Limone

Limone

 

scorza di limone

Famiglia: Rutaceae

Genere: Citrus

Specie: Citrus limon

 

Storia del limone

Il limone (Citrus limon) è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rutaceae originario dell’India e dell’Indocina.

 

Secondo alcuni studi, il limone è da considerarsi un ibrido naturale tra due diverse specie di agrumi: il cedro (Citrus medica) e il lime (Citrus aurantifolia).

 

Solitamente la buccia è di colore giallo ma esistono anche varietà di colore verde o bianco; la buccia può essere più o meno sottile ed è ricca di oli essenziali.

La polpa è suddivisa in otto-dieci spicchi, succosa e con un sapore aspro; molte varietà sono prive di semi.

 

Varietà di limone

Esistono diverse varietà di limone e le principali cultivar coltivate in Italia sono: Femminello Comune, Monachello, Interdonato, Femminello Zagara Bianca, Femminello Siracusano e Femminello Apireno Continella. Molte di queste varietà sono tipiche della Sicilia, regione da cui deriva l’85% della produzione nazionale di limoni.

 

Nel 2001 è stata riconosciuta l’IGP (Indicazione Geografica Protetta) al “Limone di Sorrento” e al “Limone Costa d’Amalfi”.

Questa varietà presenta una buccia di medio spessore, di colore giallo chiaro, con un aroma e un profumo intensi dovuti alla ricca presenza di oli essenziali e terpeni.

I frutti sono di dimensioni medio-grosse (almeno 100 grammi per frutto) e la polpa è succosa e moderatamente acida, con scarsa presenza di semi.

 

Nel 2007 ha ottenuto l’IGP anche il “Limone Femminello del Gargano”, il limone più antico d’Italia, di cui esistono due tipologie: il Femminello a scorza gentile ed il Femminello oblungo.

Il limone a scorza gentile presenta una forma sferoidale; la sua buccia ha un colore giallo chiaro, particolarmente liscia e dallo spessore molto sottile. Il limone oblungo è più pregiato per l’assenza di semi nella sua polpa e la sua buccia, più o meno liscia, ha un colore giallo citrino intenso di spessore medio.

 

Anche il “Limone di Siracusa” e il “Limone Interdonato Messina Jonica” hanno ottenuto l’IGP. Quest’ultimo presenta frutti di pezzatura medio-elevata (tra gli 80 e i 350 grammi), dalla forma ellittica, di colore verde opaco a inizio maturazione, che poi tende al giallo. Anche la polpa è di colore giallo e i semi sono pochi o del tutto assenti.

 

Nel 2011 invece hanno ottenuto l’IGP i “Limoni di Rocca Imperiale” appartenenti alle categorie commerciali “Extra”, “I” e “II”, che vengono coltivati in Calabria nella provincia di Cosenza.

 

Proprietà nutrizionali del limone

tabella con i valori nutrizionali del limone, della scorza di limone e del succo di limone
Tabella con i valori nutrizionali del limone, della scorza di limone e del succo di limone.

Valori nutrizionali del limone

Questo agrume è soprattutto una fonte di vitamina C, contenuta sia nel succo che nella buccia del frutto. Nella scorza del limone è presente un contenuto di questa vitamina fino a tre volte superiore rispetto al succo a parità di peso.

Contiene inoltre flavonoidi e sostanze con proprietà antiossidanti che conferiscono la tipica colorazione al frutto, quali β-carotene, β-criptoxantina, luteina e zeaxantina.

 

Il limone è ricco di oli essenziali, il principale dei quali è il limonene, concentrato prevalentemente nella scorza, dove sono presenti anche altre sostanze quali la citronella, il fellandrene, l’acido citrico, l’acido malico, l’acido formico, l’esperidina e le pectine.

 

Benefici del limone

Le funzioni benefiche che il limone svolge nei confronti del nostro organismo si devono ricondurre alla presenza in questo agrume di vitamina C, potassio e oli essenziali.

Ricordiamo infatti l’azione antiossidante, dove gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi che se prodotti in eccesso possono provocare stati patologici, l’azione protettiva antitumorale contro il cancro alla cavità orale e l’azione antimicrobica.

In particolare l’azione antimicrobica è da attribuire agli oli essenziali che esercitano un’azione batteriostatica e antivirale dipendente dal citrale e dal linalolo.

Sembra inoltre che il limone aiuti a ridurre la formazione di calcoli renali.

 

La porzione di consumo giornaliero standard di frutta fresca consigliata è 150 grammi, che corrispondono a circa 2 limoni.

 

Questo agrume può essere utile da utilizzare sia durante che post trattamento oncologico per contrastare alcuni effetti collaterali quali l’alterazione del gusto (in questo caso si utilizza la marinatura), la disidratazione (aromatizzando l’acqua con la scorza di limone) e l’anemia sideropenica.

 

L’utilizzo della scorza o del succo di limone durante il pasto permette di ridurre la quantità di sale e favorire l’assorbimento del ferro.

Infatti la vitamina C in esso contenuta ha la capacità di aumentare l’assorbimento del ferro nelle verdure a foglia verde o nei legumi, ovvero alimenti che hanno una buona quantità di ferro presente però nella forma meno assimilabile.

 

Ricordiamo che la vitamina C è sensibile al calore, quindi è sempre meglio aggiungere il succo o la scorza a fine cottura.

 

L’aggiunta del succo di limone a frutta o verdura inoltre ne evita l’annerimento, andando a inattivare un gruppo di enzimi responsabili di questo fenomeno, le polifenolossidasi.

 

Interazioni del limone

L’acidità del limone può causare un danneggiamento dello smalto dei denti con perdita di lucidità dentale e alterazioni del colore.

 

Il consumo di succo di limone può interferire con l’azione della clorochina, farmaco utilizzato per la prevenzione e il trattamento della malaria.

 

Produzione e Tecnologia del limone

Caratteri botanici del limone

Il genere Citrus, a cui appartiene il limone, ha come frutto una bacca (definita esperidio), caratterizzata da un epicarpo (parte esterna) di spessore variabile a seconda della varietà, colorato e ricco di oli essenziali.

Il mesocarpo o albedo è bianco e spugnoso, mentre l’endocarpo (parte interna) è suddiviso in 8-10 spicchi in cui possono essere presenti o meno i semi.

 

I frutti possono essere di forma ovale o ellittica e, nella parte terminale, presentano una protuberanza che, a seconda delle varietà, risulta più o meno pronunciata.

 

I limoni giungono a maturazione in tre diversi periodi dell’anno:

 

  • autunno, dal mese di ottobre, periodo in cui avviene la produzione di limoni invernali,
  • primavera, nel mese di marzo, con la produzione dei limoni noti come bianchetti,
  • estate, a settembre, in cui sono pronti i cosiddetti verdelli (che maturano nell’estate seguente), così chiamati per il colore della buccia.

 

Il limone è piuttosto sensibile al freddo e si defoglia completamente con temperature di -4/-5°C, mentre i fiori e i frutti sopportano valori fino a -2°C.

 

A differenza di altri agrumi, i limoni possono maturare anche quando sono staccati dalla pianta e di conseguenza spesso vengono raccolti, manipolati e spediti ancora verdi (dopo averli protetti con un trattamento fungicida e un’inceratura).

 

Produzione dei limoni

Il maggior produttore è il Messico, seguito dall’India. Altri grandi produttori sono l’Italia, la Spagna, Israele, l’Egitto, la Repubblica Sudafricana e l’Australia.

