dal giallo-verdognolo al grigio, al bruno fino al nero, in tinta unita o screziata. In certi mercati sono apprezzate le lenticchie a seme grosso (fino a 80 mg) mentre in Italia le lenticchie più pregiate sono quelle a seme molto piccolo.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Coltivazione delle lenticchie

                                                                                                                                                                                                          La lenticchia è un legume molto resistente alla siccità e, almeno in Italia, avviene molto raramente che la pianta abbia la necessità di essere irrigata.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          La semina si esegue in autunno, se l’inverno non è troppo rigido, oppure a gennaio-febbraio e la raccolta si effettua quando le piante iniziano a disseccarsi.

                                                                                                                                                                                                          Le piante tagliate, o più spesso estirpate, si lasciano in campo disposte in mucchietti a completare l’essiccazione e successivamente trasportate sul luogo della sgranatura.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Una volta raccolte, le lenticchie vengono immagazzinate senza particolari problemi di conservazione purché presentino un contenuto di umidità compreso tra il 10 e il 12%.

                                                                                                                                                                                                          Se in seguito alla raccolta si hanno valori di umidità superiori è necessario utilizzare sistemi a ventilazione forzata per riportarli a livelli di umidità adeguati, evitando però essicazioni troppo repentine per non danneggiare la qualità del prodotto.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Produzione delle lenticchie secche e lenticchie in scatola

                                                                                                                                                                                                          In commercio si possono trovare lenticchie secche crude che, in seguito alla raccolta, vengono essiccate al sole e successivamente setacciate.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Le lenticchie in scatola invece, dopo la raccolta, vengono scottate in acqua bollente e confezionate in scatole di banda stagnata con macchine riempitrici più o meno automatiche. In seguito, ad una temperatura superiore agli 85°C, si addizionano acqua e sale (ed eventualmente altri ingredienti).

                                                                                                                                                                                                          I contenitori vengono quindi chiusi ermeticamente e sterilizzati a temperature superiori ai 100°C e per un tempo che può variare dai 10 ai 60 minuti, secondo il formato e il materiale utilizzato per il confezionamento.

                                                                                                                                                                                                          Infine, per ottenere un prodotto di buona qualità, è buona norma raffreddare rapidamente le confezioni, fino a quando il prodotto non abbia raggiunto una temperatura di circa 40°C.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Stagionalità delle lenticchie

                                                                                                                                                                                                          Le lenticchie si trovano sul mercato tutto l’anno sotto forma essiccata o pronte al consumo nei barattoli, ma la raccolta del legume fresco avviene tra giugno e luglio.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Preparazione e Conservazione delle lenticchie

                                                                                                                                                                                                          Le lenticchie in scatola, dopo essere state scolate e risciacquate per eliminare il sale in eccesso, sono pronte per il consumo senza richiedere un’ulteriore cottura.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Quelle secche invece, richiedono prima della cottura, una fase di ammollo per un periodo che va dalle 6 alle 12 ore, in una quantità adeguata di acqua tiepida.

                                                                                                                                                                                                          Terminata questa fase è buona norma eliminare tutte le lenticchie che galleggiano insieme a eventuali impurità che si possono trovare.

                                                                                                                                                                                                          Successivamente si sciacquano sotto l’acqua corrente e si procede con la cottura. Quest’ultima deve essere effettuata a fiamma bassa e richiede circa 40 minuti. 5 minuti prima del termine della cottura si può aggiungere il sale, in quanto l’addizione nel momento in cui inizia l’ebollizione determina un indurimento delle lenticchie.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Una volta cucinate, le lenticchie si possono conservare in frigorifero per 4-5 giorni in un contenitore a chiusura ermetica.

                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                          Le proposte di ricette di FBO con le lenticchie

                                                                                                                                                                                                          • • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                                            • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                                            www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                                            www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                            www.celiachia.it

                                                                                                                                                                                                            www.bda-ieo.it 

                                                                                                                                                                                                            www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                                            • Progetto agritrasfer in sud (CRA-MIPAAF) “Esperienze di confronti varietali di leguminose da granella (cece, lenticchia, cicerchia e fagiolo) nelle terre confiscate alla malavita organizzata in Campania (anni 2012 e 2013)”, opuscolo divulgativo.

                                                                                                                                                                                                            Limone

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            scorza di limone

                                                                                                                                                                                                            Famiglia: Rutaceae

                                                                                                                                                                                                            Genere: Citrus

                                                                                                                                                                                                            Specie: Citrus limon

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Storia del limone

                                                                                                                                                                                                            Il limone (Citrus limon) è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rutaceae originario dell’India e dell’Indocina.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Secondo alcuni studi, il limone è da considerarsi un ibrido naturale tra due diverse specie di agrumi: il cedro (Citrus medica) e il lime (Citrus aurantifolia).

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Solitamente la buccia è di colore giallo ma esistono anche varietà di colore verde o bianco; la buccia può essere più o meno sottile ed è ricca di oli essenziali.

                                                                                                                                                                                                            La polpa è suddivisa in otto-dieci spicchi, succosa e con un sapore aspro; molte varietà sono prive di semi.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Varietà di limone

                                                                                                                                                                                                            Esistono diverse varietà di limone e le principali cultivar coltivate in Italia sono: Femminello Comune, Monachello, Interdonato, Femminello Zagara Bianca, Femminello Siracusano e Femminello Apireno Continella. Molte di queste varietà sono tipiche della Sicilia, regione da cui deriva l’85% della produzione nazionale di limoni.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Nel 2001 è stata riconosciuta l’IGP (Indicazione Geografica Protetta) al “Limone di Sorrento” e al “Limone Costa d’Amalfi”.

                                                                                                                                                                                                            Questa varietà presenta una buccia di medio spessore, di colore giallo chiaro, con un aroma e un profumo intensi dovuti alla ricca presenza di oli essenziali e terpeni.

                                                                                                                                                                                                            I frutti sono di dimensioni medio-grosse (almeno 100 grammi per frutto) e la polpa è succosa e moderatamente acida, con scarsa presenza di semi.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Nel 2007 ha ottenuto l’IGP anche il “Limone Femminello del Gargano”, il limone più antico d’Italia, di cui esistono due tipologie: il Femminello a scorza gentile ed il Femminello oblungo.

                                                                                                                                                                                                            Il limone a scorza gentile presenta una forma sferoidale; la sua buccia ha un colore giallo chiaro, particolarmente liscia e dallo spessore molto sottile. Il limone oblungo è più pregiato per l’assenza di semi nella sua polpa e la sua buccia, più o meno liscia, ha un colore giallo citrino intenso di spessore medio.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Anche il “Limone di Siracusa” e il “Limone Interdonato Messina Jonica” hanno ottenuto l’IGP. Quest’ultimo presenta frutti di pezzatura medio-elevata (tra gli 80 e i 350 grammi), dalla forma ellittica, di colore verde opaco a inizio maturazione, che poi tende al giallo. Anche la polpa è di colore giallo e i semi sono pochi o del tutto assenti.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Nel 2011 invece hanno ottenuto l’IGP i “Limoni di Rocca Imperiale” appartenenti alle categorie commerciali “Extra”, “I” e “II”, che vengono coltivati in Calabria nella provincia di Cosenza.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Proprietà nutrizionali del limone

                                                                                                                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali del limone, della scorza di limone e del succo di limone
                                                                                                                                                                                                            Tabella con i valori nutrizionali del limone, della scorza di limone e del succo di limone.

                                                                                                                                                                                                            Valori nutrizionali del limone

                                                                                                                                                                                                            Questo agrume è soprattutto una fonte di vitamina C, contenuta sia nel succo che nella buccia del frutto. Nella scorza del limone è presente un contenuto di questa vitamina fino a tre volte superiore rispetto al succo a parità di peso.

                                                                                                                                                                                                            Contiene inoltre flavonoidi e sostanze con proprietà antiossidanti che conferiscono la tipica colorazione al frutto, quali β-carotene, β-criptoxantina, luteina e zeaxantina.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il limone è ricco di oli essenziali, il principale dei quali è il limonene, concentrato prevalentemente nella scorza, dove sono presenti anche altre sostanze quali la citronella, il fellandrene, l’acido citrico, l’acido malico, l’acido formico, l’esperidina e le pectine.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Benefici del limone

                                                                                                                                                                                                            Le funzioni benefiche che il limone svolge nei confronti del nostro organismo si devono ricondurre alla presenza in questo agrume di vitamina C, potassio e oli essenziali.

                                                                                                                                                                                                            Ricordiamo infatti l’azione antiossidante, dove gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi che se prodotti in eccesso possono provocare stati patologici, l’azione protettiva antitumorale contro il cancro alla cavità orale e l’azione antimicrobica.

                                                                                                                                                                                                            In particolare l’azione antimicrobica è da attribuire agli oli essenziali che esercitano un’azione batteriostatica e antivirale dipendente dal citrale e dal linalolo.

                                                                                                                                                                                                            Sembra inoltre che il limone aiuti a ridurre la formazione di calcoli renali.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            La porzione di consumo giornaliero standard di frutta fresca consigliata è 150 grammi, che corrispondono a circa 2 limoni.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Questo agrume può essere utile da utilizzare sia durante che post trattamento oncologico per contrastare alcuni effetti collaterali quali l’alterazione del gusto (in questo caso si utilizza la marinatura), la disidratazione (aromatizzando l’acqua con la scorza di limone) e l’anemia sideropenica.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            L’utilizzo della scorza o del succo di limone durante il pasto permette di ridurre la quantità di sale e favorire l’assorbimento del ferro.

                                                                                                                                                                                                            Infatti la vitamina C in esso contenuta ha la capacità di aumentare l’assorbimento del ferro nelle verdure a foglia verde o nei legumi, ovvero alimenti che hanno una buona quantità di ferro presente però nella forma meno assimilabile.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Ricordiamo che la vitamina C è sensibile al calore, quindi è sempre meglio aggiungere il succo o la scorza a fine cottura.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            L’aggiunta del succo di limone a frutta o verdura inoltre ne evita l’annerimento, andando a inattivare un gruppo di enzimi responsabili di questo fenomeno, le polifenolossidasi.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Interazioni del limone

                                                                                                                                                                                                            L’acidità del limone può causare un danneggiamento dello smalto dei denti con perdita di lucidità dentale e alterazioni del colore.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il consumo di succo di limone può interferire con l’azione della clorochina, farmaco utilizzato per la prevenzione e il trattamento della malaria.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Produzione e Tecnologia del limone

                                                                                                                                                                                                            Caratteri botanici del limone

                                                                                                                                                                                                            Il genere Citrus, a cui appartiene il limone, ha come frutto una bacca (definita esperidio), caratterizzata da un epicarpo (parte esterna) di spessore variabile a seconda della varietà, colorato e ricco di oli essenziali.

                                                                                                                                                                                                            Il mesocarpo o albedo è bianco e spugnoso, mentre l’endocarpo (parte interna) è suddiviso in 8-10 spicchi in cui possono essere presenti o meno i semi.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            I frutti possono essere di forma ovale o ellittica e, nella parte terminale, presentano una protuberanza che, a seconda delle varietà, risulta più o meno pronunciata.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            I limoni giungono a maturazione in tre diversi periodi dell’anno:

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            • autunno, dal mese di ottobre, periodo in cui avviene la produzione di limoni invernali,
                                                                                                                                                                                                            • primavera, nel mese di marzo, con la produzione dei limoni noti come bianchetti,
                                                                                                                                                                                                            • estate, a settembre, in cui sono pronti i cosiddetti verdelli (che maturano nell’estate seguente), così chiamati per il colore della buccia.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il limone è piuttosto sensibile al freddo e si defoglia completamente con temperature di -4/-5°C, mentre i fiori e i frutti sopportano valori fino a -2°C.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            A differenza di altri agrumi, i limoni possono maturare anche quando sono staccati dalla pianta e di conseguenza spesso vengono raccolti, manipolati e spediti ancora verdi (dopo averli protetti con un trattamento fungicida e un’inceratura).

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Produzione dei limoni

                                                                                                                                                                                                            Il maggior produttore è il Messico, seguito dall’India. Altri grandi produttori sono l’Italia, la Spagna, Israele, l’Egitto, la Repubblica Sudafricana e l’Australia.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            In base alle condizioni pedoclimatiche ed alla varietà, la raccolta dei frutti copre tutto l’arco dell’anno oppure può avere inizio il 1° gennaio e terminare il 31 ottobre.

                                                                                                                                                                                                            La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano impedendo il contatto diretto dei limoni con il terreno. Il distacco dei frutti può essere effettuato anche con l’ausilio di apposite forbici per il taglio del peduncolo.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Successivamente i frutti vengono posti in cesti o in cassette di plastica, quindi caricate sui mezzi di trasporto e trasferite ai magazzini di lavorazione e/o conservazione.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Una volta che il prodotto è giunto al magazzino, il limone subisce un processo di lavorazione che ne comporta: lavaggio, trattamento anticrittogamico, ceratura, selezione, calibratura e confezionamento.

                                                                                                                                                                                                            I materiali ammessi per gli imballaggi sono cartone, legno e plastica; le confezioni ammesse sono reti e borse con banda plastica attaccata alla rete. La conservazione dei frutti può essere effettuata in atmosfera normale o controllata.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Oltre che per il consumo fresco, i limoni possono essere utilizzati per la produzione di essenze o oli essenziali, succhi e confetture.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Stagionalità del limone

                                                                                                                                                                                                            I limoni si trovano sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Preparazione e Conservazione del limone

                                                                                                                                                                                                            Un limone maturo deve presentare una buccia soda, sottile, liscia, senza macchie e di colore giallo brillante. I limoni con la buccia di colore giallo intenso sono di solito più maturi e meno acidi di quelli poco gialli o giallo-verdognoli.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            La temperatura ideale di conservazione dei limoni maturi è di 0-4°C, mentre i limoni verdi possono essere mantenuti a una temperatura di 11-14°C.

                                                                                                                                                                                                            Sarebbe quindi consigliabile porre i limoni maturi in frigorifero nello scomparto della frutta, in modo da mantenerli succosi e con un buon contenuto di vitamina C, mentre i limoni verdi possono rimanere in un ambiente fresco.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Una volta tagliati vengono conservati in frigorifero avvolgendo gli spicchi o le fette con la pellicola trasparente (non con fogli d’alluminio per via dell’acidità del limone).

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il succo di limone viene utilizzato per insaporire cibi come carne, pesce, insalate, dessert di frutta, sorbetti, gelati e bevande, quali il tè. Una buona abitudine è il suo utilizzo al posto del sale per condire le insalate.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Del limone viene utilizzata anche la buccia, se edibile, per aromatizzare le preparazioni.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Inoltre è consigliabile condire verdure o legumi con succo o scorza di limone in quanto la vitamina C presente facilita l’assorbimento del ferro non eme contenuto nei vegetali.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Le proposte di ricette di FBO con il limone

                                                                                                                                                                                                            Latte di bufala, capra e pecora

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            tipi di latte

                                                                                                                                                                                                            Definizione del termine “latte”

                                                                                                                                                                                                            Il latte è “il prodotto della mungitura regolare, completa ed ininterrotta della mammella di animali in buono stato di salute e di nutrizione”, secondo il R.D. n 15 del 9 maggio 1929. Per il latte proveniente da animali diversi dalla vacca (bovina) si deve riportare il nome della specie, ad esempio latte di bufala, latte di capra o latte di pecora.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Storia dei diversi tipi di latte

                                                                                                                                                                                                            Il latte di bufala è un prodotto consumato fin dall’antichità la cui diffusione è maggiore nelle zone del Sud-Est asiatico, area di provenienza di questo animale.

