Alloro

Alloro

 

alloro benefici

Famiglia: Lauraceae

Genere: Laurus

Specie: L. nobilis

 

Storia dell’alloro

L’alloro, chiamato anche lauro, deriva dal celtico “lawur” che tradotto significa verdeggiante dovuto alla caratteristica delle foglie resistenti; l’albero, infatti, è un sempreverde e appartiene alla famiglia delle Lauraceae.

 

La pianta è originaria dell’Asia Minore, dalle parti meridionali dell’Europa e dell’area mediterranea. In queste zone è ampiamente coltivato perché vi cresce spontaneo.

 

Tipologie di alloro

Abbiamo due tipi principali di piante di alloro: il Laurus nobilis Aurea e Angustifolia.

 

Il primo ha foglie di colore dorato, appuntite e non devono essere sottoposte a vento gelido o pieno sole perché queste condizioni climatiche potrebbero danneggiarle.

Il secondo invece presenta “foglie dalla forma di salice” ed è più resistente a climi freddi o di pieno sole rispetto al Laurus nobilis Aurea.

 

Proprietà nutrizionali dell’alloro

tabella con i valori nutrizionali dell'alloro

Valori nutrizionali dell’alloro

La resa e la composizione dell’alloro sono influenzate da fattori come l’ambiente di crescita, la stagione del raccolto o il metodo di estrazione.

 

Alcune analisi fitochimiche hanno dimostrato la presenza di composti di oli volatili e non volatili, flavonoidi, tannini, alcoli, alcaloidi, minerali e vitamine.

 

L’alloro presenta un buon contenuto di calcio, che è il minerale principale, e poi a seguire potassio, fosforo, ferro, sodio e zinco.

 

Tra le vitamine spicca invece il beta carotene, carotenoide precursore della vitamina A (retinolo) liposolubile e sensibile sia alla luce che al calore.

 

Benefici dell’alloro

L’alloro, in particolar modo le foglie, è ricco di proprietà antisettiche e digestive favorendo la digestione, riducendo gli spasmi e combattendo l’astenia.

Nelle foglie c’è anche il cineolo, un olio essenziale che gode di proprietà terapeutiche antibatteriche e antifungine.

 

Il consumo di alloro apporta benefici sia a occhi che a pelle e mucose grazie all’elevato contenuto di betacarotene, pigmento vegetale che è dotato anche di attività antiossidante, utile a combattere la formazione di radicali liberi.

L’incremento degli effetti benefici del betacarotene si verificano con l’assunzione contemporanea di vitamina Cvitamina E e zinco.

 

Il contenuto di ferro nell’alloro è tale per cui 2 cucchiai di foglie secche macinate soddisfano circa il 40% del fabbisogno giornaliero di un uomo adulto. 

 

L’alloro, così come tutte le spezie e le erbe aromatiche, può aiutare a ridurre il consumo di sale, senza rinunciare al gusto.

Il consumo di sale, infatti, dovrebbe non superare i 5 g al giorno e ridurne il suo utilizzo è un fattore protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari.

 

Interazioni dell’alloro

Il consumo di alloro potrebbe interferire con l’azione di farmaci sedativi.

 

Produzione e Tecnologia dell’alloro

Caratteri botanici dell’alloro

L’alloro si presenta come un arbusto che può diventare un albero alto anche 10 metri; la corteccia è liscia, verde nei rami giovani e grigio-nerastra nel tronco e nei rami più vecchi.

 

Si tratta di una pianta dioica, cioè che da fiori unisessuali in due piante diverse, una con i fiori maschili di colore giallastro e una con i fiori femminili di colore bianco o giallo scuro.

Il frutto è una drupa detta “agura”, caratterizzato da bacche ovali, nere quando mature e con un solo seme.

 

Le foglie appaiono lucide, col margine leggermente ondulato e sono molto aromatiche; la pagina superiore presenta un colore verde, lucido e scurissimo, mentre quella inferiore è più opaca.

Osservandole controluce, è possibile notare dei puntini traslucidi che corrispondono alle ghiandole in cui è contenuta una piccola percentuale di olio essenziale.

 

L’alloro cresce bene con le temperature tipiche delle regioni del Mediterraneo, anche se si adatta facilmente a diverse situazioni ambientali purché sia al riparo da zone areate. Non ha bisogno di molta acqua e infatti i ristagni idrici sono la principale causa di morte della pianta.

 

Coltivazione dell’alloro

La moltiplicazione dell’alloro può avvenire in diversi modi. Per seme, grazie agli uccellini che predano i frutti e diffondono i semi; per polloni, cioè tramite un germoglio che viene prodotto direttamente dal colletto della radice della pianta madre e che contiene in sé una piantina identica alla madre: in questo modo si produrrà una nuova pianta uguale alla preesistente. Infine anche per talea, ovvero artificialmente.

 

La moltiplicazione per seme garantirà una maggiore variabilità genetica, anche se i caratteri delle piante possono cambiare leggermente; mentre se si intende ottenere una pianta ben precisa è meglio ricorrere alla moltiplicazione per talea.

 

La coltivazione dell’alloro comincia con la semina dei semi. Questi devono essere scarnificati (cioè privati della loro parte esterna), subito dopo piantati e posti in vasi con terriccio.

Una volta che le piantine si sono sviluppate devono essere trapiantate in vasi di dimensioni più grosse o si devono porre in terra in una zona esposta al sole.

 

Produzione dell’alloro

Le foglie di alloro si possono raccogliere in tutti i periodi dell’anno, generalmente si usano fresche, ma è possibile essiccarle, lasciandole sui rami in un luogo ombroso e ventilato.

Una volta secche, potranno essere riposte in vasi di vetro muniti di coperchio.

 

I frutti si raccolgono in autunno, quando hanno raggiunto la completa maturazione; si essiccano al sole o in forno, a temperatura non troppo elevata.

 

Stagionalità dell’alloro

Le foglie di alloro sul mercato si trovano tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione dell’alloro

Le foglie fresche di alloro vengono utilizzate per aromatizzare vari piatti di carne e pesce o per insaporire verdure e funghi sott’olio e sott’aceto.

In cucina si ricorre anche alle foglie di alloro essiccate, ricordandosi però di sbriciolarle prima di utilizzarle in modo tale che l’aroma e i principi passino ai condimenti.

 

I frutti essiccati invece sono utilizzati per la produzione del liquore laurino.

 

Per conservare in modo ottimale l’alloro conviene riporlo in luoghi al riparo dalla luce e dall’umidità.

 

La pianta dell’alloro oltre ad essere utilizzata nelle ricette, può essere utilizzata a scopo ornamentale e per profumare gli ambienti.



Cacao

Cacao

 

tipi di cacao

Famiglia: Sterculiaceae

Genere: Theobroma

Specie: T. cacao

 

Storia del cacao

Il Theobroma cacao, soprannominato “cibo degli dei“, è un albero originario dell’Amazzonia.

 

Cresce nelle zone ombrose delle foreste tropicali pluviali e oggigiorno è coltivato da circa sei milioni di agricoltori in tutto il mondo.

 

Le fave di cacao sono le principali fonti di materia prima per industrie che producono cioccolato e prodotti dolciari annessi; per la realizzazione di questi ultimi è possibile utilizzare dei sottoprodotti ottenuti dalla pianta come il burro e la polvere.

 

Tra i maggiori produttori di fave di cacao troviamo al primo posto le Americhe seguite dall’Asia e dall’Oceania.

Altre regioni come le Malesia, le Filippine e lo Sri Lanka hanno un enorme potenziale di coltivazione del cacao, tuttavia la produzione rimane ancora piuttosto bassa.

 

Tipi di cacao

Le varietà principali del Theobroma cacao sono tre:

 

  • il Criollo® è la varietà più pregiata di cacao. Questo perchè la pianta del criollo è sensibile agli attacchi dei parassiti e di conseguenza il seme che si ottiene è raro e con basse rese. La coltivazione di questo cacao è incentrata principalmente in Venezuela, Colombia e Perù.

 

  • il Forastero® è molto più diffuso ma meno prelibato del Criollo. La diffusione del Forastero si concentra soprattutto in Africa.

 

  • il Trinitario® ibrido tra i primi due. Conserva l’aroma del Criollo e l’alto tasso di produzione e adattabilità del Forastero.

 

Proprietà nutrizionali del cacao

cacao tabella ok
Tabella con i valori nutrizionali di burro di cacao, polvere di cacao amaro e cioccolato fondente

Proprietà nutrizionali del cacao

Dal cacao si ricavano diversi prodotti come il burro di cacao, la polvere e il cioccolato.

 

Tutti loro sono caratterizzati da una bassissima quantità di acqua che ne consente una maggiore conservazione.

Il burro di cacao è formato quasi totalmente da lipidi e apporta all’incirca 900 kcal per 100 grammi di prodotto. La polvere di cacao invece ha meno kcal a parità di prodotto ma è una buona fonte di potassio, sodio e fosforo.

 

Tra i componenti del cacao ci sono le metilxantine: teobromina e caffeina (la prima è maggiormente presente rispetto alla seconda). Queste hanno effetti fisiologici notevoli, tanto vero che, proprio grazie alla loro azione, il cioccolato viene considerato un alimento funzionale.

 

Tra tutti i tipi di cioccolato, il maggior contenuto di polifenoli si trova in quello fondente (cacao minimo 45%).

Quello bianco invece, non contenendo cacao ma solo una miscela di burro di cacao, latte e zucchero, tecnicamente non potrebbe nemmeno essere definito cioccolato.

 

Benefici del cacao

La teobromina ha effetti stimolanti sul sistema nervoso centrale, sul controllo dell’umore, aumenta i livelli di eccitazione, promuove stimolazione diuretica, ha proprietà cardiocinetiche e vasodilatatorie oltre ad avere buoni effetti per la cura dell’asma.

Questa metilxantina, assieme a quercetina, catechine e procianidine, sembrano essere in grado di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari andando a diminuire la pressione.

 

Per il cioccolato la porzione consigliata è di 30 grammi, che corrisponde a 6 quadratini di una tavoletta.

 

Interazioni del cacao

Il consumo di cacao, per via della caffeina in esso presente, dovrebbe essere limitato in quei soggetti che assumono:

 

  • farmaci broncodilatatori per curare l’asma (salbutamolo e teofillina) in quanto l’attività del farmaco potrebbe amplificarsi e aumentare la probabilità di effetti collaterali come eccitabilità, nervosismo e tachicardia;

 

  • farmaci per l’ipertensione arteriosa in quanto la caffeina provoca un aumento della frequenza cardiaca;

 

  • ciprofloxacina, antibatterico chinolonico, perchè la metilxantina si accumulerebbe nell’organismo e in caso di terapie con farmaci contenenti già caffeina (alcuni analgesici e antinfiammatori).

 

Quantità eccessive di cioccolato dovrebbero essere evitate se si assume il linezolid, un antibatterico ossazolidinonico, in quanto gli elevati livelli di tiramina contenuti in questo alimento potrebbero causare un aumento della pressione sanguigna.

 

Produzione e Tecnologia del cacao

Caratteri botanici del cacao

L’albero del cacao è una caulifloria, ovvero i fiori si trovano sul fusto e sui rami principali; quelli che non cadono dalla pianta fruttificano al momento opportuno.

I fiori sono piccoli e gialli e hanno bisogno di temperature di almeno 25°C per svilupparsi.

 

I frutti impollinati si chiamano cabossi e raggiungono piena maturazione in 5-6 mesi.

 

La qualità delle fave è fortemente influenzata dalla specifica condizione ambientale in cui vengono coltivate.

La coltura del Theobroma cacao si adatta perfettamente ai climi delle foreste piovose.

 

Produzione del cacao

Il processo di lavorazione del cacao comincia con la raccolta dei frutti. Questi vengono staccati tramite torsione del peduncolo e successivamente vengono aperti con molta attenzione per evitare di danneggiare i semi durante l’estrazione.

 

Segue la fermentazione delle fave dove, tramite processi chimico-enzimatici, si ottengono acidi organici, zuccheri riduttori, aminoacidi liberi, riduzione dei polifenoli e degli alcaloidi che danno origine a un sapore amaro e astringente.
L’odore invece in questa fase rimane debole.

 

Dopo la fermentazione segue l’essiccazione. Questa operazione,  che può avvenire al sole o tramite sistemi appositi, consiste in una riduzione di umidità dei semi che passa dal 40-50% a circa al 6-%.

 

Alla fine i semi essiccati vengono spediti nei centri di distribuzione. Qui il compratore controlla il prodotto che, se risulta ottimale, viene stoccato, pulito e infine torrefatto.

 

Produzione della granella di cacao

Con l’aiuto di una macchina rompi-cacao le fave vengono ridotte in pezzi di media grandezza formando così la granella di cacao.

Attraverso setacci e aspiratori si separa la buccia esterna del seme del cacao dalla granella.

L’operazione successiva è la tostatura; questa sarà più o meno intensa a seconda del prodotto che si vuole ottenere: per la polvere l’aroma sarà più accentuato, mentre nel cioccolato si presenterà più delicato.

Durante la torrefazione (o tostatura) si sprigionano le componenti aromatiche.

 

Produzione della pasta, del burro e della polvere di cacao

La granella di cacao ulteriormente macinata, cotta a 50-60°C e non privata della sua sostanza grassa naturale, è chiamata pasta di cacao.

 

Il prodotto ottenuto mediante pressione della granella di cacao o del cacao in pasta, del panello di cacao o del panello di caco magro è detto burro di cacao.

 

Se dalla granella di cacao si attua un altro procedimento meccanico, si ottengono i panelli di cacao. Questi ultimi a seguito di lavorazione e pressione idraulica vengono trasformati in polvere.

 

Produzione del cioccolato

Se la pasta di cacao e il burro di cacao vengono addizionati di componenti (come zuccheri, latte, emulsionanti ecc), successivamente sottoposti a “concaggio” e raffreddamento, si ottiene il cioccolato.

 

Nella fase del concaggio si scalda la miscela a 40°C in apposite “conche” per un tempo variabile a seconda del tipo di cioccolato (per un cioccolato di alta qualità questa fase può durare fino 70 ore).

Infine la miscela ottenuta viene sottoposta a “temperaggio” in cui si fa raffreddare il cioccolato prima a 28°C e poi a 31°C.

 

Preparazione e Conservazione del cacao

Il colore ideale del cacao dovrebbe essere mogano-cannella, brillante e senza patine bianche o grigiastre (che sono indice di cattiva conservazione).

 

La temperatura di conservazione è tra i 16 e i 18°C. Non bisognerebbe conservarlo in frigo per evitare che altri prodotti possano influenzarne l’aroma, altrimenti sarebbe opportuno porlo in un contenitore chiuso ermeticamente.

 

La pianta di cacao, oltre a scopo alimentare, può essere impiegata nell’uso di prodotti farmaceutici e cosmetici.

 

Le ricette di FBO con il cacao:



Crescenza

Crescenza

 

crescenza valori nutrizionali

Cos’è la crescenza

La crescenza è un formaggio italiano a pasta fresca che si presenta morbida, cremosa ed è senza crosta.

Il sapore non è né amaro né aspro ed è caratterizzata da una consistenza tenera.

 

Si tratta di un formaggio tipicamente lombardo, concentrato nelle zone di Milano, Pavia, Crema, Bergamo e Brescia.

Altre produzioni si trovano anche in Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna.

 

Differenza tra crescenza e stracchino

La crescenza è ottenuta da latte vaccino intero pastorizzato, crudo e fresco che durante la stagionatura di una ventina di giorni “cresce”, ovvero esce dalla forma dello stampo, assumendo un gusto e una consistenza che la contraddistingue.

 

Il nome deriva dal fatto che dopo pochi giorni rammollisce, acquistando la consistenza tipica di focacce che nel milanese erano chiamate “carsenze. In questo caso il colore passa progressivamente da bianco a giallo e spesso sviluppa un sapore agre.

 

Per questo differisce dallo stracchino, che è un formaggio ottenuto con il latte intero crudo o pastorizzato di mucche “stracche” (dal dialetto lombardo stracch), ovvero stanche dal ritorno dagli alpeggi estivi, che presenta una stagionatura di una settimana.

 

Proprietà nutrizionali della crescenza

tabella con i valori nutrizionali della crescenza

Crescenza valori nutrizionali

Una delle particolarità dei formaggi molli, tra cui rientra la crescenza, è il brevissimo tempo di stagionatura chiamato “affinatura“.

 

Questo aspetto rende anche il valore dei grassi meno elevato rispetto ad altri formaggi.

Con una quantità di grassi pari a circa il 23% è definibile come formaggio semigrasso, non un formaggio magro come la ricotta che ne ha il 10% ma neanche paragonabile ad un formaggio grasso come il pecorino ad esempio che ne ha il 32%.

La crescenza è quindi un formaggio che può far parte di una sana alimentazione.

 

Essendo un formaggio fresco, la crescenza rappresenta una fonte proteica è può essere pertanto considerata come un secondo piatto (e non come antipasto o fine pasto).

Ponendo l’attenzione sui sali minerali, si osserva che il calcio è il minerale principale, seguito dal sodio.

 

Per quanto riguarda le vitamine, la crescenza è ricca di vitamina A, B12 e B2. Le altre sono presenti in quantità minori o non significative.

 

Benefici della crescenza

Il calcio presente è implicato nei meccanismi di contrazione e rilasciamento dei muscoli, nella coagulazione del sangue, nella regolazione della permeabilità cellulare e nella trasmissione dell’impulso nervoso.

 

La porzione consigliata è di 100 grammi, che corrisponde a circa una piccola crescenza.

 

Una piccola crescenza contiene 557 mg di calcio, ricoprendo così più di metà della dose giornaliera raccomandata di questo minerale per la popolazione adulta (1000 mg).

 

Interazioni della crescenza

Visto il quantitativo di sodio presente in questo alimento se ne consiglia un consumo moderato, specialmente per chi soffre di ipertensione.

 

I latticini in generale possono interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

In particolare se si assume la tetraciclina durante i pasti se si avverte mal di stomaco, bisognerebbe evitare il consumo di latte e latticini un’ora prima o due ore dopo.

 

Produzione e Tecnologia della crescenza

Produzione della crescenza

I primi produttori di questi formaggi sono stati gli allevatori che dagli alpeggi scendevano a svernare nelle cascine delle pianure, più precisamente nelle zone della pianura padana.

 

Durante la transumanza, le vacche fornivano quantitativi di latte minori, ma con un elevato contenuto di grasso; questo formaggio era prodotto principalmente durante l’inverno a causa del limitato periodo di conservazione.

Attualmente, grazie a nuove tecnologie e macchinari, vengono prodotti tutto l’anno.

 

Per ottenere questo tipo di formaggio molle si parte da latte vaccino, intero, pastorizzato; successivamente è sottoposto a coagulazione, a breve stagionatura e a bassa temperatura.

 

In questo processo è essenziale evitare la formazione della crosta e mantenere l’umidità del formaggio (per la crescenza almeno al 60%). Il risultato è un coagulo strutturato capace di trattenere molta acqua.

 

Tecnica di produzione

Per la produzione della crescenza si parte dalla preparazione del latte che inizialmente deve essere standardizzato e pastorizzato.

 

Si prosegue con l’acidificazione e coagulazione attraverso l’aggiunta di starter come fermenti lattici termofili e del caglio.

Dopo poco tempo si verifica la rottura della cagliata che viene ulteriormente tagliata per favorire l’eliminazione dell’acqua. Più i frammenti sono piccoli e più è eliminata l’acqua.

 

Successivamente si procede con la messa in forma. Questa sarà diversa a seconda del tipo di formaggio.

In questo caso la forma tipica è un quadrato con lato 15-20 centimetri e altezza di 5 centimetri.

La crescenza rimane negli stampi circa 6 ore, durante le quali si provvede a effettuare 3 o 4 rivoltamenti.

 

Ora la cagliata che sta diventando formaggio, entra con gli stampi in una salamoia concentrata a 15 gradi dove rimane per circa due ore, raffreddandosi e assorbendo la dose necessaria di sale.

 

L’ultimo passaggio riguarda una breve stagionatura in ambienti a clima controllato con temperatura di 5-6 gradi e umidità > 90%.

 

Il processo dura circa una settimana durante la quale la crescenza, rivoltata 3-4 volte, è infine avviata al confezionamento.

 

La sua freschezza, associata a bassa acidità e proteolisi limitata (processo di degradazione delle proteine), è una delle qualità più richieste dal consumatore ed è fortemente influenzata dalle condizioni di conservazione.

 

Stagionalità della crescenza

Questo formaggio è reperibile sul mercato tutto l’anno grazie alle tecnologie e ai macchinari utilizzati per la sua produzione.

 

Preparazione e Conservazione della crescenza

La crescenza è un formaggio che può essere consumato unitamente a pane, focacce, torte salate, verdure e insalate.

 

Il formaggio molle deve essere conservato in ambiente fresco a una temperatura compresa tra i 2 e i 4 gradi.

Oltre alla temperatura bisogna fare attenzione all’umidità e all’esposizione all’aria che potrebbero negativamente trasformare gusto e odore dei latticini.

 

Una volta aperto è preferibile avvolgerlo con una pellicola trasparente o tenerlo chiusi all’interno della propria scatola del formaggio e consumarlo entro pochi giorni.



Zucca

Zucca

 

zucca

Famiglia: Cucurbitaceae

Genere: Cucurbita

Specie: Cucurbita maxima

 

La zucca è una pianta annuale a fusto rampicante, originaria dei paesi caldi e quindi esigente in fatto di temperatura.

Diverse sono le specie coltivate che vengono classificate in base a caratteri botanici, tra cui la forma e la dimensione del frutto.

 

Specie di zucca

In botanica le zucche si suddividono in quattro specie: Cucurbita maxima, Cucurbita moschata, Cucurbita pepo e Cucurbita melanosperma, ma in pratica si hanno due grandi classi, le zucche da zucchini e le zucche da inverno.

 

Per quanto riguarda le zucche da zucchini è possibile ricavare tutte le informazioni consultando la relativa scheda nella pagina “zucchine”.

 

Le zucche da inverno che presentano fusto rampicante, appartengono a due specie Cucurbita maxima e Cucurbita moschata.

Le prime presentano frutti sferoidali a buccia variamente colorata con polpa gialla e dolce, mentre le seconde presentano frutti allungati più o meno curvati all’apice con polpa consistente di colore giallo arancio.

 

Proprietà nutrizionali della zucca gialla

tabella con i valori nutrizionali della zucca gialla

Valori nutrizionali della zucca gialla

La zucca, come tutti gli ortaggi, è caratterizzata da un basso potere calorico dovuto all’elevata presenza di acqua.

 

La principale caratteristica della zucca, come tutti gli alimenti di colore arancione, è l’elevato contenuto di carotenoidi, sostanze che l’organismo utilizza per produrre la vitamina A.

Presenta inoltre un elevato contenuto di potassio, mentre altri sali minerali come calcio, fosforo e ferro sono presenti in quantità minori.

Contiene invece poca fibra alimentare.

 

I semi di zucca contengono invece la cucurbitina, aminoacido caratteristico studiato per le proprietà protettive per l’organismo umano, e sono particolarmente ricchi di proteine e di grassi di buona qualità, come gli omega-3.

 

Benefici della zucca

I nutrienti presenti nella zucca apportano benefici all’organismo: il selenio, il manganese, la vitamina A, la vitamina C e la vitamina E hanno caratteristiche antiossidanti, le vitamine del gruppo B sono coinvolte in reazioni del metabolismo.

In particolare la vitamina A è importante anche per il mantenimento dell’integrità di pelle, mucose e ha un ruolo protettivo per la vista; alcuni studi scientifici suggeriscono che può proteggere dai tumori al polmone e alla cavità orale.