 

In base alle condizioni pedoclimatiche ed alla varietà, la raccolta dei frutti copre tutto l’arco dell’anno oppure può avere inizio il 1° gennaio e terminare il 31 ottobre.

La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano impedendo il contatto diretto dei limoni con il terreno. Il distacco dei frutti può essere effettuato anche con l’ausilio di apposite forbici per il taglio del peduncolo.

 

Successivamente i frutti vengono posti in cesti o in cassette di plastica, quindi caricate sui mezzi di trasporto e trasferite ai magazzini di lavorazione e/o conservazione.

 

Una volta che il prodotto è giunto al magazzino, il limone subisce un processo di lavorazione che ne comporta: lavaggio, trattamento anticrittogamico, ceratura, selezione, calibratura e confezionamento.

I materiali ammessi per gli imballaggi sono cartone, legno e plastica; le confezioni ammesse sono reti e borse con banda plastica attaccata alla rete. La conservazione dei frutti può essere effettuata in atmosfera normale o controllata.

 

Oltre che per il consumo fresco, i limoni possono essere utilizzati per la produzione di essenze o oli essenziali, succhi e confetture.

 

Stagionalità del limone

I limoni si trovano sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione del limone

Un limone maturo deve presentare una buccia soda, sottile, liscia, senza macchie e di colore giallo brillante. I limoni con la buccia di colore giallo intenso sono di solito più maturi e meno acidi di quelli poco gialli o giallo-verdognoli.

 

La temperatura ideale di conservazione dei limoni maturi è di 0-4°C, mentre i limoni verdi possono essere mantenuti a una temperatura di 11-14°C.

Sarebbe quindi consigliabile porre i limoni maturi in frigorifero nello scomparto della frutta, in modo da mantenerli succosi e con un buon contenuto di vitamina C, mentre i limoni verdi possono rimanere in un ambiente fresco.

 

Una volta tagliati vengono conservati in frigorifero avvolgendo gli spicchi o le fette con la pellicola trasparente (non con fogli d’alluminio per via dell’acidità del limone).

 

Il succo di limone viene utilizzato per insaporire cibi come carne, pesce, insalate, dessert di frutta, sorbetti, gelati e bevande, quali il tè. Una buona abitudine è il suo utilizzo al posto del sale per condire le insalate.

 

Del limone viene utilizzata anche la buccia, se edibile, per aromatizzare le preparazioni.

 

Inoltre è consigliabile condire verdure o legumi con succo o scorza di limone in quanto la vitamina C presente facilita l’assorbimento del ferro non eme contenuto nei vegetali.

 

Le proposte di ricette di FBO con il limone



Latte di Vacca

Latte di Vacca

 

 

Definizione e classificazione del latte

Il latte è “il prodotto della mungitura regolare, completa ed ininterrotta della mammella di animali in buono stato di salute e di nutrizione”, secondo la legge n 15 del R.D. 9 maggio 1929.

Se si utilizza solamente la parola latte si intende il prodotto derivante dalla mungitura della vacca (bovina). Per il latte proveniente da altri animali si deve riportare il nome della specie ad esempio latte di capra, latte di pecora, etc.

 

Il latte può essere classificato come latte:

 

  • intero (contenente più del 3,5% di grasso),
  • parzialmente scremato (1-1.8% di grasso)
  • scremato (meno dello 0.5% di grasso).

 

In base all’intensità del trattamento termico utilizzato, il latte si suddivide in latte a breve conservazione (latte pastorizzato) e latte a lunga conservazione (UHT).

 

Grazie al Regolamento (UE) n 1169/2011, dal 2017 è obbligatorio apporre sulle etichette di tutte le confezioni di latte e prodotti lattiero-caseari il Paese in cui è stato munto il latte e il nome del Paese in cui il prodotto è stato condizionato (o trasformato il latte).

Solo per il latte munto, condizionato e trasformato in Italia, si può avere la dicitura “100% latte italiano”, invece se una fase del processo non è avvenuta in Italia non potrà essere presente tale dicitura in etichetta.

 

Proprietà nutrizionali del latte UHT e pastorizzato di vacca

tabella con i valori nutrizionali del latte di vacca
Tabella con i valori nutrizionali del latte di vacca intero, parzialmente scremato e scremato (sia pastorizzato che UHT).

Valori nutrizionali del latte di vacca

Come si può vedere dalla tabella la quantità di lipidi diminuisce passando dal latte intero a quello scremato; di conseguenza il quantitativo di carboidrati, proteine e acqua risulta maggiore in quello scremato.

 

Il latte di vacca è una fonte di proteine di alta qualità sintetizzate dalla mammella, rappresentata per l’80% da caseine e per il restante 20% da sieroproteine.

Le caseine sono fosfoproteine (chiamate α1, α2, β, k caseina) presenti in sospensione colloidale che per acidificazione del latte precipitano; questa proprietà è sfruttata nella produzione del formaggio.

Le sieroproteine, costituite principalmente da β-lattoglobulina e α-lattoalbumina, hanno un minor peso molecolare delle caseine e coagulano solo per riscaldamento. Inoltre l’ α-lattoalbumina contiene quantità elevate di un amminoacido essenziale, il triptofano.

 

Il carboidrato maggiormente presente nel latte di vacca è il lattosio (4,5-5 g/ 100 ml di latte), disaccaride costituito da glucosio e galattosio che conferisce al latte un sapore leggermente dolce. In misura minore si trovano glucosio, galattosio e oligosaccaridi.

Proprio per la presenza del lattosio, la sua assunzione è problematica per i soggetti intolleranti.

Per tale motivo è in commercio un latte delattosato detto HD (high digestible) in cui il 75% di questo disaccaride è stato idrolizzato per via enzimatica in glucosio e galattosio.

 

La sostanza grassa del latte è formata per il 97-98% da trigliceridi, in cui si trovano acidi grassi saturi (60-65%) ed insaturi quali oleico (25%), linoleico (3%) e linolenico (0.5%).

 

La composizione lipidica e vitaminica varia in base a diversi fattori quali l’alimentazione e la composizione del mangime.

Il latte delle mucche allevate al pascolo contiene ad esempio acidi linoleici coniugati (CLA) in quantità cinque volte superiori rispetto a quello delle mucche alimentate con insilati, cereali, e risulta anche più ricco di vitamina A ed E.

 

Tra i sali oltre al calcio, sono presenti potassio e fosforo.

 

Benefici del latte di vacca

Il latte di vacca contiene numerosi sali minerali che contribuiscono a mantenere in salute ossa, denti e la salute cardiovascolare come calcio, fosforo, magnesio e potassio rispettivamente.

Inoltre il latte è composto da proteine ad elevato valore biologico, vitamine A ed E con attività antiossidante e componenti funzionali che aiutano a controllare la pressione e gli stati infiammatori.

 

La porzione consigliata è 125 ml, che corrisponde a un bicchiere piccolo o mezza tazza.

 

Interazioni del latte di vacca

Il consumo di latte (e latticini) è sconsigliato durante l’assunzione di ciprofloxacina (antibatterico chinolonico) e tetracicline (antibatterico tetraciclinico).