                                                                                                                                                                                                            Allevamenti di bufali si trovano in Romania e anche in Italia. Più precisamente in Italia si trovano in Campania (nelle province di Caserta e Salerno), dove è presente quasi la totalità dell’allevamento italiano, in Lazio, in Sicilia e in Lombardia (nelle province di Cremona, Varese e Mantova).

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il latte di capra è utilizzato da tempi antichi e l’allevamento è originario delle aree montane dell’Europa centro-meridionale.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            L’addomesticamento della pecora, invece, animale originario del Medio-oriente, è avvenuto in Tibet, in Iran e in Iraq e da qui la specie si è diffusa in tutto il mondo.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Proprietà nutrizionali del latte di bufala, capra e pecora

                                                                                                                                                                                                            tabella con i valori nutrizionali del latte di bufala, latte di capra e latte di pecora
                                                                                                                                                                                                            Tabella con i valori nutrizionali del latte di bufala, latte di capra e latte di pecora

                                                                                                                                                                                                            Valori nutrizionali dei diversi tipi di latte: bufala, capra e pecora

                                                                                                                                                                                                            Il latte di bufala, rispetto a quello di capra e di pecora, fornisce un maggior apporto lipidico.

                                                                                                                                                                                                            Questo tipo di latte, anche confrontato con quello vaccino, risulta quindi più calorico. Il latte di bufala possiede inoltre un sapore dolce caratteristico.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il latte di capra è il più simile, per composizione in macronutrienti, al latte vaccino sebbene, rispetto a quest’ultimo, presenti una frazione lipidica con globuli di dimensioni più piccole ed un maggior contenuto di acidi grassi a corta e media catena.

                                                                                                                                                                                                            Queste due caratteristiche rendono il latte di capra più digeribile (per la maggior superficie specifica globulare disponibile all’attacco delle lipasi) e dal sapore più marcato (gli acidi grassi a corta catena conferiscono all’alimento un aroma forte e sapore salato).

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il latte di pecora risulta invece il più ricco in proteine e, rispetto al latte di vacca dà un maggior apporto calorico.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Questi tre tipi di latte rappresentano una buona fonte di calcio e potassio.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Nei vari tipi di latte la composizione lipidica e vitaminica varia in base a diversi fattori quali l’alimentazione e la composizione del mangime.

                                                                                                                                                                                                            Il latte delle specie allevate al pascolo contiene ad esempio acidi linoleici coniugati (CLA) in quantità cinque volte superiori rispetto a quello delle specie alimentate con insilati, cereali; risulta inoltre più ricco di vitamina A ed E.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Benefici dei diversi tipi di latte

                                                                                                                                                                                                            Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile in caso di carenza di vitamina B12.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            In un bicchiere di latte intero sono presenti 0,5 µg di vitamina B12. Il livello di assunzione giornaliera raccomandata per la popolazione adulta è di 2,4 µg.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            La porzione consigliata è di 125 ml, che corrisponde a un bicchiere piccolo o mezza tazza.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Interazioni dei diversi tipi di latte

                                                                                                                                                                                                            Latte e latticini possono interferire con l’azione di antibiotici, quali le tetracicline.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Produzione e Tecnologia del latte di bufala, capra e pecora

                                                                                                                                                                                                            La produzione di latte di bufala rappresenta il 13% della produzione mondiale globale, quella di capra il 2% e quella di pecora l’1% (la restante è rappresentata per l’83% da latte di vacca e, per una minima frazione, da latte di camelidi ed equini).

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Allevamento di bufale, caprini e pecore

                                                                                                                                                                                                            L’allevamento di bufale per la produzione di latte avviene in India, Pakistan, Cina, Nepal, Egitto ed Italia.

                                                                                                                                                                                                            Il tipo di bufalo allevato in Italia ha caratteristiche di rusticità e produttività diverse, tanto da poter essere definito bufalo italiano.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            L’allevamento caprino avviene in Cina, India, Pakistan, Nigeria, Sudan, Francia e Italia.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            I maggiori allevatori di pecore sono i cinesi, seguiti dagli australiani, indiani, iraniani e sudanesi. In questi Paesi però l’allevamento ovino è praticato principalmente per la produzione di lana e, solo nella minoranza dei casi, per il latte.

                                                                                                                                                                                                            I maggiori Paesi produttori di latte di pecora sono quindi Grecia, Italia (principalmente nelle isole e nell’Italia centro-meridionale) e Francia, pur disponendo degli allevamenti più esigui.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Tecniche di allevamento

                                                                                                                                                                                                            Esistono due metodi di allevamento: estensivo ed intensivo.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            L’allevamento estensivo è una modalità di allevamento diffusa nelle aree montane condotta per gli animali produttori di carne e prevede il ricovero degli animali solo nel periodo invernale.

                                                                                                                                                                                                            Durante il resto dell’anno, gli animali vengono invece lasciati liberi al pascolo in fondovalle in primavera e autunno, in alpeggio durante l’estate.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            L’allevamento intensivo invece riguarda gli animali produttori di latte ed è diffuso soprattutto nelle aree di pianura e fondovalle. Gli animali vivono in stalle e sono alimentati con erba falciata, fieno e cereali, in modo da ottenere una maggior produzione di latte, caratterizzato in genere da qualità nutrizionali inferiori rispetto all’allevamento estensivo.

                                                                                                                                                                                                            La mungitura avviene in sala mungitura, che presenta dimensioni variabili a seconda del numero di capi allevati.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            La composizione del latte e, di conseguenza, le sue proprietà variano in funzione di fattori genetici (razza), fisiologici (ad esempio l’età e le differenze tra il colostro, il latte a fine lattazione e il latte in situazione di mastiti).

                                                                                                                                                                                                            Influiscono anche i fattori ambientali (stagione, clima, altitudine), l’alimentazione (quantità e qualità degli alimenti) e i fattori tecnologici quali la mungitura e i trattamenti di conservazione.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Utilizzo dei diversi tipi di latte

                                                                                                                                                                                                            Il latte di bufala è molto utilizzato nella produzione di formaggi quali mozzarella di Bufala, stracciatella di Bufala, scamorza, stracchino, burrata, tomino, provola, caciocavallo.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il latte di capra sopporta con più difficoltà, rispetto a quello vaccino, i trattamenti atti a garantire la buona conservazione.

                                                                                                                                                                                                            Il processo che mantiene il più possibile inalterate le caratteristiche chimico-fisiche del latte è la pastorizzazione, processo in cui il latte viene sottoposto ad una temperatura di 72-78°C per 15 secondi e successivamente raffreddato rapidamente a 4°C.

                                                                                                                                                                                                            La sterilizzazione, mediante il metodo UHT (Ultra High Temperature), trattando il latte a 140-150°C per 2-5 secondi, invece ne altera in modo significativo il contenuto vitaminico.

                                                                                                                                                                                                            Il latte di capra viene impiegato anche per la produzione di formaggio, la cui tipologia più diffusa è il caprino, che può essere di consistenza molle, dura o semidura.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il latte di pecora è invece utilizzato per la produzione di formaggi realizzati per lo più come specialità regionali. I più importanti sono i Pecorini, che possono essere di diversa varietà in base alla loro stagionatura (freschi, a media stagionatura e stagionati).

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Preparazione e Conservazione del latte di bufala, capra e pecora

                                                                                                                                                                                                            Il latte di bufala e il latte di pecora vengono impiegati prevalentemente per la produzione casearia, quello di capra invece viene ampiamente consumato, tanto da renderlo un valido sostituto al latte vaccino.

                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                                            Il latte di capra pastorizzato si può utilizzare fino a 4 giorni dopo la data di confezionamento, conservandolo in frigorifero.

                                                                                                                                                                                                            Con la sterilizzazione UHT (Ultra High Temperature) invece può essere consumato fino a 90 giorni dal confezionamento, se la confezione è rimasta chiusa, conservandolo a temperatura ambiente. Una volta aperto deve essere consumato entro 3 o 4 giorni ed essere posto in frigorifero.

                                                                                                                                                                                                            • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                                                                              • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                                              • Galli Volonterio A. (2009) “Microbiologia degli Alimenti”, Casa editrice Ambrosiana, Milano.

                                                                                                                                                                                                              • LARN, livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                                              • Scirè Scappuzzo R. (AA 2012-2013) “Messa a punto di una metodica per la determinazione della resa casearia individuale del latte di Bufala mediterranea”, tesi di laurea in Scienze e Tecnologie animali, Università degli Studi di Padova.

                                                                                                                                                                                                              www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                              www.assolatte.it

                                                                                                                                                                                                              www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                                              www.capre.it

                                                                                                                                                                                                              www.rivistadiagraria.org

                                                                                                                                                                                                              www.politicheagricole.it

                                                                                                                                                                                                              Latte di Vacca

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Definizione e classificazione del latte

                                                                                                                                                                                                              Il latte è “il prodotto della mungitura regolare, completa ed ininterrotta della mammella di animali in buono stato di salute e di nutrizione”, secondo la legge n 15 del R.D. 9 maggio 1929.

                                                                                                                                                                                                              Se si utilizza solamente la parola latte si intende il prodotto derivante dalla mungitura della vacca (bovina). Per il latte proveniente da altri animali si deve riportare il nome della specie ad esempio latte di capra, latte di pecora, etc.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Il latte può essere classificato come latte:

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              • intero (contenente più del 3,5% di grasso),
                                                                                                                                                                                                              • parzialmente scremato (1-1.8% di grasso)
                                                                                                                                                                                                              • scremato (meno dello 0.5% di grasso).

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              In base all’intensità del trattamento termico utilizzato, il latte si suddivide in latte a breve conservazione (latte pastorizzato) e latte a lunga conservazione (UHT).

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Grazie al Regolamento (UE) n 1169/2011, dal 2017 è obbligatorio apporre sulle etichette di tutte le confezioni di latte e prodotti lattiero-caseari il Paese in cui è stato munto il latte e il nome del Paese in cui il prodotto è stato condizionato (o trasformato il latte).

                                                                                                                                                                                                              Solo per il latte munto, condizionato e trasformato in Italia, si può avere la dicitura “100% latte italiano”, invece se una fase del processo non è avvenuta in Italia non potrà essere presente tale dicitura in etichetta.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Proprietà nutrizionali del latte UHT e pastorizzato di vacca

                                                                                                                                                                                                              tabella con i valori nutrizionali del latte di vacca
                                                                                                                                                                                                              Tabella con i valori nutrizionali del latte di vacca intero, parzialmente scremato e scremato (sia pastorizzato che UHT).

                                                                                                                                                                                                              Valori nutrizionali del latte di vacca

                                                                                                                                                                                                              Come si può vedere dalla tabella la quantità di lipidi diminuisce passando dal latte intero a quello scremato; di conseguenza il quantitativo di carboidrati, proteine e acqua risulta maggiore in quello scremato.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Il latte di vacca è una fonte di proteine di alta qualità sintetizzate dalla mammella, rappresentata per l’80% da caseine e per il restante 20% da sieroproteine.

                                                                                                                                                                                                              Le caseine sono fosfoproteine (chiamate α1, α2, β, k caseina) presenti in sospensione colloidale che per acidificazione del latte precipitano; questa proprietà è sfruttata nella produzione del formaggio.

                                                                                                                                                                                                              Le sieroproteine, costituite principalmente da β-lattoglobulina e α-lattoalbumina, hanno un minor peso molecolare delle caseine e coagulano solo per riscaldamento. Inoltre l’ α-lattoalbumina contiene quantità elevate di un amminoacido essenziale, il triptofano.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Il carboidrato maggiormente presente nel latte di vacca è il lattosio (4,5-5 g/ 100 ml di latte), disaccaride costituito da glucosio e galattosio che conferisce al latte un sapore leggermente dolce. In misura minore si trovano glucosio, galattosio e oligosaccaridi.

                                                                                                                                                                                                              Proprio per la presenza del lattosio, la sua assunzione è problematica per i soggetti intolleranti.

                                                                                                                                                                                                              Per tale motivo è in commercio un latte delattosato detto HD (high digestible) in cui il 75% di questo disaccaride è stato idrolizzato per via enzimatica in glucosio e galattosio.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              La sostanza grassa del latte è formata per il 97-98% da trigliceridi, in cui si trovano acidi grassi saturi (60-65%) ed insaturi quali oleico (25%), linoleico (3%) e linolenico (0.5%).

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              La composizione lipidica e vitaminica varia in base a diversi fattori quali l’alimentazione e la composizione del mangime.

                                                                                                                                                                                                              Il latte delle mucche allevate al pascolo contiene ad esempio acidi linoleici coniugati (CLA) in quantità cinque volte superiori rispetto a quello delle mucche alimentate con insilati, cereali, e risulta anche più ricco di vitamina A ed E.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Tra i sali oltre al calcio, sono presenti potassio e fosforo.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Benefici del latte di vacca

                                                                                                                                                                                                              Il latte di vacca contiene numerosi sali minerali che contribuiscono a mantenere in salute ossa, denti e la salute cardiovascolare come calcio, fosforo, magnesio e potassio rispettivamente.

                                                                                                                                                                                                              Inoltre il latte è composto da proteine ad elevato valore biologico, vitamine A ed E con attività antiossidante e componenti funzionali che aiutano a controllare la pressione e gli stati infiammatori.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              La porzione consigliata è 125 ml, che corrisponde a un bicchiere piccolo o mezza tazza.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Interazioni del latte di vacca

                                                                                                                                                                                                              Il consumo di latte (e latticini) è sconsigliato durante l’assunzione di ciprofloxacina (antibatterico chinolonico) e tetracicline (antibatterico tetraciclinico).

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Produzione e Tecnologia del latte di vacca

                                                                                                                                                                                                              Allevamento dei bovini

                                                                                                                                                                                                              L’allevamento dei bovini da latte può essere:

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              • pastorale, in cui gli animali si muovono liberamente e si nutrono di erbe spontanee senza intervento dell’allevatore, o

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              • intensivo (industriale), dove gli animali vivono nelle stalle e vengono alimentati con erba falciata, fieno e cereali (come mais, orzo e crusca).

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              L’alimentazione con cereali permette di ottenere quantità maggiori di latte, ma di qualità nutrizionale inferiore rispetto a quello delle mucche al pascolo.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Esistono diverse razze che producono latte:

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              • la Frisona Italiana, originaria dell’Olanda oggi diffusa soprattutto nel nord Italia (Lombardia e Romagna) con elevata produzione di latte,
                                                                                                                                                                                                              • la Bruna Italiana, diffusa nell’Italia centro-meridionale,
                                                                                                                                                                                                              • la Pezzata Rossa Italiana, che fornisce un latte con un’alta percentuale proteica,
                                                                                                                                                                                                              • la Jersey, razza precoce in quanto i parti avvengono anche prima dei due anni di vita e con un latte ricco di grasso e proteine,
                                                                                                                                                                                                              • la Reggiana invece, allevata in provincia di Reggio Emilia, produce un latte adatto alla produzione del Parmigiano Reggiano.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Nelle bovine allevate per la produzione di latte, la lattazione è il periodo durante il quale l’animale viene munto e dura circa 10 mesi. Nei primi giorni dopo il parto la bovina produce il colostro, un liquido denso e giallognolo simile al latte, più ricco di anticorpi utili al vitellino appena nato.