Tra i minerali ricordiamo il potassio che regola la pressione arteriosa, e il calcio che insieme al fosforo e al magnesio contribuiscono a mantenere in salute le ossa.

La zucca, inoltre, contiene il triptofano, un amminoacido essenziale che deve essere assunto tramite l’alimentazione.

 

La porzione standard di consumo consigliata è 200 grammi, che corrisponde a circa mezzo piatto di zucca.

 

Mezzo piatto di zucca contiene 1198 µg di vitamina A (come retinolo equivalenti), ricoprendo così quasi il doppio della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina facendo riferimento alla popolazione adulta.

Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina A (retinolo equivalenti) per la popolazione adulta è di 700 µg per gli uomini e 600 µg per le donne.

 

Il consumo di questo alimento è inoltre indicato in caso di diarrea in quanto povera di fibre.

 

Interazioni della zucca

I soggetti che assumono litio devono prestare attenzione al consumo di zucca.

 

Produzione e Tecnologia della zucca

Caratteri botanici della pianta di zucca

La zucca è una pianta originaria dell’America centrale, diffusa in Europa dai coloni spagnoli che la importarono dal XVI secolo.

In Italia è coltivata soprattutto nelle regioni settentrionali, il 25% della produzione nazionale si localizza in Lombardia, ma la coltivazione è diffusa anche in Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Lazio, Toscana e Campania.

 

Le foglie di questo ortaggio sono di grandi dimensioni e presentano sulla loro superficie una leggera peluria. Il frutto, cioè la zucca vera e propria, nella maggior parte dei casi, si presenta di colore arancio oppure verde, può avere anche altri colori e svariate forme. I fiori sono di colore giallo-arancio.

La zucca è un ortaggio di cui non si butta via nulla: la polpa viene utilizzata in cucina per la preparazione di svariati piatti, oltre che la preparazione di marmellate, mentre i semi di zucca vengono consumati dopo essere stati essiccati.

 

Coltivazione della zucca

La coltivazione delle zucche dovrebbe essere effettuata, preferibilmente, nell’ambito di un clima temperato e caldo, con temperature comprese tra i 18 e i 24°C.

La pianta soffre in maniera particolare il freddo e il gelo, e già con temperature inferiori ai 10°C può riportare danni; d’altra parte, sopporta male anche il caldo eccessivo soffrendo temperature superiori ai 28°C.

 

Per la buona riuscita della coltura, la zucca deve essere coltivata in terreni fertili o opportunamente concimati.

 

Le zucche da inverno si seminano una sola volta in aprile-maggio, si raccolgono ad ottobre e si conservano in locali asciutti e ventilati fino alla fine dell’inverno.

 

La zucca in commercio

In commercio si possono trovare vari tipi di zucca e molto spesso, date le loro dimensioni, sono vendute porzionate.

 

Nel momento dell’acquisto è bene far attenzione ad alcuni particolari: la zucca dev’essere ben soda, priva di ammaccature e col picciolo ben attaccato al frutto. Se acquistata già tagliata, i semi non devono essere troppo asciutti.

 

Stagionalità della zucca

La zucca è reperibile sul mercato da agosto a febbraio.

 

Preparazione e Conservazione della zucca

La zucca è uno dei prodotti più versatili della cucina italiana e può essere preparata in diversi modi, al vapore, lessata, stufata o cotta in forno. Può essere impiegata sia per preparazioni salate che dolci, oltre che abbinata a pasta, carne, formaggi e torte.

La polpa può essere cotta e frullata ottenendo un’ottima purea da accompagnare ai cibi come contorno.

 

In ambito alimentare si hanno due principali tipologie di utilizzo, una relativa alla preparazione di tortelli, gnocchi, dolci e pane, l’altra come ingrediente di minestre e minestroni. Nel primo caso le varietà più adatte presentano polpa molto soda, asciutta e dolce. Per gli altri utilizzi sono adatte anche zucche meno dolci.

 

Vi ricordiamo che la biodisponibilità del beta-carotene contenuto nella zucca aumenta con la cottura e che, essendo solubile nei grassi, l’aggiunta ad esempio di olio EVO aiuta a favorirne l’assorbimento.

 

I semi di zucca si sciacquano e si lasciano essiccare all’aria aperta o si tostano in forno per alcuni minuti ottenendo in tal modo un ottimo spuntino oppure possono essere aggiunti ad insalate.

 

La zucca va conservata in un luogo fresco, dopo essere stata privata della buccia è preferibile tenerla in frigo. Una volta cotta e tagliata a pezzetti può essere posta in appositi sacchetti e congelata in modo di averla a disposizione anche in periodi non tipici di questo ortaggio.

 

Le proposte di ricetta di FBO con la zucca

Clicca sulla ricetta per scoprirla



Uva

Uva

 

uva

Famiglia: Vitaceae

Genere: Vitis

Specie: Vitis vinifera L.

 

L’uva è il frutto della vite, pianta rampicante antichissima appartenente alla famiglia delle Vitacee.

 

Le diverse specie di uva

Esistono diverse specie di vite per la produzione di uva.

La Vitis vinifera è originaria dell’Europa, di colore verde-ambra senza semi o di color porpora con semi, con bucce che generalmente aderiscono strettamente alla polpa.

Questi vitigni sono destinati alla produzione di uva da tavola, uva passa e uva da vino.

 

Le uve nordamericane, Vitis labrusca e Vitis rotundifolia, presentano invece diverse varietà: blu-nere di grandi dimensioni, rosso-rosate con buccia tenera e ambrate, meno dolci, senza semi e con bucce che si separano facilmente dalla polpa.

Sono adatte principalmente per la produzione di uva da tavola, marginalmente per la produzione di vino e non possono essere utilizzate per l’uva passa.

 

Uva da tavola, uva da vino e uvetta

Le uve da tavola presentano buccia sottile, polpa compatta, pochi semi e sono molto dolci in quanto durante la maturazione il contenuto degli acidi (acido tartarico e malico) diminuisce, incrementando il livello degli zuccheri.

 

Le uve da vino invece possiedono una polpa più succosa e tenera, sono difficilmente commestibili a causa della loro elevata acidità, caratteristica adatta per la vinificazione.

 

L’uvetta (conosciuta anche come uva passa o sultanina) è uva disidratata che deriva dalla Vitis vinifera e presenta una buccia raggrinzita, di colore marrone scuro e una polpa gommosa dal sapore dolce.

 

Tipi di uva da tavola

Esistono due tipologie di uva da tavola: bianca e nera.

La varietà bianca più diffusa è l’uva Italia (oltre il 40% della produzione nazionale): uva con semi che presenta grappoli grandi e consistenti (da 700 grammi fino a 900 grammi), con acini sferici, croccanti e di colore giallo dorato, con un delicato sapore di moscato.

Molto diffusa è anche l’uva Regina, di provenienza probabilmente siriana, con acini grandi, giallo dorati e grappoli medio-grandi il cui peso può arrivare fino ai 700 grammi.

Ulteriore uva bianca è l’uva Vittoria, che presenta semi e grappoli grandi (con un peso medio di 800 grammi), e l’uva Sugraone, senza semi, con gusto dolce e dagli acini chiari.

 

Vi è inoltre la varietà denominata Pizzutello Bianco che presenta acini dalla forma allungata giallo-verdi, con grappoli che possono pesare fino a 400 grammi, dal sapore dolce e con una polpa succosa.

 

Nelle varietà nere rientrano l’uva Red Globe, con acini voluminosi di colore viola scuro con polpa dolce, la Rosada, l’Alphonse Lavalee, di origine francese con acini blu-neri e grappoli da 600 grammi e la Cardinal. Quest’ultima è un’uva californiana che presenta acini di medie dimensioni rosso-violacei con una polpa croccante e gusto neutro.

 

I maggiori produttori di uva da tavola

I maggiori produttori di uva da tavola sono Italia (con il 18% della produzione totale), Turchia (13%),Cile (8%), Stati Uniti (7%), Spagna (6%), Francia, e Messico.

In Italia l’uva da tavola viene coltivata nelle pianure, sulle colline del centro Italia e nei terreni fertili del meridione quali Puglia (70% della produzione), Sicilia, coste ioniche della Basilicata, Abruzzo, Lazio e Sardegna.

 

Proprietà nutrizionali dell’uva e dell’uvetta

tabella con i valori nutrizionali dell'uva e dell'uvetta
Tabella con i valori nutrizionali dell’uva e dell’uvetta (o uva sultanina).

Uva e uvetta valori nutrizionali

L’uva è costituita dall’80% di acqua e presenta un significativo contenuto di zuccheri.

I semi sono una fonte di potassio e calcio.

 

Nella buccia dell’uva nera sono presenti inoltre gli antociani, pigmenti responsabili della colorazione nero-viola, assenti nella varietà bianca.

Nella buccia degli acini d’uva e nella polpa si trova il resveratrolo. Il resveratrolo è un polifenolo non flavonoide, prodotto dalla pianta come risposta ad uno stress o per difesa da funghi e batteri, che svolge attività antiossidante. L’uva nera, rispetto a quella bianca, risulta più ricca di questo composto.

 

L’uvetta contiene poca acqua ed è un alimento che fornisce un elevato apporto calorico (283 kcal per 100 grammi), dovuto alla presenza di fruttosio e glucosio. È anche una fonte di potassio, sodio e calcio.

A parità di peso presenta un contenuto di fibra più elevato rispetto all’uva, a fronte del minor contenuto di acqua. La fibra conferisce senso di sazietà ed è inoltre raccomandata per promuovere la regolare peristalsi intestinale, sebbene sia necessaria la precedente reidratazione con acqua perché questo effetto avvenga.

L’uvetta è anche una fonte di sostanze fenoliche, note e studiate per le loro numerose attività benefiche per la salute.

 

Uva e uvetta benefici

Sia l’uva fresca sia l’uva sultanina hanno caratteristiche antiossidanti e antinfiammatorie che aiutano a ridurre problemi causati dall’invecchiamento, a contrastare i tumori e a esercitare un’azione positiva a livello cardiovascolare.

Oltre a queste caratteristiche, l’uva agisce sull’insulina aiutandola ad avere una maggiore stabilità, mentre l’uvetta è fonte di fibre e minerali come il potassio che contribuisce a regolare la pressione arteriosa.

 

La porzione standard consigliata di uva fresca è 150 grammi, che corrisponde a un grappolo piccolo (circa 20 acini). Per l’uva secca la porzione invece è di 30 grammi, che equivale a 2 cucchiai rasi di uvetta.

 

Il consumo di uvetta essiccata può essere utile per contrastare il gonfiore sottocutaneo o edema.

 

Uva e uvetta interazioni

I soggetti che assumono farmaci metabolizzati dal citocromo P450, anticoagulanti e antiaggreganti devono prestare attenzione al consumo di uva e uva sultanina.

L’uvetta inoltre potrebbe interferire con l’azione degli antibatterici ossazolidinonici (come il linezolid).

 

Produzione e Tecnologia dell’uva e dell’uvetta

Caratteri botanici della pianta della vite

La pianta della vite vive in media 40-50 anni, entro i 600 metri s.l.m. prediligendo un clima asciutto e ben esposto al sole. La radiazione solare infatti determina il grado di maturazione e la temperatura influenza le varie fasi della pianta.

Questa pianta ha anche differenti esigenze idriche a seconda delle differenti fasi di maturazione. Se si verificano forti piogge durante l’estate si ha la formazione di un prodotto con un alto contenuto di acqua e di acidi e un basso livello di zuccheri. Se le forti piogge si verificano in autunno si favoriscono invece gli attacchi di muffe con conseguenze negative sul prodotto.

 

I fiori della vite sono piccoli e verdastri, i frutti si presentano sotto forma di grappolo, composto da un graspo (o “raspo”) e da numerosi acini (saldamente attaccati al grappolo, detti anche “bacche”) di dimensioni più o meno grandi a seconda della varietà.

L’acino a sua volta è costituito all’esterno dall’epicarpo o buccia, all’interno dal mesocarpo o polpa, parte molle e succosa, e più internamente dall’endocarpo, tessuto membranoso contenente i semi (vinaccioli). Generalmente le uve senza semi sono meno dolci di quelle con semi.

 

Produzione dell’uva e dell’uvetta

La raccolta dell’uva avviene soprattutto nel periodo estivo, quando sono presenti temperature molto elevate. La raccolta manuale è da preferire a quella meccanica in quanto l’uva viene raccolta integra, senza problemi di schiacciamento o rottura degli acini.

 

Per mantenere inalterata la freschezza che si ha nel momento del distacco del grappolo dalla pianta, è opportuno trasferire l’uva in locali climatizzati adatti alla frigoconservazione.

Nella centrale ortofrutticola si selezionano i grappoli adatti ad essere immessi in commercio, che rispettano le caratteristiche di qualità richieste dall’acquirente. L’imballaggio da utilizzare può essere in legno (cassette) o in plastica (vaschette).

 

L’uvetta o uva passa/sultanina si ottiene in seguito alla disidratazione tramite essiccazione al sole. Tale processo può essere preceduto da un trattamento con biossido di zolfo, utile per far mantenere il colore e il sapore originario e far aumentare la durata di conservazione.

 

Stagionalità dell’uva

L’uva ha una stagionalità compresa tra la tarda estate e l’autunno. Per garantire la presenza del prodotto italiano in commercio per 230 giorni all’anno (da maggio a dicembre), si copre il vigneto con strutture di sostegno protette da un film di plastica.

l’uvetta invece è presente sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione dell’uva

L’uva è matura quando gli acini sono ben attaccati al grappolo, tendenti al giallo per l’uva chiara, di colore molto scuro per la varietà nera.

Solo prima del consumo deve essere sciacquata sotto acqua corrente fredda e asciugata con un tovagliolo. Se non si consuma tutto il grappolo in una volta, conviene separare i grappoli più piccoli dal gambo principale. Questo permette di evitare che il gambo si secchi e fare in modo che l’uva rimanga fresca.

 

L’uva può essere conservata in frigorifero, nel reparto delle verdure, fino a una settimana all’interno di una scatola di plastica forata.

 

L’uvetta invece può essere reidratata mettendola per qualche minuto in un contenitore con acqua calda coperto e la si può aggiungere a yogurt o a prodotti da forno, quali pane o biscotti. Ottima in aggiunta anche a primi, secondi piatti e con alcune verdure.

In alternativa può essere considerata come snack spezza fame, contribuendo a stimolare il senso di sazietà.



Tonno

Tonno

 

tonno

Famiglia: Scombridae

Genere: Thunnus

Specie: Thunnus thynnus

 

Il tonno e le diverse specie

Con il termine generico di tonno, si intendono diverse specie ittiche, pelagiche a sangue caldo che colonizzano i diversi mari del pianeta.

In particolare, si comprendono varie specie della famiglia delle Scombridae quali: tonno alalunga, tonno albacares (pinna gialla), tonno atlanticus, tonno obesus, tonno orientalis, tonno thynnus (tonno rosso) e tonno tonggol.

 

Le diverse specie presentano caratteristiche e quindi proprietà organolettiche differenti; la più pregiata è sicuramente il tonno rosso del Mediterraneo, mentre il tonno “pinne gialle” è destinato prevalentemente all’inscatolamento.

 

Il tonno è un predatore che si nutre prevalentemente di altri pesci (soprattutto pesce azzurro) e molluschi cefalopodi come seppie e calamari. È dotato di un corpo ovoidale e allungato con dimensioni elevate che vanno da un metro del Thunnus atlanticus ai 4,5 m del Thunnus thynnus.

 

La produzione mondiale di tonno

Per decenni il tonno è stato consumato prevalentemente sottoforma di prodotto inscatolato e le produzioni infatti erano destinate quasi totalmente all’industria conserviera.

 

Oggigiorno la produzione di tonno rosso viene destinata quasi totalmente al mercato giapponese, dove questo prodotto viene consumato prevalentemente come sushi e sashimi, mentre una piccola parte viene esportata verso gli U.S.A.

I prezzi di mercato variano a seconda del metodo di commercializzazione (fresco, congelato) e della qualità del prodotto (contenuto di grasso, colore delle carni).

 

In Italia il tonno a maggior diffusione è il pinna gialla, una specie oceanica ampiamente diffusa, quindi di prezzo inferiore.

 

In commercio, oltre al tonno fresco, è possibile infatti trovare tonno in scatola, sia al naturale sia sott’olio.

 

Proprietà nutrizionali del tonno fresco e conservato

tabella con i valori nutrizionali del tonno fresco, del tonno in salamoia e del tonno sott'olio
Tabella con i valori nutrizionali del tonno fresco, del tonno in salamoia e del tonno sott’olio.

Tonno valori nutrizionali

Il tonno, grazie al regime alimentare che segue, presenta una buona percentuale di grassi insaturi, prevalentemente omega-3.

Contiene, inoltre, elevati contenuti di proteine, potassio, selenio, vitamina B12, niacina e fosforo e rappresenta un alimento a bassissimo indice glicemico (IG=0).

Non contiene carboidrati (zuccheri) e la scarsa presenza di tessuto connettivo lo rende interamente edibile.

Se consumato con altri alimenti contenenti ferro, contribuisce all’assorbimento del ferro stesso.

 

Il tonno in scatola può essere al naturale, cioè conservato solo nell’acqua di cottura, oppure sott’olio.

Quindi il tonno al naturale presenta meno calorie rispetto al tonno sott’olio (100 kcal per 100) e, per la sua produzione, non viene utilizzata la ventresca (la parte più grassa del tonno) ma solo i tagli più magri.

Il tonno sott’olio invece fornisce più calorie (190 kcal per 100 grammi) in quanto per la sua preparazione viene utilizzato l’olio di semi oppure l’olio di oliva o l’olio extra vergine d’oliva.

Inoltre il tonno in scatola (al naturale o all’olio) apporta un quantitativo di sale notevole e, proprio per questo motivo, il suo consumo andrebbe limitato.

Da come si può notare in tabella il tonno in scatola è quasi privo di acidi grassi omega-3 mentre la quantità di lipidi aumenta, rispetto a quello fresco, probabilmente per la conservazione effettuata sott’olio.

 

Da ricordare come i grandi pesci predatori come il tonno, sono maggiormente soggetti ad accumulo di metalli pesanti (come il mercurio noto come metallo tossico a livello neurologico) e tossine algali rispetto ai pesci di minori dimensioni, poiché il loro regime alimentare li porta a nutrirsi di altri pesci e molluschi.

 

Tonno benefici

Il tonno è una buona fonte di omega-3. Gli omega-3 sono grassi insaturi che agiscono positivamente a livello cardiovascolare, nel benessere della memoria e sull’umore.

Inoltre questo pesce è una buona fonte di fosforo e selenio. Il primo favorisce la salute di ossa e denti, mentre il secondo collabora con le difese immunitarie.

 

La porzione standard consigliata di tonno fresco è 150 grammi che corrisponde a un filetto medio, mentre la porzione standard consigliata di tonno conservato è 50 grammi che corrisponde a una scatoletta piccola di tonno sott’olio o in salamoia.

 

Tonno e interazioni

Il consumo del tonno è sconsigliato ai soggetti in terapia con antitubercolari. Questo alimento infatti contiene istamina, che potrebbe causare mal di testa, sudorazione, palpitazioni, vampate di calore e ipotensione.

 

Produzione e Tecnologia del tonno

Allevamento e pesca del tonno

L’allevamento di questa specie genera elevati profitti ed è in continua espansione, infatti oggigiorno si pratica nella maggior parte dei Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo.

L’allevamento del tonno inizia con l’introduzione all’interno delle gabbie di allevamento degli esemplari catturati in natura.

 

Gli esemplari sono pescati nel periodo compreso tra il mese di aprile ed il mese di luglio e successivamente si procede al loro trasporto all’interno di gabbie offshore, che generalmente hanno un diametro compreso tra 30 e 90 m ed un volume totale che può superare i 230.000 m3.

Il trasferimento in gabbia si effettua nel periodo che va da maggio ad agosto e la taglia degli esemplari è compresa tra 4 e 20 kg per quanto riguarda i giovani, ma può arrivare anche a 300-400 kg per i tonni adulti.

 

Il mantenimento in cattività può essere di due tipi: a breve termine, definito di finissaggio o affinamento, della durata di 7-8 mesi; a lungo termine, con una durata di circa 20 mesi.

Durante la fase di ingrasso gli animali sono alimentati con pesce a basso costo, come sarde, sgombri, acciughe e calamari e la quantità di cibo somministrata nei mesi estivi può raggiungere il 7-10% della biomassa totale presente in gabbia.

 

La pesca dei tonni allevati avviene prevalentemente nel periodo autunno-invernale, quando il prodotto di origine selvatica è meno disponibile sul mercato ed i prezzi di vendita sono di conseguenza più elevati.

 

Tecniche di produzione del tonno 

Una volta pescato, il tonno si invia allo stabilimento di trasformazione, dove viene classificato in base alla specie e alla taglia, identificato ed immagazzinato in celle frigorifere.

 

La lavorazione inizia con lo scongelamento, effettuato con acqua in vasche o a pioggia, e prosegue con il sezionamento in grossi tranci e la cottura in acqua o a vapore.

Dopo la cottura, i grossi pezzi sono mondati a mano e separati dalle lische, dalla pelle e dalle parti scure.

 

Si selezionano i filetti in base al colore e ad altre caratteristiche organolettiche e, successivamente, si tagliano con una lama affilata fino a diventare “pastiglie” dell’altezza desiderata.

 

Il tonno è inscatolato in lattine o vasetti di vetro insieme al liquido di governo – olio oppure acqua, a seconda della tipologia – ed al sale.

Lattine e vasetti devono essere sigillati e sottoposti a sterilizzazione, ad una temperatura di 110°-120°C in autoclavi. In questo modo sono garantite la salubrità e la conservazione del prodotto.

Le scatole sono infine confezionate e imballate per il commercio.

 

Stagionalità del tonno

Il tonno fresco è di stagione nei mesi di febbraio, marzo, luglio, agosto, settembre, ottobre e dicembre.

Se conservato in scatola, invece, si può trovare sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione del tonno

La carne e i tagli del tonno

La carne del tonno può essere scorporata in diversi pezzi: testa, guancia, retro guancia, filetto (a sua volta differenziato in alto, medio e basso) e ventresca (a sua volta distinta in molto grassa, mediamente grassa e poco grassa). Le parti rimanenti non sono scartate (ad esempio le raschiature della coda, della pelle e della lisca), possono essere cotte e conservate sott’olio con il nome di buzzonaglia o buzzonaccia.

 

Il taglio più pregiato è costituito dalla guancia e dal retro guancia, seguono la ventresca ed infine i filetti.

Di questi ultimi, la porzione qualitativamente migliore è quella centrale, seguita da quella vicino alla testa e da quella in prossimità della coda. Parallelamente, la ventresca di tonno più ambita risiede in posizione centrale, seguita da quella in prossimità della coda e per concludere dalla porzione dietro la testa.

 

Ovviamente, nemmeno i visceri del tonno sono destinati allo scarto: il cuore, la trippa (stomaco) e il fegato possono essere consumati cotti. Le uova invece, oltre a costituire un ingrediente fresco “di élite” per i sughi di accompagnamento o sopra i crostini, se affumicate, salate e pressate, rappresentano il tipo di bottarga più famoso, dopo quella di muggine.

 

Il tonno e consigli pratici in cucina

A livello popolare, il tonno è conosciuto per la relativa prelibatezza in preparazioni come: tagliata di tonno (filetto e ventresca), carpaccio di tonno (filetto fresco, filetto affumicato, mosciame o tonnina – sotto sale), sushi e sashimi (che in tutte le loro varianti coinvolgono la totalità dell’animale).