 

Produzione e Tecnologia del latte di vacca

Allevamento dei bovini

L’allevamento dei bovini da latte può essere:

 

  • pastorale, in cui gli animali si muovono liberamente e si nutrono di erbe spontanee senza intervento dell’allevatore, o

 

  • intensivo (industriale), dove gli animali vivono nelle stalle e vengono alimentati con erba falciata, fieno e cereali (come mais, orzo e crusca).

 

L’alimentazione con cereali permette di ottenere quantità maggiori di latte, ma di qualità nutrizionale inferiore rispetto a quello delle mucche al pascolo.

 

Esistono diverse razze che producono latte:

 

  • la Frisona Italiana, originaria dell’Olanda oggi diffusa soprattutto nel nord Italia (Lombardia e Romagna) con elevata produzione di latte,
  • la Bruna Italiana, diffusa nell’Italia centro-meridionale,
  • la Pezzata Rossa Italiana, che fornisce un latte con un’alta percentuale proteica,
  • la Jersey, razza precoce in quanto i parti avvengono anche prima dei due anni di vita e con un latte ricco di grasso e proteine,
  • la Reggiana invece, allevata in provincia di Reggio Emilia, produce un latte adatto alla produzione del Parmigiano Reggiano.

 

Nelle bovine allevate per la produzione di latte, la lattazione è il periodo durante il quale l’animale viene munto e dura circa 10 mesi. Nei primi giorni dopo il parto la bovina produce il colostro, un liquido denso e giallognolo simile al latte, più ricco di anticorpi utili al vitellino appena nato.

Al termine di questo periodo si ha la produzione del latte che aumenta fino al secondo mese, per poi calare fino al momento dell’”asciutta”, cioè il periodo durante il quale l’animale non produce latte e recupera le sostanze perse durante la lattazione.

 

Composizione del latte di vacca

La composizione del latte e, di conseguenza, le sue proprietà variano in funzione di fattori genetici (razza) e fisiologici (ad esempio l’età e le differenze tra il colostro, il latte a fine lattazione e il latte in situazione di mastiti).

Influiscono anche i fattori ambientali (stagione, clima, altitudine), l’alimentazione (quantità e qualità degli alimenti) e i fattori tecnologici quali la mungitura e i trattamenti di conservazione.

Per avere un latte a maggior contenuto di grasso, si deve mungere due volte al giorno con un intervallo di tempo abbastanza costante.

 

Tecniche di produzione del latte di vacca

La pratica di mungitura deve seguire le normative igienico-sanitarie in vigore e le operazioni di raccolta del latte vengono solitamente svolte in una sala apposita (“sala mungitura”), separata dal resto dell’allevamento, per garantire una maggiore igiene.

 

Successivamente il latte viene posto in una cisterna dove viene filtrato e refrigerato (in modo da evitare la moltiplicazione dei germi presenti) e in seguito trasportato, mediante cisterne opportunamente refrigerate, allo stabilimento per il trattamento termico.

Il latte è un alimento facilmente deperibile ed attaccabile da microorganismi, durante tutta la filiera di produzione, per cui è necessario mantenere basse temperature per evitare lo sviluppo di batteri.

 

Il latte destinato al consumo alimentare subisce un trattamento di stabilizzazione (omogeneizzazione) prima di essere sottoposto al trattamento termico in quanto, i globuli di grasso nel latte lasciato a riposo, tendono ad affiorare e a formare uno strato superficiale di crema.

 

In base all’intensità del trattamento termico subito, il latte alimentare si differenzia in latte a breve conservazione (latte pastorizzato) e latte a lunga conservazione (latte UHT).

 

Latte pastorizzato e latte UHT

Durante la pastorizzazione si sottopone il latte a una temperatura di 72-75°C per 15-20 secondi in modo da distruggere i batteri patogeni, facendolo quindi raffreddare a 4°C per ritardare lo sviluppo dei saprofiti.

Il latte UHT (ultra high temperature) invece subisce un processo di sterilizzazione in quanto vengono usate alte temperature (130-150°C per 3-10 secondi) che distruggono tutte le forme microbiche. Viene poi lasciato raffreddare a temperatura ambiente e confezionato in contenitori sterili.

 

Tipologie di latte di vacca in commercio

Secondo la normativa italiana si può riportare sulla confezione la dicitura “fresco” per il latte trasportato in tempi brevi (meno di 48 ore) dall’azienda di produzione alla centrale dove viene pastorizzato e commercializzato.

 

Il latte può anche essere definito di “alta qualità” quando possiede un maggior quantitativo di proteine e grassi rispetto al latte convenzionale, dovuto al tipo di trattamento subito.

 

In commercio si trova anche il latte “ad alta digeribilità” privo di lattosio, il latte “fortificato” e/o arricchito in cui vengono aggiunte ad esempio fibre, vitamine e calcio, e il latte “aromatizzato” a cui sono aggiunti ingredienti come cioccolato o frutta, per insaporire il prodotto.

 

Il latte “microfiltrato” invece è un latte che viene sottoposto ad un processo di microfiltrazione abbinato al trattamento termico.

La microfiltrazione è una tecnica che permette la separazione della frazione proteica e di quella grassa ed è in grado di separare anche batteri e particelle estranee presenti nel latte. In seguito a questo trattamento il periodo di conservazione del latte risulta più lungo rispetto ad altre tipologie di latte.

 

Preparazione e Conservazione del latte UHT e pastorizzato

Il latte pastorizzato si può utilizzare fino a 4 giorni dopo la data di confezionamento, conservandolo in frigorifero.

 

Il latte sterilizzato UHT (ultra high temperature) invece, può essere consumato fino a 90 giorni dopo la data in cui è stato confezionato, se la confezione è rimasta chiusa, conservandolo a temperatura ambiente. Una volta aperto però deve essere consumato entro 3 o 4 giorni e deve essere posto in frigorifero.

 

Per entrambe le tipologie di latte si raccomanda di chiudere bene il contenitore dopo l’uso in modo tale da non alterarne le caratteristiche.

Si consiglia inoltre, se possibile, di non posizionarlo all’interno del frigorifero nella porta in quanto, ogni volta che esse viene aperta, viene esposto alla temperatura ambiente della cucina.



Fava

Fava

 

baccelli di fava

Famiglia: Fabaceae

Genere: Vicia

Specie: Vicia faba L.

 

Storia della fava

La fava (Vicia faba L. o anche Faba vulgaris) è una pianta annuale originaria del Nord Africa e della regione mediterranea utilizzata dall’uomo, in quest’area, già da tempi antichi.

 

In Italia la superficie di coltivazione attualmente dedicata alla fava è localizzata prevalentemente nelle regioni meridionali e insulari.

 

Varietà di fava

I semi contenuti nei baccelli di fava sono di colore verde o violaceo e, in base alla dimensione dei semi, si distinguono diverse varietà tra cui:

 

  • la fava grossa (Vicia faba maior), che presenta semi appiattiti e grossi impiegati per l’alimentazione umana,

 

  • il favino o fava piccola (Vicia faba minor), i cui semi sono utilizzati per l’alimentazione del bestiame, e

 

  • la favetta o fava cavallina (Vicia faba equina), caratterizzata da semi appiattiti di media grandezza che trovano impiego nell’alimentazione del bestiame e dell’uomo, sotto forma di granella fresca, inscatolata o surgelata.

 

Sul territorio italiano sono tutelate quattro varietà come Presidio da Slow food: la fava cottòra di Amerino (in Umbria), la fava cottoja di Modica, la fava di Carpino, varietà autoctona pugliese, e la fava larga di Leonforte in Sicilia (coltivata principalmente in Provincia di Enna).