                                                                                                                                                                                                              Al termine di questo periodo si ha la produzione del latte che aumenta fino al secondo mese, per poi calare fino al momento dell’”asciutta”, cioè il periodo durante il quale l’animale non produce latte e recupera le sostanze perse durante la lattazione.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Composizione del latte di vacca

                                                                                                                                                                                                              La composizione del latte e, di conseguenza, le sue proprietà variano in funzione di fattori genetici (razza) e fisiologici (ad esempio l’età e le differenze tra il colostro, il latte a fine lattazione e il latte in situazione di mastiti).

                                                                                                                                                                                                              Influiscono anche i fattori ambientali (stagione, clima, altitudine), l’alimentazione (quantità e qualità degli alimenti) e i fattori tecnologici quali la mungitura e i trattamenti di conservazione.

                                                                                                                                                                                                              Per avere un latte a maggior contenuto di grasso, si deve mungere due volte al giorno con un intervallo di tempo abbastanza costante.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Tecniche di produzione del latte di vacca

                                                                                                                                                                                                              La pratica di mungitura deve seguire le normative igienico-sanitarie in vigore e le operazioni di raccolta del latte vengono solitamente svolte in una sala apposita (“sala mungitura”), separata dal resto dell’allevamento, per garantire una maggiore igiene.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Successivamente il latte viene posto in una cisterna dove viene filtrato e refrigerato (in modo da evitare la moltiplicazione dei germi presenti) e in seguito trasportato, mediante cisterne opportunamente refrigerate, allo stabilimento per il trattamento termico.

                                                                                                                                                                                                              Il latte è un alimento facilmente deperibile ed attaccabile da microorganismi, durante tutta la filiera di produzione, per cui è necessario mantenere basse temperature per evitare lo sviluppo di batteri.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Il latte destinato al consumo alimentare subisce un trattamento di stabilizzazione (omogeneizzazione) prima di essere sottoposto al trattamento termico in quanto, i globuli di grasso nel latte lasciato a riposo, tendono ad affiorare e a formare uno strato superficiale di crema.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              In base all’intensità del trattamento termico subito, il latte alimentare si differenzia in latte a breve conservazione (latte pastorizzato) e latte a lunga conservazione (latte UHT).

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Latte pastorizzato e latte UHT

                                                                                                                                                                                                              Durante la pastorizzazione si sottopone il latte a una temperatura di 72-75°C per 15-20 secondi in modo da distruggere i batteri patogeni, facendolo quindi raffreddare a 4°C per ritardare lo sviluppo dei saprofiti.

                                                                                                                                                                                                              Il latte UHT (ultra high temperature) invece subisce un processo di sterilizzazione in quanto vengono usate alte temperature (130-150°C per 3-10 secondi) che distruggono tutte le forme microbiche. Viene poi lasciato raffreddare a temperatura ambiente e confezionato in contenitori sterili.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Tipologie di latte di vacca in commercio

                                                                                                                                                                                                              Secondo la normativa italiana si può riportare sulla confezione la dicitura “fresco” per il latte trasportato in tempi brevi (meno di 48 ore) dall’azienda di produzione alla centrale dove viene pastorizzato e commercializzato.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Il latte può anche essere definito di “alta qualità” quando possiede un maggior quantitativo di proteine e grassi rispetto al latte convenzionale, dovuto al tipo di trattamento subito.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              In commercio si trova anche il latte “ad alta digeribilità” privo di lattosio, il latte “fortificato” e/o arricchito in cui vengono aggiunte ad esempio fibre, vitamine e calcio, e il latte “aromatizzato” a cui sono aggiunti ingredienti come cioccolato o frutta, per insaporire il prodotto.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Il latte “microfiltrato” invece è un latte che viene sottoposto ad un processo di microfiltrazione abbinato al trattamento termico.

                                                                                                                                                                                                              La microfiltrazione è una tecnica che permette la separazione della frazione proteica e di quella grassa ed è in grado di separare anche batteri e particelle estranee presenti nel latte. In seguito a questo trattamento il periodo di conservazione del latte risulta più lungo rispetto ad altre tipologie di latte.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Preparazione e Conservazione del latte UHT e pastorizzato

                                                                                                                                                                                                              Il latte pastorizzato si può utilizzare fino a 4 giorni dopo la data di confezionamento, conservandolo in frigorifero.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Il latte sterilizzato UHT (ultra high temperature) invece, può essere consumato fino a 90 giorni dopo la data in cui è stato confezionato, se la confezione è rimasta chiusa, conservandolo a temperatura ambiente. Una volta aperto però deve essere consumato entro 3 o 4 giorni e deve essere posto in frigorifero.

                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                              Per entrambe le tipologie di latte si raccomanda di chiudere bene il contenitore dopo l’uso in modo tale da non alterarne le caratteristiche.

                                                                                                                                                                                                              Si consiglia inoltre, se possibile, di non posizionarlo all’interno del frigorifero nella porta in quanto, ogni volta che esse viene aperta, viene esposto alla temperatura ambiente della cucina.

                                                                                                                                                                                                              • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                                                                                • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                                                • Condoleo R., Bozzano A. “La filiera del latte. Il percorso del latte: dall’allevamento alla tavola del consumatore”, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana.

                                                                                                                                                                                                                • Corradini C. (1995) “Chimica e tecnologia del latte”, Hoepli, Milano.

                                                                                                                                                                                                                • Galli Volonterio A. (2009) “Microbiologia degli Alimenti”, Casa editrice Ambrosiana, Milano.

                                                                                                                                                                                                                • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                                                www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                                www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                                                www.politicheagricole.it

                                                                                                                                                                                                                Frumento Tenero

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                Famiglia: Graminaceae

                                                                                                                                                                                                                Genere: Triticum

                                                                                                                                                                                                                Specie: Triticum aestivum

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Storia del frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                Il termine “frumentoograno” viene utilizzato comunemente per fare riferimento in maniera complessiva ad uno svariato numero di specie botaniche appartenenti al genere Triticum, nella famiglia delle Graminaceae.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Originarie dell’Asia sud-occidentale e ampiamente coltivate nella regione un tempo definita “Mezzaluna Fertile”.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Le specie di questo genere nel tempo si sono evolute in modo naturale, acquisendo differenze che ne hanno permesso la classificazione, ad esempio, in Triticum durum (frumento duro) e Triticum aestivum (frumento tenero).

                                                                                                                                                                                                                Frumento tenero e duro sono quindi due specie differenti che presentano caratteristiche morfologiche ed esigenze ambientali diverse oltre ad un differente impiego in ambito industriale.

                                                                                                                                                                                                                In questa scheda si fa riferimento al frumento tenero; tutte le informazioni relative al frumento duro è possibile trovarle nella specifica scheda.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Il frumento è il cereale più diffuso nel mondo con oltre 224 milioni di ettari coltivati.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                I principali produttori a livello mondiale sono Cina e Canada, mentre i paesi dell’Unione Europea, tra cui prevale la Francia, hanno una produzione complessiva pari al 15% del totale.

                                                                                                                                                                                                                In Italia la produzione di frumento tenero copre solo in parte il fabbisogno nazionale (55%) ed è concentrata prevalentemente al Centro-Nord. Le regioni a maggiore produzione sono: Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia e Veneto.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                L’elevata produzione di frumento è dovuta al fatto che costituisce una risorsa primaria per l’alimentazione umana, avendo un’elevata capacità di adattamento alle diverse condizioni ambientali.

                                                                                                                                                                                                                Inoltre è facile da conservare e trasportare e permette di produrre svariati alimenti a partire dagli sfarinati da esso ottenuti.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Cos’è il frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                Il frumento tenero è una varietà di frumentonudo” dalla cui lavorazione a livello industriale si ottengono sfarinati che presentano caratteristiche adatte per la produzione di prodotti lievitati di vario genere come pane, torte, biscotti e per la produzione di pasta fresca all’uovo.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Sfarinati ottenuti dal frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                Dalla lavorazione di questo frumento si possono ottenere diversi tipi di sfarinati, regolamentati dalla legge n.580 del 4 luglio 1967 e successive modifiche:

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                • farina di grano tenero o semplicemente farina, ottenuta dalla macinazione e conseguente abburattamento (una sorta di setacciatura) del grano tenero liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità che determinano le farine di tipo “00”, “0”, “1”e “2”ciascuna con specifiche caratteristiche di composizione;

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                • farina integrale di grano tenero che non subisce la fase di abburattamento e presenta quindi un miglior contenuto di nutrienti.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Proprietà nutrizionali del frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                tabella con i valori nutrizionali del frumento tenero e delle farine di frumento integrali, tipo "0" e "00"
                                                                                                                                                                                                                Tabella con i valori nutrizionali del frumento tenero e delle farine di frumento integrali, tipo “0” e “00”

                                                                                                                                                                                                                Valori nutrizionali del frumento tenero e delle sue farine

                                                                                                                                                                                                                La composizione della cariosside di frumento varia in base a diversi parametri, tra cui la varietà di frumento, le condizioni ambientali, il tipo di terreno su cui è coltivato e l’apporto di azoto nelle varie fasi di concimazione.

                                                                                                                                                                                                                In generale nella cariosside sono presenti acqua (8-18%), glucidi (72%), proteine (7-18%), lipidi, vitamine e sali minerali (1.5-2%).

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                I glucidi sono i composti più importanti da un punto di vista quantitativo e sono presenti come monosaccaridi, disaccaridi, oligosaccaridi e polisaccaridi. L’amido è il principale polisaccaride di riserva del frumento (60-68%) e comprende due macromolecole differenti: amilosio e amilopectina.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Le proteine del frumento sono classificate generalmente in proteine citoplasmatiche e proteine di riserva.

                                                                                                                                                                                                                Le prime sono ricche di amminoacidi essenziali come lisina, alanina, valina, treonina e acido aspartico, mentre presentano un basso contenuto di glutammina.

                                                                                                                                                                                                                Le proteine di riserva, hanno invece la capacità, una volta che gli sfarinati sono trattati con acqua, di legarsi nella formazione di un impasto viscoelastico.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                I lipidi sono presenti in quantità ridotta nella cariosside (2-3%) e sono localizzati soprattutto a livello del germe.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                I sali minerali sono localizzati invece nei tegumenti esterni e comprendono fosfati di magnesio e potassio, sali di calcio, ferro, rame e zinco.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Tra le vitamine sono presenti soprattutto quelle del gruppo B e la vitamina E, più abbondante nel germe.

                                                                                                                                                                                                                Dai dati riportati in tabella si può notare come man mano che aumenta il grado di lavorazione degli sfarinati di frumento diminuisca il contenuto dei micronutrienti.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Benefici del frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                Nel frumento tenero è presente la fibra che aiuta la digestione, la buona funzionalità intestinale e ha un alto potere saziante.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Produzione e Tecnologia del frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                Caratteri botanici del frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                L’infiorescenza del frumento è una pannocchia spiciforme, comunemente detta spiga, costituita da un asse principale, o rachide, formato da corti internodi che possono essere resistenti alla disarticolazione (frumenti “nudi”) o disarticolarsi con facilità (frumenti “vestiti”).

                                                                                                                                                                                                                Su ogni nodo del rachide è inserita una spighetta, e con mediamente 20-25 spighette per spiga.

                                                                                                                                                                                                                Ogni spighetta è racchiusa da due glume all’interno delle quali troviamo da 3 a 8 fiori, ciascuno racchiuso e protetto da due glumelle, o glumette, disuguali. Nel frumento le glumelle si staccano dalle cariossidi al momento della trebbiatura.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                La cariosside è un frutto uniseminato, contenente cioè un solo seme, di forma allungata e sezione trasversale da rotondeggiante a sub-triangolare.

                                                                                                                                                                                                                È costituita dall’embrione o germe (2-4% in peso), dall’endosperma (87-89%) e dagli involucri o tegumenti (8-10%).

                                                                                                                                                                                                                All’interno degli involucri, pericarpo e tegumento seminale, che costituiscono la crusca, sono presenti l’endosperma che occupa la maggior parte del volume e l’embrione.

                                                                                                                                                                                                                Quest’ultimo non ha alcuna importanza dal punto di vista tecnologico-alimentare in quanto va a costituire un sottoprodotto della fase di macinazione, ma ha un ruolo fondamentale dal punto di vista riproduttivo in quanto in esso sono contenuti gli organi principali del futuro individuo.

                                                                                                                                                                                                                L’endosperma è formato da uno strato aleuronico esterno e da un parenchima interno che è costituito da cellule ricche di amido e più povere di sostanze proteiche man mano che si procede verso l’interno della cariosside.

                                                                                                                                                                                                                La consistenza e l’aspetto dell’endosperma sono di fondamentale importanza per la qualità del prodotto e il suo impiego.

                                                                                                                                                                                                                In base alla varietà e alle caratteristiche dell’ambiente di coltura, l’endosperma può apparire ambraceo, corneo, vitreo ovvero farinoso, bianco o tenero.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Coltivazione del frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                Il frumento è una pianta a medie esigenze idriche, teme fortemente, specie nei periodi freddi, il ristagno d’acqua nel terreno, i forti venti ed i temporali primaverili che provocano allettamento.

                                                                                                                                                                                                                Si adatta soprattutto ai terreni ben dotati, di medio impasto ed argillosi, mentre dà produzioni scadenti in suoli sabbiosi, poveri e a caratteristiche acide.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Le varietà a semina autunnale coltivate in Italia sopportano bene i freddi invernali e richiedono man mano temperature crescenti. In fase di maturazione il frumento si avvantaggia di un clima caldo e poco piovoso.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Le alte temperature non sono favorevoli al frumento: non soddisfano le esigenze di vernalizzazione di certe varietà, aumentando i pericoli di attacchi parassitari e possono causare condizioni di carenza idrica, promuovendo l’evaporazione dell’acqua, che porta a un blocco dell’accumulo di sostanze di riserva nella cariosside.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                L’acqua, dopo la temperatura, è il fattore più importante ai fini della distribuzione geografica e della produttività della coltura del frumento.

                                                                                                                                                                                                                La siccità alla semina può essere un grave ostacolo per il germogliamento delle piante, mentre durante la fase di accestimento i consumi d’acqua sono limitati. In questo periodo sono da temere gli eccessi di pioggia che creano uno strato asfittico nel terreno.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Tecnica di produzione per ottenere prodotti dal frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                L’industria molitoria opera in modo da separare quanto più possibile l’endosperma dalle restanti parti della cariosside e può essere quindi definita come un’industria di estrazione e purificazione.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Il processo molitorio può essere distinto in quattro fasi: 1- prepulitura ed immagazzinamento del grano; 2- prima e seconda pulitura e condizionamento; 3- macinazione vera e propria e 4- immagazzinamento, confezionamento.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Il processo di macinazione è rappresentato da una serie di operazioni fisiche che attraverso prepulitura, stoccaggio, puliture, rotture, vagliature e rimacine, consente di separare, sotto forma di sfarinati, l’endosperma dalle parti corticali della cariosside del frumento.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                1- prepulitura e stoccaggio

                                                                                                                                                                                                                Il grano viene sottoposto ad un trattamento di pre-pulitura mediante aspirazione e vagliatura e successivamente, viene immesso in strutture per lo stoccaggio.