 

Bisogna tener conto che il consumo di tonno crudo comporta sicuramente un maggior rischio di intossicazioni e infezioni causate da batteri patogeni.

Il pesce crudo può essere infatti contaminato da diversi microrganismi, come Listeria, E. coli e Salmonella che causano disturbi gastrointestinali. Il rischio maggiore per chi consuma pesce crudo è dovuto però all’ Anisakis.

 

Il problema dell’Anisakis

L’Anisakis simplex è un nematode normalmente presente come parassita intestinale in numerosi mammiferi ed ospite intermedio, nel suo stadio larvale, di molti pesci tra cui tonno, salmone, sardina, acciuga, merluzzo, nasello e sgombro. L’Anisakis è estremamente diffuso, presente in più dell’85% delle aringhe, nell’80% delle triglie e nel 70% dei merluzzi.

Questi nematodi migrano dalle viscere del pesce alle sue carni se, dopo la pesca, non viene eviscerato.

Se il pesce infetto viene consumato crudo, non completamente cotto o in salamoia, le larve presenti possono aderire alle pareti dell’apparato gastrointestinale, dallo stomaco fino al colon.

Per difendersi dall’acidità dei succhi gastrici, perforano le mucose, provocando una parassitosi acuta che insorge poche ore dopo dall’ingestione e si manifesta con un intenso dolore addominale, con nausea e vomito.

 

Una circolare del Ministero di Sanità del 1992, ancora in vigore, obbliga chi somministra pesce crudo o in salamoia (il limone e l’aceto non hanno effetto sul parassita) ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo. Infatti l’Anisakis e le sue larve muoiono se sottoposti a cottura oltre 60°C, oppure dopo 96 ore a -15° C, 60 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C.

I pericoli maggiori provengono dal consumo casalingo; una volta acquistato fresco deve ssere quindi eviscerato e congelato per almeno 4/5 giorni a -18°C.

 

Le proposte di ricetta di FBO con il tonno

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Tempeh

Tempeh

 

tempeh cos'è

Tempeh cos’è?

Il tempeh, anche definita “carne di soia”, è un prodotto tipico dei paesi del sud est asiatico.

Si ottiene dalla fermentazione dei semi della soia gialla, presenta un sapore robusto e vigoroso, di consistenza solida e, come il tofu, risulta molto più digeribile della soia.

 

È un alimento molto importante nella dieta asiatica, soprattutto quella indonesiana, e sta diventando popolare anche in Occidente.

 

Proprietà nutrizionali del tempeh

tabella con i valori nutrizionali del tempeh

Tempeh valori nutrizionali

Il tempeh è un alimento di origine vegetale che fornisce un buon apporto proteico, tanto da essere considerato simile alla carne.

 

L’utilizzo dell’intero germoglio di soia nella sua produzione lo rende diverso da altri prodotti, conferendogli un alto apporto di fibre, che contribuiscono al corretto funzionamento della peristalsi intestinale e contribuiscono ad un maggiore senso di sazietà.

Nella frazione lipidica sono presenti acidi grassi polinsaturi ed una piccola quota è rappresentata dagli acidi grassi omega 3.

 

Il tempeh è anche una discreta fonte di potassio, fosforo e calcio e di vitamine del gruppo B.

 

A differenza di altri prodotti fermentati a base di soia, come il miso, il tempeh possiede un basso contenuto di sodio, che lo rende adatto a chi necessita di seguire una dieta iposodica.

In questo alimento sono presenti anche saponine, isoflavoni, fitosteroli e lecitine tipici della soia.

 

Tempeh benefici

I benefici apportati dal tempeh sono da ricondurre alla ricchezza di fibre e ai minerali che possiede.

Il calcio, il fosforo e il potassio sono i minerali presenti in maggior quantità. I primi due contribuiscono a mantenere in salute le ossa, mentre il potassio regola la pressione arteriosa.

Al contrario, ha un basso contenuto di sodio e questa caratteristica lo rende un alimento utilizzabile in molti regimi dietetici.

 

Tempeh e interazioni

Il consumo del tempeh è sconsigliato ai soggetti ipotiroidei a causa della presenza degli isoflavoni e ai soggetti che hanno problemi renali a causa della presenza dell’acido ossalico.

 

Produzione e Tecnologia del tempeh

La produzione del tempeh

Il tempeh viene prodotto con i germogli di soia, ammorbiditi prima in acqua e in seguito parzialmente cotti e fermentati.

Per la fermentazione si aggiunge aceto e successivamente si inoculano microorganismi fermentanti, principalmente Rhizopus oligosporus, un micete (fungo) appartenente alla famiglia delle Mucoraceae.

Il composto ottenuto viene steso e lasciato fermentare per 24-36 ore ad una temperatura di circa 30°C, in modo tale che le spore del Rhizopus oligosporus possano sintetizzare i caratteristici miceli conferendo solidità e compattezza al tempeh.

 

La digeribilità del tempeh

La maggior digeribilità del tempeh rispetto alla soia è da attribuire all’azione del Rhizopus oligosporus che, oltre a degradare parzialmente le proteine (peptidasi fungina), determina una idrolisi quasi completa degli oligosaccaridi (raffinosio e stachinosio) generalmente responsabili del meteorismo e della tensione intestinale prodotta dai legumi.

Inoltre i germogli di soia utilizzati per la produzione del tempeh vengono parzialmente cotti all’inizio del processo, comportando in questo modo l’inattivazione degli inibitori di peptidasi e amilasi, sensibili al calore.

 

Stagionalità del tempeh

Il tempeh è reperibile sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione del tempeh

Il tempeh presenta un colore biancastro con alcuni punti neri o grigi. Macchie di colore rosa, gialle o blu sono indice di un prodotto eccessivamente fermentato.

 

Questo prodotto, prima della cottura, si conserva in frigorifero fino a 10 giorni e può essere conservato in congelatore per molti mesi.

È consigliabile sbollentarlo per 5-10 minuti prima di cucinarlo in padella con aromi. È anche possibile marinarlo qualche ora in acqua con salsa di soia e zenzero per poi cuocerlo in forno.

 

Il tempeh costituisce un prodotto estremamente versatile che può essere utilizzato in innumerevoli modi. Può anche essere grattugiato come il formaggio o usato in zuppe, insalate, panini, può essere cotto al vapore o al forno e aggiunto alle più svariate pietanze.



Tacchino

Tacchino

 

carne di tacchino

Famiglia: Meleagridi

Genere: Meleagris

Specie: Meleagris gallopavo

 

Il tacchino comune e il tacchino ocellato

Il tacchino (Meleagris gallopavo o tacchino comune) è originario dell’America del Nord (Messico, Stati Uniti e Canada), dove era largamente diffuso come animale selvatico. Tale specie veniva già allevata dagli Aztechi e da altre popolazioni locali, prima di essere diffusa ed importata in Spagna e, successivamente, in tutta Europa.

 

Questo tipo di tacchino appartenente al genere Meleagris presenta testa e cute priva di penne, di colore rosso pallido con sfumature azzurre e verruche di colore rosso intenso. Sul petto vi è il pennello, o granatello, formato da un insieme di setole nere nel maschio, quasi del tutto assenti nella femmina.

 

Il tacchino ocellato (Agriocaris ocellata) invece appartiene al genere Agriocaris ed è originario del Messico, dello Yucatan e del Guatemala; risulta leggermente più piccolo degli altri tacchini (il peso massimo arriva a 7-8 kg). La livrea presenta una colorazione con tinte dal nero, al verde-bruno, all’azzurro con riflessi color rame e oro con ocelli e picchiettature.

 

Tipi e tagli di carne di tacchino comune

Esistono tre tipi di tacchino comune: leggero, medio e pesante.

I primi due sono destinati al consumo intero, mentre quelli pesanti (il maschio può arrivare fino a 18-20 kg, la femmina fino a 9-10 kg) sono destinati al consumo porzionato (ovvero sotto forma di diversi tagli).

 

I tipici tagli del tacchino sono: petto, coscia, sovracoscia ed ali.

 

Proprietà nutrizionali dei tagli di carne di tacchino

tabella con i valori nutrizionali dei diversi tagli di tacchino
Tabella con i valori nutrizionali dei diversi tagli di carne di tacchino.

Valori nutrizionali della carne di tacchino

La composizione chimica della carne di tacchino è soggetta a variabilità in quanto è fortemente influenzata da diversi fattori quali la specie, l’età alla macellazione, il tipo di alimentazione, la tecnologia di allevamento e le modalità di lavorazione e conservazione delle carni.

La carne di tacchino è un’ottima fonte proteica, una tra le carni più magre in quanto il contenuto lipidico varia (dall’1 all’11%) a seconda della parte considerata.

Il tacchino è inoltre una buona fonte di sali minerali e vitamine del gruppo B.

 

Benefici della carne di tacchino

Il tacchino è un’ottima fonte di proteine ad alto valore nutrizionale, che sono cioè costituite da tutte gli amminoacidi essenziali che bisogna introdurre con l’alimentazione.

Inoltre la carne del tacchino è tenera e questa caratteristica la rende adatta ad essere consumata in molti tipi di alimentazione come quella degli anziani e dei bambini che potrebbero fare fatica a masticare o nell’alimentazione degli sportivi grazie, appunto, alla sua fonte proteica.

La fesa di tacchino inoltre è utile per contrastare la diarrea.

 

La porzione standard di consumo è 100 grammi, che corrisponde circa a una fetta di petto o una piccola coscia di tacchino.

 

Una porzione di tacchino copre circa il 30% del fabbisogno giornaliero di vitamina B3 (niacina), una vitamina coinvolta nella formazione di coenzimi necessari per il metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi.

 

Produzione e Tecnologia del tacchino

Allevamento del tacchino

Il tacchino è un avicolo che può essere allevato sia in pianura che in collina ed è in grado di adattarsi a diverse condizioni d’allevamento.

In Italia l’allevamento è molto diffuso in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sia per la produzione di carne, sia per l’uso delle tacchine come incubatrici. Le razze italiane allevate sono: Brianzolo, Castano precoce, Bronzato comune, Bronzato dei Colli Euganei, Ermellinato di Rovigo, Nero d’Italia, di Parma e di Piacenza, Romagnolo.

 

Negli allevamenti intensivi vengono allevati solo ibridi selezionati da incroci industriali che sono caratterizzati da una velocità di accrescimento maggiore, per permettere la macellazione tra le 9 e le 18 settimane di età, una migliore fertilità ed un numero più elevato di uova prodotte.

 

Il 23% delle carni avicole consumate a livello mondiale è rappresentato dalla carne di tacchino e i principali produttori e consumatori sono gli Stati Uniti, seguiti da Francia, Germania e a pari livello Polonia ed Italia; in Asia il tacchino non viene né allevato né consumato.

 

Esistono diversi tipi di allevamento a seconda delle diverse esigenze di produzione; in Italia, Stati Uniti e Germania l’allevamento è rivolto principalmente alla produzione di tacchini pesanti, in Francia, Inghilterra e in alcuni paesi dell’Est la produzione è invece rivolta a tacchini leggeri.

 

Tecniche di allevamento e ciclo di vita del tacchino

Il tacchino nelle prime 8 settimane di vita necessita di un ambiente condizionato in quanto ha bisogno di calore e di essere al riparo da umidità e correnti d’aria. Superate le 8 settimane l’allevamento può svolgersi anche in ambienti non condizionati.

L’ambiente più idoneo per l’allevamento del tacchino è rappresentato da luoghi collinari, con buona ventilazione naturale, al riparo da venti eccessivamente forti e freddi, con temperature miti.

 

Nel primo periodo dell’allevamento, ovvero le prime 8 settimane, i tacchinotti arrivano all’allevamento già separati per sesso ed in ogni area delimitata trovano posto circa 200 pulcini.

Sulla lettiera viene predisposta una fonte di calore, che assicura una temperatura a terra di circa 38°C. La temperatura sotto le cappe calde viene diminuita progressivamente di 2°C la settimana, in modo da arrivare nel giro di 6-7 settimane a una temperatura di 22-25° C con il 60-65% di umidità relativa.

L’illuminazione, nei primi tre giorni deve essere totale, dal quarto giorno si diminuisce gradualmente fino ad arrivare, al 27° giorno, alle 6-8 ore di oscurità.

 

Raggiunte le 8 settimane di vita il tacchino diventa più resistente e può essere trasferito in un nuovo ambiente. In questo secondo periodo è comunque importante assicurare adeguate condizioni ambientali e l’allevamento viene condotto in capannoni con condizioni di ventilazione forzata o, dove l’ambiente lo permette, naturale.

 

La separazione dei maschi dalle femmine, quando il sessaggio non è stato fatto alla nascita, si effettua a circa 3 mesi di età; da questo momento i due sessi saranno allevati separatamente.

 

L’allevamento dei riproduttori avviene in capannoni climatizzati e la durata del ciclo di ovodeposizione delle tacchine varia da 5 a 6 mesi, con una produzione di uova maggiore nelle prime 5 settimane. Il numero delle uova deposte è mediamente 90, di cui circa 80 incubabili.

 

Step di produzione della carne di tacchino

I tacchini destinati alla produzione di carne sono pronti per la macellazione fra la 16a e la 26a settimana, quando non sono più presenti le piccole penne nere in accrescimento.

Arrivano al macello in gabbioni a più piani, dove poi vengono caricati su un apposito trasportatore, inviati al sistema di stordimento elettrico e successivamente condotti nella zona di dissanguamento.

 

All’uscita del dissanguamento, entrano nella vasca di bagnatura, che provvede a facilitare l’operazione di spiumatura.

 

I tacchini spiumati sono pronti per subire il processo di eviscerazione e successivamente vengono appesi su cestelli all’interno di un tunnel.

Nella prima sezione del tunnel viene condotta l’asciugatura, operazione importante per la conservazione della carne, e successivamente si passa alla zona di raffreddamento. Questo è il momento in cui inizia la catena del freddo, essenziale per la conservazione del prodotto finito.

 

Le frattaglie invece vengono lavorate nel reparto di eviscerazione, ottenendo così prodotti già separati, sgrassati e puliti, che successivamente entrano nel tunnel per essere asciugati e raffreddati.

 

Infine frattaglie e tacchino vengono confezionati in appositi contenitori da centri di confezionamento o direttamente dalle aziende produttrici, prezzati ed etichettati.

 

Per garantire la conservazione delle carni durante la lavorazione, il trasporto e lo stoccaggio vengono mantenute temperature di 0-2°C e un livello di umidità controllato dell’85%; a queste condizioni le carni eviscerate di tacchino hanno una shelf-life di 9 giorni.

 

Preparazione e Conservazione della carne di tacchino

Il tacchino deve avere petto sodo ma essere flessibile al tatto; le carni non devono presentare odori forti, la pelle deve essere bianca senza chiazze.

 

Bisogna fare attenzione a rispettare la catena del freddo dal momento dell’acquisto fino al consumo, in modo tale da evitare lo sviluppo di microrganismi.

La carne di tacchino può essere conservata nella parte più fredda del frigorifero, coperta da pellicola trasparente, per un massimo di 1-2 giorni.

Il tacchino può essere anche conservato in freezer all’interno di sacchetti per 6 mesi e, una volta scongelato, deve essere consumato entro 12 ore.

 

Al momento del consumo di vi consigliamo di eliminare la pelle in quanto è la parte più ricca di grassi.

Per aumentarne la disponibilità di ferro non eme il suggerimento che vi diamo è quello di condire le vostre insalate di tacchino con fonti di vitamina C (come succo e scorza di limone, arancio o del peperoncino fresco tagliato finemente aggiunto a crudo).

Per quanto riguarda i metodi di cottura invece meglio prediligere quelli in padella con un filo di olio o al vapore.

 

Le proposte di ricette di FBO con il tacchino

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Rosmarino

Rosmarino

 

Famiglia: Lamiaceae

Genere: Rosmarinus

Specie: Rosmarinus officinalis

 

Rosmarino cos’è e varietà

Il rosmarino è un arbusto appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, tipico della costa mediterranea.

 

Esistono due principali varietà di rosmarino, diversificate in base alla tipologia di fusto:

 

  • eretto con fusto dritto
  • strisciante con fusto diviso in rami che tendono ad aprirsi a raggio

 

Tra i rosmarini a portamento eretto i più importanti sono Albiflorus (con fiori bianchi), Gorizia (con fiori azzurro intenso), Majorca (con fiori rosa) e Ulysse (con fiori blu scuro).

 

Invece Beneden Blu (con fiori blu intenso), Boule (con fiori azzurri punteggiati di blu), Corsican-blu (con fiori blu viola) e Montagnette (con fiori bianchi) sono le varietà più note di rosmarino strisciante.

 

In commercio il rosmarino si può trovare sia fresco che secco.

 

Proprietà nutrizionali del rosmarino fresco e secco

tabella con i valori nutrizionali del rosmarino fresco e del rosmarino secco
Tabella con i valori nutrizionali del rosmarino fresco e del rosmarino secco.

Valori nutrizionali del rosmarino fresco e del rosmarino secco

Le foglie del rosmarino sono ricche di un olio essenziale contenente pinene, borneolo, canfora e cineolo che insieme all’acido rosmarinico e all’acido carnosico conferiscono ottime proprietà antiossidanti a questo alimento.

 

È un’ottima fonte di potassio e calcio oltre che a un buon contenuto di fosforo, sodio e ferro.

Tra le vitamine la più abbondante è la vitamina A.

 

Il rosmarino secco, contenendo un quantitativo di acqua nettamente inferiore rispetto a quello fresco, a parità di peso presenta maggiori concentrazioni di nutrienti.

 

Benefici del rosmarino secco e fresco

Il rosmarino contiene soprattutto calcio che favorisce a mantenere in salute le ossa e potassio che regola la pressione arteriosa.

Tra le vitamine invece è bene ricordare la vitamina A che è impiegata nei processi visivi, la vitamina C che contribuisce nelle funzioni antiossidanti del corpo, ai processi di produzione del collagene e a tenere alte le difese immunitarie ed infine i folati che sono utilizzati per il corretto sviluppo del sistema nervoso fetale.

 

La porzione di consumo standard è 5 grammi.

 

Interazioni del rosmarino

I soggetti che assumono supplementi di ferro dovrebbero evitare di consumare questa erba aromatica.

In ogni caso è consigliabile non eccedere con il consumo di rosmarino in quanto potrebbe causare irritazioni a livello di stomaco e intestino.

 

Produzione e Tecnologia del rosmarino fresco e secco

Caratteri botanici della pianta del rosmarino

La pianta del rosmarino ha le somiglianze di un cespuglio, sempreverde e può raggiungere il metro e mezzo di altezza.

È molto resistente alla siccità, anche se periodi di forte aridità possono causare la caduta delle foglie. Quest’ultime sono strette e lunghe di colore verde intenso.

 

I fiori, presenti tutto l’anno hanno un colore dall’azzurro al violetto e sono riuniti in grappoli; sono inoltre ermafroditi e l’impollinazione viene effettuata soprattutto dalle api che dal loro nettare producono un’ottima varietà di miele.

I frutti sono degli acheni che diventano scuri a maturità.

 

Coltivazione del rosmarino

Il rosmarino è spesso presente lungo i pendii, le strade, sugli argini in quanto, avendo un apparato radicale molto profondo, aiuta a contenere il terreno.

È una pianta che ama il sole, il caldo e l’aria e deve quindi essere coltivata all’aperto, anche in vaso, purché sia tenuta su un balcone o un davanzale.

 

Sono piante che crescono molto bene lungo le zone litoranee del mediterraneo e tollerano senza alcuna difficoltà l’aria salmastra, ma è preferibile che siano localizzate in zone riparate da eventuali venti freddi durante l’inverno. Temperature al di sotto di 10-15 °C sono mal tollerate specialmente se la pianta ha già un certo numero di anni.

 

Produzione del rosmarino fresco e secco

Il rosmarino fiorisce da marzo a settembre-ottobre. Se il clima si mantiene particolarmente mite la fioritura può durare più a lungo.

Della pianta vengono utilizzati sia le foglie, sia i fiori, che vanno raccolti in piena fioritura, durante l’estate.

 

I rametti con i fiori del rosmarino vanno essiccati appena raccolti, il più velocemente possibile, appesi a testa in giù in luoghi asciutti, bui e aerati affinché non perdano le loro caratteristiche.

Una volta essiccati, si recuperano le foglie ed i fiori e si conservano in vasetti di vetro sigillati.

 

Per la produzione degli oli essenziali vengono invece utilizzate le sommità fiorite fresche.

 

Stagionalità del rosmarino

Il rosmarino fresco è reperibile sul mercato tutto l’anno se le condizioni climatiche lo permettono, altrimenti si trova in qualsiasi momento in commercio sotto forma essiccata.

 

Preparazione e Conservazione del rosmarino

Il rosmarino fresco è più aromatico rispetto a quello essiccato e si conserva per una settimana in frigorifero, avvolto in un tovagliolo umido.

Può essere anche congelato e conservato fino ad un massimo di 3 mesi.

 

In mancanza di rametti freschi si può utilizzare il rosmarino secco che si conserva in luogo fresco e asciutto per circa 6 mesi, in un contenitore a chiusura ermetica.

 

In cucina il rosmarino viene usato per insaporire carni, pesci, minestre e focacce, riducendo in tal modo l’utilizzo di sale. Infatti l’acido rosmarinico contenuto nel rosmarino si disperde facilmente nelle sostanze grasse (come l’olio extravergine d’oliva) permettendo così di aromatizzare i piatti.

 

Le proposte di ricetta di FBO con il rosmarino



Ricotta

Ricotta

 

tipi di ricotta

Cos’è la ricotta e origine del termine

La ricotta è un prodotto caseario che viene ottenuto attraverso il riscaldamento (almeno 72°C) del siero di latte (la parte liquida del latte che si separa dalla cagliata durante la caseificazione), debolmente acidificato con acido citrico, formato dalla coagulazione delle sieroproteine.

 

Il termine ricotta (“cotta due volte”) deriva dal fatto che le proteine e il grasso che la compongono subiscono un doppio processo di riscaldamento: il primo durante la fase di produzione del formaggio, il secondo per l’ottenimento del prodotto.

 

La ricotta viene prodotta tutto l’anno e, a prodotto finito, presenta una forma in genere troncoconica con diametro medio di 8-15 cm e altezza di 5-18 cm, con una superficie di colore bianco caratterizzata dalla presenta di piccoli rilievi che riproducono l’impronta del contenitore.

Il colore della pasta è bianco, la struttura è cremosa e poco consistente, il sapore leggermente dolce e l’odore delicato.

 

Riconoscimenti DOP

Sono state riconosciute per questo prodotto due D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta):

Ricotta Romana“(Reg CE 737/15 e Reg UE 1192/10) e “Ricotta di Bufala Campana” (Reg UE 634/10).

 

Per la prima il disciplinare di produzione prevede che il siero debba essere ottenuto da latte intero di pecora proveniente dal territorio della regione Lazio e le operazioni di lavorazione, trasformazione e condizionamento devono avvenire nel solo territorio della regione Lazio.

Per quanto riguarda la “Ricotta di Bufala Campana” invece la zona di produzione comprende zone ben definite delle regioni Campania, Lazio, Puglia e Molise.

 

Proprietà nutrizionali della ricotta

tabella con i valori nutrizionali della ricotta di bufala, della ricotta di capra e della ricotta di pecora
Tabella con i valori nutrizionali della ricotta di bufala, della ricotta di capra e della ricotta di pecora.

Valori nutrizionali dei diversi tipi di ricotta

La ricotta è una buona fonte di proteine e il suo contenuto varia anche in base al latte di partenza.