Altre varietà diffuse in Italia sono la Precoce di Acuitania, la fava Acquadulce migliorata delle Cascine (toscana), la fava Miliscola (Camapania), la Sciabola verde, la Quarantina, la Reina bianca e la Super aguadolce.

 

Il consumo umano dei semi secchi si è ridotto negli ultimi decenni, mentre un’ampia diffusione ha avuto la granella immatura fresca o conservata in scatola o surgelata.

 

Proprietà nutrizionali della fava fresca e secca

tabella con i valori nutrizionali della fava fresca e secca
Tabella con i valori nutrizionali della fava fresca e secca

Valori nutrizionali della fava fresca e secca

Le fave possiedono un buon contenuto di proteine. 

Proprio per questo i legumi, tra cui le fave, sono stati definiti “la carne dei poveri” ed è consigliabile un’associazione con i cereali in quanto la composizione amminoacidica di queste due classi alimentari è complementare.

 

Nelle fave buono è anche il contenuto di carboidrati, principalmente sotto forma di amido e di fibra, presente maggiormente nella buccia.

L’apporto di lipidi invece è molto limitato.

 

Sono una buona fonte di ferro, e con interessanti livelli di calcio, sodio, potassio e fosforo.

 

Tra le vitamine è importante l’apporto di vitamine del gruppo B, soprattutto niacina e folati, e della vitamina C.

Se per le altre vitamine durante l’essicazione si mantiene sostanzialmente il loro contenuto iniziale, la vitamina C invece è maggiormente presente nelle fave fresche crude.

 

Le fave secche forniscono ovviamente un maggior apporto calorico rispetto a quelle fresche correlato al maggior apporto di macronutrienti (proteine, lipidi, carboidrati e fibra) e sali minerali.

 

Benefici della fava fresca e secca

Data la buona quantità di fibre, le fave possono influenzare positivamente la funzionalità intestinale aiutando inoltre a ridurre l’assorbimento di zuccheri e colesterolo.

 

Le fave sono composte da vitamine e minerali che apportano beneficio al corpo.

Nello specifico le vitamine del gruppo B favoriscono positivamente il metabolismo, la vitamina C ha funzione antiossidante e aiuta le difese immunitarie dell’organismo, mentre la vitamina A è utilizzata nei processi della visione e ha anche lei funzione antiossidante.

 

I benefici apportati dai minerali presenti nelle fave riguardano soprattutto il ferro che viene utilizzato per la produzione dei globuli rossi, il calcio e il fosforo che favoriscono la salute di ossa e denti, mentre il potassio aiuta a regolare la pressione arteriosa.

 

Un ulteriore beneficio è dato dalla L-Dopa che aiuta a mantenere in salute il cervello, tanto vero che la carenza di questa molecola è implicata in malattie come il Parkinson.

 

La porzione consigliata per le fave fresche o in scatola è di 150 grammi, corrisponde a circa mezzo piatto di fave.

Se si tratta di fave secche la porzione è di 50 grammi, che equivale a 3/4 cucchiai.

 

Una porzione di fave fresche contiene 218 µg di folati (ovvero di vitamina B9), ricoprendo così poco più della metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta, che corrisponde a 400 µg.

 

Il consumo di questo legume potrebbe essere inoltre utile in caso di gonfiore sottocutaneo o edema, possibili effetti avversi causati dal trattamento oncologico.

 

Interazioni della fava

Diversi problemi sono legati all’assunzione dei legumi.

Il primo riguarda l’aumento della flatulenza (per sviluppo di gas) intestinale, dovuto alla presenza di oligosaccaridi che vengono trasformati da batteri in quanto l’organismo umano non è in grado di digerirli.

 

Il secondo, noto come “favismo”, è correlato a una carenza congenita dell’enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD) essenziale per la vitalità dei globuli rossi.

Le fave, una volta ingerite, agiscono da “fattori scatenanti” in quanto inibiscono l’attività di questo enzima impoverendo ulteriormente i globuli rossi già carenti dell’enzima.

Nei soggetti affetti da favismo è quindi necessario evitare l’assunzione di fave.

 

Le fave inoltre possono interferire con l’assunzione del linezolid, un antibatterico ossazolidinonico. Infatti elevati livelli di tiramina contenuti in questo alimento potrebbero causare un aumento della pressione sanguigna.

 

Produzione e Tecnologia della fava

Caratteri botanici

La fava è una pianta annuale la cui altezza raggiunge il metro e mezzo di altezza, a rapido sviluppo.

 

Il baccello, dalla forma allungata, è di colore verde quando è immaturo, bruno quando è maturo e secco. All’interno sono presenti dai 2 ai 10 semi dalla forma ovale, di colore variabile dal verdognolo chiaro al bruno o violetto.

 

È una pianta che si adatta a diverse condizioni climatiche, teme però temperature inferiori a 0°C prediligendo climi temperati marittimi.

È necessaria una temperatura di 5-6 °C per la germinazione, di 8-10°C per la fioritura (il superamento dei 25°C causa invece la “colatura” dei fiori) e di 15-20°C per la maturazione.

 

Coltivazione della fava

La coltivazione della fava, nativa dell’area Mediterranea, si è diffusa in Australia, Bolivia, Cina, Ecuador, Egitto, Etiopia, Perù e Venezuela.

 

È seminata come coltura miglioratrice nell’avvicendamento del frumento.

La semina viene effettuata in genere tra ottobre e novembre nelle zone dell’Italia meridionale, tra febbraio e marzo in quelle settentrionali e la profondità di semina deve aggirarsi sui 3-5 cm.

 

Invece la raccolta avviene solitamente a metà giugno nell’Italia meridionale, alla fine di giugno in quella centrale e nella metà di luglio nell’Italia settentrionale per la semina primaverile.

 

Produzione della fava fresca e secca

La raccolta dei baccelli di fava da orto per il consumo fresco è condotta a mano.

I semi immaturi verdi, destinati ad essere inscatolati e surgelati, si raccolgono con macchine sgranatrici fisse o semoventi, quando hanno raggiunto il giusto grado tenderometrico (ovvero la resistenza del seme ad essere perforato da una punta).

Invece i semi secchi, bruni, vengono raccolti nei mesi estivi (giugno-luglio) quando la pianta è completamente secca con l’utilizzo di mietitrebbiatrici.

Le mietitrebbiatrici, nel caso della raccolta della fava grossa, portano ad un prodotto dai pessimi risultati qualitativi per la rottura dei semi, invece per il favino sono applicabili senza grosse difficoltà.

 

In seguito i semi secchi vengono lasciati essiccare e successivamente “battuti” in modo tale da separare le fave.

 

Per ottenere le fave sgusciate invece si prosegue effettuando un processo di decorticazione, eliminando la parte più esterna, ricca di nutrienti (oltre che di fibra) e ottenendo le fave di colore giallo.

 

Stagionalità della fava

Le fave sono di stagione nel periodo tra maggio e luglio.

 

Preparazione e Conservazione della fava fresca e secca

baccelli di fava, al momento dell’acquisto, devono presentarsi turgidi, dal colore brillante, senza macchie, lucidi e di forma regolare. 

L’indice di freschezza è lo schiocco dei baccelli di fava quando li si spezzano; se il baccello, tenuto per un’estremità si curva o si affloscia significa che la fava è vecchia.