                                                                                                                                                                                                                La conservazione dei cereali non è di facile attuazione: le cariossidi sono costituite da tessuti che respirano, ovvero assorbono ossigeno dall’ambiente ed emettono umidità e calore.

                                                                                                                                                                                                                Per evitare l’attacco di parassiti e lo sviluppo di muffe (con eventuale conseguente formazione di micotossine) nei silos adibiti allo stoccaggio si devono mantenere una temperatura fresca e un basso grado di umidità, oltre a razionali pratiche igieniche.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                2- prima, seconda pulitura e condizionamento

                                                                                                                                                                                                                Il processo di macinazione è inoltre preceduto da un’ulteriore operazione di pulitura e umidificazione (condizionamento) effettuata con l’aggiunta di opportune quantità di acqua potabile.

                                                                                                                                                                                                                Quest’operazione ha la funzione di facilitare la separazione dell’endosperma dalle restanti parti della cariosside e consente il mantenimento, costante e controllato, dell’umidità e della temperatura durante il processo di macinazione.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                3- macinazione

                                                                                                                                                                                                                La macinazione vera e propria consiste in una serie di operazioni:

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                • rottura (mediante il passaggio in rulli rigati) che consentono la separazione della mandorla farinosa dalla parte corticale della cariosside senza polverizzare la crusca;
                                                                                                                                                                                                                • svestimento, effettuate con rulli finemente rigati o lisci, che permettono di rimuovere le particelle di crusca aderenti ai piccoli frammenti di endosperma;
                                                                                                                                                                                                                • rimacina, che consentono una macinazione ripetitiva, durante la quale la mandorla farinosa viene ulteriormente ridotta di dimensioni, mentre le parti corticali, con la loro struttura fibrosa, oppongono maggiore resistenza all’azione meccanica dei rulli macinanti.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                La cariosside viene così trasformata in farine e cruscami attraverso una serie di passaggi di macinazione parziale, ognuno dei quali non si può considerare a sé stante, in quanto perfeziona i prodotti del passaggio precedente e condiziona quelli dei passaggi successivi.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Dalla macinazione si separano quindi tre parti della cariosside:

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                1. l’endosperma amilifero da cui si ricava la farina,
                                                                                                                                                                                                                2. l’embrione o germe ricco di grasso da cui si ricava l’olio e
                                                                                                                                                                                                                3. la crusca ricca in fibra e proteine.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Preparazione e Conservazione del frumento tenero

                                                                                                                                                                                                                Come accade per molti alimenti, anche le farine hanno caratteristiche nutrizionali ottimali quando sono fresche, cioè macinate da non troppo tempo; una leggera maturazione, di circa 3 settimane, infatti, le rende più digeribili.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Appena macinata la farina ha un capacità di assorbimento dell’acqua molto bassa, forma un impasto debole e appiccicoso che produce un pane poco sviluppato.

                                                                                                                                                                                                                In seguito alla fase di maturazione le qualità tecniche migliorano: aumenta l’assorbimento e la capacità di trattenere l’anidride carbonica, sviluppata durante la fermentazione.

                                                                                                                                                                                                                Se il processo di maturazione dovesse tuttavia proseguire eccessivamente (oltre le 8 settimane) la farina diventa sempre più forte, più chiara (per ossidazione dei carotenoidi) fino a peggiorare le caratteristiche iniziali e diventare “gessata” (ovvero durante la lavorazione l’impasto risulta poco elastico).

                                                                                                                                                                                                                Eccedendo ulteriormente, la farina diventerà sempre più acida e con un’attività enzimatica eccessivamente alta che determinerà impasti appiccicosi, un pane poco sviluppato e con una crosta scura.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Anche l’umidità della farina ne risente, ma ciò dipende dall’ambiente di conservazione. Se è umido tende infatti ad acquisire umidità.

                                                                                                                                                                                                                I grassi vengono invece idrolizzati dalla lipasi, liberando acidi grassi che in un primo momento si ossidano a perossidi che rafforzano il glutine mentre successivamente si trasformano in aldeidi e chetoni che rilasciano un odore e un sapore sgradevole.

                                                                                                                                                                                                                Questi fenomeni possono essere ridotti conservando la farina in condizioni anaerobiche (senza aria) oppure, marginalmente, in confezioni più piccole.

                                                                                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                                                                                Nel periodo estivo è possibile ritrovare nelle farine la presenza di insetti (vermi e farfalle). Ciò, diversamente da quello che si può pensare, non è legato alla bassa qualità delle stesse ma alle condizioni ambientali avverse (caldo e umidità eccessiva).

                                                                                                                                                                                                                • • Bonciarelli F., Bonciarelli U. (1998). “Coltivazioni Erbacee”. Edagricole, Bologna.

                                                                                                                                                                                                                  • Cabras P., Martelli A. (2004) “Chimica degli Alimenti”, Piccin, Padova

                                                                                                                                                                                                                  • Cappelli P., Vannucchi V. (2000). “Chimica degli Alimenti. Conservazione e trasformazioni.” Ed. Zanichelli, Bologna.

                                                                                                                                                                                                                  • Fardet A. (2010). “New Hypotheses for health-protective mechanisms of whole-grain cereals what is beyond fibre”, Nutrition Research Reviews 23: 65-134.

                                                                                                                                                                                                                  • Gomez H.F., Erdemb H., Yazici A., Tutus Y., Torun B., Ozturk L., Cakmak I. (2010). “Grain concentrations of protein and mineral nutrients in a large collection of spelt wheat grown under different environments”. Journal of Cereal Science 52: 342-349.

                                                                                                                                                                                                                  • Hussain A. (2012). “Quality of organically produced wheat from diverse origin”. Doctoral Thesis. Swedish University of Agricultural Sciences Alnarp – Faculty of Landscape Planning, Horticulture and Agriculture Science.

                                                                                                                                                                                                                  • Mc Gee H. (1989). “Il cibo e la cucina – Scienza e cultura degli alimenti”. Franco Muzzio Editore, Roma.

                                                                                                                                                                                                                  • Shewry P.R., Tatham A.S., Forde J., Miflin B.J. (1986). The classification and nomenclature of wheat gluten proteins: A reassessment. Journal of Cereal Science 4: 97-106.

                                                                                                                                                                                                                  www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                                  www.bda-ieo.com

                                                                                                                                                                                                                  www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                                                  Fava

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  baccelli di fava

                                                                                                                                                                                                                  Famiglia: Fabaceae

                                                                                                                                                                                                                  Genere: Vicia

                                                                                                                                                                                                                  Specie: Vicia faba L.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Storia della fava

                                                                                                                                                                                                                  La fava (Vicia faba L. o anche Faba vulgaris) è una pianta annuale originaria del Nord Africa e della regione mediterranea utilizzata dall’uomo, in quest’area, già da tempi antichi.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  In Italia la superficie di coltivazione attualmente dedicata alla fava è localizzata prevalentemente nelle regioni meridionali e insulari.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Varietà di fava

                                                                                                                                                                                                                  I semi contenuti nei baccelli di fava sono di colore verde o violaceo e, in base alla dimensione dei semi, si distinguono diverse varietà tra cui:

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  • la fava grossa (Vicia faba maior), che presenta semi appiattiti e grossi impiegati per l’alimentazione umana,

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  • il favino o fava piccola (Vicia faba minor), i cui semi sono utilizzati per l’alimentazione del bestiame, e

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  • la favetta o fava cavallina (Vicia faba equina), caratterizzata da semi appiattiti di media grandezza che trovano impiego nell’alimentazione del bestiame e dell’uomo, sotto forma di granella fresca, inscatolata o surgelata.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Sul territorio italiano sono tutelate quattro varietà come Presidio da Slow food: la fava cottòra di Amerino (in Umbria), la fava cottoja di Modica, la fava di Carpino, varietà autoctona pugliese, e la fava larga di Leonforte in Sicilia (coltivata principalmente in Provincia di Enna).

                                                                                                                                                                                                                  Altre varietà diffuse in Italia sono la Precoce di Acuitania, la fava Acquadulce migliorata delle Cascine (toscana), la fava Miliscola (Camapania), la Sciabola verde, la Quarantina, la Reina bianca e la Super aguadolce.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Il consumo umano dei semi secchi si è ridotto negli ultimi decenni, mentre un’ampia diffusione ha avuto la granella immatura fresca o conservata in scatola o surgelata.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Proprietà nutrizionali della fava fresca e secca

                                                                                                                                                                                                                  tabella con i valori nutrizionali della fava fresca e secca
                                                                                                                                                                                                                  Tabella con i valori nutrizionali della fava fresca e secca

                                                                                                                                                                                                                  Valori nutrizionali della fava fresca e secca

                                                                                                                                                                                                                  Le fave possiedono un buon contenuto di proteine. 

                                                                                                                                                                                                                  Proprio per questo i legumi, tra cui le fave, sono stati definiti “la carne dei poveri” ed è consigliabile un’associazione con i cereali in quanto la composizione amminoacidica di queste due classi alimentari è complementare.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Nelle fave buono è anche il contenuto di carboidrati, principalmente sotto forma di amido e di fibra, presente maggiormente nella buccia.

                                                                                                                                                                                                                  L’apporto di lipidi invece è molto limitato.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Sono una buona fonte di ferro, e con interessanti livelli di calcio, sodio, potassio e fosforo.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Tra le vitamine è importante l’apporto di vitamine del gruppo B, soprattutto niacina e folati, e della vitamina C.

                                                                                                                                                                                                                  Se per le altre vitamine durante l’essicazione si mantiene sostanzialmente il loro contenuto iniziale, la vitamina C invece è maggiormente presente nelle fave fresche crude.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Le fave secche forniscono ovviamente un maggior apporto calorico rispetto a quelle fresche correlato al maggior apporto di macronutrienti (proteine, lipidi, carboidrati e fibra) e sali minerali.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Benefici della fava fresca e secca

                                                                                                                                                                                                                  Data la buona quantità di fibre, le fave possono influenzare positivamente la funzionalità intestinale aiutando inoltre a ridurre l’assorbimento di zuccheri e colesterolo.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Le fave sono composte da vitamine e minerali che apportano beneficio al corpo.

                                                                                                                                                                                                                  Nello specifico le vitamine del gruppo B favoriscono positivamente il metabolismo, la vitamina C ha funzione antiossidante e aiuta le difese immunitarie dell’organismo, mentre la vitamina A è utilizzata nei processi della visione e ha anche lei funzione antiossidante.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  I benefici apportati dai minerali presenti nelle fave riguardano soprattutto il ferro che viene utilizzato per la produzione dei globuli rossi, il calcio e il fosforo che favoriscono la salute di ossa e denti, mentre il potassio aiuta a regolare la pressione arteriosa.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Un ulteriore beneficio è dato dalla L-Dopa che aiuta a mantenere in salute il cervello, tanto vero che la carenza di questa molecola è implicata in malattie come il Parkinson.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  La porzione consigliata per le fave fresche o in scatola è di 150 grammi, corrisponde a circa mezzo piatto di fave.

                                                                                                                                                                                                                  Se si tratta di fave secche la porzione è di 50 grammi, che equivale a 3/4 cucchiai.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Una porzione di fave fresche contiene 218 µg di folati (ovvero di vitamina B9), ricoprendo così poco più della metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta, che corrisponde a 400 µg.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Il consumo di questo legume potrebbe essere inoltre utile in caso di gonfiore sottocutaneo o edema, possibili effetti avversi causati dal trattamento oncologico.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Interazioni della fava

                                                                                                                                                                                                                  Diversi problemi sono legati all’assunzione dei legumi.

                                                                                                                                                                                                                  Il primo riguarda l’aumento della flatulenza (per sviluppo di gas) intestinale, dovuto alla presenza di oligosaccaridi che vengono trasformati da batteri in quanto l’organismo umano non è in grado di digerirli.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Il secondo, noto come “favismo”, è correlato a una carenza congenita dell’enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD) essenziale per la vitalità dei globuli rossi.

                                                                                                                                                                                                                  Le fave, una volta ingerite, agiscono da “fattori scatenanti” in quanto inibiscono l’attività di questo enzima impoverendo ulteriormente i globuli rossi già carenti dell’enzima.

                                                                                                                                                                                                                  Nei soggetti affetti da favismo è quindi necessario evitare l’assunzione di fave.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Le fave inoltre possono interferire con l’assunzione del linezolid, un antibatterico ossazolidinonico. Infatti elevati livelli di tiramina contenuti in questo alimento potrebbero causare un aumento della pressione sanguigna.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Produzione e Tecnologia della fava

                                                                                                                                                                                                                  Caratteri botanici

                                                                                                                                                                                                                  La fava è una pianta annuale la cui altezza raggiunge il metro e mezzo di altezza, a rapido sviluppo.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Il baccello, dalla forma allungata, è di colore verde quando è immaturo, bruno quando è maturo e secco. All’interno sono presenti dai 2 ai 10 semi dalla forma ovale, di colore variabile dal verdognolo chiaro al bruno o violetto.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  È una pianta che si adatta a diverse condizioni climatiche, teme però temperature inferiori a 0°C prediligendo climi temperati marittimi.

                                                                                                                                                                                                                  È necessaria una temperatura di 5-6 °C per la germinazione, di 8-10°C per la fioritura (il superamento dei 25°C causa invece la “colatura” dei fiori) e di 15-20°C per la maturazione.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Coltivazione della fava

                                                                                                                                                                                                                  La coltivazione della fava, nativa dell’area Mediterranea, si è diffusa in Australia, Bolivia, Cina, Ecuador, Egitto, Etiopia, Perù e Venezuela.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  È seminata come coltura miglioratrice nell’avvicendamento del frumento.

                                                                                                                                                                                                                  La semina viene effettuata in genere tra ottobre e novembre nelle zone dell’Italia meridionale, tra febbraio e marzo in quelle settentrionali e la profondità di semina deve aggirarsi sui 3-5 cm.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Invece la raccolta avviene solitamente a metà giugno nell’Italia meridionale, alla fine di giugno in quella centrale e nella metà di luglio nell’Italia settentrionale per la semina primaverile.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Produzione della fava fresca e secca

                                                                                                                                                                                                                  La raccolta dei baccelli di fava da orto per il consumo fresco è condotta a mano.

                                                                                                                                                                                                                  I semi immaturi verdi, destinati ad essere inscatolati e surgelati, si raccolgono con macchine sgranatrici fisse o semoventi, quando hanno raggiunto il giusto grado tenderometrico (ovvero la resistenza del seme ad essere perforato da una punta).

                                                                                                                                                                                                                  Invece i semi secchi, bruni, vengono raccolti nei mesi estivi (giugno-luglio) quando la pianta è completamente secca con l’utilizzo di mietitrebbiatrici.