Le proteine presenti nella ricotta derivano dal siero del latte e risultano altamente digeribili. S

 

L’apporto di carboidrati è più contenuto e limitato al lattosio, responsabile anche del tipico sapore dolciastro.

 

Il contenuto della frazione lipidica viene influenzato dal tipo di latte di partenza utilizzato (il latte di bufala ne è più ricco) e dal metodo di preparazione usato.
Infatti il siero di latte di partenza è spesso addizionato con latte puro o crema di latte per aumentare la resa del prodotto e renderlo più cremoso; dunque, in base alle quantità aggiunte, la composizione lipidica può variare dal 5% al 15%.

 

La ricotta è un’importante fonte di sali minerali, in particolar modo di calcio e fosforo. L’apporto di sali risulta maggiore per la ricotta ottenuta dal latte di bufala.

 

Relativamente alle vitamine si osserva invece un contenuto similare tra le varie tipologie di ricotta.

Le vitamine idrosolubili (vitamine del gruppo B e la vitamina C) sono presenti in quantità inferiori rispetto al latte in quanto in parte rimangono nel siero, anche se alcune vitamine del gruppo B (come la vitamina B12) possono essere sintetizzate da microorganismi durante la maturazione.

 

Benefici della ricotta

La ricotta è composta da vitamine con azione antiossidante e minerali come il calcio e il fosforo che prevengono la salute delle ossa.

 

Inoltre le proteine contenute nella ricotta sono proteine ricche di amminoacidi essenziali, ovvero amminoacidi che l’organismo non riesce a sintetizzare e deve assumere con la dieta, in particolare leucina, valina, treonina.

 

La porzione di consumo standard consigliata è 100 grammi di ricotta fresca.

Ricordiamo che una porzione di ricotta copre circa il 30% del fabbisogno giornaliero di calcio e più della metà della Dose giornaliera raccomandata di fosforo, facendo riferimento alla popolazione adulta.

 

Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile in caso di alterazioni del gusto e perdita di appetito, due effetti collaterali derivanti dal trattamento oncologico.

 

Interazioni della ricotta

Si consiglia un consumo moderato, specialmente per chi soffre di ipertensione,. di questo alimento in quanto contiene sodio.

 

La ricotta, e in generale i latticini, possono interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

In particolare se si assume la tetraciclina durante i pasti se si avverte mal di stomaco, bisognerebbe evitare il consumo di latte e latticini un’ora prima o due ore dopo.

 

Produzione e Tecnologia della ricotta

La materia prima: il latte

La lavorazione della ricotta avviene contemporaneamente a quella di formaggi ottenuti da latte di vacca, bufala o pecora.

La tipologia del latte di partenza è molto importante ed influenza la formazione della ricotta, in quanto maggiore è il contenuto di sieroproteine, maggiore è la facilità di produzione.

 

Processo di produzione della ricotta

La ricotta deriva dalla coagulazione caldo-acida del siero e, nel caso in cui fosse necessario acidificare il siero residuo della lavorazione del formaggio, si ricorre all’utilizzo di acido citrico monoidrato o lattofermento.

Al siero si addiziona spesso una certa quantità di latte in modo tale da aumentare la resa, la consistenza (più morbida) e il gusto (più cremoso) della ricotta.

 

Durante il processo produttivo viene aggiunto anche il sale, immesso in caldaia quando il siero ha raggiunto i 63°C, che conferisce al prodotto una limitata sapidità, ma soprattutto agisce come coadiuvante nella flocculazione.

 

La produzione della ricotta DOP

Per quanto riguarda la produzione delle D.O.P., la materia prima della “Ricotta Romana” è rappresentata dal siero di latte intero di pecora delle razze Sarda, Comisana, Sopravvissana, Massese e i loro incroci.

Questo tipo di ricotta assume un caratteristico sapore dolciastro dovuto al siero utilizzato.

 

Per la produzione della “Ricotta di Bufala Campana” è utilizzato siero dolce proveniente dalla lavorazione del latte di bufala di Razza Mediterranea Italiana allevate in Campania, Lazio, Puglia e Molise.

 

Fasi di produzione della ricotta

Inizialmente il siero viene filtrato, mediante colino a rete fine, per eliminare i residui di cagliata.

 

La successiva lavorazione avviene in caldaia di rame o di acciaio inox.

La massa viene mantenuta sotto lenta agitazione e riscaldata a fuoco diretto fino a 85-90°C; a questo punto si può addizionare latte ed eventualmente il sale (0.3-0.5 kg/qle). A questa temperatura si ottiene l’affioramento dei fiocchi di proteine coagulate.

Con il riscaldamento infatti le sieroproteine, coagulano e formano fiocchi caratteristici, che affiorano, inglobando altre sostanze contenute nel siero quali lattosio, grasso, sali minerali e vitamine.

La temperatura necessaria perché la flocculazione avvenga è diversa a seconda del latte e dell’aggiunta di latte o panna; un riscaldamento troppo elevato rende la ricotta grumosa, dura, demineralizzata e con aroma di latte cotto.

 

Una volta che il coagulo ha assunto la giusta consistenza si procede alla raccolta entro 5-10 minuti.

La ricotta viene quindi posta in fiscelle di vimini o plastica di forma tronco-conica e lasciata spurgare su tavoli di legno inclinati, in locali ben arieggiati e freschi, a temperatura ambiente (18-20 °C) per 4-5 ore in inverno e per pochi minuti in estate.

Successivamente viene conservata per 1-2 giorni in frigorifero a 4°C in quanto, essendo un prodotto fresco, risulta facilmente deperibile ed il ridotto sale introdotto in caldaia non ha azione conservante.

 

Tecniche di conservazione della ricotta

La ricotta può essere conservata per un periodo di tempo più lungo utilizzando diverse tecniche. La ricotta salata si ottiene salando la ricotta in seguito alla spurgatura, con una stagionatura massima di 90 giorni.

Una maturazione massima di 30 giorni viene invece suggerita per la ricotta infornata, ovvero trattata a 150-180°C, in seguito alla salatura, fino ad imbrunimento della superficie esterna. Per ottenere invece la ricotta affumicata bisogna lasciarla asciugare all’aria per 2-3 giorni, salarla ed in seguito affumicarla.

La ricotta stagionata o erborinata si ottiene con sale in presenza di Penicillium roqueforti e si suggerisce una maturazione massima di 60 giorni.

 

La stagionatura

Per stagionare il prodotto è necessario cospargerlo di sale ogni due giorni, per circa dieci giorni.

Le forme estratte dalle fiscelle vengono disposte su piani di legno in locali di conservazione freschi e poco illuminati, dove stagionano per 1-3 mesi, senza subire altro trattamento.

Al termine della stagionatura il prodotto presenta una consistenza dura e una superficie lucida, dovuta all’affioramento del grasso. Il colore diventa giallo crema ed il sapore sapido, leggermente piccante.

 

La ricotta sul mercato

La ricotta può essere commercializzata direttamente nelle fiscelle oppure estratta ed avvolta in carta pergamena o confezionato sottovuoto.

Inoltre è un prodotto reperibile sul mercato durante tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione della ricotta

La ricotta artigianale va consumata subito dopo l’acquisto o in breve tempo, quella industriale invece si può conservare nel settore meno freddo del frigorifero per almeno 15 giorni o entro la data di scadenza indicata sulla confezione.

 

Siccome è un alimento fresco e facilmente deperibile, se si va oltre tale periodo si verifica un progressivo aumento dell’acidità, la pasta perde coesione, il colore passa dal bianco al giallognolo e si ha una modifica del sapore verso l’amaro.

 

La durata di conservazione è legata al contenuto di umidità presente nella ricotta: maggiore è il quantitativo di acqua presente, maggiore è la possibilità che deperisca in breve tempo.

La ricotta che si presenta più dura e compatta ha una minor quantità di acqua e quindi si può conservare più a lungo.

 

Questo alimento però è molto versatile, infatti può trovare impiego nella produzione di dolci, nella preparazione di paste ripiene e nella produzione di torte salate o come condimento per la pasta.

Per via del suo contenuto proteico è da considerarsi come un secondo piatto.

 

Le proposte di ricette di FBO con la ricotta



Pollo

Pollo

 

carne di pollo

 

Il Pollo domestico (Gallus gallus domesticus) è la principale specie avicola allevata a livello mondiale sia per la sua carne sia per la produzione di uova.

 

Il numero di razze e varietà di polli domestici che sono state selezionate nei vari Paesi è notevolissimo; a livello industriale vengono utilizzati ibridi, che derivano da scelte genetiche finalizzate a diminuire i tempi e i costi di produzione.

 

Varietà di pollo

In commercio si possono trovare varietà di pollo selezionate per la produzione di carne (broiler) e varietà selezionate per la produzione di uova (ovaiole).

 

A seconda del paese ci sono differenze nelle caratteristiche che questi animali devono possedere; il peso e l’età alla macellazione possono variare rispettivamente da 1 a 4 kg e dai 30 ai 55 giorni.

 

In Italia sono tre le tipologie di pollo broiler:

 

  • Pollo leggero, macellato a un’età di 32-37 giorni con un peso tra 1,5 e 1,7 kg. È destinato prevalentemente alle rosticcerie o a essere commercializzato intero.

 

  • Pollo medio macellato a un’età di 42-48 giorni, quando raggiunge un peso di circa 2.5 kg. È destinato alla trasformazione (sezionati o terza-quarta gamma).

 

  • Pollo pesante destinato alla produzione di elaborati e trasformati, alla macellazione raggiunge un peso superiore ai 3 kg per un’età di circa 50-55 giorni.

 

In alcune regioni è possibile trovare anche il polletto destinato alla rosticceria con un peso intorno a 1 kg e un’età di 25 giorni.

 

Prodotti in commercio

In commercio è possibile reperire, oltre a polli interi confezionati, anche prodotti trasformati e sezionati (tagli di particolare interesse sono il petto e la coscia).

La gamma dei prodotti elaborati include: spiedini, polpette, cotolette, hamburger, arrosti pronti o involtini di pollo.

 

I prodotti carnei commercializzati vengono distinti in funzione delle caratteristiche che li contraddistinguono e dei processi di trasformazione che hanno subito. In particolare è possibile identificare prodotti di:

 

– prima gamma, pollo intero non cotto;

– seconda gamma, sezionati (cosce, ali, fusi, petti);

– terza gamma, preparati non cotti, carni pronte per esser cucinate (hamburger, spiedini, polpettone);

– quarta gamma, preparati precotti (cotolette, cordon bleu)

– e quinta gamma, trasformati pronti al consumo già cotti (salumi e rollè).

 

Proprietà nutrizionali del pollo

tabella con i valori nutrizionali dell'ala, del fuso, del petto, della sovracoscia e del pollo intero senza pelle
Tabella con i valori nutrizionali dell’ala, del fuso, del petto, della sovracoscia e del pollo intero senza pelle.

Pollo valori nutrizionali

La composizione chimica dei muscoli scheletrici, e conseguentemente della carne di pollo, è fortemente influenzata da svariati fattori quali varietà, tipo genetico, età di macellazione, regime e tipo di alimentazione e modalità di lavorazione.

Pertanto, risulta difficile indicare una composizione media della carne riferibile con buona approssimazione a tutte le molteplicità zootecniche destinate a tali produzioni.

 

Dal punto di vista nutrizionale, la carne di pollo costituisce un’importante fonte proteica con un discreto tenore di acidi grassi essenziali omega-6, come acido linoleico e arachidonico, e basso contenuto in colesterolo (meno di 80 mg in 100 g di carne sottoposta a asportazione del grasso sottocutaneo).

 

Il contenuto lipidico è variabile a seconda della parte considerata (da 0,8 a 14%), ma è comunque inferiore rispetto ad altre carni; il grasso inoltre è separabile perché è in maggior parte sottocutaneo e addominale.

 

Il pollo rappresenta inoltre una buona fonte di sali minerali come fosforo e magnesio ed è un’ottima fonte di niacina e di vitamina B12.

 

Dai dati riportati in tabella si può notare come le diverse porzioni del pollo presentino una composizione nutrizionale pressoché simile, ad eccezione della quantità di lipidi presenti nel petto che è nettamente inferiore rispetto alle altre parti anatomiche.

 

Pollo benefici

Il pollo è una buona fonte di proteine “ad alto valore biologico”, che sono proteine costituite da tutti amminoacidi essenziali (caratteristica comune a tutte le proteine di origine animale) e che lo rendono un alimento adatto ad essere inserito all’interno di un’alimentazione sportiva.

La carne del pollo, inoltre, essendo molto tenera, può essere consumata abbastanza facilmente anche da bambini e anziani.

 

Oltre alle proteine e alla consistenza della carne, è bene evidenziare che questa carne è fonte di ferro, zinco e potassio.

 

La porzione di consumo consigliata è 100 grammi, che corrisponde circa a una fetta di petto o una coscia di pollo.

 

Una porzione di carne di pollo copre circa il 30% del fabbisogno giornaliero di niacina, vitamina coinvolta nella formazione di coenzimi necessari per il metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi.

 

Il consumo del petto di pollo può essere utile per contrastare la diarrea.

 

Produzione e Tecnologia del pollo

I maggiori Paesi produttori della carne di pollo

La carne di pollo rappresenta la seconda tipologia di carne prodotta e consumata e si prevede un forte aumento dei suoi consumi. Attualmente si stima una produzione annuale di carne di pollo di 91 milioni di tonnellate.

I maggiori produttori sono gli Stati Uniti, Cina e Brasile. Al quarto posto troviamo l’Unione Europea.

Tra i principali produttori europei ci sono Francia, Germania, Italia, Olanda, Spagna e Regno Unito. Il nostro paese è al settimo posto a livello europeo.

 

La situazione in Italia

Il settore avicolo viene considerato il secondo comparto zootecnico nazionale per importanza produttiva ed economica dopo quello bovino.

Il patrimonio avicolo è concentrato soprattutto in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, l’allevamento è per oltre il 90% di tipo intensivo, mentre il restante è di tipo rurale e finalizzato all’autoconsumo.

 

L’allevamento dei polli broiler

I polli broiler vengono allevati generalmente in ambienti chiusi e dotati di sistemi di controllo automatico delle condizioni climatiche. L’allevamento è condotto a terra dove viene sparso il mangime, per poi passare alle mangiatoie.

È importante che l’acqua sia sempre presente, se infatti la somministrazione di acqua non è adeguata, si riduce anche il consumo di alimento e quindi la crescita.

 

Il controllo del microclima, ovvero temperatura, umidità relativa, luce e qualità dell’aria è importante per l’accrescimento, la salute e il benessere degli animali allevati e rappresenta un punto fondamentale da considerare.

La temperatura in allevamento varia a seconda dell’età: all’accasamento e nelle successive 48 ore deve essere di 30-32°C a per i pulcini, per poi calare di circa un grado ogni tre giorni fino ad arrivare a 21°C a 27 giorni di età, e quindi rimanere costante.

L’umidità relativa (UR) deriva dall’attività respiratoria, dalle condizioni della lettiera e dal sistema di distribuzione dell’acqua. Essa regola lo sviluppo della livrea e influisce sulla capacità di termoregolazione dell’animale.

La luce è un parametro importante, il programma luminoso classico prevede 23 ore di luce e un’ora di buio al giorno, così che i polli possano alimentarsi durante l’intera giornata.

L’intensità luminosa raccomandata è di 20 lux nella prima settimana di vita, in modo da favorire l’adattamento dei pulcini; viene poi gradualmente diminuita tra la seconda e la terza settimana di vita a 5-10 lux e mantenuta costante.

 

Il ciclo di allevamento del pollo broiler

Il ciclo di allevamento del broiler viene suddiviso in tre fasi: svezzamento, crescita e finissaggio.
Ogni momento è caratterizzato da particolari esigenze e sia gli animali che le condizioni del ricovero devono essere attentamente monitorate.

Per quanto riguarda la densità di allevamento, essa è stabilita dalla direttiva europea 2007/43/CE, in vigore dal 30 giugno 2010, ed è pari a 33 kg/m2, con la possibilità di aumento a 39 e 42 kg/m2 nel caso in cui siano rispettate specifiche condizioni di allevamento.

 

I pulcini devono possedere una protezione immunitaria adeguata e l’allevamento deve essere pulito e esente da patogeni. I broiler sono sottoposti a un programma vaccinale adattato alla zona geografica e a quanto previsto per i riproduttori.

 

All’arrivo al macello, il veterinario ASL controlla il certificato di sanità ed esegue una visita ante mortem. I polli vengono quindi scaricati e passano attraverso la fase di stordimento.

Si procede quindi al dissanguamento, scottatura, spennatura meccanica, taglio delle zampe e asportazione dei visceri.

Si passa quindi alla fase di refrigerazione (più rapida possibile), sezionatura ed eventuali lavorazioni successive, confezionamento, spedizione.

Le femmine e i “polletti” vengono macellati a pesi minori e commercializzati come pollo in busto, mentre i maschi vengono generalmente inviati alle prime, seconde e terze lavorazioni.

 

I visceri edibili (ventriglio, fegato senza cistifellea, cuore) possono essere confezionati separatamente; le restanti parti vengono disidratate, stoccate e utilizzate per la produzione di farine di carne.

 

Preparazione e Conservazione del pollo

Come per le altre tipologie di carni, anche il pollo se mal conservato può rappresentare un substrato per lo sviluppo di batteri e altri microrganismi. Specialmente nelle giornate più calde, occorre quindi prestare un’attenzione particolare al trasporto e alla successiva conservazione.

 

Se passa qualche ora dall’acquisto all’arrivo a casa è meglio chiudere il pollo in una borsa termica.

Prima della conservazione in frigorifero, nel ripiano inferiore, occorre eliminare l’involucro originale e chiuderlo in un sacchetto di plastica adatto, per evitare possibili contaminazioni con gli altri alimenti presenti; si noti che la legge impone a macellerie, supermercati e ristoranti di conservare il pollame in un frigorifero separato.

 

Se il pollo non viene cucinato entro un paio di giorni, è preferibile conservarlo in freezer (prima di congelarlo bisogna però lavarlo), dove si può conservare fino a un anno, meno se congelato in pezzi.

Lo scongelamento deve essere fatto in frigorifero mettendo il pollo su un piatto e coprendolo con un foglio di pellicola o alluminio.

 

Prima della cottura è buona prassi sciacquarlo a lungo sotto l’acqua corrente.

Dopo averlo fatto sgocciolare lo si asciuga con carta da cucina, per poi passare alla cottura.

La cottura può essere effettuata in svariati modi, al forno, alla piastra in fettine, in padella a tocchetti/straccetti o bollito, per essere quindi inserito a pezzetti in gustose insalate.
In generale le modalità di cottura da prediligere sono in padella con un filo d’olio, al vapore o previa marinatura; da limitare invece la cottura alla griglia.

 

Le proposte di ricette di FBO con il pollo



Piselli

Piselli

 

Famiglia: Fabaceae

Genere: Pisum

Specie: Pisum sativum

 

Piselli: origine e cosa sono

La pianta dei piselli (Pisum sativum), appartiene alla famiglia delle Fabacee ed è una pianta annuale diffusa in tutto il mondo, soprattutto nei paesi asiatici (India e Cina).

I piselli sono legumi che iniziano a germogliare a marzo e completano la maturazione verso aprile/maggio quando avviene la raccolta.

 

Varietà di piselli

Esistono diverse varietà di piselli; le più diffuse sono:

 

  • piselli nani,
  • mezza rama,
  • rampicanti,
  • mangiatutto

 

A seconda del tipo di utilizzo vengono coltivate differenti varietà di piselli: nana o semi-nana, che permettono la raccolta meccanizzata per ottenere i piselli secchi; per il consumo fresco quelli rampicanti, raccolti a mano.

I piselli verdi-verde scuro grinzosi, che rimangono dolci più a lungo, per il surgelamento; invece quelli piccoli, lisci, verde chiaro che maturano più velocemente per l’inscatolamento.

 

Proprietà nutrizionali dei piselli

tabella con i valori nutrizionali dei piselli freschi, dei piselli secchi, dei piselli in scatola e dei piselli surgelati
Tabella con i valori nutrizionali di piselli freschi, piselli secchi, piselli in scatola e piselli surgelati.

Piselli valori nutrizionali

Dai dati riportati in tabella, si può notare come i valori nutrizionali dei piselli freschi e di quelli surgelati siano molto simili; quelli in scatola invece, rispetto ai piselli freschi, possiedono un maggior quantitativo di zuccheri e sodio.

 

Questi legumi sono ricchi di proteine, anche se presentano difetti in relazione agli amminoacidi essenziali, presentando come amminoacido limitante la metionina e per questo è consigliato consumarli in associazione con cereali, in modo da ottenere un effetto complementare.

 

Il contenuto di carboidrati aumenta con il procedere della conservazione in quanto man mano si verifica una progressiva perdita di acqua.

 

I piselli sono un’ottima fonte di luteina, un pigmento appartenente alla famiglia delle xantofille.

 

Piselli benefici

I benefici dovuti al consumo di piselli sono da riconoscere alle vitamine, ai minerali e alle fibre in essi contenuti.

 

In particolare questi legumi sono fonte di vitamine del gruppo B come i folati, che agiscono a livello del sistema nervoso fetale, di vitamina C che ha funzione antiossidante ed è coinvolta nei processi del collagene e di vitamina A (come retinolo equivalenti) con anch’essa funzione antiossidante e fondamentale nei processi visivi.

 

Inoltre sono fonte di calcio e fosforo che mantengono in salute le ossa e di fibra, che ha potere saziante e aiuta a controllare i livelli di colesterolo.

Basti pensare che mezzo piatto di piselli surgelati contengono 11,7 g di fibra, ovvero quasi metà della dose giornaliera raccomandata di fibra per la popolazione adulta (che è di 25 g).

 

La luteina infine è strettamente legata alla vitamina A e fondamentale per la salute dell’occhio. Il contenuto di luteina diminuisce significativamente solo nei piselli secchi, tutte le altre tipologie di trattamento non ne determinano infatti una diminuzione.

 

La porzione di consumo consigliata per i piselli freschi è 150 grammi, che corrispondono circa a mezzo piatto mentre la porzione consigliata per i piselli secchi è 50 grammi che corrispondono circa a 3/4 cucchiai.

 

Il consumo di questo legume potrebbe essere utile in caso di diarrea.

 

Piselli interazioni

I piselli potrebbero interferire con i farmaci anticoagulanti (come ad esempio il warfarin).

 

Produzione e Tecnologia dei piselli

Caratteri botanici della pianta di piselli

Il pisello è una pianta microterma che ha limitate esigenze di temperature per crescere e svilupparsi.

Non è in grado di resistere alla siccità e alle alte temperature e per questo la coltura del pisello può essere fatta con successo negli ambienti o nelle stagioni fresche.

In Italia la semina autunnale avviene nelle regioni a inverno mite (centro-meridionali), mentre in quelle settentrionali può essere adottata solo con varietà resistenti al freddo.

 

Tecniche di produzione delle diverse tipologie di piselli:

Ottenimento dei piselli freschi

I baccelli verdi di alcune varietà arrivati al corretto grado di maturazione si raccolgono e si mettono in commercio per il consumo diretto come ortaggio.

I baccelli si possono raccogliere anche quando iniziano a impallidire e quindi si sgranano i semi, si eliminano quelli difettosi raggrinziti e si mettono in commercio come piselli freschi.

 

Ottenimento dei piselli surgelati

Per la produzione dei piselli surgelati vengono generalmente utilizzate le varietà a seme rugoso, che sono tendenzialmente più dolci e più tenere di quelle a seme liscio.

 

Lo stadio di maturazione ottimale varia a seconda del calibro; in commercio si possono infatti trovare piselli surgelati extrafini (fino a 7,5 mm), finissimi (da 7,5 a 8,75 mm), fini (da 8,75 a 10,2) e medi (oltre 10,2).