 

La fava fresca può essere conservata in frigorifero a 4-6°C per 3-4 settimane, essiccata o congelata.

Prima di mettere le fave nel freezer è preferibile sbollentarle per circa tre minuti e lasciarle raffreddare.

 

In commercio le fave secche si trovano sia con la buccia che decorticate. L’eliminazione della buccia può essere effettuata anche manualmente prima o dopo la lessatura, praticando un taglio sul lato dell’occhio e schiacciando in modo da far fuoriuscire il seme.

 

Le fave secche, con buccia, prima della cottura devono subire un periodo di ammollo di 16-18 ore in acqua tiepida; quelle decorticate invece necessitano di un ammollo in acqua fredda di circa 8 ore.

In entrambi i casi, in seguito all’ammollo, il peso dei legumi raddoppia.

 

Per quanto riguarda i tempi di cottura, sono necessari 30 minuti in acqua bollente, che si riducono a una decina con la pentola a pressione.

 

Le fave fresche in cucina vengono utilizzate per la produzione di “fajane a frittedda” o come contorno; le fave secche vengono invece consumate lesse o come zuppa.



Ceci

Ceci

 

benefici dei ceci

Famiglia: Fabaceae

Genere: Cicer

Specie: Cicer arietinum L.

 

Storia dei ceci

I ceci sono i semi commestibili, contenuti nei baccelli, di una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Fabaceae (anche dette Leguminosae).

 

Originari dell’Asia occidentale nella regione oggi conosciuta come Turchia, si sono diffusi in India, Africa ed Europa.

 

L’India è il maggior produttore di ceci (il 67% della produzione mondiale, dato 2013); altri importanti produttori sono Pakistan, Turchia, Messico, Canada ed Australia.

In Italia la superficie di coltivazione è di 3500 ettari, localizzati soprattutto nelle regioni meridionali ed insulari.

 

I ceci sono il terzo legume più consumato al mondo, dopo fagioli e soia.

 

Tipologie di ceci

Esistono due principali varietà:

 

  1. quella occidentale, Kabull, tipica delle zone del Mediterraneo, Sud America e Sud-est asiatico, caratterizzata da una forma più grande e dal colore beige/giallognolo;
  2. quella orientale, Desi, presente maggiormente in India, Etiopia, Messico ed Iran che ha un diametro più piccolo e un colore tendente al rossastro.

 

Esiste anche una particolare varietà, coltivata prevalentemente nel bacino del Mediterraneo e in Italia nella zona della Murgia Materana e Barese, costituita da ceci neri, anche chiamati “ceci dal solco dritto”.

 

Proprietà nutrizionali dei ceci in scatola, secchi e della farina di ceci

tabella con i valori nutrizionali dei ceci in scatola, secchi e della farina di ceci
Tabella con i valori nutrizionali dei ceci in scatola, secchi e della farina di ceci

Valori nutrizionali dei ceci

I ceci sono un’ottima fonte di carboidrati, rappresentati prevalentemente da amido, proteine e fibra.

 

I legumi, tra cui i ceci, vengono infatti spesso chiamati “la carne dei poveri” e si consiglia di consumarli in associazione con i cereali in quanto la composizione amminoacidica di queste due categorie è complementare.

 

Come si può notare in tabella, i ceci secchi crudi e la farina di ceci presentano quantitativo più elevato di carboidrati, fibra e proteine a fronte di un ridotto contenuto di acqua. L’apporto di grassi è invece minimo.

 

Entrambi inoltre hanno un contenuto nettamente superiore di sali minerali quali calcio, potassio e fosforo rispetto ai ceci in scatola, che sono più ricchi in sodio.

Risulta meno evidente la differenza dell’apporto di ferro (i ceci ne sono una buona fonte) e zinco.

 

Le vitamine invece maggiormente presenti sono quelle del gruppo B, soprattutto folati, di cui i ceci sono un’ottima fonte, anche se è importante ricordare che con la cottura viene persa una grande parte di queste vitamine.

 

Con la cottura, ovvero ceci secchi cotti e ceci in scatola, si assiste ad una diminuzione della concentrazione di carboidrati, proteine, fibra e sali minerali a parità di peso, in quanto i prodotti cotti risultano più ricchi di acqua. Il sodio risulta più elevato nei ceci in scatola a causa del liquido di governo, composto principalmente da acqua e sale (cloruro di sodio).

 

Un problema legato all’assunzione dei legumi riguarda il fenomeno della flatulenza dovuta alla presenza di oligosaccaridi che, non venendo assorbiti dall’organismo, fermentano nell’intestino dove i batteri li idrolizzano e metabolizzano, portando così alla formazione di gas.

 

Benefici dei ceci

La fibra presente conferisce all’alimento proprietà sazianti e favorisce il transito intestinale.

Ricordiamo inoltre che una porzione di ceci secchi soddisfa un quarto dell’assunzione giornaliera raccomandata di fibra.

 

La porzione consigliata per i ceci secchi è di 50 grammi, che equivale a 3-4 cucchiai, invece per i ceci freschi o in scatola è di 150 grammi, corrispondente a circa mezzo piatto o una scatola piccola.

 

I ceci, non contenendo glutine, sono indicati per l’alimentazione dei celiaci.

 

Il consumo di questo alimento può essere utile in caso di anemia sideropenica o di alterazioni del gusto, effetti avversi legati alle terapie oncologiche.

 

Produzione e Tecnologia dei ceci

Caratteri botanici della pianta del cece

Il cece è una pianta annuale dotata di una radice ramificata e profonda che permette alla pianta di resistere bene alla siccità, privilegiando climi caldo-asciutti.

 

Non tollera invece livelli eccessivi di umidità e resiste poco al freddo; infatti, nell’area del Mediterraneo, si semina a fine inverno, verso marzo, e si raccoglie tra luglio e agosto. Solo nei Paesi caratterizzati da un inverno molto mite, quali India, Egitto e Messico, la semina avviene in autunno.

La temperatura ottimale di germinazione è compresa tra i 15-30°C.

 

Coltivazione del cece

Per la coltivazione del cece si cercano di evitare suoli salini o calcarei, che rendono la granella più resistente ed impermeabile e quindi a cottura più difficoltosa.

Per la semina vengono utilizzate le seminatrici da frumento o di precisione.

 

La raccolta meccanica del cece può avvenire in due modi.

Con la prima modalità si estirpano le piante a mano e per la successiva sgranatura si utilizzano mietitrebbiatrici provviste di organi raccoglitori detti “pick-up”.

La seconda modalità invece consiste nell’utilizzo di mietitrebbiatrici che mietono e trebbiano in un unico passaggio.

 

Produzione del cece

Una volta raccolta, la granella di cece viene immagazzinata senza particolari problemi di conservazione purché presenti un contenuto di umidità compreso tra il 10 e il 12%.

Se in seguito alla raccolta si hanno valori di umidità superiori è necessario utilizzare sistemi a ventilazione forzata per riportarli a livelli adeguati di umidità, evitando però essicazioni troppo repentine per non danneggiare la qualità del prodotto.

 

In commercio si trovano i ceci secchi crudi che, in seguito alla raccolta, vengono lasciati essiccare al sole e successivamente setacciati.