                                                                                                                                                                                                                  Le mietitrebbiatrici, nel caso della raccolta della fava grossa, portano ad un prodotto dai pessimi risultati qualitativi per la rottura dei semi, invece per il favino sono applicabili senza grosse difficoltà.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  In seguito i semi secchi vengono lasciati essiccare e successivamente “battuti” in modo tale da separare le fave.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Per ottenere le fave sgusciate invece si prosegue effettuando un processo di decorticazione, eliminando la parte più esterna, ricca di nutrienti (oltre che di fibra) e ottenendo le fave di colore giallo.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Stagionalità della fava

                                                                                                                                                                                                                  Le fave sono di stagione nel periodo tra maggio e luglio.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Preparazione e Conservazione della fava fresca e secca

                                                                                                                                                                                                                  baccelli di fava, al momento dell’acquisto, devono presentarsi turgidi, dal colore brillante, senza macchie, lucidi e di forma regolare. 

                                                                                                                                                                                                                  L’indice di freschezza è lo schiocco dei baccelli di fava quando li si spezzano; se il baccello, tenuto per un’estremità si curva o si affloscia significa che la fava è vecchia.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  La fava fresca può essere conservata in frigorifero a 4-6°C per 3-4 settimane, essiccata o congelata.

                                                                                                                                                                                                                  Prima di mettere le fave nel freezer è preferibile sbollentarle per circa tre minuti e lasciarle raffreddare.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  In commercio le fave secche si trovano sia con la buccia che decorticate. L’eliminazione della buccia può essere effettuata anche manualmente prima o dopo la lessatura, praticando un taglio sul lato dell’occhio e schiacciando in modo da far fuoriuscire il seme.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Le fave secche, con buccia, prima della cottura devono subire un periodo di ammollo di 16-18 ore in acqua tiepida; quelle decorticate invece necessitano di un ammollo in acqua fredda di circa 8 ore.

                                                                                                                                                                                                                  In entrambi i casi, in seguito all’ammollo, il peso dei legumi raddoppia.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Per quanto riguarda i tempi di cottura, sono necessari 30 minuti in acqua bollente, che si riducono a una decina con la pentola a pressione.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Le fave fresche in cucina vengono utilizzate per la produzione di “fajane a frittedda” o come contorno; le fave secche vengono invece consumate lesse o come zuppa.

                                                                                                                                                                                                                  Curcuma

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  benefici della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  Famiglia: Zingiberaceae

                                                                                                                                                                                                                  Genere: Curcuma

                                                                                                                                                                                                                  Specie: Curcuma longa

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Storia della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  La curcuma è una pianta della famiglia delle Zingiberaceae, a cui appartengono anche zenzero e cardamomo.

                                                                                                                                                                                                                  È comunemente conosciuta con il nome di zafferano d’India, per il suo intenso colore giallo tendente al rosso.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  È diffusa nelle regioni tropicali del Sud e Sud- Est asiatico. In particolare il paese d’origine è l’India che ne è anche il maggior produttore, viene inoltre coltivata in Sri Lanka, Indonesia, Cina e Giamaica.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Esistono più di 50 specie di curcuma, ma le più note sono la Curcuma alismatifolia, originaria dell’India e la Curcuma longa, specie più diffusa a cui si fa riferimento quando si parla di curcuma.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Proprietà nutrizionali della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  tabella con i valori nutrizionali della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  Valori nutrizionali della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  Il colore giallo della curcuma è dovuto ad una miscela di sostanze note come curcuminoidi (presenti in quantità dell’ordine del 5%) tra cui troviamo bisdemetossicurcumina, desmetossicurcumina e curcumina che possiedono spiccate proprietà antiossidanti.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Ha un discreto contenuto di minerali, in particolare sono presenti calcio, magnesio e ferro.

                                                                                                                                                                                                                  Contiene inoltre vitamine del gruppo B. 

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Benefici della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  La curcumina, pigmento di color giallo-arancio, sembrerebbe avere effetti benefici sull’uomo tra cui: interferire con lo stato infiammatorio, effetti sui geni dell’invecchiamento, controllo della glicemia, incremento del colesterolo HDL e riduzione del rischio di trombi in soggetti con aterosclerosi.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Il consumo di curcuma può risultare utile in caso di alterazione del gusto, effetto collaterale derivante dal trattamento oncologico.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Interazioni della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  La curcuma potrebbe interferire con l’azione dei farmaci anticoagulanti, quali warfarin e eparina.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Produzione e Tecnologia della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  Caratteri botanici della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  La curcuma è un’erba perenne che raggiunge un’altezza massima di circa un metro.

                                                                                                                                                                                                                  Presenta foglie di grandi dimensioni con picciolo allungato. I fiori di color giallo sono riuniti in una spiga munita di brattee bianche o violacee, hanno una corolla con il petalo posteriore ben sviluppato.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  La radice è un grosso rizoma cilindrico, ramificato, di colore giallo o arancione, fortemente aromatico che costituisce la parte di interesse commerciale dal quale si ricava la spezia.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Produzione della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  Si utilizzano in parte i rizomi raccolti dopo che la parte aerea si è disseccata; questi vengono privati delle radici, cotti nell’acqua e seccati al sole oppure seccati direttamente in essiccatori appositi.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Per quanto riguarda l’ambito alimentare della curcuma si ricava il pigmento giallo, la curcumina, utilizzato come colorante alimentare, atossico, stabile al calore e poco sensibile alle variazioni di pH.

                                                                                                                                                                                                                  Si utilizzano, inoltre, la polvere del rizoma, l’oleoresina, estratti e soluzioni a tenore variabile di curcumina.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  La curcuma viene utilizzata in particolare per produrre il curry, insieme a coriandolo, noce moscata, zenzero, peperoncino e altre spezie.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Preparazione e Conservazione della curcuma

                                                                                                                                                                                                                  La curcuma può essere inserita nella dieta quotidiana, aggiungendone 1-2 cucchiaini alla fine della cottura di pietanze come verdure saltate, spezzatini di carne o creme e salse.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Si consiglia di assumerla sempre con un grasso (ad esempio olio extravergine di oliva) in quanto l’associazione facilita l’assorbimento intestinale dei componenti bioattivi.

                                                                                                                                                                                                                  Anche una molecola contenuta nel pepe, la piperina, aumenta l’assorbimento della curcumina e ne facilita l’assorbimento.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  La curcuma deve essere conservata in vasetti di vetro scuro a tenuta ermetica e da conservare rigorosamente lontano dalla luce e dalla umidità in quanto la curcumina è molto sensibile alla luce.

                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                  Le proposte di ricette di FBO con la curcuma

                                                                                                                                                                                                                  • • Liotta E., Pelicci P.G., Titta L., 82016) “La dieta smartfood”. Rizzoli, Milano

                                                                                                                                                                                                                    • Maugini E. Maleci Bini L. Mariotti Lippi M. (2014). “Botanica farmaceutica” Piccin, IX ed: 400,444,515,577,597.

                                                                                                                                                                                                                    www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                                                    www.inran.it

                                                                                                                                                                                                                    Ceci

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    benefici dei ceci

                                                                                                                                                                                                                    Famiglia: Fabaceae

                                                                                                                                                                                                                    Genere: Cicer

                                                                                                                                                                                                                    Specie: Cicer arietinum L.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Storia dei ceci

                                                                                                                                                                                                                    I ceci sono i semi commestibili, contenuti nei baccelli, di una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Fabaceae (anche dette Leguminosae).

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Originari dell’Asia occidentale nella regione oggi conosciuta come Turchia, si sono diffusi in India, Africa ed Europa.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    L’India è il maggior produttore di ceci (il 67% della produzione mondiale, dato 2013); altri importanti produttori sono Pakistan, Turchia, Messico, Canada ed Australia.

                                                                                                                                                                                                                    In Italia la superficie di coltivazione è di 3500 ettari, localizzati soprattutto nelle regioni meridionali ed insulari.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    I ceci sono il terzo legume più consumato al mondo, dopo fagioli e soia.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Tipologie di ceci

                                                                                                                                                                                                                    Esistono due principali varietà:

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    1. quella occidentale, Kabull, tipica delle zone del Mediterraneo, Sud America e Sud-est asiatico, caratterizzata da una forma più grande e dal colore beige/giallognolo;
                                                                                                                                                                                                                    2. quella orientale, Desi, presente maggiormente in India, Etiopia, Messico ed Iran che ha un diametro più piccolo e un colore tendente al rossastro.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Esiste anche una particolare varietà, coltivata prevalentemente nel bacino del Mediterraneo e in Italia nella zona della Murgia Materana e Barese, costituita da ceci neri, anche chiamati “ceci dal solco dritto”.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Proprietà nutrizionali dei ceci in scatola, secchi e della farina di ceci

                                                                                                                                                                                                                    tabella con i valori nutrizionali dei ceci in scatola, secchi e della farina di ceci
                                                                                                                                                                                                                    Tabella con i valori nutrizionali dei ceci in scatola, secchi e della farina di ceci

                                                                                                                                                                                                                    Valori nutrizionali dei ceci

                                                                                                                                                                                                                    I ceci sono un’ottima fonte di carboidrati, rappresentati prevalentemente da amido, proteine e fibra.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    I legumi, tra cui i ceci, vengono infatti spesso chiamati “la carne dei poveri” e si consiglia di consumarli in associazione con i cereali in quanto la composizione amminoacidica di queste due categorie è complementare.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Come si può notare in tabella, i ceci secchi crudi e la farina di ceci presentano quantitativo più elevato di carboidrati, fibra e proteine a fronte di un ridotto contenuto di acqua. L’apporto di grassi è invece minimo.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Entrambi inoltre hanno un contenuto nettamente superiore di sali minerali quali calcio, potassio e fosforo rispetto ai ceci in scatola, che sono più ricchi in sodio.

                                                                                                                                                                                                                    Risulta meno evidente la differenza dell’apporto di ferro (i ceci ne sono una buona fonte) e zinco.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Le vitamine invece maggiormente presenti sono quelle del gruppo B, soprattutto folati, di cui i ceci sono un’ottima fonte, anche se è importante ricordare che con la cottura viene persa una grande parte di queste vitamine.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Con la cottura, ovvero ceci secchi cotti e ceci in scatola, si assiste ad una diminuzione della concentrazione di carboidrati, proteine, fibra e sali minerali a parità di peso, in quanto i prodotti cotti risultano più ricchi di acqua. Il sodio risulta più elevato nei ceci in scatola a causa del liquido di governo, composto principalmente da acqua e sale (cloruro di sodio).

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Un problema legato all’assunzione dei legumi riguarda il fenomeno della flatulenza dovuta alla presenza di oligosaccaridi che, non venendo assorbiti dall’organismo, fermentano nell’intestino dove i batteri li idrolizzano e metabolizzano, portando così alla formazione di gas.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Benefici dei ceci

                                                                                                                                                                                                                    La fibra presente conferisce all’alimento proprietà sazianti e favorisce il transito intestinale.

                                                                                                                                                                                                                    Ricordiamo inoltre che una porzione di ceci secchi soddisfa un quarto dell’assunzione giornaliera raccomandata di fibra.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    La porzione consigliata per i ceci secchi è di 50 grammi, che equivale a 3-4 cucchiai, invece per i ceci freschi o in scatola è di 150 grammi, corrispondente a circa mezzo piatto o una scatola piccola.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    I ceci, non contenendo glutine, sono indicati per l’alimentazione dei celiaci.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Il consumo di questo alimento può essere utile in caso di anemia sideropenica o di alterazioni del gusto, effetti avversi legati alle terapie oncologiche.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Produzione e Tecnologia dei ceci

                                                                                                                                                                                                                    Caratteri botanici della pianta del cece

                                                                                                                                                                                                                    Il cece è una pianta annuale dotata di una radice ramificata e profonda che permette alla pianta di resistere bene alla siccità, privilegiando climi caldo-asciutti.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Non tollera invece livelli eccessivi di umidità e resiste poco al freddo; infatti, nell’area del Mediterraneo, si semina a fine inverno, verso marzo, e si raccoglie tra luglio e agosto. Solo nei Paesi caratterizzati da un inverno molto mite, quali India, Egitto e Messico, la semina avviene in autunno.

                                                                                                                                                                                                                    La temperatura ottimale di germinazione è compresa tra i 15-30°C.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Coltivazione del cece

                                                                                                                                                                                                                    Per la coltivazione del cece si cercano di evitare suoli salini o calcarei, che rendono la granella più resistente ed impermeabile e quindi a cottura più difficoltosa.

                                                                                                                                                                                                                    Per la semina vengono utilizzate le seminatrici da frumento o di precisione.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    La raccolta meccanica del cece può avvenire in due modi.

                                                                                                                                                                                                                    Con la prima modalità si estirpano le piante a mano e per la successiva sgranatura si utilizzano mietitrebbiatrici provviste di organi raccoglitori detti “pick-up”.

                                                                                                                                                                                                                    La seconda modalità invece consiste nell’utilizzo di mietitrebbiatrici che mietono e trebbiano in un unico passaggio.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Produzione del cece

                                                                                                                                                                                                                    Una volta raccolta, la granella di cece viene immagazzinata senza particolari problemi di conservazione purché presenti un contenuto di umidità compreso tra il 10 e il 12%.

                                                                                                                                                                                                                    Se in seguito alla raccolta si hanno valori di umidità superiori è necessario utilizzare sistemi a ventilazione forzata per riportarli a livelli adeguati di umidità, evitando però essicazioni troppo repentine per non danneggiare la qualità del prodotto.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    In commercio si trovano i ceci secchi crudi che, in seguito alla raccolta, vengono lasciati essiccare al sole e successivamente setacciati.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Quelli in scatola invece, dopo la raccolta, vengono scottati in acqua bollente ed inseriti in contenitori di vetro o scatole di banda stagnata con macchine riempitrici più o meno automatiche. In seguito, ad una temperatura superiore agli 85°C, si addizionano acqua e sale (ed eventualmente altri ingredienti).

                                                                                                                                                                                                                    I contenitori vengono quindi chiusi ermeticamente e sterilizzati a temperature superiori ai 100°C per un tempo che può variare dai 10 ai 60 minuti, secondo il formato e il materiale utilizzato per il confezionamento.

                                                                                                                                                                                                                    Infine, per ottenere un prodotto di buona qualità, è buona norma raffreddare rapidamente le confezioni, fino a quando il prodotto non abbia raggiunto una temperatura di circa 40°C.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    La farina di ceci invece viene ottenuta dalla macinazione dei ceci essiccati e può essere utilizzata per preparare la farinata o la panissa, prodotti tipici liguri, le panelle siciliane o la cecina toscana. Viene anche utilizzata in sostituzione della farina di grano nella produzione di pane, pasta e prodotti da forno.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Stagionalità dei ceci

                                                                                                                                                                                                                    I ceci secchi o in scatola si trovano sul mercato tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Preparazione e Conservazione dei ceci

                                                                                                                                                                                                                    In commercio si trovano ceci essiccati o in scatola.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Quelli in scatola, dopo un veloce risciacquo per eliminare il sale in eccesso, sono pronti per il consumo diretto o per un’ulteriore cottura.