 

La produzione di piselli surgelati richiede diverse fasi.

Inizialmente viene effettuata la pulitura che permette di allontanare le parti vegetali estranee (baccelli, foglie, …) e successivamente i piselli vengono sottoposti a cicli di lavaggi per rimuovere le eventuali impurità ancora presenti.

Dopo queste prime operazioni vengono scottati in vasche di acqua bollente o mediante vapore surriscaldato determinando l’inattivazione degli enzimi.

All’uscita dello scottatore il prodotto deve essere raffreddato immediatamente e rapidamente ad una temperatura inferiore a 15°C, allo scopo di arrestare l’azione del calore, e limitare il rischio di proliferazione dei microrganismi, in quanto la scottatura priva i tessuti delle difese naturali. Nella pratica industriale il raffreddamento è realizzato mediante immersione del prodotto in acqua.

Successivamente il prodotto viene lasciato a sgocciolare per poi effettuare la fase di surgelazione vera e propria che deve avvenire in tempi brevi.

In questo modo si riescono a mantenere le caratteristiche strutturali del prodotto pressoché equivalenti a quelle del prodotto fresco.

 

Ottenimento dei piselli in scatola

Le varietà di piselli idonee alla conservazione in scatola sono quelle caratterizzate da una superficie liscia e un alto contenuto zuccherino.

 

Per la produzione di piselli in scatola dopo le prime fasi di preparazione i piselli vengono scottati in acqua bollente e successivamente, mediante macchine riempitrici più o meno automatiche, vengono inseriti in contenitori idonei per gli alimenti, quali vasi di vetro e scatole di banda stagnata.

Si procede quindi con l’aggiunta a caldo (superiore a 85°C) del liquido di governo, costituito da acqua e sale (ed eventuali altri ingredienti).

Infine i contenitori vengono chiusi con sistemi che assicurano l’ermeticità e viene effettuata la sterilizzazione, a temperature superiori ai 100°C e per tempi variabili, dai 10 ai 60 minuti, in base al formato e al tipo di materiale utilizzato per il confezionamento.

Dopo la sterilizzazione è opportuno, per una migliore qualità del prodotto, raffreddare rapidamente le confezioni fino al raggiungimento da parte del prodotto della temperatura di circa 40°C.

 

Ottenimento dei piselli secchi

Per la produzione di piselli secchi vengono coltivate le varietà nana o semi nana che permettono la raccolta meccanizzata attraverso l’utilizzo di mietitrebbiatrici da frumento.

Dopo la raccolta vengono lasciati essiccare al sole e poi setacciati in modo da allontanare eventuali agenti estranei per poi poter essere confezionati.

 

Stagionalità dei piselli

In commercio si possono trovare i piselli freschi, i piselli secchi, quelli in scatola e surgelati.

I piselli freschi si trovano sul mercato a giugno e luglio, altrimenti si possono trovare tutto l’anno essiccati, surgelati o inscatolati.

 

Preparazione e Conservazione dei piselli

Tra tutti i legumi i piselli sono tra quelli con una maggiore digeribilità.

 

Dei piselli freschi non si scarta nulla, in quanto i baccelli sono commestibili e possono essere utilizzati per preparare creme, brodi e zuppe.

I piselli secchi sono ideali per la preparazione di minestre e di zuppe, mentre quelli in scatola o surgelati vengono utilizzati principalmente come contorni.

 

I piselli secchi vanno conservati in un luogo buio e fresco, lontano da fonti di calore e richiedono, prima della cottura, una fase di ammollo in acqua fredda per almeno due ore.

L’ammollo è una fase fondamentale in quanto i legumi sono semi ricchi di amido e proteine, ricoperti da una buccia composta principalmente da fibre.

L’amido all’interno del seme si trova sotto forma di granuli compatti che a contatto con l’acqua tendono a gonfiarsi.

Durante la cottura prosegue il rigonfiamento dei granuli e l’amido “gelatinizza”, trasformandosi in una massa tenera e pastosa.

Una volta reidratati i piselli si possono lessare o cuocere a vapore, a fiamma bassa preferibilmente nelle classiche pentole di terracotta. Un’alternativa può essere l’utilizzo della pentola a pressione che permette di ridurre i tempi di cottura.

 

La proposta di ricetta di FBO con i piselli



Parmigiano Reggiano DOP

Parmigiano Reggiano DOP

 

parmigiano reggiano dop

Parmigiano Reggiano DOP: cos’è e caratteristiche

Il Parmigiano Reggiano D.O.P. è un formaggio semigrasso a pasta dura, cotta e a lenta maturazione, prodotto con latte crudo, parzialmente scremato, proveniente da vacche la cui alimentazione è costituita prevalentemente da foraggi della zona d’origine.

Il latte utilizzato nella produzione di Parmigiano Reggiano non può essere precedentemente sottoposto a trattamenti termici e non è ammesso l’uso di additivi.

 

Il Parmigiano Reggiano presenta delle caratteristiche specifiche: la forma di almeno 30 kg è cilindrica, con facce piane leggermente orlate e scalzo alto dai 20 ai 26 cm, leggermente convesso o quasi dritto. La crosta è di colore paglierino con uno spessore di circa 6 mm, mentre la pasta minutamente granulosa ha aroma fragrante e delicato.

 

In commercio, date le grandi dimensioni della forma, è possibile trovare pezzi di Parmigiano Reggiano di diverse dimensioni che presentano ancora parte della crosta e generalmente sono confezionati sottovuoto.

Sono diffuse anche confezioni di Parmigiano Reggiano, tagliato a cubetti pronti per il consumo, già privati della crosta.

Si possono trovare inoltre buste di formaggio grattugiato che permettono di chiudere ermeticamente il prodotto, evitando in tal modo il contatto con l’umidità dell’ambiente esterno.

 

Proprietà nutrizionali del Parmigiano Reggiano DOP

tabella con i valori nutrizionali del parmigiano reggiano DOP

Parmigiano Reggiano valori nutrizionali

Il Parmigiano Reggiano è un formaggio a pasta dura e a lunga stagionatura che presenta solo il 30% di acqua.

 

È ricco di proteine, con una buona composizione in aminoacidi essenziali, facilmente assimilabili per la presenza di enzimi che modificano la caseina e la rendono altamente digeribile.

 

È privo di lattosio e ha un contenuto di grassi moderato, rispetto alla maggior parte degli altri formaggi stagionati, in quanto prodotto con latte parzialmente scremato.

 

Presenta inoltre un elevato contenuto di sali minerali, come calcio e fosforo, e di vitamine, come la vitamina A.

L’elevato contenuto di sodio è dovuto all’utilizzo di grandi quantità di sale durante le diverse fasi di lavorazione del Parmigiano Reggiano.

 

Parmigiano Reggiano benefici

Il parmigiano è costituito da proteine ad alto valore biologico, cioè formate da aminoacidi essenziali.

Inoltre è anche composto da minerali come calcio, ferro, zinco e vitamine del gruppo B. Queste molecole contribuiscono a mantenere in salute il corpo. Nello specifico, il gruppo delle vitamine B e lo zinco partecipano alle reazioni del metabolismo, il calcio contribuisce a mantenere in salute le ossa e il ferro viene utilizzato per la produzione dei globuli rossi.

Inoltre, sia le vitamine del gruppo B sia il ferro sia lo zinco, aumentano le difese immunitarie del corpo.

 

Il parmigiano è privo di lattosio, caratteristica lo rende consumabile anche da parte di soggetti allergici o intolleranti a questo zucchero. Questo perché durante la stagionatura i microorganismi digeriscono il lattosio lasciando solo tracce nel prodotto finito.

 

La porzione standard consigliata è di circa 50 grammi.

 

Interazioni del Parmigiano Reggiano

In generale i latticini possono interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

 

Produzione e Tecnologia del Parmigiano Reggiano DOP

Le zone di produzione del Parmigiano Reggiano DOP

Il Parmigiano Reggiano è una tipologia di formaggio prodotta esclusivamente nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e parte delle province di Mantova e Bologna, tra il Po e il Reno.

 

La Denominazione di Origine Protetta (DOP) è stata riconosciuta il 12 giugno 1996, sebbene fosse un formaggio D.O.C dal 1952.

 

La materia prima

Il latte utilizzato deve provenire da bovine perfettamente sane, la cui alimentazione è costituita da foraggi di prato, mentre sono assolutamente vietati i foraggi insilati.

Ogni giorno il latte della mungitura serale viene lasciato riposare fino al mattino in ampie vasche, nelle quali affiora spontaneamente la frazione grassa, destinata alla produzione del burro.

Il latte scremato viene poi versato, insieme al latte intero della mungitura del mattino, nelle tipiche caldaie di rame. A questo viene aggiunto caglio di vitello e il sieroinnesto, coltura naturale di fermenti lattici ottenuta dal siero residuo della lavorazione del giorno precedente.

Alla temperatura di 33-35°C, il latte coagula in circa 10 minuti.

 

La cagliata ottenuta viene frammentata in minuscoli granuli grazie all’utilizzo di un attrezzo detto spino. A questo punto, si innalza in maniera graduale la temperatura fino ai 55°C.

 

Al termine della cottura i granuli precipitano sul fondo della caldaia formando un’unica massa che dopo circa 50 minuti viene estratta e trasferita in appositi contenitori per la formatura.

 

La formatura e la salatura

Ogni forma viene contrassegnata con un numero unico e progressivo che l’accompagnerà, come una carta d’identità.

Dopo poche ore, una speciale fascia marchiante incide sulla forma il mese e l’anno di produzione, il numero di matricola che contraddistingue il caseificio e l’inconfondibile scritta a puntini su tutta la circonferenza delle forme.

 

A distanza di pochi giorni le forme vengono immerse in una soluzione satura di acqua e sale; la salatura avviene per assorbimento e dura circa un mese a una temperatura di 16-18°C.

 

La stagionatura

Terminata la fase di produzione viene effettuata la stagionatura. Le forme di formaggio vengono lasciate riposare su tavole di legno e man mano la parte esterna del formaggio si asciuga formando una crosta naturale, senza trattamenti, perciò perfettamente edibile.

 

La stagionatura minima è di 12 mesi, ma può essere protratta fino a 24 mesi.

È solo a quel punto che si potrà dire se ogni singola forma potrà conservare il nome che le è stato impresso, in quanto solo le forme perfette ricevono le marchiature previste dal consorzio.

 

Il controllo qualità

L’accertamento di qualità avviene mediante un attento esame da parte dell’esperto responsabile dei controlli, che opera utilizzando due semplici strumenti: il tradizionale martelletto e l’ago a vite.

 

Dopo la verifica, viene applicato il bollo a fuoco sulle forme che possiedono i requisiti della Denominazione d’Origine Protetta:

 

  • Un bollino color aragosta caratterizza il Parmigiano Reggiano con oltre 18 mesi di stagionatura. E’ un prodotto che presenta una base lattica piuttosto accentuata, con note vegetali quali erba, fiori e frutta.

 

  • Un bollino argento individua il formaggio con una stagionatura di oltre 22 mesi, con aromi che si vanno decisamente accentuando. Tra questi si possono apprezzare note di frutta fresca e agrumi, oltre a aromi di frutta secca.

 

  • Un bollino oro, infine, rende riconoscibile il prodotto con oltre 30 mesi di stagionatura, il più deciso nel sapore e complesso negli aromi.

 

Stagionalità del Parmigiano Reggiano

Il Parmigiano Reggiano è reperibile sul mercato italiano tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione del Parmigiano Reggiano

Per tagliare il Parmigiano Reggiano, si utilizza preferibilmente il tipico coltello con lama corta e appuntita, dalla forma a mandorla.

 

Per brevi periodi di tempo, può essere messo in esposizione a temperatura ambiente presso gli esercizi di vendita senza che subisca alterazioni, ma effettuato l’acquisto, è consigliato conservarlo in ambiente refrigerato.

Il Parmigiano Reggiano preconfezionato sottovuoto può essere conservato in frigorifero ad una temperatura compresa fra i 4 e gli 8 °C. E’ importante assicurarsi che la confezione sia sigillata, integra, e non esposta all’aria.

 

Il Parmigiano Reggiano mantiene intatte le sue caratteristiche organolettiche se conservato ad un livello di umidità ottimale e lontano da altri alimenti, in quanto tende ad assorbire altri odori; è consigliato quindi conservarlo in contenitori di vetro o plastica.

Si consiglia invece di non congelare questo formaggio.

 

Ogni confezionatore si fa carico di indicare sulla confezione una data di utilizzo (detta TMC, Termine Minimo di Conservazione), preceduta dalla frase ”da consumarsi preferibilmente entro…” .

 

Una volta aperta la confezione, o nel caso di acquisto di un pezzo di formaggio tagliato direttamente dalla forma, le indicazioni e i suggerimenti sul periodo di conservazione del Parmigiano Reggiano variano a seconda dell’umidità.

 

Per un formaggio un po’ più giovane (13-15 mesi) e quindi più ricco di umidità, la conservazione può essere di circa 15 giorni; oltre vi è il rischio che si sviluppi un po’ di muffa.

Per un Parmigiano Reggiano di stagionatura classica (24 mesi e oltre) la conservazione è di circa un mese e se si nota sulla superficie della pasta un po’ di muffa, è possibile rimuoverla con un coltello.



Orzo

Orzo

 

orzo perlato

Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)

Genere: Hordeum

Specie: Hordeum vulgare L.

 

Storia dell’orzo

L’orzo è un cereale appartenente alla famiglia delle Graminacee coltivato in Medio Oriente già nel VII millennio a.C., da cui si diffuse in tutto il mondo.

L’orzo, per la sua grande capacità di adattamento ai vari climi, è una delle piante più diffuse al mondo, infatti è il quarto cereale per produzione dopo frumento, riso e mais.

 

La parte d’uso alimentare dell’orzo è la cariosside avvolta esternamente da due glumelle.

 

Si parla di orzo “vestito” quando le glumelle sono intimamente attaccate alla cariosside, “nudo” quando si liberano facilmente di queste parti durante la trebbiatura.

 

La struttura anatomica della cariosside è sostanzialmente simile per tutti i cereali e si possono distinguere tre parti:

 

  • il pericarpo, che ha una funzione protettiva,
  • l’endosperma amilaceo o mandorla farinosa, parte preponderante,
  • e il germe o embrione, parte più interna, che presenta un’elevata concentrazione di nutrienti.

 

Le tipologie di orzo che si trovano in commercio sono: orzo perlato, orzo integrale o mondo, orzo decorticato e la farina d’orzo.

 

Proprietà nutrizionali dell’orzo

tabella con i valori nutrizionali dell'orzo perlato e della farina d'orzo
Tabella con i valori nutrizionali dell’orzo perlato e della farina d’orzo.

Valori nutrizionali dell’orzo e della farina d’orzo

L’orzo fornisce un grande apporto di carboidrati (circa il 70%) e, in misura minore, di proteine (circa il 10%). I carboidrati sono rappresentati da amido.

 

Dalla tabella si può notare anche come l’orzo sia una buona fonte di fosforo e potassio.

 

L’orzo si distingue dagli altri cereali per un significativo contenuto nella cariosside di fibra solubile, la cui componente principale è rappresentata dai β-glucani.

I β-glucani sono polisaccaridi lineari costituiti da molecole di glucosio unite attraverso legami glicosidici β-(1-3) e β-(1-4), che, per la loro struttura chimica e la loro natura solubile, hanno effetti funzionali molto importanti.

 

La farina d’orzo, rispetto all’orzo, presenta un contenuto maggiore di vitamine e sali minerali; rimane invece simile il quantitativo di proteine e di lipidi mentre si registra un leggero incremento del contenuto in fibra.

 

Benefici dell’orzo

L’orzo è un alimento con una buona quantità di micronutrienti (minerali e vitamine) che apportano benefici all’organismo, inoltre gode di proprietà sazianti, antinfiammatorie, emollienti e riduce problemi cardiovascolari contribuendo a regolare i livelli del colesterolo.

 

Tra i minerali maggiormente presenti troviamo il potassio, il fosforo e il magnesio: il primo contribuisce a regolare la pressione arteriosa, il secondo favorisce la salute delle ossa e dei denti, mentre il terzo partecipa a molte reazioni cellulari ed è utilizzato per la produzione di energia del metabolismo.

 

Tra le vitamine invece sono presenti quelle del gruppo B che favoriscono il buon funzionamento del metabolismo e la vitamina K che è implicata nei processi della coagulazione.

 

La porzione giornaliera standard è 80 grammi che corrisponde circa a 4 cucchiai di orzo.

 

Una porzione di orzo perlato contiene 7,3 g di fibra, coprendo circa un quarto della dose di fibra raccomandata per la popolazione adulta (fissata a 25 g), mantenendo anche un buon contenuto di beta-glucani.

 

Inoltre il consumo di questo cereale può essere utile per contrastare la diarrea e la gastrite; se semiintegrale per contrastare il gonfiore addominale.

 

Produzione e Tecnologia dell’orzo

Coltivazione dell’orzo

L’orzo è il cereale che meglio si adatta ai vari climi in quanto ha scarse esigenze idriche, una grande velocità di sviluppo e tollera le alte temperature.

L’orzo però è meno resistente al freddo del frumento per cui la semina, nell’Italia settentrionale, viene fatta a marzo; può essere effettuata in autunno solo per le varietà resistenti al freddo.

In Italia centrale e meridionale la semina viene condotta solitamente in autunno.

 

Produzione di orzo perlato, orzo integrale (o mondo), orzo decorticato e farina d’orzo

In commercio si trovano tre tipologie di orzo: perlato, integrale o mondo e decorticato.

 

L’orzo perlato subisce un processo di raffinazione, simile alla sbiancatura del riso, che allontana le glume e glumelle di rivestimento ed una porzione del pericarpo.

 

L’orzo integrale o mondo è spogliato soltanto delle glumelle esterne risultando in questo modo più ricco di carboidrati, fibre, minerali, vitamine del gruppo B e di proteine.

All’esame organolettico si presenta più scuro e con un gusto diverso.

 

L’orzo decorticato è una via di mezzo tra l’orzo mondo e quello perlato, nel quale vengono eliminate solo alcune parti esterne; conserva perciò buone caratteristiche nutrizionali, contenendo più fibre, sali minerali, vitamine, e meno calorie.

 

In commercio si trova anche la farina d’orzo, ottenuta dalla macinazione dell’orzo con un processo tecnologico simile a quello degli altri cereali.

La farina d’orzo viene usata non solo per la preparazione di prodotti da forno dolci e salati, ma anche per quella della pasta. Per la panificazione si usa in genere in miscela ad altre farine, in particolare di frumento.

 

L’orzo, nella forma tostata e macinata, trova il suo impiego come surrogato del caffè.

I fiocchi d’orzo invece, ottenuti dai semi schiacciati e sottoposti a riscaldamento, possono arricchire minestre, zuppe oppure si possono aggiungere allo yogurt.

 

Stagionalità dell’orzo

L’orzo è disponibile sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione dell’orzo

Le modalità consigliabili per cuocere l’orzo sono la bollitura e la cottura al vapore o in una pentola a pressione. L’orzo, gonfiandosi molto durante la cottura ed avendo una notevole quantità di fibre, consente di preparare zuppe e minestre molto sazianti.

 

Devono essere seguiti differenti tempi di ammollo e cottura secondo la varietà di orzo.

L’orzo integrale o mondo va posto in ammollo per 24 ore, la cottura del cereale richiede un’ora e mezza circa.

L’orzo decorticato, dopo l’ammollo per una notte, viene cotto per 45 minuti circa. La quantità di acqua utilizzata per l’ammollo è pari a una parte di orzo per tre parti di acqua, mentre nelle zuppe è richiesto un apporto maggiore di acqua e tempi di cottura più prolungati.

L’orzo perlato invece richiede un tempo di cottura di 30-40 minuti circa e cuoce bene anche senza ammollo.

 

Nella pentola a pressione i tempi si riducono: 50 minuti per l’orzo mondo, 40 per il decorticato, 30 per il perlato.

 

Le proposte di ricetta di FBO con l’orzo



Noce

Noce

varietà di noci

Famiglia: Juglandaceae  

Genere: Juglans

Specie: Juglans regia

 

Storia del noce

Il noce è una pianta da frutto molto diffusa sul territorio italiano in quanto oltre a produrre noci che vengono consumate come frutta secca, è conosciuta e apprezzata anche per il suo legno ricercato e prezioso.

 

Originario dell’Asia sud-occidentale, è stato introdotto in Europa in epoca antichissima per i suoi frutti eduli.

 

Varietà di noci

Esistono molte varietà di noci, ma le più diffuse sono: Sorrento, Franquette e Hartley.

 

La prima varietà di noci è quella più diffusa sul territorio italiano. Produce noci di buona qualità e di forma ovale.

 

La varietà Franquette viene coltivata nelle zone più fredde per il suo bisogno di temperature basse.

 

Infine la varietà di noci Hartley è in grado di adattarsi sia alle condizioni climatiche dei paesi del nord che a quelle del sud e produce frutti di forma subovale di ottima qualità.

 

Proprietà nutrizionali della noce

tabella con i valori nutrizionali della noce fresca e della noce secca
Tabella con i valori nutrizionali della noce fresca e della noce secca.

Valori nutrizionali della noce fresca e secca

La noce è formata da un guscio legnoso contenente il gheriglio che rappresenta la parte edibile del frutto.

 

È altamente energetica in quanto costituita per circa il 60% da lipidi.

I grassi delle noci sono prevalentemente acidi grassi polinsaturi come l’acido linoleico e l’acido α-linolenico, appartenenti rispettivamente alla classe degli omega-6 e omega-3. Questi acidi grassi sono fondamentali per il corretto funzionamento dell’organismo umano e sono definiti essenziali in quanto il nostro corpo non è in grado di sintetizzarli e devono quindi essere introdotti con la dieta.

 

Le noci sono anche una buone fonte di proteine e di aminoacidi essenziali, come arginina.

Presentano inoltre un buon contenuto di fibra.

 

Questi frutti a guscio contengono inoltre sali minerali come potassio, fosforo, magnesio e zinco, vitamina E e vitamine del gruppo B.

 

Benefici della noce

Le noci godono di innumerevoli benefici: aiutano la salute cardiovascolare diminuendo la quantità di colesterolo cattivo LDL, agiscono a livello dei vasi sanguigni migliorandone il tono, riducono le molecole infiammatorie e quindi si comportano come alimenti anti-infiammatori, agiscono preventivamente nel contrastare l’insorgenza di alcune patologie come la sindrome metabolica, il diabete di tipo 2 e i tumori. Inoltre questi frutti migliorano le capacità cognitive e favoriscono un buon riposo.

 

Le noci, in particolare, possiedono proprietà antiossidanti, ovvero proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, composti reattivi dell’ossigeno che se in eccesso possono provocare stati patologici.

 

La porzione di consumo consigliata per la frutta secca è 30 grammi, che corrisponde circa a 7/8 noci.

 

Una porzione è in grado di soddisfare il fabbisogno medio giornaliero di omega-3 per la popolazione adulta.

Inoltre con una porzione di noci brasiliane, ovvero circa 6 noci, si riesce a coprire quasi la metà del fabbisogno giornaliero di magnesio per la popolazione adulta.

 

Questo alimento ricco di nutrienti può essere utile da consumare come spuntino in caso di perdita di appetito e per contrastare il gonfiore sottocutaneo o edema.

 

Interazioni della noce

Le noci possono causare fenomeni allergizzanti e possono interferire con l’azione di farmaci contro l’ipotiroidismo come la levotiroxina; in questo caso bisogna informare il proprio medico in quanto potrebbe essere necessario modificare la dose del farmaco.