 

Quelli in scatola invece, dopo la raccolta, vengono scottati in acqua bollente ed inseriti in contenitori di vetro o scatole di banda stagnata con macchine riempitrici più o meno automatiche. In seguito, ad una temperatura superiore agli 85°C, si addizionano acqua e sale (ed eventualmente altri ingredienti).

I contenitori vengono quindi chiusi ermeticamente e sterilizzati a temperature superiori ai 100°C per un tempo che può variare dai 10 ai 60 minuti, secondo il formato e il materiale utilizzato per il confezionamento.

Infine, per ottenere un prodotto di buona qualità, è buona norma raffreddare rapidamente le confezioni, fino a quando il prodotto non abbia raggiunto una temperatura di circa 40°C.

 

La farina di ceci invece viene ottenuta dalla macinazione dei ceci essiccati e può essere utilizzata per preparare la farinata o la panissa, prodotti tipici liguri, le panelle siciliane o la cecina toscana. Viene anche utilizzata in sostituzione della farina di grano nella produzione di pane, pasta e prodotti da forno.

 

Stagionalità dei ceci

I ceci secchi o in scatola si trovano sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione dei ceci

In commercio si trovano ceci essiccati o in scatola.

 

Quelli in scatola, dopo un veloce risciacquo per eliminare il sale in eccesso, sono pronti per il consumo diretto o per un’ulteriore cottura.

Quelli essiccati invece devono essere posti in ammollo per un periodo di tempo che va dalle 6 alle 12 ore in una quantità adeguata di acqua tiepida. Tale operazione effettuata con il bicarbonato sembra contribuire a ridurre i fastidi intestinali.

 

La cottura deve iniziare in acqua fredda e proseguire a fuoco lento, da una a tre ore con coperchio.

È importante cuocere a dovere i ceci per non incorrere in problemi a livello digestivo; infatti il tempo di cottura sembra contribuire a ridurre i fastidi intestinali.

 

Inoltre, in seguito alle operazioni di ammollo e cottura, i ceci raddoppiano il loro volume e, con un tempo di cottura prolungato, la biodisponibilità di ferro aumenta.

 

Una volta cucinati possono essere conservati in frigorifero per 4 o 5 giorni in un contenitore chiuso ermeticamente.

 

Le proposte di ricette di FBO con i ceci



Caffè

Caffè

 

tipi di caffè

Famiglia: Rubiaceae

Genere: Coffea

Specie: Coffea arabica

 

Storia del caffè

Il caffè deriva da specie appartenenti alla famiglia delle Rubiaceae che comprende circa 500 generi e 6000 specie, molte delle quali tropicali.

 

Le origini del caffè si fanno risalire agli altopiani dell’Etiopia, da cui, probabilmente per via commerciale, fu portato in Arabia dove la sua coltivazione conobbe il primo successo.

 

Nei primi periodi i semi di caffè venivano schiacciati e lasciati fermentare.

Da questo trattamento si otteneva una sorta di bevanda chiamata qahwa che probabilmente rappresenta la radice del nome caffè. Fu in Etiopia che si inventò la pratica della torrefazione.

 

Attualmente la produzione mondiale di caffè supera 7 milioni di tonnellate.

Le maggiori produzioni sono in Africa (Costa d’Avorio, Etiopia e Kenya), in America Centrale (Messico, Guatemala, Costa Rica e Repubblica Domenicana), in America del Sud (Colombia, Brasile e Venezuela) e in Asia (Vietnam, Indonesia, India, Filippine e Laos).

 

La maggior parte di questi paesi esporta gran parte del prodotto nei paesi industrializzati, forti consumatori di caffè nelle sue differenti forme.

 

La trasformazione (torrefazione, liofilizzazione e decaffeinizzazione) richiede tecnologie avanzate ed in genere non viene operata nei paesi produttori.

 

Tipi di caffè

La classificazione botanica del genere Coffea è complicata dalla grande variabilità genetica delle piante e dei semi.

 

Le due specie economicamente più importanti sono Coffea arabica, che rappresenta circa il 70% della produzione mondiale e Coffea canephora, definita generalmente Robusta. Altre due specie coltivate in piccola scala sono Coffea liberica e Coffea dewevrei.

 

In commercio è possibile trovare confezioni sotto vuoto di caffè di varie miscele, in grani o in polvere. Sono inoltre commercializzate confezioni di caffè decaffeinato e caffè solubile. È ampiamente diffusa anche la vendita di caffè in cialde, da utilizzare in apposite macchine.

 

Proprietà nutrizionali dei vari tipi di caffè

tabella con i valori nutrizionali di vari tipi di caffè: crudo, tostato, decaffeinato, solubile, moka
Tabella con i valori nutrizionali di vari tipi di caffè: crudo in grani, tostato macinato, decaffeinato tostato macinato, solubile in polvere, moka in tazza

Valori nutrizionali dei vari tipi di caffè

Dai dati riportati in tabella si può notare come la composizione chimica del caffè varia notevolmente in seguito al processo di torrefazione e con la preparazione della bevanda.

 

Le proteine del caffè sono soggette a sensibili cambiamenti durante la torrefazione in quanto le elevate temperature ne causano la degradazione.

 

Anche la maggior parte dei carboidrati complessi, presenti nel caffè verde (cellulose e polisaccaridi insolubili) vengono degradati durante il processo di torrefazione con liberazione di carboidrati solubili.

 

La frazione lipidica del caffè non risente particolarmente della torrefazione e i principali acidi grassi presenti nei chicchi sono l’acido linoleico (C18:1) e il palmitico (C16).

 

Il caffè rappresenta la principale fonte di acido clorogenico nella dieta di molti paesi.
È una molecola della classe dei cinnamati coniugati, ed è contenuto nel caffè verde dal 6 al 10% sul secco, in relazione alla specie e alla varietà.

Sono inoltre presenti acido ferulico e cumarico liberi.

 

L’acido clorogenico viene degradato con la torrefazione e rapportando la concentrazione dei suoi sottoprodotti con quella della caffeina è possibile stimare il grado di torrefazione del caffè.

La caffeina è presente in percentuali diverse nelle due principali varietà di caffè, nel Robusta raggiunge anche percentuali superiori al 4% mentre nell’Arabica è compresa fra lo 0,8 e il 2,5%.

 

Il caffè è caratterizzato da un aroma complesso determinato da più di 650 componenti appartenenti a una grande varietà di classi molecolari differenti (idrocarburi, alcoli, chetoni, aldeidi, ammine, …). Molti di questi composti volatili derivano dalla degradazione termica di molecole non volatili presenti nel caffè verde.

Le varietà Arabica sono caratterizzate da un aroma delicato e ricco, mentre quelle Robusta hanno un aroma forte e aspro.

 

Benefici dei vari tipi di caffè

Sarebbe meglio non bere il caffè molto caldo, così come altre bevande, in quanto le alte temperature sembrerebbero essere le responsabili dell’insorgenza del tumore dell’esofago secondo uno studio dello IARC.

D’altro canto il consumo regolare di caffè potrebbe essere un fattore protettivo per il tumore del fegato e dell’endometrio e potrebbe apportare benefici al sistema vascolare.

 

Si possono consumare fino a 4-5 tazzine al giorno, dose con cui difficilmente si supera l’apporto di 400 mg di caffeina, limite ritenuto sicuro per gli adulti sani sulla base delle evidenze disponibili.

 

Per le donne in gravidanza e allattamento è ideale ridurre il consumo di caffeina a 2 tazzine al giorno, in quanto la soglia di sicurezza scende a 200 mg al giorno.