                                                                                                                                                                                                                    Quelli essiccati invece devono essere posti in ammollo per un periodo di tempo che va dalle 6 alle 12 ore in una quantità adeguata di acqua tiepida. Tale operazione effettuata con il bicarbonato sembra contribuire a ridurre i fastidi intestinali.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    La cottura deve iniziare in acqua fredda e proseguire a fuoco lento, da una a tre ore con coperchio.

                                                                                                                                                                                                                    È importante cuocere a dovere i ceci per non incorrere in problemi a livello digestivo; infatti il tempo di cottura sembra contribuire a ridurre i fastidi intestinali.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Inoltre, in seguito alle operazioni di ammollo e cottura, i ceci raddoppiano il loro volume e, con un tempo di cottura prolungato, la biodisponibilità di ferro aumenta.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Una volta cucinati possono essere conservati in frigorifero per 4 o 5 giorni in un contenitore chiuso ermeticamente.

                                                                                                                                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                    Le proposte di ricette di FBO con i ceci

                                                                                                                                                                                                                    • • Bonciarelli U., Bruni R., Natalini G. “Manuale di corretta prassi per la produzione integrata del cece”, Progetto per la Valorizzazione delle Produzioni Agroalimentari Umbre.

                                                                                                                                                                                                                      • Jukanti A.K., Gaur P.M., Gowda C. L. L., Chibbar R. N. (2012) “Nutritional quality and health benefits of chickpea (Cicer arietinum L.): a review”, British Journal of Nutrition, 108, S11-S26.

                                                                                                                                                                                                                      • LARN livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                                                      • Liotta E. con Pelicci P.G. e Titta L. (2016) “La dieta SmartFood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                                                      • Progetto agritrasfer in sud “Esperienze di confronti varietali di leguminose da granella (cece, lenticchia, cicerchia e fagiolo) nelle terre confiscate alla malavita organizzata in campania (anni 2012 e 2013)”, opuscolo divulgativo.

                                                                                                                                                                                                                      http://nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                                                      www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                                      www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                                                      www.fao.org

                                                                                                                                                                                                                      www.uniba.it

                                                                                                                                                                                                                      Carne Bovina

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      carne bovina

                                                                                                                                                                                                                      Famiglia: Bovidae

                                                                                                                                                                                                                      Genere: Bos

                                                                                                                                                                                                                      Specie: Bos taurus

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Definizione di carne bovina

                                                                                                                                                                                                                      I bovini sono ruminanti di grandi dimensioni, robusti, con corna a sezione circolare, appuntite, presenti in entrambi i sessi.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Le specie più diffuse sono Bos taurus (bue), Bubalus (bufalo) e Bison (bisonte). Nel linguaggio zootecnico, per bovini si intendono soltanto le razze della specie Bos taurus (bove o bue domestico).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Si ritiene che l’addomesticamento dei bovini sia avvenuto inizialmente nell’India e nell’Asia centrale, da dove si sarebbe poi diffuso in Africa e in Europa.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Attualmente in Europa esistono 3.330.000 allevamenti di bovini di cui il 50% si trova in Romania e Polonia. Si calcola che vengano allevati 86 milioni di animali di cui la metà di questi proviene da Francia, Germania e Inghilterra.
                                                                                                                                                                                                                      In Italia ci sono circa 150.000 allevamenti con più di 6 milioni di animali al loro interno, il 60 % è concentrato in pianura padana, soprattutto in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Tipologie di carne bovina

                                                                                                                                                                                                                      La carne bovina si divide in:

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      • carne di vitello; animali di età inferiore ai dodici mesi; la loro carne è tenera in quanto proviene da animali macellati tra i cinque e i sette mesi quando gli animali raggiungono un peso di massimo 300 Kg .
                                                                                                                                                                                                                        La carne di vitello contiene molta acqua e poco grasso, è di colore rosa chiaro in quanto gli animali sono alimentati solo con latte fin dalla nascita.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      • Carne di vitellone; animali di età compresa, fra gli 8 e i 12 mesi.
                                                                                                                                                                                                                        La loro carne contiene meno acqua rispetto a quella di vitello, ma in compenso presenta un contenuto proteico più apprezzabile. È fra le carni più pregiate.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      • Carne di manzo; è un maschio non castrato (o una femmina che non ha mai partorito) di età compresa tra 1 anno e 3-4 anni; la carne di manzo contiene poca acqua e una buona quantità di grasso (10-15%).
                                                                                                                                                                                                                        Saporita e nutriente, la tenerezza della carne dipende molto dall’età e dal tipo di alimentazione dell’animale.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      • Carne di bue; è un bovino castrato di oltre quattro anni e mezzo.
                                                                                                                                                                                                                        Se non troppo vecchi, la loro carne è di qualità, (caratterizzata da un’alta quantità di grasso) ma è praticamente scomparsa dal mercato, per la diffusione della meccanizzazione in ogni settore dell’agricoltura.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      • La carne di mucca (bovini femmina di 6 – 8 anni macellate alla fine della loro produzione di vitelli) è alquanto scadente dal punto di vista nutrizionale.
                                                                                                                                                                                                                        E’ scomparsa dal mercato da anni, e si usa prevalentemente per la produzione industriale di preparati a base di carne.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Sul mercato è possibile trovare diversi tagli.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Alcuni esempi di tagli del Quarto posteriore:

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      • Lombata: può essere commercializzata con o senza osso. Altre denominazioni: lombo, roast-beef, sottofiletto.
                                                                                                                                                                                                                      • Costata: costituisce la parte anteriore della lombata.
                                                                                                                                                                                                                      • Filetto: è posto per la maggior parte della sua lunghezza sotto le vertebre lombari.
                                                                                                                                                                                                                      • Fesa: si ricava dalla parte interna della coscia. Ha fibre muscolari lunghe e sottili, quindi, risulta particolarmente tenera.
                                                                                                                                                                                                                      • Girello: si ricava dal margine posteriore della coscia. E’ costituito da un unico muscolo, è tondo, compatto, molto magro, ma di fibra grossa e quindi piuttosto duro rispetto ad altri tagli.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Alcuni esempi di tagli del quarto anteriore:

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      • Polpa di spalla: taglio che necessita di cotture lente e in presenza di liquidi.
                                                                                                                                                                                                                      • Costate: taglio di carne che si trova tra il collo e la costata (lombata).
                                                                                                                                                                                                                      • Pancia: taglio che comprende la regione dell’addome vero e proprio e, in parte, la regione del costato.
                                                                                                                                                                                                                      • Petto e reale: pezzo sospeso accorpato a petto, pancia e sottospalla.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali della carne bovina

                                                                                                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali di bovino adulto (costata, fesa, filetto e girello) e di vitello (carne magra e semi-grassa)
                                                                                                                                                                                                                      Tabella con i valori nutrizionali di bovino adulto (costata, fesa, filetto e girello) e di vitello (carne magra e semi-grassa)

                                                                                                                                                                                                                      Valori nutrizionali della carne bovina

                                                                                                                                                                                                                      La carne bovina è una carne rossa e a seconda dell’età dell’animale (vitello, vitellone o manzo) presenta una diversa colorazione e composizione.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      L’intensità della colorazione della carne è strettamente correlata al contenuto di mioglobina, maggiore è la sua quantità, più intenso è il colore rosso.

                                                                                                                                                                                                                      Le principali differenze a livello nutrizionale tra i vari animali, nelle differenti fasce di età, sono rappresentate dal contenuto in acqua (maggiore nei primi anni di vita) e grasso (maggiore nella fase adulta).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Indipendentemente dalla fase di crescita dell’animale, la carne di bovino costituisce una fonte proteica ricca di amminoacidi essenziali, richiesti dal nostro organismo e facilmente metabolizzati.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Rilevante è inoltre la presenza di sali minerali, in particolare ferro, presente soprattutto nelle frazioni più magre dell’animale.

                                                                                                                                                                                                                      Le vitamine maggiormente presenti nelle carni bovine sono quelle del gruppo B, con presenza significativa di B12.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La quantità di frazione grassa presente è inferiore rispetto ad altre carni come ad esempio quella di suino.

                                                                                                                                                                                                                      Dai dati riportati in tabella si può inoltre notare come i diversi tagli, presentano una composizione nutrizionale abbastanza simile, tranne che per il contenuto di grasso che è il parametro che li differenzia maggiormente.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      I vari tagli di carne di uno stesso animale hanno una tenerezza diversa, in relazione al lavoro che compiono: il filetto è un muscolo che lavora poco ed è quindi più tenero rispetto ai muscoli dei quarti anteriori e posteriori, che vengono utilizzati per sostenere il peso dell’animale e per il movimento.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Benefici della carne bovina

                                                                                                                                                                                                                      La presenza della vitamina B12 è fondamentale per la formazione dei globuli rossi e il corretto funzionamento del sistema nervoso.

                                                                                                                                                                                                                      Il suo contenuto è così significativo che una porzione di specifici tagli può coprire quasi interamente il fabbisogno giornaliero di questa vitamina, facendo riferimento alla popolazione adulta.

                                                                                                                                                                                                                      Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina B12 per la popolazione adulta è di 2,4 µg (sia per gli uomini che per le donne).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La porzione consigliata per la carne “rossa” fresca o surgelata è di 100 grammi.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia della carne bovina

                                                                                                                                                                                                                      Allevamento dei bovini

                                                                                                                                                                                                                      I bovini sono animali che vengono allevati con lo scopo di produrre latte e carne.

                                                                                                                                                                                                                      Tra le razze preferibili per la produzione della carne si ricordano: Beefmaster, Charolaise, Chianina, Hereford, Limousine, Marchigiana, Maremmana, Piemontese, Podolica, Romagnola.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      L’allevamento dei bovini può essere effettuato in tre modi diversi:

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      1. brado in cui gli animali vivono all’aperto, in mandrie più o meno numerose, in stato di completa libertà, procurandosi direttamente l’alimento nei pascoli;
                                                                                                                                                                                                                      2. semibrado in cui ai bovini sono forniti ricoveri e supplementi di foraggi se il pascolo è scarso;
                                                                                                                                                                                                                      3. stallino, tipico delle regioni ad agricoltura intensiva e costituisce il sistema più razionale di sfruttamento dei bovini.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il vitellino, dopo qualche ora dalla nascita, si nutre con il colostro, che è il solo alimento adatto al neonato.

                                                                                                                                                                                                                      L’allevamento può poi essere fatto col sistema naturale (cioè lasciandolo poppare alla mammella) o col sistema artificiale (cioè mungendo la vacca e somministrando la dose necessaria di latte al vitello mediante un poppatoio). I maschi che non sono destinati alla riproduzione vengono castrati all’età di 6-8 mesi.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Produzione della carne

                                                                                                                                                                                                                      La qualità della carne dipende anche dal tipo macellazione e dalla frollatura.

                                                                                                                                                                                                                      La motivazione è legata alla presenza del glicogeno nei muscoli. Un animale stressato ha infatti meno glicogeno e la sua carne presenta una minor elasticità.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Dopo la mattazione l’animale viene appeso per distendere le fibre muscolari e per eliminare parte del sangue che potrebbe favorire la contaminazione batterica.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La carne macellata non può essere consumata immediatamente ma ha bisogno di un periodo di frollatura, cioè di essere stagionata per qualche giorno, fase in cui avvengono una serie di reazioni a livello muscolare che rendono la carne più tenera e saporita.

                                                                                                                                                                                                                      L’animale macellato in genere viene diviso longitudinalmente in due parti, dette mezzene, che a loro volta sono divise in due parti, una anteriore e una posteriore.

                                                                                                                                                                                                                      Man mano che passa il tempo il colore della carne da un bel rosso diventa brunastro. Una carne vecchia ha infatti un colore scuro, tendente al grigio.

                                                                                                                                                                                                                      La carne deve essere di un bel colore rosso (o rosato nel caso del vitello), l’odore deve essere gradevole, il tessuto compatto ed elastico. Il grasso deve essere bianco o giallo tenue. La carne meno pregiata è quella che contiene molto grasso esterno, tendini e cartilagini.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Qualità della carne

                                                                                                                                                                                                                      In relazione alla qualità è possibile classificare la carne in tre categorie:

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      1. quella di prima qualità proviene dai quarti posteriori,
                                                                                                                                                                                                                      2. la seconda è ricavata dai quarti anteriori
                                                                                                                                                                                                                      3. la terza è quella proveniente dal resto dell’animale (collo, addome, parte bassa degli arti, ecc).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La qualità della carne dipende, oltre che dalla razza, anche dal tipo di alimentazione e di allevamento dell’animale: un bovino che ha la disponibilità di spazi, interni ed esterni, che ha una buona alimentazione e che non è stressato, produce carne più gustosa.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      In commercio è possibile acquistare carne di bovino sia direttamente al banco macelleria che in confezioni mantenute nei banchi refrigerati.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      In etichetta, obbligatoriamente devono essere riportate alcune informazioni, come nome del pezzo, peso, prezzo al chilo, data di confezionamento e data di scadenza. Inoltre dal 2000, secondo una normativa europea, devono essere riportati anche il numero di lotto e lo stabilimento di macellazione e trasformazione, oltre che il luogo di origine della carne.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione della carne bovina

                                                                                                                                                                                                                      La carne di bovino, come tutti i prodotti alimentari, può deteriorarsi, cioè decomporsi per lo sviluppo di batteri o muffe che possono produrre sostanze dannose e maleodoranti.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Metodi di Conservazione

                                                                                                                                                                                                                      I sistemi di conservazione della carne sono diversi: refrigerazione, congelazione, surgelazione, cottura, disidratazione, affumicatura e salatura.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La refrigerazione è il sistema più comune e noto di conservazione.

                                                                                                                                                                                                                      La carne viene tenuta in frigorifero ad una temperatura che varia da 0 a +4°C. Il freddo rallenta ma non impedisce lo sviluppo dei batteri e quindi non può essere conservata per più di 5 giorni.

                                                                                                                                                                                                                      La conservazione ha tempi diversi in relazione ai tagli: il macinato e il carpaccio possono, ad esempio, essere refrigerati per un giorno, mentre le bistecche e lo spezzatino fino 3 giorni, ecc. Dopo l’acquisto è opportuno riporre la carne in borse termiche per evitare variazioni di temperatura nel trasporto.

                                                                                                                                                                                                                      La congelazione si effettua a temperature più basse, da -10 a -20°C, e consente una conservazione più prolungata, ma può danneggiare la qualità della carne, in quanto durante lo scongelamento si possono perdere proteine, vitamine e sali minerali nel liquido di trasudo.

                                                                                                                                                                                                                      Lo scongelamento va condotto quindi lentamente, trasferendo la carne dal congelatore al frigorifero e mettendola in un contenitore che eviti lo sgocciolamento del liquido, in modo da evitare cross-contaminazioni.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La carne di bovino deve essere consumata cotta, in quanto il trattamento termico permette di eliminare il pericolo della presenza di microrganismi patogeni.

                                                                                                                                                                                                                      La carne cotta inoltre risulta maggiormente digeribile dal momento che le proteine sono denaturate e più facilmente attaccabili dai succhi digestivi.