 

Produzione e Tecnologia della noce

Caratteri botanici del noce

Il noce è una pianta arborea originaria dell’Asia sud-occidentale, presente anche nella zona dell’Himalaya e diffusa ampiamente nella Cina sudoccidentale e in Russia centrale.

 

È presente come pianta spontanea in zone montane e collinari dai 500 fino ai 1200 metri di altitudine. È concentrato soprattutto nelle zone appenniniche dal Nord fino al Sud Italia dove trova un clima piuttosto mite con inverni da mediamente rigidi a miti.

A livello europeo il nostro paese è il secondo produttore dopo la Francia.

 

Produzione delle noci

La raccolta delle noci avviene da metà settembre a fine ottobre.

 

Prima di essere immesse in commercio le noci vengono sottoposte a una serie di operazioni che ne permettono una corretta conservazione.

Inizialmente viene effettuata la smallatura, fase in cui viene allontanato l’involucro che le riveste, in modo da evitare l’annerimento del guscio, a cui segue il lavaggio per eliminare i residui del mallo.

Le noci vengono poi essiccate in modo graduale allo scopo di ridurre il contenuto di umidità fino al 4-5% impedendo in tal modo lo sviluppo di muffe.

Infine vengono selezionate e calibrate prima di passare al confezionamento.

 

In commercio le noci intere possono essere reperite confezionate o sfuse. È inoltre possibile acquistare confezioni di noci già sgusciate, in diversi formati anche monodose, da circa 30 grammi.

 

Stagionalità delle noci

Le noci si possono trovare sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione delle noci

Le noci non sgusciate si possono conservare in luoghi bui, freschi e asciutti per circa 5 mesi, se invece sono prive di guscio si conservano, in frigorifero anche per 2 mesi, purché riposte in recipienti chiusi ermeticamente.

 

L’ideale sarebbe raccogliere le noci quando sono ancora attaccate all’albero all’interno del mallo in modo da avere un prodotto pulito che non necessita di grosse lavorazioni.

 

Se raccolte da terra, sarà necessario pulirle per liberarle dal terriccio. Questo può essere fatto in due modi, o sfregandole con una spazzola dalle setole fitte e rigide oppure lavandole sotto acqua corrente.

Le noci pulite e prive di terra potranno essere conservate sia come prodotto secco, sia come prodotto fresco. L’ideale sarebbe stendere le noci in un luogo asciutto su un telo traspirante e lasciarle al sole per 3-4 giorni, smuovendole di tanto in tanto, avendo l’accortezza di porle al riparo dall’umidità di notte.

Per l’asciugatura è anche possibile mettere le noci in forno ventilato o a forno semi aperto alla minima temperatura e mantenerle lì fino a che la noce non risulterà asciutta. Ad asciugatura completa le noci potranno essere conservate in un luogo fresco e asciutto, lontano da fonti di calore o da sorgenti luminose dirette.

 

Se si preferisce conservare le noci fresche, senza essiccarle, si possono congelare o conservare in frigorifero. In entrambi i casi andranno inserite in contenitori ermetici o, sottovuoto, sigillati e conservati in frigorifero per 1-3 mesi oppure in congelatore per 4-6 mesi.

 

Le proposte di ricetta di FBO con le noci



Nocciola

Nocciola

 

tipi di nocciola

Famiglia: Corylaceae

Genere: Corylus

Specie: Corylus avellana

 

Il nocciolo è una pianta originaria dell’Asia Minore e dell’Europa; in Italia, uno tra i principali produttori al mondo, viene coltivata soprattutto in Piemonte, Campania, Lazio, Liguria e Sicilia.

 

Tipi di nocciola e riconoscimenti DOP e IGP

Alla “Nocciola Romana” (con Reg CE 667/09) è stata riconosciuta la DOP (Denominazione di Origine Protetta); questa nocciola è diffusa nelle province di Roma e Viterbo, è caratterizzata da frutto medio-grosso, buona resa in sgusciato, con ottime caratteristiche organolettiche per l’aroma finissimo e persistente.

 

La “Nocciola del Piemonte” (con Reg 1107/96) e la “Nocciola di Giffoni” (con Reg 2325/97) invece hanno il riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta).

La prima è prodotta in Piemonte nelle province di Cuneo, Asti ed Alessandria nell’area compresa tra le colline delle Langhe, del Roero e del Monferrato. La varietà coltivata è la “Tonda Gentile Trilobata”. Presenta un seme sferoidale, gusto ed aroma eccellenti dopo la tostatura, elevata pelabilità, buona conservabilità.

 

La seconda invece è coltivata in Campania, nel salernitano, nella valle dell’Irno e nella zona dei Monti Picentini, presenta una forma rotondeggiante, polpa bianca consistente e aromatica, perisperma (ovvero la pellicola interna) facilmente rimovibile. È indicata per la tostatura e per la produzione di pasta e granella.

 

Proprietà nutrizionali della nocciola

tabella con i valori nutrizionali della nocciola

Valori nutrizionali della nocciola

Le nocciole sono un alimento altamente energetico (655 kcal per 100 g di prodotto) in quanto costituite per oltre il 60% da lipidi.

La frazione lipidica delle nocciole, che ne determina la qualità, è costituita prevalentemente da acido oleico, seguito dagli acidi linoleico, palmitico e stearico; questi acidi grassi rappresentano oltre il 95% del lipidi totali.

 

Le nocciole presentano anche un buon contenuto proteico e di fibra.

Sono inoltre un’ottima fonte di potassio, fosforo, magnesio e calcio e di buoni quantitativi di vitamina E e vitamine del gruppo B.

 

Benefici della nocciola

Il principale beneficio del consumo delle nocciole è che apportano miglioramenti cardiovascolari, soprattutto diminuendo i livelli di colesterolo.

Oltre a questa caratteristica, le nocciole sono ricche di minerali, acidi grassi insaturi, proteine e di vitamina E. La vitamina E è una molecola antiossidante, cioè protegge il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

 

La porzione di consumo consigliata per la frutta secca è 30 grammi, che corrisponde circa a 15/20 nocciole.

 

Una porzione di nocciole contiene 7,5 mg di vitamina E, ricoprendo così più di metà della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina, facendo riferimento alla popolazione adulta.

Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina E per la popolazione adulta è di 13 mg per gli uomini e 12 mg per le donne.

 

Come spuntino, il consumo di questo alimento è utile per contrastare la perdita di appetito e in caso di anemia sideropenica.

 

Interazioni delle nocciola

In seguito all’assunzione di farmaci antiulcera è possibile sviluppare un’ipersensibilità alle nocciole.

 

Produzione e Tecnologia della nocciola

Caratteri botanici del nocciolo

Il nocciolo è una pianta che predilige zone con clima temperato e umido, caratterizzate da portamento cespuglioso, con una corteccia liscia e compatta.

Le foglie sono di colore verde scuro e ovoidali, il frutto ha un pericarpo legnoso e contiene un seme dolce e oleoso (nocciola).

 

La fruttificazione del nocciolo inizia nei mesi di maggio-giugno e dal mese di giugno le nocciole cominciano a crescere rapidamente e, all’interno, si avvia lo sviluppo del seme.

I frutti incrementano il loro peso a partire dalla fine di giugno fino alla raccolta: in un primo momento crescono in dimensioni, successivamente si consolida la struttura e la consistenza del guscio e per ultimo avviene il completamento del seme.

 

Coltivazione delle nocciole

La raccolta viene condotta tra agosto e settembre, periodo corrispondente alla piena maturazione dei frutti e alla caduta naturale delle nocciole. La raccolta può essere effettuata a mano o meccanicamente.

 

Le macchine utilizzate per la raccolta sono raccoglitrici pneumatiche trainate, che aspirano da terra le nocciole insaccandole direttamente e realizzando la cernita, oppure raccoglitrici semoventi, che aspirano il frutto da terra grazie a spazzole che spingono le nocciole verso un nastro trasportatore che porta a dispositivi di cernita.

 

Attualmente i principali Paesi produttori di nocciole sono: Turchia (al primo posto con circa il 70% della produzione mondiale), Italia (al secondo posto), Spagna, Francia e Stati Uniti (in Oregon e California).

In Italia le nocciole sono coltivate in Campania nelle province di Caserta, Napoli, Avellino, Benevento e Salerno, nel Lazio in provincia di Viterbo, in Piemonte nelle Langhe e in Sicilia.

 

Produzione delle nocciole

Le nocciole, una volta raccolte, vengono fatte passare in macchine ventilatrici che separano quelle sane dallo scarto e successivamente vengono essiccate per abbassarne il tasso di umidità.

 

L’essiccazione può essere effettuata in modo naturale esponendo le nocciole al sole su pavimentazione in cemento o graticci, o può essere forzata all’interno di essiccatori che lavorano a temperature di 45°C.

 

La conservazione dei frutti deve avvenire in locali idonei in grado di garantire condizioni di umidità ed areazione adeguate.

Le cultivar con una bassa percentuale di acido linoleico risultano più idonee a lunghi periodi di conservazione ed immagazzinamento in quanto l’acido linoleico è il più soggetto a ossidazione nel seme, con comparsa di sapori indesiderati durante la conservazione.

 

Prodotti ottenuti dalle nocciole

Le nocciole generalmente si consumano essiccate e leggermente tostate, per eliminare più facilmente la pellicola superficiale e per sviluppare ulteriori aromi.

La tostatura provoca un cambiamento nel colore e nella consistenza della nocciola, oltre ad una parziale distruzione dei microorganismi; si esegue in forni ventilati a temperature comprese tra 100-180°C per 10-60 minuti.

 

Dalle nocciole si ottengono prodotti diversi a seconda delle tecniche utilizzate:

 

  • le nocciole sgusciate sono ottenute in seguito ad operazioni di sgusciatura, sottoponendo il prodotto all’azione del vapore e dell’acqua bollente per eliminare il tegumento;

 

  • le nocciole tostate invece vengono sgusciate e tostate;

 

  • la granella di nocciole è il prodotto ottenuto dalla nocciola che viene sgusciata, tostata ed infine tritata;

 

  • la pasta invece è un semilavorato che deriva dalla macinazione e successiva raffinazione della nocciola, fino ad ottenere un prodotto fluido impiegato nel settore dolciario.

 

Stagionalità della nocciola

Le nocciole si trovano sul mercato tutto l’anno ma si raccolgono nei periodi estivi.

 

Preparazione e Conservazione della nocciola

Al momento dell’acquisto le nocciole devono presentarsi croccanti, con tessitura compatta, senza vuoti interni; esse sono disponibili tutto l’anno, sgusciate o con guscio, oppure tritate sotto forma di granella.

 

Le nocciole fresche deperiscono rapidamente, soprattutto se sgusciate, quindi andrebbero consumate rapidamente evitando di esporle alla luce, al calore e all’umidità. Per le nocciole sgusciate invece la conservazione può avvenire in contenitori a chiusura ermetica per 1 anno o più in freezer o in frigorifero per 6-9 mesi, ad una temperatura tra 0 e 3°C.

 

Le nocciole con il guscio invece possono essere conservate a temperatura ambiente e in luogo asciutto per circa un mese.

 

La pasta di nocciole invece deve essere conservata in luogo fresco ed asciutto, ad una temperatura di 8°C ±2°C lontano da fonti di calore e di luce. Si consiglia di consumare il prodotto entro 3 mesi lasciando aperta la confezione solo per il tempo strettamente necessario.

 

Le nocciole grazie al loro sapore e al loro aroma trovano largo impiego nella preparazione di prodotti dolci e salati. Le nocciole sgusciate vengono utilizzate dall’industria dolciaria per la preparazione di dolci, i semi rotti o fuori calibro e raggrinziti generalmente vengono impiegati per la produzione di pasta o granella.

 

Le proposte di ricette di FBO con la nocciola



Mirtillo

Mirtillo

 

varietà di mirtillo

Famiglia: Ericaceae

Genere: Vaccinium

Specie: Vaccinium myrtillus

 

Varietà di mirtillo

Il Mirtillo è una pianta spontanea dell’emisfero boreale appartenente alla famiglia delle Ericaceae, che comprende circa 130 specie diverse.

 

Le principali varietà di mirtillo da un punto di vista agronomico sono:

 

  • Mirtillo nero (Vaccinum myrtillus): varietà di mirtillo che cresce spontanea in Europa.
    È una pianta alta dai 20 ai 40 cm, con fusti ramosi. Presenta bacche solitarie o accoppiate nere e con polpa colorata. Fiorisce a maggio e i frutti compaiono nei mesi di luglio e agosto. È diffuso nelle Alpi e negli Appennini fino a circa 2000 metri.

 

  • Mirtillo rosso (Vaccinum vitisidaea): varietà che cresce spontanea in Europa e in Italia si può trovare soprattutto sulle Alpi e sugli Appennini settentrionali.
    È alto dai 10 ai 40 cm; la pianta sempreverde presenta fiori bianchi o rosa riuniti in grappoli terminali, mentre i frutti sono delle bacche rosse, acide e amarognole.

 

  • Mirtillo blu: (Vaccinum uliginosum): varietà europea.
    È alta dai 15 ai 25 cm con foglia caduca e fiori bianco-rosso. Le bacche sono di colore nero-bluastro.

 

  • Mirtillo gigante americano: (Vaccinum corymbosum): varietà spontanea del Nord America.
    È caratterizzata da piante alte da 1 a 4 metri con foglie caduche e fiori bianchi o rosati. Le bacche riunite in grappoli sono di colore nero-azzurro e molto profumate. È una varietà resistente al freddo.

 

  • Cranberry o Bacca delle gru (Vaccinium macrocarpon).

 

Attualmente tra le varietà di mirtillo nero quelle più coltivate sono quelle derivanti dal mirtillo gigante americano e dal cranberry.

 

Proprietà nutrizionali del mirtillo

tabella con i valori nutrizionali del mirtillo nero

Valori nutrizionali del mirtillo

I mirtilli appartengono alla classe dei frutti di bosco e sono bacche di dimensioni simili a quelle dei piselli.

 

Inizialmente hanno un colore bianco rossastro che diventa nero, tendente al blu quando arrivano a maturazione.

Hanno un sapore acidulo astringente.

 

I mirtilli rappresentano anche una discreta fonte di composti fenolici, come i tannini, e di vitamina C.

Sono caratterizzati anche da un buon contenuto di sali minerali come potassio, calcio e fosforo, oltre a fornire un discreto quantitativo di fibra.

 

Benefici del mirtillo

Questi frutti sono caratterizzati da un elevatissimo contenuto di antocianine, pigmenti che conferiscono la tipica colorazione e sono dotate di attività antiossidanti e antinfiammatorie.

 

Sono stati condotti diversi studi per vedere i benefici dati dal consumo di mirtillo. Alcuni studi dimostrano che il consumo di mirtilli abbia portato effetti positivi sulla salute di cuore e arterie, altre ricerche preliminari invece riportano di benefici associati alla retina ed infine sembra che questo frutto influenzi positivamente la memoria.

Il mirtillo, inoltre, grazie alle sue proprietà, è considerato un alimento utile per prevenire fenomeni di iperglicemia e tumori.

 

La porzione di consumo giornaliera consigliata è 150 grammi, che corrisponde a circa una manciata di mirtilli.

 

Interazioni del mirtillo

Bisognerebbe evitare il consumo di succo di mirtillo o prodotti a base di mirtillo durante l’utilizzo di anticoagulanti (es warfarin) perché possono modificare l’effetto del farmaco.

 

Inoltre i soggetti che hanno problemi renali (poichè il mirtillo contiene ossalati) o i soggetti che assumono farmaci antidiabetici (poichè il mirtillo ne aumenta l’effetto) devono prestare attenzione al consumo questi frutti.

 

Produzione e Tecnologia del mirtillo

Mirtillo gigante americano: caratteri botanici e coltivazione

Il mirtillo gigante americano è una pianta a portamento cespuglioso che ha origine dalla varietà selvatica di mirtillo americano.

Viene coltivata prevalentemente in zone di pianura e collinari, in luoghi riparati da forti venti.

 

Nel nostro paese la coltivazione di questa specie si riscontra prevalentemente in Piemonte. La pianta può raggiungere i 2 metri di altezza e la fioritura avviene in primavera.

 

Esistono diverse varietà di mirtillo gigante americano:

  • Duke, che fiorendo in ritardo, rifugge dalle gelate tardive, producendo i primi mirtilli di color azzurro chiaro, con un gusto bilanciato tra il dolce e l’aspro;
  • Jersey, producono grossi mirtilli, inizialmente aciduli, ma molto dolci a completa maturazione verso fine di giugno-inizio di luglio;
  • Patriot, produce vistose fioriture bianche primaverili e mirtilli di grandi dimensioni, di color blu-viola, leggermente schiacciati alle estremità.

 

Mirtillo rosso: caratteri botanici e coltivazione

Il mirtillo rosso viene invece coltivato prevalentemente in Germania.

Deriva da selezioni del mirtillo rosso selvatico di bosco, tipico dei paesi scandinavi e del Nord Europa. Il mirtillo rosso può essere coltivato nelle stesse aree dove si coltiva il mirtillo gigante poiché le esigenze di terreno e di clima sono simili, ma lo sviluppo della pianta è molto più ridotto, circa 30 cm di altezza.

La maturazione dei frutti è più tardiva, avviene in settembre ed essi vengono raccolti a mano con l’ausilio di appositi “pettini”.

 

Prodotti ottenuti dai mirtilli

Oltre i mirtilli freschi, disponibili solo in alcuni periodi dell’anno, in commercio si possono trovare mirtilli surgelati e diversi prodotti a base di questi frutti come succhi e marmellate.

Diverse ricerche hanno dimostrato che la concentrazione di antocianine si mantiene anche nelle bevande come i succhi, per i quali è preferibile consumare quelli costituiti al 100% da frutta, senza aggiunta di zuccheri, purché derivino da succo fresco e non concentrato.

Si è inoltre visto che con la cottura si perde parte dei polifenoli contenuti in questi frutti che risultano però essere presenti in quantità tali da svolgere un’azione protettiva dai processi ossidativi per la salute del consumatore.

 

Stagionalità del mirtillo

I mirtilli sono raccolti nei periodi estivi, per la precisione tra luglio e settembre.

 

Preparazione e Conservazione del mirtillo

Dopo la raccolta i mirtilli possono essere conservati a basse temperature (circa 2-3°C) per qualche settimana.

È importante eliminare prima della conservazione tutti i frutti danneggiati o troppo maturi, per evitare la formazione di muffe.

 

In alternativa è possibile conservare i frutti in congelatore dopo averli chiusi in sacchetti di plastica.

 

È stato infatti dimostrato che il freddo non altera, se non in minima parte, le proprietà nutritive del mirtillo. Prima di consumare mirtilli congelati è pero consigliato, per evitare problemi di contaminazione, da parte ad esempio del virus dell’epatite A, di cuocerli, facendoli bollire in un po’ di acqua per un paio di minuti.

 

Le proposte di ricette di FBO con i mirtilli



Menta

Menta

 

varietà di menta

Famiglia: Lamiaceae

Genere: Mentha

Specie: Mentha spicata

 

Storia della menta

Il genere Mentha comprende piante originarie dell’Europa, appartenenti alla famiglia delle Lamiaceae, la cui coltivazione iniziò nel 1750 in Inghilterra e da lì si diffuse in Asia, in Nord America ed in Australia.

 

E’ una pianta molto diffusa, coltivata in quasi tutte le parti del mondo a clima temperato, nota per la produzione di un olio essenziale di cui sono ricche le ghiandole situate sotto l’epidermide delle foglie.

 

Varietà di menta

In natura esistono specie differenti di menta, ciascuna con specifiche proprietà e un differente aroma.

 

Le più note sono:

 

– Mentha piperita, è la varietà di menta più conosciuta, dall’aroma molto intenso e balsamico. Si usa in tisane, decotti ed è la varietà di menta scelta per la produzione dello sciroppo e dei liquori. La pianta raggiunge i 70 cm, con fusto legnoso.

Ne esistono diverse sottovarietà: come la menta nera, pianta molto rustica e la menta bianca, varietà più rinomata per il suo aroma.

 

– Mentha gentilis ha un gusto meno pronunciato e per questo è ottima come spezia in cucina.

 

– Mentha arvensis, varietà campestre dalle foglie ricoperte da peluria, tipica di zone sub montane.

 

In commercio è possibile trovare sia la menta fresca che la menta secca.

 

Proprietà nutrizionali della menta

tabella con i valori nutrizionali della menta fresca e della menta secca
Tabella con i valori nutrizionali della menta fresca e menta secca.

Valori nutrizionali della menta fresca e menta secca

Le foglie della menta ne rappresentano la parte commestibile e hanno un apprezzabile contenuto di fibra e proteine, mentre presentano un basso contenuto lipidico.

 

Presentano, inoltre, un buon contenuto di vitamine, soprattutto del gruppo B, di vitamina C e E e di sali minerali, come potassio, calcio, fosforo e ferro.

 

Dall’olio essenziale di questa pianta si ricava il mentolo, composto ampiamente utilizzato in ambito alimentare, farmaceutico e cosmetico.

 

La menta secca, contenendo un minor quantitativo di acqua rispetto alla fresca, a parità di peso presenta una maggior concentrazione di nutrienti.

 

Benefici della menta

La menta ha caratteristiche rinfrescanti e gode di proprietà antiossidanti. Quest’ultima caratteristica è da riconoscere alla vitamina C contenuta in questa pianta che, oltre a neutralizzare l’azione dei radicali liberi, innalza le difese immunitarie.

 

Anche i minerali, come il potassio e il calcio che sono quelli presenti in quantità maggiore, hanno una funzione positiva. Nello specifico il calcio influenza positivamente la salute di ossa e denti e il potassio regola la pressione arteriosa.

 

La porzione giornaliera consigliata per la menta è 5 grammi.

 

La menta fresca per aromatizzare l’acqua potrebbe essere utile per combattere la disidratazione e per contrastare il gonfiore sottocutaneo o edema.

 

Interazioni della menta

I soggetti con reflusso gastroesofageo o che assumono farmaci trasformati dal fegato o la ciclosporina devono prestare attenzione al consumo di menta.

 

Produzione e Tecnologia della menta

Caratteri botanici della pianta di menta

La menta è una pianta erbacea perenne con radici rizomatose che si sviluppano profondamente nel terreno.

E’ un genere polimorfo, ovvero di aspetto molto variabile a seconda della specie.

 

Il fusto ha una lunghezza variabile da 30 cm fino ad un metro; può avere una colorazione che va dal verde al violetto; in genere molto ramificato ed a sezione quadrangolare.

Le foglie, nella maggior parte delle specie contengono ghiandole ricche di oli essenziali che conferiscono il caratteristico aroma. Sono semplici, di colore verde più o meno intenso, opposte, per lo più lanceolate e ricoperte da una leggera peluria.

I fiori sono portati da infiorescenze disposte a capolino o a spicastro (insieme di fiori inseriti all’ascella delle foglie disposte a corona sui nodi, molto ravvicinati simili ad una spiga) con fiori lobati tipici della famiglia.

 

Coltivazione della menta

La menta è una pianta che cresce in climi diversi da ritrovarsi dall’Alaska al Kenya, ma è più frequente in zone con primavera fredda e umida e estate calda e asciutta. Da qui ne deriva che può crescere in pieno sole e in zone ombreggiate, anche se una maggiore luminosità favorisce una maggiore formazione di oli essenziali.

La quantità di oli essenziali è influenzata positivamente dalle temperature: maggiore è la temperatura, maggiore sarà la produzione di oli essenziali.

 

La menta può essere coltivata sia in vaso, sia in terra e richiede delle annaffiature regolari e generose soprattutto durante il periodo estivo.