 

Interazioni dei vari tipi di caffè

Il consumo di caffè dovrebbe essere limitato se si assumono determinati farmaci. La caffeina infatti potrebbe interferire con:

  • i farmaci broncodilatatori (salbutamolo, teofillina), aumentando la probabilità di effetti collaterali come eccitabilità, nervosismo e tachicardia;
  • l’alendronato, farmaco usato per l’osteoporosi, andando ad interferire con il suo assorbimento;
  • gli antibatterici chinolonici (ciprofloxacina, levoflaxacina, moxifloxacina), in quanto la caffeina potrebbe accumularsi nell’organismo;
  • il linezolid, antibatterico ossazolidinonico, poichè gli elevati livelli di tiramina presenti nella bevanda potrebbero causare un aumento della pressione del sangue;
  • i farmaci antipertensivi, in quanto la caffeina rischia di rimanere in circolo per lungo tempo.

 

Se si assume la clozapina, un antipsicotico, bisognerebbe evitare il consumo di caffeina in quanto la quantità di farmaco presente nel sangue potrebbe aumentare causando effetti collaterali.

Il consumo di caffè inoltre è controindicato se si soffre di ipertiroidismo e glaucoma.

 

Il caffè è in grado di ridurre l’efficacia degli integratori a base di ferro.

 

Produzione e Tecnologia dei vari tipi di caffè

Caratteri botanici della pianta di caffè

Tutte le specie sono legnose, variando da piccoli arbusti ad alberi che possono raggiungere 10 metri di altezza, se spontanei.

Il colore delle foglie è variabile in relazione alla specie (giallastro, verde scuro, porpora).

 

Produzione del caffè

Il primo trattamento dei frutti, raccolti a piena maturazione, è volto a liberare i semi dalla polpa mucillaginosa (mesocarpo), farli fermentare ed essiccare.

Il processo definito come “fermentazione estrattiva” può essere effettuato con due metodi differenti, a secco e a umido (caffè lavato).

 

Il metodo secco, detto anche naturale, è il più vecchio e semplice: si tratta dell’essicazione del frutto intero.

Il metodo umido richiede l’utilizzo di particolari attrezzature e di molta acqua e, se ben effettuato, permette di valorizzare le proprietà organolettiche del prodotto.

 

Il processo di fermentazione è dovuto a microrganismi che naturalmente contaminano i frutti e i semi del caffè; non si utilizzano starter. La durata può variare notevolmente in base al grado di maturazione, al clima, alla varietà; in genere varia da poco meno di un giorno a 100 ore.

 

Successivamente i grani di caffè verdi o color terra vengono torrefatti a temperature comprese fra i 200 e i 250°C. Questo processo influisce molto su dimensioni, colore e aroma del caffè.

 

Quando si raggiungono i 100°C inizia il fenomeno dell’imbrunimento, accompagnato dal rigonfiamento del chicco.

La fase di decomposizione inizia a 180-200°C con la fessurazione del solco mediano dei chicchi e il rilascio dell’aroma.

Nell’ultima fase si ha la caramellizzazione e la riduzione finale del tasso di umidità a circa 1-3%.

 

Il giusto grado di torrefazione del caffè è dovuto all’esperienza, alle caratteristiche delle varietà di caffè ed a quelle degli impianti utilizzati, che possono trasmettere il calore per contatto (tempi lunghi, 20-50 minuti) o per convenzione/contatto, tecnica che permette di accorciare i tempi fino a 5-6 minuti. L’over-roasting e la bruciatura sono evitati raffreddando velocemente i chicchi giunti al giusto grado di tostatura.

 

Il caffè torrefatto viene poi miscelato (in chicchi o macinato); in genere si preparano miscele di 3-8 differenti varietà (torrefatte singolarmente), ognuna conferente un carattere particolare alla miscela (corpo, pienezza, robustezza, delicatezza).

 

L’aroma e il confezionamento del caffè

Il flavour del caffè permane integro più a lungo se è conservato a basse temperature e in assenza di ossigeno.

La principale causa dell’alterazione è infatti dovuta all’ossidazione diretta, per azione dell’ossigeno dell’aria, o indiretta, per azione di perossidi che si sono formati a loro volta per ossidazione della frazione lipidica.

 

Il deterioramento più veloce avviene nel caffè macinato, in quanto la superficie a contatto con l’aria è più estesa. Una volta macinato il caffè, infatti, si ossida facilmente e perde le sue caratteristiche organolettiche, irrancidisce e diviene amaro.

 

Per assicurare al consumatore un prodotto che conservi inalterate le sue caratteristiche sono stati messi a punto metodi ad alta tecnologia, come il confezionamento sotto vuoto o in atmosfera modificata, che garantiscono al caffè in grani o in polvere una maggior conservazione nel tempo ed il mantenimento delle sue proprietà organolettiche.

 

Preparazione e Conservazione dei vari tipi di caffè

Mentre il caffè verde si preserva a lungo se ben conservato (fino a due anni), il torrefatto mantiene le sue caratteristiche organolettiche per circa tre mesi.

 

Esistono diversi modi per preparare il caffè, inteso come bevanda: alla turca (decotto), alla francese (decotto, infuso) e all’italiana (moka, espresso). Ciascun metodo si differenzia per l’uso di apparecchiature specifiche e per il tempo di contatto con l’acqua, modificando quindi l’estrazione delle componenti solubili.

Il caffè alla turca viene preparato come decotto, lasciando decantare il particolato di caffè sul fondo.

 

Il metodo per filtrazione (ancora utilizzato in Francia) sfrutta la cosiddetta caffettiera a pistone. Tutte le apparecchiature che funzionano permettendo all’acqua calda di passare attraverso il caffè macinato posto in un filtro, si basano sul principio della percolazione sotto pressione (caffettiera a pressione, moka, macchine per espresso professionali).

 

Nella moka si riempie la parte inferiore di acqua ed il caffè nel filtro, posto fra il compartimento inferiore e quello di raccolta. L’acqua si innalza per effetto della pressione di vapore e attraverso il filtro arriva nel compartimento superiore, trasformata in bevanda.

 

Nelle macchine per espresso professionali la pressione emulsiona gli oli ed i colloidi del caffè, permettendo di ottenere una bevanda corposa, aromatica e ricoperta da una crema che persiste per qualche minuto.

 

Dal punto di vista compositivo il caffè “lungo” e quello ottenuto con la moka rispetto contengono concentrazioni di caffeina maggiori rispetto all’espresso normale o “ristretto”, in ragione del maggior tempo di contatto con il solvente di estrazione (acqua o vapore d’acqua).



Aglio

Aglio

 

aglio proprietà

Famiglia: Liliaceae

Genere: Allium

Specie: Allium sativum

 

Storia dell’aglio

L’aglio è una pianta appartenente alla famiglia delle Liliaceae, originaria dell’Asia centrale, già utilizzata dagli antichi Egizi e successivamente dai Greci, dai Romani, dai Cinesi e dagli Indiani.

 

Si tratta di un ortaggio costituito da un bulbo, detto anche testa, suddiviso in spicchi ed avvolto da tuniche.

 

Tipologie di aglio

Esistono tre tipologie di aglio, distinte in base al colore delle tuniche:

 

  • bianco,
  • rosa,
  • rosso; quest’ultimo è caratterizzato da un ciclo di vita più breve (circa tre settimane) e da bulbi più grossi.