                                                                                                                                                                                                                      Con la cottura il valore nutritivo della carne rimane sostanzialmente lo stesso, anche se una parte di acqua, grassi, sali minerali e vitamine può essere persa.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Durante la cottura le proteine si compattano ed eliminano l’acqua ed è per questo che una cottura prolungata rende la carne dura. Inoltre la mioglobina si degrada e la carne passa da un colore rosso a uno grigiastro.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      E’ possibile anche pretrattare la carne per renderla più tenera, oltre che tritarla per ottenere polpette e hamburger o batterla con un pestello. Questi procedimenti modificano la struttura delle fibre muscolari rendendole più morbide e più facili da masticare.

                                                                                                                                                                                                                      Altro sistema è quello di marinarla con succo di limone, aceto o vino dopo averla tagliata a fette sottili.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Metodi di Cottura

                                                                                                                                                                                                                      I metodi di cottura sono vari, tra cui si ricordano arrosto, brasato e stufato.

                                                                                                                                                                                                                      La scelta del taglio della carne avviene anche in base al metodo di cottura che si vuole effettuare.

                                                                                                                                                                                                                      La diverse temperature di cottura dei tessuti muscolari e di quelli connettivi impongono tempi e modalità diverse, in relazione al tipo di risultato che si vuole ottenere: per ottenere una carne rosata al centro (roastbeef) bisogna acquistare un pezzo tenero, scarso in tessuto connettivo, e cuocerlo a temperatura elevata (180°C) per un breve periodo.

                                                                                                                                                                                                                      Al contrario per una carne ben cotta sarà necessario optare per una temperatura inferiore (130°C), prolungando la cottura fino due ore; questo sistema consente di scegliere una carne di minor pregio e quindi più economica.

                                                                                                                                                                                                                      Per il brasato è adatto un taglio grande, da porre in pentola con acqua, vino e verdure; la cottura è lunga (anche qualche ora) e a fuoco lento (circa 100°C); questo metodo provoca lo scioglimento del collagene, il che rende il prodotto particolarmente tenero; è adatto per carni non pregiate, ricche in tessuto connettivo.

                                                                                                                                                                                                                      Lo stufato è una variante del brasato, la cottura è sempre in pentola, con maggiore quantità di acqua, tagli più piccoli e tempi ancora più lunghi.

                                                                                                                                                                                                                      Caffè

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      tipi di caffè

                                                                                                                                                                                                                      Famiglia: Rubiaceae

                                                                                                                                                                                                                      Genere: Coffea

                                                                                                                                                                                                                      Specie: Coffea arabica

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Storia del caffè

                                                                                                                                                                                                                      Il caffè deriva da specie appartenenti alla famiglia delle Rubiaceae che comprende circa 500 generi e 6000 specie, molte delle quali tropicali.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Le origini del caffè si fanno risalire agli altopiani dell’Etiopia, da cui, probabilmente per via commerciale, fu portato in Arabia dove la sua coltivazione conobbe il primo successo.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Nei primi periodi i semi di caffè venivano schiacciati e lasciati fermentare.

                                                                                                                                                                                                                      Da questo trattamento si otteneva una sorta di bevanda chiamata qahwa che probabilmente rappresenta la radice del nome caffè. Fu in Etiopia che si inventò la pratica della torrefazione.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Attualmente la produzione mondiale di caffè supera 7 milioni di tonnellate.

                                                                                                                                                                                                                      Le maggiori produzioni sono in Africa (Costa d’Avorio, Etiopia e Kenya), in America Centrale (Messico, Guatemala, Costa Rica e Repubblica Domenicana), in America del Sud (Colombia, Brasile e Venezuela) e in Asia (Vietnam, Indonesia, India, Filippine e Laos).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La maggior parte di questi paesi esporta gran parte del prodotto nei paesi industrializzati, forti consumatori di caffè nelle sue differenti forme.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La trasformazione (torrefazione, liofilizzazione e decaffeinizzazione) richiede tecnologie avanzate ed in genere non viene operata nei paesi produttori.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Tipi di caffè

                                                                                                                                                                                                                      La classificazione botanica del genere Coffea è complicata dalla grande variabilità genetica delle piante e dei semi.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Le due specie economicamente più importanti sono Coffea arabica, che rappresenta circa il 70% della produzione mondiale e Coffea canephora, definita generalmente Robusta. Altre due specie coltivate in piccola scala sono Coffea liberica e Coffea dewevrei.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      In commercio è possibile trovare confezioni sotto vuoto di caffè di varie miscele, in grani o in polvere. Sono inoltre commercializzate confezioni di caffè decaffeinato e caffè solubile. È ampiamente diffusa anche la vendita di caffè in cialde, da utilizzare in apposite macchine.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Proprietà nutrizionali dei vari tipi di caffè

                                                                                                                                                                                                                      tabella con i valori nutrizionali di vari tipi di caffè: crudo, tostato, decaffeinato, solubile, moka
                                                                                                                                                                                                                      Tabella con i valori nutrizionali di vari tipi di caffè: crudo in grani, tostato macinato, decaffeinato tostato macinato, solubile in polvere, moka in tazza

                                                                                                                                                                                                                      Valori nutrizionali dei vari tipi di caffè

                                                                                                                                                                                                                      Dai dati riportati in tabella si può notare come la composizione chimica del caffè varia notevolmente in seguito al processo di torrefazione e con la preparazione della bevanda.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Le proteine del caffè sono soggette a sensibili cambiamenti durante la torrefazione in quanto le elevate temperature ne causano la degradazione.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Anche la maggior parte dei carboidrati complessi, presenti nel caffè verde (cellulose e polisaccaridi insolubili) vengono degradati durante il processo di torrefazione con liberazione di carboidrati solubili.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      La frazione lipidica del caffè non risente particolarmente della torrefazione e i principali acidi grassi presenti nei chicchi sono l’acido linoleico (C18:1) e il palmitico (C16).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il caffè rappresenta la principale fonte di acido clorogenico nella dieta di molti paesi.
                                                                                                                                                                                                                      È una molecola della classe dei cinnamati coniugati, ed è contenuto nel caffè verde dal 6 al 10% sul secco, in relazione alla specie e alla varietà.

                                                                                                                                                                                                                      Sono inoltre presenti acido ferulico e cumarico liberi.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      L’acido clorogenico viene degradato con la torrefazione e rapportando la concentrazione dei suoi sottoprodotti con quella della caffeina è possibile stimare il grado di torrefazione del caffè.

                                                                                                                                                                                                                      La caffeina è presente in percentuali diverse nelle due principali varietà di caffè, nel Robusta raggiunge anche percentuali superiori al 4% mentre nell’Arabica è compresa fra lo 0,8 e il 2,5%.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il caffè è caratterizzato da un aroma complesso determinato da più di 650 componenti appartenenti a una grande varietà di classi molecolari differenti (idrocarburi, alcoli, chetoni, aldeidi, ammine, …). Molti di questi composti volatili derivano dalla degradazione termica di molecole non volatili presenti nel caffè verde.

                                                                                                                                                                                                                      Le varietà Arabica sono caratterizzate da un aroma delicato e ricco, mentre quelle Robusta hanno un aroma forte e aspro.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Benefici dei vari tipi di caffè

                                                                                                                                                                                                                      Sarebbe meglio non bere il caffè molto caldo, così come altre bevande, in quanto le alte temperature sembrerebbero essere le responsabili dell’insorgenza del tumore dell’esofago secondo uno studio dello IARC.

                                                                                                                                                                                                                      D’altro canto il consumo regolare di caffè potrebbe essere un fattore protettivo per il tumore del fegato e dell’endometrio e potrebbe apportare benefici al sistema vascolare.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Si possono consumare fino a 4-5 tazzine al giorno, dose con cui difficilmente si supera l’apporto di 400 mg di caffeina, limite ritenuto sicuro per gli adulti sani sulla base delle evidenze disponibili.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Per le donne in gravidanza e allattamento è ideale ridurre il consumo di caffeina a 2 tazzine al giorno, in quanto la soglia di sicurezza scende a 200 mg al giorno.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Interazioni dei vari tipi di caffè

                                                                                                                                                                                                                      Il consumo di caffè dovrebbe essere limitato se si assumono determinati farmaci. La caffeina infatti potrebbe interferire con:

                                                                                                                                                                                                                      • i farmaci broncodilatatori (salbutamolo, teofillina), aumentando la probabilità di effetti collaterali come eccitabilità, nervosismo e tachicardia;
                                                                                                                                                                                                                      • l’alendronato, farmaco usato per l’osteoporosi, andando ad interferire con il suo assorbimento;
                                                                                                                                                                                                                      • gli antibatterici chinolonici (ciprofloxacina, levoflaxacina, moxifloxacina), in quanto la caffeina potrebbe accumularsi nell’organismo;
                                                                                                                                                                                                                      • il linezolid, antibatterico ossazolidinonico, poichè gli elevati livelli di tiramina presenti nella bevanda potrebbero causare un aumento della pressione del sangue;
                                                                                                                                                                                                                      • i farmaci antipertensivi, in quanto la caffeina rischia di rimanere in circolo per lungo tempo.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Se si assume la clozapina, un antipsicotico, bisognerebbe evitare il consumo di caffeina in quanto la quantità di farmaco presente nel sangue potrebbe aumentare causando effetti collaterali.

                                                                                                                                                                                                                      Il consumo di caffè inoltre è controindicato se si soffre di ipertiroidismo e glaucoma.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il caffè è in grado di ridurre l’efficacia degli integratori a base di ferro.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Produzione e Tecnologia dei vari tipi di caffè

                                                                                                                                                                                                                      Caratteri botanici della pianta di caffè

                                                                                                                                                                                                                      Tutte le specie sono legnose, variando da piccoli arbusti ad alberi che possono raggiungere 10 metri di altezza, se spontanei.

                                                                                                                                                                                                                      Il colore delle foglie è variabile in relazione alla specie (giallastro, verde scuro, porpora).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Produzione del caffè

                                                                                                                                                                                                                      Il primo trattamento dei frutti, raccolti a piena maturazione, è volto a liberare i semi dalla polpa mucillaginosa (mesocarpo), farli fermentare ed essiccare.

                                                                                                                                                                                                                      Il processo definito come “fermentazione estrattiva” può essere effettuato con due metodi differenti, a secco e a umido (caffè lavato).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il metodo secco, detto anche naturale, è il più vecchio e semplice: si tratta dell’essicazione del frutto intero.

                                                                                                                                                                                                                      Il metodo umido richiede l’utilizzo di particolari attrezzature e di molta acqua e, se ben effettuato, permette di valorizzare le proprietà organolettiche del prodotto.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il processo di fermentazione è dovuto a microrganismi che naturalmente contaminano i frutti e i semi del caffè; non si utilizzano starter. La durata può variare notevolmente in base al grado di maturazione, al clima, alla varietà; in genere varia da poco meno di un giorno a 100 ore.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Successivamente i grani di caffè verdi o color terra vengono torrefatti a temperature comprese fra i 200 e i 250°C. Questo processo influisce molto su dimensioni, colore e aroma del caffè.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Quando si raggiungono i 100°C inizia il fenomeno dell’imbrunimento, accompagnato dal rigonfiamento del chicco.

                                                                                                                                                                                                                      La fase di decomposizione inizia a 180-200°C con la fessurazione del solco mediano dei chicchi e il rilascio dell’aroma.

                                                                                                                                                                                                                      Nell’ultima fase si ha la caramellizzazione e la riduzione finale del tasso di umidità a circa 1-3%.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il giusto grado di torrefazione del caffè è dovuto all’esperienza, alle caratteristiche delle varietà di caffè ed a quelle degli impianti utilizzati, che possono trasmettere il calore per contatto (tempi lunghi, 20-50 minuti) o per convenzione/contatto, tecnica che permette di accorciare i tempi fino a 5-6 minuti. L’over-roasting e la bruciatura sono evitati raffreddando velocemente i chicchi giunti al giusto grado di tostatura.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il caffè torrefatto viene poi miscelato (in chicchi o macinato); in genere si preparano miscele di 3-8 differenti varietà (torrefatte singolarmente), ognuna conferente un carattere particolare alla miscela (corpo, pienezza, robustezza, delicatezza).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      L’aroma e il confezionamento del caffè

                                                                                                                                                                                                                      Il flavour del caffè permane integro più a lungo se è conservato a basse temperature e in assenza di ossigeno.

                                                                                                                                                                                                                      La principale causa dell’alterazione è infatti dovuta all’ossidazione diretta, per azione dell’ossigeno dell’aria, o indiretta, per azione di perossidi che si sono formati a loro volta per ossidazione della frazione lipidica.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il deterioramento più veloce avviene nel caffè macinato, in quanto la superficie a contatto con l’aria è più estesa. Una volta macinato il caffè, infatti, si ossida facilmente e perde le sue caratteristiche organolettiche, irrancidisce e diviene amaro.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Per assicurare al consumatore un prodotto che conservi inalterate le sue caratteristiche sono stati messi a punto metodi ad alta tecnologia, come il confezionamento sotto vuoto o in atmosfera modificata, che garantiscono al caffè in grani o in polvere una maggior conservazione nel tempo ed il mantenimento delle sue proprietà organolettiche.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Preparazione e Conservazione dei vari tipi di caffè

                                                                                                                                                                                                                      Mentre il caffè verde si preserva a lungo se ben conservato (fino a due anni), il torrefatto mantiene le sue caratteristiche organolettiche per circa tre mesi.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Esistono diversi modi per preparare il caffè, inteso come bevanda: alla turca (decotto), alla francese (decotto, infuso) e all’italiana (moka, espresso). Ciascun metodo si differenzia per l’uso di apparecchiature specifiche e per il tempo di contatto con l’acqua, modificando quindi l’estrazione delle componenti solubili.

                                                                                                                                                                                                                      Il caffè alla turca viene preparato come decotto, lasciando decantare il particolato di caffè sul fondo.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Il metodo per filtrazione (ancora utilizzato in Francia) sfrutta la cosiddetta caffettiera a pistone. Tutte le apparecchiature che funzionano permettendo all’acqua calda di passare attraverso il caffè macinato posto in un filtro, si basano sul principio della percolazione sotto pressione (caffettiera a pressione, moka, macchine per espresso professionali).

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Nella moka si riempie la parte inferiore di acqua ed il caffè nel filtro, posto fra il compartimento inferiore e quello di raccolta. L’acqua si innalza per effetto della pressione di vapore e attraverso il filtro arriva nel compartimento superiore, trasformata in bevanda.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Nelle macchine per espresso professionali la pressione emulsiona gli oli ed i colloidi del caffè, permettendo di ottenere una bevanda corposa, aromatica e ricoperta da una crema che persiste per qualche minuto.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                      Dal punto di vista compositivo il caffè “lungo” e quello ottenuto con la moka rispetto contengono concentrazioni di caffeina maggiori rispetto all’espresso normale o “ristretto”, in ragione del maggior tempo di contatto con il solvente di estrazione (acqua o vapore d’acqua).

                                                                                                                                                                                                                      • • AIFA, sintesi della Guida FDA sulle interazioni Farmaci-Alimenti.

                                                                                                                                                                                                                        • Cabras, A. Martelli, (2004), “Chimica degli alimenti”, Piccin, Padova.

                                                                                                                                                                                                                        • LARN, livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia per la popolazione italiana. IV revisione. SICS, 2014; p. 8.