E’ importante evitare di bagnare le foglie in quanto l’evaporazione favorisce la dispersione degli oli essenziali.

 

La menta non ha particolari esigenze in fatto di terreno, l’importante è che si tratti di un terreno fertile ricco di humus, poroso, a pH neutro o leggermente acido (pH 6-7), ben drenante per evitare i ristagni idrici; sono assolutamente da evitare terreni pesanti ed argillosi.

Essendo una pianta che ha necessità di sostanza organica nel terreno, è bene rinnovare il terriccio ogni 2-3 anni considerando che si tratta di una pianta longeva e dalla crescita abbondante.

 

Produzione della menta

Le foglie di menta si possono raccogliere tutto l’anno, anche al momento della piena fioritura, per lo più nel mese di agosto, hanno il maggior contenuto di oli essenziali e di mentolo libero e un basso contenuto in mentone, altro componente dell’olio essenziale, che conferisce però un odore aspro.

 

Una volta raccolta va consumata allo stato fresco oppure essiccata all’aria e all’ombra, infatti anche secca mantiene il suo aroma.

 

Stagionalità della menta

La menta è sempre reperibile sul mercato essendo una pianta perenne.

 

Preparazione e Conservazione della menta

La menta è più aromatica appena colta ma può essere essiccata, sia con un essiccatore, sia ponendo i rami in un luogo asciutto e arieggiato.

Le foglie secche vengono impiegate soprattutto nella preparazione di tisane e del tè alla menta.

 

È un’erba aromatica diffusa nelle cucine di tutto il mondo. In genere in cucina non si usa la Mentha piperita per l’aroma troppo marcato, ma la varietà di Menta spicata. Viene impiegata per aromatizzare insalate, frittate, torte salate e verdure.

 

Può essere impiegata anche per preparare infusi o per aromatizzare l’acqua naturale, insieme eventualmente a limone o lime, per rendere più gradevole l’acqua, specialmente nella stagione calda.



Mela

Mela

 

varietà di mele

Famiglia: Rosaceae

Genere: Malus

Specie: Malus domestica

 

Storia della mela

La mela è il frutto del melo, pianta tipica dell’Asia centrale con un fusto che può raggiungere gli 8 metri di altezza.

 

Il melo è oggi coltivato intensivamente in Cina, Stati Uniti, Russia e Europa (soprattutto in Italia e Francia).

In Italia la produzione è concentrata nel settentrione: l’80% del raccolto nazionale, infatti, proviene da tre regioni del Nord: Trentino-Alto Adige (46%), Emilia-Romagna (17%) e Veneto (14%).

Altre aree di una certa importanza sono Piemonte, Lombardia e Campania.

 

Varietà di mele

In Italia la mela è uno dei frutti più diffusi e ne sono disponibili diverse varietà.

Le più note sono:

 

  • Red Delicious (dal colore rosso e croccanti),
  • Stark Delicius (rosse con polpa molto fine, quasi sabbiosa),
  • Renetta del Canada (dalla forma irregolare, colore rosso e verde),
  • Granny Smith (colore verde, croccante al morso),
  • Fuji (aspetto rotondo, buccia colore rosso chiaro, sapore dolce e abbastanza croccante),
  • Golden Delicius (gialla, dal sapore molto dolce e con polpa croccante).

 

Esiste poi una varietà tipica della regione Campania, la mela Annurca, riconosciuta con il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). che può essere della tipologia Sergente o Caporale.

La prima ha un sapore acidulo con la buccia striata di colore giallo-verde, mentre la seconda, più dolce, è rossa con puntini bianchi.

 

Proprietà nutrizionali della mela

tabella con i valori nutrizionali della mela fresca (con e senza buccia), mela disidratata e purea di mela
Tabella con i valori nutrizionali della mela fresca (con e senza buccia), mela disidratata e purea di mela.

Valori nutrizionali della mela fresca, mela disidratata e purea di mela

La mela fornisce potassio e fosforo e tra le vitamine, sono presenti la vitamina A e la C, concentrati prevalentemente nella buccia.

 

Caratteristico di questo frutto è l’acido malico, composto organico ampiamente utilizzato in ambito industriale come conservante, per la sua azione acidificante.

 

Sia nella polpa che nella buccia sono inoltre presenti eteri, tannini, alcoli, aldeidi e terpeni che ne rendono vario il profumo e il sapore.

 

Le mele sono una buona fonte di fibra solubile, specialmente di pectina, ampiamente utilizzata nella preparazione di confetture per le sue proprietà addensanti.

 

Le mele fresche sono considerate un alimento con un modesto apporto energetico, mentre lavorate possono avere un valore energetico maggiore in quanto i nutrienti si concentrano, per esempio nella fase di disidratazione o di altre lavorazioni.

 

La composizione chimica e quindi il valore nutrizionale delle mele varia a seconda del tipo di mela, del clima, del grado di maturazione e della composizione del terreno.

In tabella sono riportate alcune varietà di mele a diversa composizione.

 

tabella con i valori nutrizionali di diverse varietà di mela
Tabella con i valori nutrizionali di diverse varietà di mela: Mele Annurca, Mele Delicious, Mele Golden, Mele Granny Smith, Mele Imperatore e Mele Renette.

 

I benefici della mela

I principali benefici della mela sono da riconoscere ai fitonutrienti e alle fibre che la compongono. Tra le fibre una delle protagoniste è la pectina che riduce il colesterolo a livello cardiovascolare e regola gli zuccheri nel sangue.

 

La mela sembra godere, inoltre, di caratteristiche antiossidanti e antinfiammatorie.

 

La porzione giornaliera consigliata è di 150 grammi che corrisponde circa a una mela. Attenzione però perchè esistono differenti tipi di mela di diverse dimensioni.

 

Il consumo di questo alimento potrebbe essere utile in caso di:

–  alterazione del gusto usando l’aceto di mele come marinatura

perdita di appetito come frutta essiccata all’interno di yogurt bianchi al naturale

diarrea

stipsi, se consumata cotta

 

Interazioni della mela

I soggetti che assumono antistaminici come la fexofenadina devono prestare attenzione al consumo di mele in quanto il loro succo potrebbe interferire con l’efficacia del farmaco.

 

Produzione e Tecnologia della mela

Caratteri botanici del melo

Il melo è una pianta di dimensioni medio-elevate, resistente al freddo e in grado di adattarsi alle diverse tipologie di terreno.

 

Il frutto è disponibile in tutti i periodi dell’anno, anche se la sua maturazione naturale avviene dalla fine di agosto fino alla metà di settembre.

 

Dopo la raccolta le mele vengono conservate a temperature basse (0-4°C) con un’umidità dell’85/90%.

 

Produzione delle mele

In ambito industriale la mela è un alimento che viene ampiamente impiegato nella produzione di svariati prodotti, quali succhi, puree, omogenizzati e dolci.

 

La purea di mela

Per la produzione delle puree viene utilizzata prevalentemente la varietà di mele Golden in quanto presenta caratteristiche che permettono di ottenere prodotti con proprietà organolettiche migliori.

 

La produzione viene effettuata in diverse fasi.

Dopo i primi stadi di preparazione dei prodotti freschi (lavaggio, rimozione del torsolo e triturazione), si ha un processo di scottatura, effettuato a 90-95°C, che provoca l’inattivazione degli enzimi che potrebbero provocare alterazione del colore e del sapore.

La massa polposa così ottenuta viene sottoposta a una fase di estrazione, mediante l’utilizzo di setacci in acciaio da cui si ottiene la purea vera e propria.

La presenza di ossigeno costituisce un fattore di rischio per possibili fenomeni di ossidazione dei polifenoli e relative alterazioni del colore. Risulta quindi fondamentale la successiva fase di disaerazione.

La purea ottenuta viene quindi stoccata in contenitori asettici destinati alla commercializzazione oppure impiegata per la produzione di nettari.

 

La mela disidratata

In commercio si possono trovare anche mele disidratate.

Per ottenerle si parte dalle mele fresche che vengono sbucciate, private del torsolo e tagliate a fettine regolari. In seguito vengono essiccate in forni a 40/45°C per 24-30 ore assicurando una buona ventilazione del forno.

La bassa temperatura di essiccazione permette di non perdere eccessivamente le qualità e le proprietà della mela durante il processo.

Successivamente le mele vengono insacchettate.

 

Stagionalità delle mele

Le mele si trovano sul mercato dal periodo estivo fino all’inizio del periodo invernale.

 

Preparazione e Conservazione delle mele

Un consiglio che si può suggerire è quello di consumare le mele con la buccia, dove risiedono le sostanze con proprietà benefiche, facendo attenzione a lavarle accuratamente e ad asciugarle sfregando con un panno.

 

Per il consumo casalingo esistono diverse opzioni come la cottura in forno, infusi e decotti.

Nel caso della mela grattugiata è bene aggiungere del succo di limone per rallentare l’ossidazione dei polifenoli e conseguente inscurimento.

 

Le proposte di ricette di FBO con la mela



Mais

Mais

 

mais o granoturco

Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)

Genere: Zea

Specie: Zea mays

 

Cos’è il mais o granoturco

Il mais o granoturco è un cereale appartenente alla famiglia delle Graminaceae.

Originario dell’America, la diffusione in Europa avvenne a partire dal 1600 nelle regioni Balcaniche e successivamente in Italia.

 

La cariosside del mais è costituita dall’embrione (12-14%), dall’endosperma (75-80%) e dal pericarpo (8-10%).

L’embrione è ricco di lipidi, vitamina E ed A. L’endosperma è costituito da una parte ricca di sostanze azotate, e una parte farinosa, costituita quasi esclusivamente da amido e povera di sostanze proteiche.

 

Tipi di mais

Il mais può essere di diverso colore (bruno, violetto, rosso, giallo o bianco) e con forme differenti (rotondeggiante, schiacciata, appuntita).

 

Le tipologie più importanti in Italia sono il mais bianco, detto anche “Biancoperla”, in quanto presenta chicchi bianchi, vitrei e brillanti ed è un prodotto tipico veneto tutelato come presidio di Slow Food.

Altra tipologia è il mais rosso, tipico del Piemonte, caratterizzato dalla presenza di antocianine, responsabili della colorazione.

 

Il mais si trova in commercio sotto forma di farina, chicchi o in scatola previa cottura.

 

Proprietà nutrizionali del mais o granoturco

tabella con i valori nutrizionali del mais dolce in scatola e crudo e della farina di mais
Tabella con i valori nutrizionali del mais dolce in scatola e crudo e della farina di mais

Valori nutrizionali del mais

Il mais è un’ottima fonte di carboidrati, in particolare di amido.

Da come si può notare dalla tabella la farina di mais, presentando un quantitativo di carboidrati superiore rispetto al mais dolce crudo ed in scatola, fornisce un apporto energetico più elevato; il mais dolce crudo invece apporta meno calorie.

 

Sono presenti anche discreti livelli di potassio e fosforo e un discreto quantitativo di vitamina A e di vitamine del gruppo B.

 

Nel passato il mais è stato oggetto di interesse nutrizionale in quanto in zone povere con alimentazione quasi esclusivamente a base di mais era stata osservata la comparsa della pellagra, una malattia causata dalla carenza di vitamina PP nella cariosside di mais.

Tale deficienza è dovuta al basso contenuto in triptofano (amminoacido essenziale fonte di vitamina PP) della zeina, una proteina che, assieme alla zeatina, è presente nel mais.

 

Il quantitativo di sodio risulta più elevato nel mais in scatola per la presenza del liquido di governo, acqua e cloruro di sodio, utile al miglioramento della conservazione del prodotto.

 

Benefici del mais

Il mais è composto da molecole con azione antiossidante come la vitamina A, la vitamina C, la vitamina E e i carotenoidi.

 

Oltre alle vitamine appena citate, il mais contiene una discreta quantità di vitamine del gruppo B che contribuiscono a mantenere in salute l’organismo.

I minerali maggiormente presenti sono il potassio che regola la pressione arteriosa, il fosforo e il magnesio che contribuiscono a mantenere in salute le ossa e i denti.

 

L’Associazione Italiana Celiachia (AIC) afferma che il mais in chicco cotto al vapore è un alimento che può essere consumato liberamente anche dai celiaci in quanto naturalmente privo di glutine o appartenente ad una categoria alimentare non a rischio per i celiaci, poiché nel corso del processo produttivo non sussiste rischio di contaminazione.

 

La porzione di consumo standard consigliata è 80 grammi, che corrisponde a circa 4 cucchiai.

 

Produzione e Tecnologia del mais o granoturco

Zone di produzione del mais

Il mais è un cereale che viene coltivato in tutto il mondo e gli Stati Uniti producono circa il 40% del raccolto mondiale; altri grandi Paesi produttori sono Cina, Brasile, Messico, Indonesia.

In Italia la produzione di mais è concentrata soprattutto nelle regioni del nord (Friuli, Lombardia, Veneto e Piemonte) che coprono quasi il 70% della produzione.

 

La principale causa di questa disomogeneità nella distribuzione produttiva è il clima. Il mais infatti trova il suo ambiente favorevole in zone in cui le piogge hanno una certa frequenza e regolarità.

 

Coltivazione della pianta del mais

Il mais esige temperature elevate per tutto il suo ciclo vitale e la germinazione non avviene se le temperature sono inferiori a 10°C. La temperatura ottimale per l’accrescimento è di 22-24°C, per la fioritura di 26°C.

 

Il ciclo del mais inizia con cariossidi che pesano circa 0,3 grammi e si conclude con piante che, in buone condizioni di crescita, raggiungono un peso secco di 400-500 grammi.

 

Il mais da granella può essere raccolto dalla maturazione fisiologica, con un livello di umidità che ne rende necessaria l’essiccazione con aria calda.

La raccolta del mais può essere fatta in spiga o in granella. Il primo sistema è tipico della raccolta manuale: le spighe vengono staccate dalla pianta, “scartocciate” (eliminando le brattee che le avvolgono), lasciate essiccare ed infine sgranate con macchina sgranatrice.

Il sistema più rapido e più diffuso è quello con macchina combinata, che esegue contemporaneamente la raccolta e la sgranatura. Le mietitrebbiatrici da mais sono normali mietitrebbiatrici che per operare sul mais vengono munite di apposita testata spannocchiatrice.

Solitamente la stagione di raccolta del mais da granella va dalla seconda metà di settembre alla fine di ottobre.

 

Prodotti ottenuti dalla macinazione a secco del mais

La granella di mais può essere utilizzata in varie forme e per vari usi e in ogni caso necessita di un processo di lavorazione industriale.

 

La maggior parte del mais per zootecnica e per l’alimentazione umana viene trasformato per macinazione a secco. Con questo tipo di lavorazione si ottiene prima la separazione dell’embrione dai tegumenti della cariosside e successivamente, attraverso passaggi di setacciatura, vengono separati sfarinati di diversa granulometria.

Da questo processo derivano diversi sfarinati:

 

  • spezzature grosse (o hominy), da sottoporre successivamente alla laminazione in fiocchi (corn flakes) per alimentazione umana o per mangimi;
  • spezzature fini (o grits), per l’industria della birra in parziale sostituzione del malto d’orzo o per mangimi;
  • farine per prodotti da forno.

 

Il germe, una volta essiccato, viene sottoposto all’estrazione dell’olio, la crusca invece viene destinata all’industria zootecnica.

 

Il prodotto più abbondante ed importante ottenuto dal mais è l’amido, utilizzato tal quale dopo essiccamento (amido nativo) o modificato mediante trattamenti chimici, fisici o enzimatici.

Per idrolisi acida e/o enzimatica si ottengono sciroppi di glucosio, destrosio, fruttosio impiegati come dolcificanti nell’industria alimentare e farmaceutica.

 

Tecnica dell’appertizzazione per il mais in scatola

Il mais in scatola viene invece prodotto con il metodo denominato “appertizzazione”, che prevede la sterilizzazione del prodotto inscatolato, preceduto da una serie di operazioni preliminari.

 

Si effettua un pretrattamento termico, ovvero una precottura più o meno prolungata, ed in seguito viene confezionato in scatole di banda stagnata.

Quindi, ad una temperatura superiore agli 85°C, vengono addizionati acqua e sale.

I contenitori vengono chiusi ermeticamente e sterilizzati a temperature superiori ai 100°C e per un tempo che può variare dai 10 ai 60 minuti, secondo il formato e il materiale utilizzato per il confezionamento.

Infine, per ottenere un prodotto di buona qualità, le confezioni vengono raffreddate rapidamente fino a una temperatura di circa 40°C.

 

Le scatole, dopo il raffreddamento, devono presentare il fondo leggermente concavo a causa del vuoto parziale al loro interno. Scatole con il fondo bombato invece devono essere scartate poiché potrebbero essere contaminate da spore (come il botulino), produttrici di gas resistenti alle alte temperature.

 

Stagionalità del mais o granoturco

Il mais viene raccolto nei mesi di agosto e settembre, ma grazie alle lavorazioni a cui viene sottoposto si trova sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione del mais o granoturco

I chicchi freschi appaiono turgidi ed aderenti gli uni agli altri e possono essere consumati lessati o cotti al vapore, dopo averli sgranati, insieme ad un’insalata o come contorno.

 

Le pannocchie possono essere anche cotte al forno, avendo cura di lasciarle a bagno per pochi minuti prima della cottura.

 

Il mais in scatola può essere conservato per 48 mesi dalla data di produzione in un luogo fresco ed asciutto, lontano da fonti di luce. Una volta aperto è da conservare in frigorifero e consumare preferibilmente entro 2-3 giorni.

 

La farina di mais è utilizzata nella preparazione di diversi piatti (tra i quali in Italia il più noto è la polenta), alcuni tipi di pane e alcuni dolci.

Si distingue in farina bramata, a grana grossa, per polente particolarmente saporite e gustose, fioretto di farina per polente pasticciate, morbide e delicate, fumetto di mais, per una farina finissima adatta alla produzione di dolci e biscotti (quali le paste di meliga).

In commercio esiste anche una miscela di farine, nota come taragna, costituita da farina di mais e farina di grano saraceno, con cui si produce una polenta più scura e grezza rispetto a quella tradizionale di mais.

Esiste anche la farina di mais integrale, di colore più scuro rispetto alla farina di mais gialla, utilizzata per la produzione di polenta e la preparazioni di dolci; non è invece adatta per la produzione di pane, a meno di non miscelarla con una parte di farina di frumento.

La farina di mais integrale o la taragna sono in grado di apportare un buon contenuto in fibra, sono prive di glutine e hanno un indice glicemico inferiore rispetto alla farina di mais gialla.



Coniglio

Coniglio

 

carne di coniglio

Famiglia: Leporidae

Genere: Oryctolagus

Specie: Oryctolagus cuniculus

 

Storia del coniglio

Il coniglio (Oryctolagus cuniculus) è un mammifero appartenente alla famiglia dei Leporidi.

 

La specie oggi allevata deriva dal coniglio selvatico europeo, diffuso in Europa centro-meridionale e in Africa settentrionale. Il coniglio selvatico è molto più piccolo del coniglio domestico comune e raramente supera il chilogrammo.

 

Il maggior Paese produttore a livello mondiale di carne di coniglio è la Cina seguita dall’Italia, che detiene quindi il primato a livello europeo fornendo il 40% della produzione.

In Italia l’allevamento e la produzione di carne di coniglio si colloca al quarto posto dopo la carne bovina, suina ed avicola.

 

La diffusione territoriale della produzione cunicola italiana non risulta omogenea poiché influenzata da diversi fattori, quali il clima e motivi tecnico-strutturali.

 

Tipologia e qualità della carne di coniglio

Le razze domestiche allevate sono numerose e si distinguono, a seconda della mole, in pesanti, medie e leggere.

 

La qualità delle carni cunicole commercializzate in Italia e nell’intera Unione Europea si caratterizza, di norma, per la scarsa uniformità; ciò dipende dalle differenze riscontrabili tra le varie razze e ibridi commerciali impiegati, dall’età e dal peso alla macellazione.

 

Il coniglio in commercio si può trovare intero, come coscio o frattaglie.

 

Proprietà nutrizionali del coniglio

tabella con i valori nutrizionali delle frattaglie, del coscio e del coniglio intero
Tabella con i valori nutrizionali del coniglio: coscio, frattaglie e intero

Valori nutrizionali del coniglio

Le carni di coniglio, come quelle avicole, sono definite “carni bianche”, sono caratterizzate da un contenuto di lipidi relativamente basso, da un buon apporto di proteine e dall’assenza di fattori allergenici o antinutrizionali.

 

La composizione nutrizionale, come si può notare in tabella, presenta valori simili ad eccezione del contenuto lipidico che risulta differente a seconda della tipologia e del taglio della carne preso in esame.

 

Il coniglio presenta anche un buon contenuto di fosforo, zinco e di vitamina B12.

 

Benefici del coniglio

La carne di coniglio è un’ottima fonte di proteine ad alto valore nutrizionale, che sono cioè costituite da tutte gli amminoacidi essenziali che bisogna introdurre con l’alimentazione.

 

Inoltre la carne, proprio per la sua composizione, è adatta ad essere consumata in molti tipi di alimentazione come quella degli anziani e dei bambini.

 

La porzione standard di consumo è 100 grammi, che corrisponde circa a una fetta di petto di coniglio.

 

Produzione e Tecnologia del coniglio

Caratteristiche del coniglio

In Italia, la carne di coniglio viene ottenuta in genere dalla macellazione di animali di 2,5 kg di peso e nel periodo compreso tra 11 e 13 settimane.

 

La femmina ha un periodo di gravidanza della durata di 30 giorni, può partorire da 6 a 7 volte all’anno (se la stagione è favorevole e se vi è disponibilità di alimenti) con una media di 6-7 piccoli per nidiata, che sono in grado di abbandonare il nido dopo 3 settimane.

I piccoli dopo cinque mesi sono già atti alla riproduzione, anche se lo sviluppo completo viene raggiunto non prima degli otto mesi.

 

Allevamento del coniglio

La filiera di produzione cunicola italiana è costituita sia da piccoli allevamenti, sia da allevamenti intensivi (professionali).

Nella quasi totalità dei casi gli allevamenti sono a ciclo chiuso, ovvero è presente sia il settore di riproduzione sia il settore di ingrasso, collocati in locali separati.

 

I conigli vengono allevati in gabbie di rete metallica disposte in uno o più piani (conigliera).

Sono animali sensibili a fattori stressanti, bisogna quindi assicurare l’aerazione e la luminosità, una temperatura e un’umidità costanti; è inoltre obbligatorio possedere un sistema di raccolta di feci e urine che deve essere di facile manutenzione e disinfezione.

 

I conigli adulti sottoposti all’ingrasso sono alimentati con grano, crusca, farine o alimenti misti concentrati.

 

Produzione della carne di coniglio

I conigli che arrivano nell’impianto di macellazione vengono selezionati, storditi e portati nella zone di macellazione.

 

La fase successiva è il “dissanguamento”: il sangue che gocciola viene raccolto in una apposita vasca mantenuta costantemente pulita, mediante un impianto di aspirazione a vuoto.

 

Segue quindi la fase di scuoiamento. In seguito il coniglio è pronto per essere eviscerato, operazione che avviene in una zona munita di apposita vasca di raccolta.

 

Una volta eviscerati i conigli sono sottoposti al controllo sanitario, per stabilire la loro idoneità alla vendita, e successivamente trasportati nella zona in cui è posizionata la cabina per il lavaggio delle teste, dove si provvede ad asportare il sangue residuo.

L’animale viene quindi trasferito dalla catena di macellazione a quella del tunnel di raffreddamento, dove si abbatte la temperatura fino a 4°C.