 

Riconoscimenti e Presidi dell’aglio

Alla tipologia “aglio bianco” appartengono la DOP ”Aglio Bianco Polesano”, la DOP ”Aglio Bianco di Voghiera”, e l’IGP ”Aglio Bianco Piacentino”.

Fanno parte invece della tipologia “aglio rosso” l’”Aglio Rosso di Sulmona” e l’”Aglio Rosso di Nubia”, Presidio Slow Food.

 

L’ ”Aglio Bianco Polesano” viene coltivato nella Provincia di Rovigo, zona in cui viene raccolto il 60% del prodotto nazionale. Questa tipologia di aglio si contraddistingue per il colore bianco lucente, la forma del bulbo, l’elevata resa in sostanza secca (che lo rende facilmente conservabile) e il particolare aroma, che risulta meno pungente e più persistente.

 

L’ ”Aglio Bianco di Voghiera”, che viene prodotto in Provincia di Ferrara, ha come caratteristiche peculiari il colore bianco luminoso, il bulbo di grandi dimensioni, rotondeggiante, regolare, composto da bulbilli perfettamente uniti tra loro e la grande serbevolezza.

 

L’ ”Aglio Bianco Piacentino” è caratterizzato da un buon aroma, un sapore gradevole e una buona conservabilità. Il bulbo e le tonache che avvolgono ogni bulbillo devono essere completamente secchi e di colore bianco; il sapore è acre.

 

L’”Aglio Rosso di Sulmona” è un ecotipo coltivato in Provincia dell’Aquila, in Valle Peligna. L’ultima tunica protettiva del bulbillo è di un colore rosso acceso, mentre le tuniche esterne sono bianche.

 

L’”Aglio Rosso di Nùbia” viene invece coltivato nei comuni di Paceco, Trapani, Erice, Marsala e Salemi. Questo aglio presenta un bulbo costituito mediamente da dodici bulbilli, tuniche esterne bianche e interne di colore rosso vivo. Ha un sapore particolarmente intenso dovuto al suo contenuto in allicina, nettamente superiore alla media.

 

L’aglio può essere commercializzato fresco, semisecco o secco.

 

Proprietà nutrizionali dell’aglio

tabella con i valori nutrizionali dell'aglio

Valori nutrizionali dell’aglio

L’aglio in polvere è una buona fonte di potassio e fornisce un discreto apporto di fosforo e calcio.

 

L’odore caratteristico dell’aglio è dovuto alla presenza di composti organici dello zolfo quali l’alliina ed i suoi derivati, allicina e disolfuro di diallile.

Particolarmente responsabile dell’aroma tipico e del sapore intenso è l’allicina che viene liberata, a partire dall’alliina, ad opera dell’enzima allinasi.

 

Benefici dell’aglio

L’allicina sembra avere potenziali utilizzi in ambito medico grazie al suo effetto antitrombotico, antinfiammatorio e antiossidante.

Secondo recenti studi inoltre sarebbe anche comparabile all’antibiotico contro l’Helicobacter Pylori, batterio Gram negativo responsabile di ulcere e gastriti allo stomaco (fino allo sviluppo di tumori).

 

Oltre all’allicina l’aglio contiene altre sostanze, caratterizzate da attività antibatteriche, come la garlicina.

 

Interazioni dell’aglio

Il consumo di aglio potrebbe interferire con l’assunzione degli anticoagulanti (come eparina e warfarin).

 

Produzione e Tecnologia dell’aglio

Caratteri botanici dell’aglio

L’aglio è una pianta erbacea perenne, alta fino a un metro e coltivata in tutto il mondo.

 

Gli spicchi o bulbilli presentano la faccia dorsale convessa. A gruppi di 5-20 sono inseriti direttamente sul fusto, detto cormo, formando così il bulbo che è conosciuto anche come capo o testa.

Questo è avvolto da una serie di foglie metamorfosate, dette tuniche sterili, che hanno una funzione protettiva.

Il peso medio di un bulbo può andare da un minimo di 20 g a un massimo di oltre 150 g.

 

Produzione dell’aglio

La raccolta, manuale o meccanica, avviene nel mese di maggio per l’aglio fresco oppure nei mesi di giugno-luglio per l’aglio lasciato essiccare parzialmente sui campi.

 

In seguito alla raccolta l’aglio viene lasciato sul campo al sole per una prima essicazione e successivamente viene portato presso le aziende agricole per l’essicazione definitiva.

Successivamente viene posto in piccole cataste e sistemato in appositi locali, per essere avviato ai siti di conservazione e condizionamento.

 

La conservazione avviene in un luogo fresco e ventilato in cassette o appesi intrecciati nelle tipiche “reste”.

Nei magazzini la temperatura deve essere di 0°C e con un contenuto di umidità relativa del 70%; gli ambienti a temperatura controllata permettono di mantenere inalterata la qualità dell’aglio e, se l’ambiente è ben secco, si possono conservare anche per 6-7 mesi.

 

I bulbi vengono quindi ripuliti dalle tuniche esterne, dalle foglie e dalle radici.

Sul mercato viene immesso sotto forma di trecce e treccioni, grappoli e grappoloni, confezioni retinate e sacchi aventi un numero di bulbi variabile.

 

In commercio si riscontrano varie tipologie di aglio:

  • fresco/verde che presenta radici di colore biancastro, stelo verde rigido al colletto e tunica esterna del bulbo ancora allo stato fresco; il bulbo è esternamente di colore bianco-bianco avorio e può presentare striature di colore rosato.

 

  • semisecco con radici e stelo di colore biancastro. Quest’ultimo, insieme alla tunica esterna del bulbo, si presenta non completamente secco; il bulbo esternamente è di colore bianco-bianco avorio e può presentare una striatura rosata.

 

  • secco che presenta radici di color avorio, stelo di colore biancastro con consistenza più fragile che, come avviene per la tunica esterna del bulbo, appare completamente secco.

 

Stagionalità dell’aglio

Il prodotto fresco è reperibile nei mesi estivi (da maggio ad agosto), mentre quello secco si può trovare tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione dell’aglio

Le categorie di aglio in commercio sono: “extra”, “I” e “II”.

Per rientrare nella categoriaextra” il prodotto deve avere un calibro minimo di 45 mm, un bulbo intero, serrato, di forma regolare e ben pulito.

Per la categoriaI” il calibro dev’essere minimo di 40 mm, il bulbo intero, sufficientemente serrato e di forma sufficientemente regolare; sono ammesse solamente piccole lacerazioni della tunica esterna del bulbo.

Nella categoriaII” rientra il prodotto che presenta i seguenti difetti: lacerazioni o assenza di parti della tunica esterna del bulbo, lesioni cicatrizzate, contusioni, forma irregolare e assenza di massimo 3 bulbilli.

 

L’aglio fresco si conserva a temperatura ambiente in un contenitore semichiuso al riparo dalla luce in un luogo fresco. A seconda della varietà e dell’età, le teste di aglio si mantengono fresche da 2 settimane a 2 mesi.

 

Questo ortaggio viene usato fin dall’antichità per insaporire insalate o aggiunto a sughi, stufati, piatti di pesce e verdure.

È consigliabile tagliare o sminuzzare l’aglio poco prima di iniziare la preparazione del piatto e cuocerlo per massimo 10 minuti, in quanto l’allicina si degrada rapidamente e con il calore.