                                                                                                                                                                                                                        • Liotta E., Pelicci P.G., Titta L., (2016), “La dieta smartfood”, Rizzoli, Milano.

                                                                                                                                                                                                                        www.agraria.org

                                                                                                                                                                                                                        www.bda-ieo.it

                                                                                                                                                                                                                        www.humanitas.it

                                                                                                                                                                                                                        www.nut.entecra.it

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Ananas

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        ananas benefici

                                                                                                                                                                                                                        Famiglia: Bromeliaceae

                                                                                                                                                                                                                        Genere: Ananas

                                                                                                                                                                                                                        Specie: Ananas sativa

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Storia dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        L’ananas o ananasso è una pianta appartenente alla famiglia delle Bromeliaceae, originaria dell’America centrale.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        La sua coltivazione risale ai tempi dei Maya e degli Atzechi, ma la diffusione in Europa e nel resto del mondo avvenne solo diversi secoli dopo.

                                                                                                                                                                                                                        Agli inizi dell’Ottocento, l’ananas fu importato nelle Hawaii dove il clima e le temperature ne hanno favorito la crescita tanto che oggi è il simbolo di questo paese.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Attualmente la produzione mondiale è intorno a 19 milioni di tonnellate e il maggior produttore è il Costa Rica. Sono interessanti anche le produzioni di Costa d’Avorio, Ghana, Togo, Benin, Nigeria e Camerun.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Viene coltivata per scopi alimentari, ornamentali e per la produzione di alcuni tipi di fibre, in tutte le regioni tropicali (principalmente Costa d’Avorio, Costa Rica e Kenia) da dove vengono esportati i frutti.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Tipologie di ananas

                                                                                                                                                                                                                        Esistono numerose varietà di ananas, quasi un centinaio, ma le principali sono suddivise in 4 grandi gruppi:

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        1. Cayenne: i frutti appartenenti a questa categoria provengono dalle Hawaii.
                                                                                                                                                                                                                          A questo gruppo appartiene la “Smooth Cayenne” che è la varietà più diffusa. I frutti hanno una tipica forma cilindrica e un colore giallo pallido; il sapore è dolce ed intenso.
                                                                                                                                                                                                                        2. Spanish: di origine caraibica.
                                                                                                                                                                                                                          Fa parte di questo gruppo la “Red Spanish”. I frutti presentano una buccia arancione, la polpa è più fibrosa, ma comunque molto aromatica.
                                                                                                                                                                                                                        3. Queen: coltivata in Africa.
                                                                                                                                                                                                                          I frutti hanno una dimensione ridotta ed un peso che in genere non supera il chilogrammo. La polpa ha il colore giallo paglierino tipico di questo frutto ed un aroma intenso.
                                                                                                                                                                                                                        4. Abacaxi: questa varietà viene coltivata per il consumo fresco e venduta quasi esclusivamente in America Latina, dove è molto richiesta.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali dell'ananas

                                                                                                                                                                                                                        Valori nutrizionali dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        L’ananas è un frutto che presenta un contenuto di zuccheri medio rispetto alle altre tipologie di frutta.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        E’ fonte di micronutrienti quali potassio e vitamina C, nota anche come acido ascorbico. Nel gambo centrale dell’ananas è contenuto un caratteristico enzima proteolitico (ovvero in grado di degradare le proteine): la bromelina.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Visto il ridotto apporto calorico e il buon contenuto di fibra che apporta permette di mantenere la condizione di normopeso, di conferire un maggior senso di sazietà e di migliorare la funzionalità intestinale.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Benefici dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        Nell’ananas è presente la vitamina C, uno dei più importanti antiossidanti che favorisce l’assorbimento intestinale del ferro e del cromo, interviene nella difesa immunitaria, favorisce la cicatrizzazione delle ferite e protegge i capillari.

                                                                                                                                                                                                                        La bromelina invece sembrerebbe avere un ruolo nel favorire la digestione.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        La porzione consigliata, come per altra frutta fresca, è di 150 grammi che corrisponde a circa 2-3 fette di ananas.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Interazioni dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        Il consumo di ananas potrebbe potenziare l’effetto degli antibiotici amoxicillina e teraciclina mentre il consumo del gambo, e dei prodotti  derivati, potrebbe essere controindicato in caso di emofilia, problemi al fegato o ai reni.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        Caratteri botanici dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        L’ananas è una pianta cespugliosa perenne o sempreverde, alta dai 30 ai 40 cm con foglie di colore verde, lunghe, sottili ed appuntite.

                                                                                                                                                                                                                        Predilige un clima temperato, sopporta alte temperature ed il sole diretto ma resiste poco a temperature inferiori ai 15° C.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        fiori hanno una colorazione tendente al blu e hanno la peculiarità di essere costituiti da tre soli petali. Da ogni singolo fiore si forma un frutto dal colore giallo e dalla polpa dolce e succosa.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Il frutto ha sulla cima il tipico ciuffo di foglie verdi che caratterizza questo prodotto e può raggiungere fino a un massimo di 5 kg di peso. La buccia esterna, rimossa prima del consumo, è composta da placche di forma poligonale, unite fra loro. Il cuore del frutto è duro e legnoso.

                                                                                                                                                                                                                        La fioritura avviene solo una volta all’anno e in prossimità del solstizio d’inverno; la maturazione dei frutti avviene dopo 5-6 mesi.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’ananas è un frutto non “climaterico” ovvero una volta staccato dalla pianta interrompe la sua maturazione; solo la buccia cambia colore ma non la polpa e il grado zuccherino.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Il fatto di avere a disposizione i frutti freschi solo in un breve periodo dell’anno, ha promosso lo sviluppo dell’industria di trasformazione dell’ananas anche se, venendo coltivata in diversi paesi, si riesce a trovare nei mercati in tutti i periodi dell’anno.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Oltre ad essere consumato fresco, viene utilizzato anche per la produzione di succhi, concentrati e canditi.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Stagionalità dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        L’ananas si trova in commercio tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione dell’ananas

                                                                                                                                                                                                                        L’ananas può essere consumato fresco oppure utilizzato come ingrediente nella realizzazione di varie ricette.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Al momento dell’acquisto dell’ananas è opportuno evitare quelli che presentano un colore della buccia, tra le losanghe esterne, di colore verde-grigiastro (ananas acerbi) o marrone (ananas troppo maturi); la buccia deve avere un colore arancione sfumato e il caratteristico profumo deve essere abbastanza leggero.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Una volta acquistata deve essere conservata in un luogo fresco e asciutto, o in frigorifero dopo l’apertura per due/tre giorni facendo attenzione a coprirla con pellicola per alimenti o riponendola in un contenitore ermetico per evitare che assorba gli odori di altri alimenti conservati nel frigorifero.

                                                                                                                                                                                                                        Aglio

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        aglio proprietà

                                                                                                                                                                                                                        Famiglia: Liliaceae

                                                                                                                                                                                                                        Genere: Allium

                                                                                                                                                                                                                        Specie: Allium sativum

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Storia dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        L’aglio è una pianta appartenente alla famiglia delle Liliaceae, originaria dell’Asia centrale, già utilizzata dagli antichi Egizi e successivamente dai Greci, dai Romani, dai Cinesi e dagli Indiani.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Si tratta di un ortaggio costituito da un bulbo, detto anche testa, suddiviso in spicchi ed avvolto da tuniche.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Tipologie di aglio

                                                                                                                                                                                                                        Esistono tre tipologie di aglio, distinte in base al colore delle tuniche:

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        • bianco,
                                                                                                                                                                                                                        • rosa,
                                                                                                                                                                                                                        • rosso; quest’ultimo è caratterizzato da un ciclo di vita più breve (circa tre settimane) e da bulbi più grossi.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Riconoscimenti e Presidi dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        Alla tipologia “aglio bianco” appartengono la DOP ”Aglio Bianco Polesano”, la DOP ”Aglio Bianco di Voghiera”, e l’IGP ”Aglio Bianco Piacentino”.

                                                                                                                                                                                                                        Fanno parte invece della tipologia “aglio rosso” l’”Aglio Rosso di Sulmona” e l’”Aglio Rosso di Nubia”, Presidio Slow Food.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’ ”Aglio Bianco Polesano” viene coltivato nella Provincia di Rovigo, zona in cui viene raccolto il 60% del prodotto nazionale. Questa tipologia di aglio si contraddistingue per il colore bianco lucente, la forma del bulbo, l’elevata resa in sostanza secca (che lo rende facilmente conservabile) e il particolare aroma, che risulta meno pungente e più persistente.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’ ”Aglio Bianco di Voghiera”, che viene prodotto in Provincia di Ferrara, ha come caratteristiche peculiari il colore bianco luminoso, il bulbo di grandi dimensioni, rotondeggiante, regolare, composto da bulbilli perfettamente uniti tra loro e la grande serbevolezza.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’ ”Aglio Bianco Piacentino” è caratterizzato da un buon aroma, un sapore gradevole e una buona conservabilità. Il bulbo e le tonache che avvolgono ogni bulbillo devono essere completamente secchi e di colore bianco; il sapore è acre.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’”Aglio Rosso di Sulmona” è un ecotipo coltivato in Provincia dell’Aquila, in Valle Peligna. L’ultima tunica protettiva del bulbillo è di un colore rosso acceso, mentre le tuniche esterne sono bianche.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’”Aglio Rosso di Nùbia” viene invece coltivato nei comuni di Paceco, Trapani, Erice, Marsala e Salemi. Questo aglio presenta un bulbo costituito mediamente da dodici bulbilli, tuniche esterne bianche e interne di colore rosso vivo. Ha un sapore particolarmente intenso dovuto al suo contenuto in allicina, nettamente superiore alla media.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’aglio può essere commercializzato fresco, semisecco o secco.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Proprietà nutrizionali dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        tabella con i valori nutrizionali dell'aglio

                                                                                                                                                                                                                        Valori nutrizionali dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        L’aglio in polvere è una buona fonte di potassio e fornisce un discreto apporto di fosforo e calcio.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’odore caratteristico dell’aglio è dovuto alla presenza di composti organici dello zolfo quali l’alliina ed i suoi derivati, allicina e disolfuro di diallile.

                                                                                                                                                                                                                        Particolarmente responsabile dell’aroma tipico e del sapore intenso è l’allicina che viene liberata, a partire dall’alliina, ad opera dell’enzima allinasi.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Benefici dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        L’allicina sembra avere potenziali utilizzi in ambito medico grazie al suo effetto antitrombotico, antinfiammatorio e antiossidante.

                                                                                                                                                                                                                        Secondo recenti studi inoltre sarebbe anche comparabile all’antibiotico contro l’Helicobacter Pylori, batterio Gram negativo responsabile di ulcere e gastriti allo stomaco (fino allo sviluppo di tumori).

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Oltre all’allicina l’aglio contiene altre sostanze, caratterizzate da attività antibatteriche, come la garlicina.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Interazioni dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        Il consumo di aglio potrebbe interferire con l’assunzione degli anticoagulanti (come eparina e warfarin).

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Produzione e Tecnologia dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        Caratteri botanici dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        L’aglio è una pianta erbacea perenne, alta fino a un metro e coltivata in tutto il mondo.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Gli spicchi o bulbilli presentano la faccia dorsale convessa. A gruppi di 5-20 sono inseriti direttamente sul fusto, detto cormo, formando così il bulbo che è conosciuto anche come capo o testa.

                                                                                                                                                                                                                        Questo è avvolto da una serie di foglie metamorfosate, dette tuniche sterili, che hanno una funzione protettiva.

                                                                                                                                                                                                                        Il peso medio di un bulbo può andare da un minimo di 20 g a un massimo di oltre 150 g.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Produzione dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        La raccolta, manuale o meccanica, avviene nel mese di maggio per l’aglio fresco oppure nei mesi di giugno-luglio per l’aglio lasciato essiccare parzialmente sui campi.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        In seguito alla raccolta l’aglio viene lasciato sul campo al sole per una prima essicazione e successivamente viene portato presso le aziende agricole per l’essicazione definitiva.

                                                                                                                                                                                                                        Successivamente viene posto in piccole cataste e sistemato in appositi locali, per essere avviato ai siti di conservazione e condizionamento.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        La conservazione avviene in un luogo fresco e ventilato in cassette o appesi intrecciati nelle tipiche “reste”.

                                                                                                                                                                                                                        Nei magazzini la temperatura deve essere di 0°C e con un contenuto di umidità relativa del 70%; gli ambienti a temperatura controllata permettono di mantenere inalterata la qualità dell’aglio e, se l’ambiente è ben secco, si possono conservare anche per 6-7 mesi.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        I bulbi vengono quindi ripuliti dalle tuniche esterne, dalle foglie e dalle radici.

                                                                                                                                                                                                                        Sul mercato viene immesso sotto forma di trecce e treccioni, grappoli e grappoloni, confezioni retinate e sacchi aventi un numero di bulbi variabile.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        In commercio si riscontrano varie tipologie di aglio:

                                                                                                                                                                                                                        • fresco/verde che presenta radici di colore biancastro, stelo verde rigido al colletto e tunica esterna del bulbo ancora allo stato fresco; il bulbo è esternamente di colore bianco-bianco avorio e può presentare striature di colore rosato.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        • semisecco con radici e stelo di colore biancastro. Quest’ultimo, insieme alla tunica esterna del bulbo, si presenta non completamente secco; il bulbo esternamente è di colore bianco-bianco avorio e può presentare una striatura rosata.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        • secco che presenta radici di color avorio, stelo di colore biancastro con consistenza più fragile che, come avviene per la tunica esterna del bulbo, appare completamente secco.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Stagionalità dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        Il prodotto fresco è reperibile nei mesi estivi (da maggio ad agosto), mentre quello secco si può trovare tutto l’anno.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Preparazione e Conservazione dell’aglio

                                                                                                                                                                                                                        Le categorie di aglio in commercio sono: “extra”, “I” e “II”.

                                                                                                                                                                                                                        Per rientrare nella categoriaextra” il prodotto deve avere un calibro minimo di 45 mm, un bulbo intero, serrato, di forma regolare e ben pulito.

                                                                                                                                                                                                                        Per la categoriaI” il calibro dev’essere minimo di 40 mm, il bulbo intero, sufficientemente serrato e di forma sufficientemente regolare; sono ammesse solamente piccole lacerazioni della tunica esterna del bulbo.

                                                                                                                                                                                                                        Nella categoriaII” rientra il prodotto che presenta i seguenti difetti: lacerazioni o assenza di parti della tunica esterna del bulbo, lesioni cicatrizzate, contusioni, forma irregolare e assenza di massimo 3 bulbilli.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        L’aglio fresco si conserva a temperatura ambiente in un contenitore semichiuso al riparo dalla luce in un luogo fresco. A seconda della varietà e dell’età, le teste di aglio si mantengono fresche da 2 settimane a 2 mesi.

                                                                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                                                                        Questo ortaggio viene usato fin dall’antichità per insaporire insalate o aggiunto a sughi, stufati, piatti di pesce e verdure.

                                                                                                                                                                                                                        È consigliabile tagliare o sminuzzare l’aglio poco prima di iniziare la preparazione del piatto e cuocerlo per massimo 10 minuti, in quanto l’allicina si degrada rapidamente e con il calore.