 

Infine il coniglio viene portato nel reparto di confezionamento per l’ottenimento del prodotto finito; qui viene confezionato intero, in cassetta da più capi o in confezione singola, o tagliato e confezionato in porzioni secondo le esigenze di mercato.

 

Al momento della vendita il peso oscilla fra i 2,2 e i 3 kg, con valori medi che si aggirano sui 2,5 kg.

Il peso della carcassa, in media 1,6 kg, è più elevato che negli altri paesi europei, imponendo cicli d’allevamento più lunghi (75-85 giorni), contro i (65-70 giorni) di Francia e Spagna dove il consumatore preferisce carcasse più leggere.

 

Stagionalità del coniglio

La carne di coniglio si può reperire durante tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione del coniglio

Al momento dell’acquisto è consigliabile prediligere tagli magri scegliendo carni dal colore rosa chiaro e con un grasso di colore bianco; infatti carni di colore diverso e il grasso di colore giallo sono indice di una cattiva conservazione.

Inoltre una buona carne di coniglio deve presentare il fegato di un colore rosso vivace e le cosce carnose.

 

La carne di coniglio si conserva, al pari di altre carni bianche, nei ripiani più freddi del frigorifero per un tempo massimo di 3 giorni, avvolta in pellicola da alimenti.

Può essere congelata, avendo l’accortezza di consumarla entro due mesi.

 

I metodi di cottura da prediligere sono quelli in padella (utilizzando un filo d’olio) o al vapore.

 

In base al piatto che si desidera preparare converrebbe scegliere l’esemplare più adatto; per l’arrosto è preferibile un coniglio giovane di 1,5 kg circa di peso; per il coniglio in umido è più adatto un esemplare adulto, che possiede una carne meno tenera ma risulta più saporito. Inoltre, durante la cottura prolungata in umido, converrebbe aggiungere del brodo vegetale durante la preparazione evitando così di eccedere con condimenti che risulterebbero molto più grassi.



Carota

Carota

 

proprietà della carota

Famiglia: Apiaceae

Genere: Daucus

Specie: Daucus carota

 

Storia della carota

La carota (Daucus carota) è un ortaggio da radice molto consumato, appartenente alla famiglia delle Apiaceae, apprezzato per il sapore dolciastro.

 

Il suo nome deriva dal greco Karoton, termine usato per indicare questo ortaggio.

 

In origine le prime carote coltivate erano di colorazione violacea, e solo successivamente vennero selezionate le cultivar arancioni, in onore della dinastia degli Orange, che aveva guidato l’Olanda nella guerra d’indipendenza contro la Spagna.

Questa scelta venne apprezzata dai consumatori, poiché tale colorazione era più gradevole alla vista ed il prodotto mostrava un gusto più dolce e delicato.

 

La carota è considerata uno dei dieci vegetali più consumati al mondo e complessivamente ha un grande valore commerciale.

 

La carota è coltivata in tutto il Mondo, soprattutto in Europa e in Asia.

I paesi in cui la coltura è maggiormente diffusa sono la Russia, la Cina, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. In Italia le regioni maggiormente interessate dalla coltura sono la Sicilia, l’Abruzzo, il Veneto, la Puglia, la Lombardia e il Lazio.

 

Per quanto riguarda le carote nere, esse vengono prodotte principalmente in Turchia, ma la maggior parte viene esportata in Francia, Germania, Italia e Danimarca, oltre all’esportazione in paesi orientali, come Giappone e Corea.

 

Tipi di carota

Esistono diverse varietà di carota distinguibili per:

 

  • la forma del fittone , che le distingue in corte, mezze-lunghe e lunghe
  • la colorazione che può essere arancione, bianca, rossa, gialla o violacea.

 

Le varietà più conosciute sono Antonina, Purple Haze, Deep Purple, Nantese, Kuroda, Berlicum e Flakkee.

 

In commercio oltre al prodotto fresco è possibile trovarle surgelate.

 

Proprietà nutrizionali della carota

carota tabella

Valori nutrizionali delle carote

Le carote come tutti gli ortaggi determinano un basso apporto calorico.

Sono però ricche di vitamine e rappresentano un’ottima fonte di fibre ed antiossidanti; sono soprattutto un’importante fonte di beta- carotene, il precursore della vitamina A.

Inoltre le carote contengono piccole quantità di minerali, tra cui potassio, calcio, fosforo.

 

In base alla loro colorazione il contenuto di vitamine e fitocomposti varia sensibilmente:

– la varietà arancione contiene vitamina A e β-carotene;

– quella bianca contiene lignina e quercetina;

– la rossa principalmente licopene;

– mentre la varietà gialla è ricca di xantofille e luteina;

– infine la violacea è ricca di polifenoli, flavonoidi ed antocianine.

 

Questi ortaggi presentano un sapore complesso, influenzato da diversi fattori tra cui composti non volatili, come zuccheri, fosfati, composti amari, composti fenolici e acidi organici, ma anche molecole volatili, come terpeni e sesquiterpeni.

 

Benefici delle carote

I carotenoidi presenti, quali β-carotene, licopene e luteina, sono responsabili della colorazione e della produzione di vitamina A, che a sua volta svolge azioni protettive ed è essenziale per la visione, la crescita e il normale sviluppo dei tessuti.

 

Le vitamine del gruppo B favoriscono un buon metabolismo, invece la vitamina C contribuisce a rafforzare il sistema immunitario, ha la capacità di aumentare l’assorbimento del ferro negli alimenti ed è importante anche per la sintesi di collagene, proteina principale del tessuto connettivo.

 

Tra i sali minerali spicca il potassio che aiuta a promuovere la buona salute dell’apparato cardiovascolare.

 

Questo alimento risulta utile per contrastare la diarrea, che può essere un effetto avverso legato al trattamento oncologico.

 

La porzione consigliata è  di 200 grammi, che equivale a 3-4 carote.

 

Inoltre con il consumo di una porzione di carote crude si soddisfa il fabbisogno giornaliero di vitamina A (retinolo equivalenti), facendo riferimento alla popolazione adulta.

L’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina A, calcolata come retinolo equivalenti, per la popolazione adulta è di 700 µg per gli uomini e 600 µg per le donne.

 

Produzione e Tecnologia della carota

Caratteri botanici della pianta di carota

La carota è una pianta erbacea biennale che cresce in campi secchi e nei prati, dal fusto alto fino a 100 cm, robusto e di colore verde, coltivata in tutto il mondo.

 

La parte commestibile della pianta della carota è la radice. Quest’ultima è a fittone, carnosa, di colore arancio o bianco-giallastro con una forma variabile da sferica a cilindrica, a conica più o meno allungata a seconda della varietà.

 

Coltivazione delle carote

La tecnica di coltivazione richiede un’accurata preparazione del terreno, che deve essere profondo ed uniforme per permettere frequenti irrigazioni, e la distribuzione dei semi avviene in file distanti circa 20 cm tra marzo ed aprile.

La concimazione deve essere abbondante, perché la carota richiede elevate quantità di composti nutritivi.

 

Produzione delle carote

La raccolta avviene nel mese di ottobre, prima che la radice raggiunga il suo massimo sviluppo e può essere effettuata manualmente o tramite macchinari che ne permettano l’estrazione dal terreno, oltre alla rimozione delle foglie e della terra.

 

Una volta raccolte le carote vengono sottoposte a un processo di lavaggio, fondamentale per donare loro un aspetto migliore e per sanificarle.

 

Dopo essere state lavate, le carote vengono suddivise per calibri e per qualità per poter essere destinate alle diverse lavorazioni, ovvero al confezionamento o all’industria o allo sfuso.

Per calibrare le carote il metodo più comune è l’uso delle calibratrici a rulli che le dividono per diametro con rulli successivi.

 

Sempre più spesso le carote vengono lavorate per poi essere inserite all’interno di buste insieme ad insalata per esempio. Per trasformare le carote bisogna necessariamente rimuovere la testa e la coda delle stesse, con un’operazione detta “scollettatura“, quindi pelarle ed infine, tagliarle delle dimensioni desiderate.

L’operazione di scollettatura avviene attraverso un sistema che singolarizza la carote e poi, tramite nastri con orientamento inverso, porta le 2 estremità verso le lame che provvedono a rimuovere testa e coda.

 

La pelatura invece può essere effettuata o con pelatrici a coltelli in linea, che consentono di limitare al massimo gli scarti, seguendo il contorno della carota anche quando ha una forma irregolare, o con pelatrici abrasive meno precise che producono più scarti.

 

A seconda della destinazione finale le carote pelate possono essere tagliate alla julienne, in stick, in cubetti, in rondelle o in innumerevoli altre forme.

 

Inoltre le carote nere contengono quantità elevate di antocianine e, per questo motivo, i loro estratti sono utilizzati per colorare succhi e nettari di frutta; per la loro proprietà conservante invece vengono adoperati in marmellate e confetture.

 

Stagionalità della carota

Le carote sono reperibili sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione della carota

Al momento dell’acquisto può essere meglio scegliere quelle di un arancione più intenso; ovvero a maggior contenuto di β-carotene. La consistenza deve essere soda e compatta.

 

È importante consumare le carote intere, per esempio in pinzimonio, piuttosto che grattugiate in quanto il β-carotene tende ad ossidarsi facilmente a contatto con l’aria non venendo in tal modo convertito in vitamina A.

Per lo stesso motivo è consigliabile prepararle poco prima del consumo.

 

Un accorgimento molto importante inoltre è quello di condirle con olio crudo o con alimenti che contengano lipidi in quanto la vitamina A presente, essendo liposolubile, si assimila più facilmente se associata a queste sostanze.

 

L’utilizzo della carota in cucina è ampiamente diffuso in quanto è un ortaggio che si presta ad accompagnare molte preparazioni, sia dolci che salate, e sono adatte per essere consumate come contorni, insalate e zuppe di verdure.

 

Con la carota si prepara uno dei centrifugati di verdura più apprezzati.

Il succo ha un colore arancio brillante, il profumo è delicato. Il suo sapore è dolce, e si armonizza perfettamente con quello di molte altre verdure. Per questo motivo si utilizza spesso anche per correggere il gusto troppo marcato di altri succhi di verdure, caratterizzati da gusti amari.

 

Oltre alla radice è possibile consumare della carota anche le foglie e gli steli che vengono impiegati soprattutto nella preparazione di minestre.

 

Viene consumata abitualmente cotta, in diverse preparazioni.

 

Modalità di cottura

Le modalità di cottura sono diverse: a vapore, lessata, al forno, stufata.

 

Sono consigliate cotture brevi e a basse temperature e per chi utilizza la cottura in acqua, è bene non salare troppo il liquido, perché le carote possono assumere una consistenza legnosa.

 

La più indicata rimane la cottura al vapore, che sembra anche favorire la biodisponibilità della provitamina A. Il betacarotene, a differenza di altre sostanze sensibili al calore, è moderatamente termoresistente, in più, essendo liposolubile, non ha la tendenza a disperdersi in acqua.

Le carote, una volta cotte, vanno subito riposte in frigorifero.

 

Le proposte di ricette di FBO con le carote



Alici o Acciughe

Alici o Acciughe

 

alici o acciughe

Famiglia: Engraulidae

Genere: Engraulis

Specie: Engraulis encrasicolus

 

Storia delle alici o acciughe

L’acciuga (o alice) è un pesce azzurro dalle dimensioni ridotte, circa 12 cm, ma può arrivare anche a misurare 20 cm.

È una specie pelagica, il che significa che trascorre gran parte del ciclo vitale lontano dal fondo marino anche se depone le uova sui bassi fondali sabbiosi.

Infatti nei mesi autunnali ed invernali vive a 100-200 m di profondità, salvo poi avvicinarsi alle coste spostandosi in branchi nei restanti periodi dell’anno.

 

Si tratta di una specie diffusa nel Mare Mediterraneo, nel Mar Nero, nell’Oceano Atlantico orientale (tra la Norvegia e il Sudafrica) e nel Mar Baltico.

In Italia si trova soprattutto nel Mar Adriatico, nel Golfo di Genova e nel Canale di Sicilia.

 

Tipologie di Acciuga

In Liguria le larve di acciuga (e di sarda) sono indicate con i termini di “bianchetti” o “gianchetti“.

 

Con il Regolamento CE n 776 del 4/08/2008 è stata riconosciuta l’IGP (Indicazione Geografica Protetta) alle “ Acciughe sotto sale del Mar Ligure”, indicazione riservata a acciughe salate, prodotte e lavorate nella Regione Liguria.

 

In commercio l’acciuga è disponibile fresca, sott’olio, sotto sale e come pasta di acciuga.

 

Proprietà nutrizionali delle alici o acciughe

alici tabella

Valori nutrizionali delle alici o acciughe

La concentrazione di lipidi, carboidrati e proteine nei pesci è influenzata oltre che dalla specie, dalla morfologia, dalle condizioni di sviluppo e di alimentazione, anche dalla tipologia di trasformazione (sotto sale, sott’olio) applicata.

 

L’alice fresca appartiene alla famiglia del pesce azzurro e rientra nella classe dei pesci “magri” in quanto presenta un contenuto lipidico inferiore al 3%.

I lipidi dei pesci contengono una buona quantità di acidi grassi insaturi che vanno incontro facilmente ad alterazioni, rendendo il pesce facilmente deperibile.

 

Maggior fonte dei lipidi è rappresentato da trigliceridi (l’olio di pesce) e possono contenere acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA), due acidi grassi polinsaturi della classe ω-3.

 

Le proteine, componenti fondamentali dei muscoli, rappresentano circa il 17% delle alici fresche.

Sono presenti anche amminoacidi liberi quali arginina, lisina, istidina che, insieme a creatina, creatinina, dipeptidi e oligopeptidi, urea, ammoniaca e ossido di trimetilammina (TMAO), che costituiscono la frazione azotata non proteica responsabile del sapore tipico della carne dei pesci.

 

Le alici sott’olio risultano più caloriche e apportano un quantitativo maggiore di proteine, lipidi, potassio e magnesio rispetto a quelle sotto sale o fresche.

 

L’acciuga in generale è una buona fonte di calcio, potassio, fosforo, cloro e zolfo e di vitamine del gruppo B (soprattutto di niacina), di vitamina A e D.

 

Benefici delle alici o acciughe

Gli ω-3, acidi grassi polinsaturi, contenuti nelle alici sono grassi buoni ed essenziali importanti per la salute del sistema cardiovascolare, per il corretto sviluppo del sistema nervoso e per una corretta struttura cellulare.

 

Le acciughe, così come tutto il pesce azzurro, presentando un buon contenuto di calcio sono utili per la prevenzione dell’osteoporosi.

 

La porzione consigliata per il prodotto fresco o surgelato è di 150 grammi, per quello conservato è di 50 grammi (riferita al peso sgocciolato).

Solitamente si consiglia di consumare pesce fresco 2-3 volte alla settimana e di non utilizzare più di una volta a settimana quello conservato.

 

Una decina di alici crude contengono 16,5 µg di vitamina D, superando così la dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta (che è di 15 µg sia per gli uomini che per le donne).

 

Interazioni delle alici o acciughe

Il consumo di alici potrebbe interferire con l’assunzione dei farmaci inibitori delle MAO (monoamminoossidasi) utilizzati per trattamento della depressione o del Parkinson, e del linezolid, un antibatterico ossazolidinonico.

 

Produzione e Tecnologia delle alici o acciughe

Caratteristiche delle alici o acciughe

L’acciuga presenta un corpo affusolato con ventre liscio ed arrotondato. La testa è allungata e rappresenta circa il 25% della lunghezza totale. La colorazione è azzurra con sfumature verdastre sul dorso (che diventa grigiastra dopo la pesca), argentea sui fianchi e sul ventre.

 

Si nutre prevalentemente di zooplancton, un insieme naturale di organismi erbivori e carnivori, ma anche di molluschi, pesci e crostacei di piccole dimensioni.

 

Il periodo di riproduzione va da aprile a novembre e ogni femmina può deporre fino a 40.000 uova del diametro di un millimetro che, dopo due o tre giorni dall’emissione, si schiudono.

 

La pesca

La pesca si effettua da marzo a maggio (in questo periodo si hanno le acciughe più pregiate in quanto le uova sono appena state deposte) e da luglio ad ottobre nell’area del Mediterraneo, Mar Nero ed Atlantico orientale.

Questa specie abbonda nei mari ma si può anche ritrovare in lagune, stagni salmastri ed estuari per via della sua capacità di adattarsi agli sbalzi di salinità.
Inoltre l’allevamento o acquacoltura permette di trovare l’acciuga nei mercati ittici per tutto l’anno e a prezzi contenuti.

 

La pesca delle acciughe può essere effettuata con diverse tecniche.

La più nota è quella con le cosiddette “lampare”, ovvero grandi lampade montate sulle imbarcazioni che illuminano una porzione di mare in modo da attirare i pesci in superficie; in seguito i pescatori imprigionano il branco nelle reti a circuizione calate a profondità diverse.

 

Tecniche di Produzione per i diversi tipi di alici

Una volta pescate le acciughe vengono subito sottoposte alla ghiacciatura, ovvero coperte con ghiaccio tritato per mantenere la freschezza fino ad un massimo di 14 giorni, ed entro 12 ore vengono portate nello stabilimento dove vengono immerse in salamoia per 15-20 minuti.

 

Le acciughe fresche

In seguito le acciughe fresche vengono raccolte in apposite ceste e trasferite nei banchi di lavoro dove vengono eviscerate, selezionate, risciacquate in salamoia e conservate a -2°C.

 

Il prodotto fresco viene posto in cassette di legno, stoccato ed inviato alla distribuzione, facendo attenzione alla catena del freddo (a temperature di refrigerazione).

 

Le acciughe sotto sale

Per la produzione delle acciughe sotto sale invece, in seguito all’eviscerazione, il prodotto viene messo in barili di castagno o in vasi di terracotta in strati sovrapposti, ricoprendo ogni strato con sale alimentare marino a media granulatura. Questo passaggio permette una lenta maturazione delle carni ed il controllo delle fermentazioni.

Sull’ultimo strato viene collocato un disco di legno e un peso di circa 40/50 Kg che esercita una pressione costante durante tutto il periodo di stagionatura.

 

La stagionatura dura circa 40/50 giorni in condizioni di temperatura controllata.

I pesi permettono la formazione del liquido di estrazione, che dopo 4-5 giorni deve essere sostituito con una salamoia di media (18-25%) o forte (25-33%) concentrazione.

La salagione ottimale si ha quando la carne risulta compatta, consistente e raggiunge una colorazione dal rosa intenso al marrone.

 

Successivamente le acciughe vengono poste in contenitori cilindrici di vetro trasparente, denominati “arbanelle“.

Per evitare l’ossidazione del prodotto, nelle arbanelle l’ultimo strato di acciughe viene completamente ricoperto dalla salamoia e sopra di esso viene posto un dischetto di ardesia, di vetro o in plastica ad uso alimentare che ha lo scopo di tenere pressate le acciughe.

La confezione, pronta per l’immissione sul mercato, deve essere sigillata.

 

Le acciughe sott’olio

Le acciughe sott’olio, invece, dopo la stagionatura vengono lavate in salamoia e filettate, ovvero ne viene estratta la lisca.

In seguito all’asciugatura vengono poste in contenitori di vetro, immerse in olio. I contenitori sono chiusi ermeticamente ed etichettati.

 

La pasta di acciughe

Per l’ottenimento della pasta di acciughe, in seguito alla salatura, le acciughe vengono triturate ed impastate con olio, in modo da amalgamare e rendere omogeneo il prodotto. A questo si aggiungono sale ed aromi naturali.

Successivamente la pasta viene confezionata in recipienti a chiusura ermetica quali scatole o tubetti.

 

Stagionalità delle alici o acciughe

Le alici sono presenti sul nostro mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione delle alici o acciughe

Nel Regolamento CE n. 2406 del 26/11/96 sono definite le regole per la valutazione della freschezza del pesce.

I prodotti sono suddivisi in quattro categorie:

 

  • extra ovvero un “prodotto privo di scorticature, segni di pressione, sudiciume di decolorazione e di odori anormali”
  • A
  • B in cui si hanno segni evidenti di pressioni e scorticature
  • non ammesso alla commercializzazione

 

Il pesce è fresco quando presenta una pigmentazione viva e lucente, un muco cutaneo trasparente ed occhi convessi (sporgenti) con una pupilla nera brillante e cornea trasparente.

 

Le alici intere appena acquistate non devono essere sciacquate in acqua dolce perché la rimozione di sale accelera la decomposizione, ma vanno eviscerate e poste in frigorifero per una conservazione di massimo due giorni.

Se non vengono consumate in giornata, si possono conservare in frigorifero per 1-2 giorni o, in alternativa congelarle in freezer, dove si potranno conservare per circa 6 mesi.

 

Per evitare sbalzi termici elevati, si consiglia di effettuare lo scongelamento in frigorifero prima della cottura. Anche se il congelamento non altera il valore nutrizionale, la conservazione in freezer determina comunque l’irrancidimento degli ω-3.

 

Il metodo di cottura migliore, per evitare perdita di ω-3, è quello alla griglia; una minima riduzione si ha invece con la cottura al forno o in acqua bollente per un massimo di 20 minuti.

 

Per il consumo casalingo è preferibile assumere pesce cotto anziché crudo o marinato (ovvero con aggiunta di aceto e succo di limone) per evitare di incorrere nella presenza dell’Anisakis, un parassita la cui presenza si elimina con la cottura o l’abbattimento termico in appositi congelatori.

 

Le nostre proposte di ricette con le alici

 

 



Avena

Avena

 

avena benefici

Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)

Genere: Avena

Specie: Avena sativa L.

 

Storia dell’avena

L’avena è una pianta erbacea annuale alta 60-150 cm, comparsa in Europa nel VI secolo a.C., che richiede un grande consumo idrico ed è suscettibile a temperature calde e secche.

Per questo motivo è una specie che predilige climi freschi e umidi.

 

È molto diffusa nelle regioni del Nord Europa, ma in Italia si coltiva soprattutto nelle regioni meridionali.

 

I principali produttori di avena nel mondo sono Russia e Canada, seguono USA, Australia, Polonia, Germania, Finlandia e Svezia.

La coltura dell’avena in Italia è diffusa soprattutto in Puglia, Basilicata, Toscana, Lazio, Campania e Sardegna.

 

Tipologie di avena

La specie più diffusa è l’Avena sativa (o “avena comune”) che rappresenta circa il 90% dell’avena coltivata, la parte restante è rappresentata dall’Avena byzantina (o “avena rossa”).

L’Avena sativa è tipica dei climi freschi tipici del centro e nord Europa, l’Avena byzantina invece, sopportando siccità e alte temperature meglio della sativa, è diffusa nel Mediterraneo e nel Medio Oriente.

 

La maggior parte della produzione è utilizzata nell’alimentazione del bestiame, soprattutto dei cavalli, sia come granella (biada) che come paglia.

Solo il 5% è destinato all’alimentazione umana.

 

La parte destinata al consumo alimentare è la cariosside, che presenta una struttura simile a quella di tutti gli altri cereali, in cui si riconoscono tre regioni:

 

  • i “tegumenti” nella parte esterna,
  • l’“endosperma amilaceo” (o mandorla farinosa),parte preponderante della cariosside,
  • l’”embrione” (o germe) più internamente.

 

In commercio si trovano diversi prodotti ottenuti dalla lavorazione dell’avena: fiocchi, crusca e farina.

 

Proprietà nutrizionali dell’avena

tabella con i valori nutrizionali dell'avena, della farina di avena e dei fiocchi di avena

Valori nutrizionali dell’avena

L’avena, rispetto a tutti gli altri cereali, presenta il maggior contenuto proteico, variando dal 16 al 20%.

 

Relativamente alla composizione amminoacidica, l’avena presenta il più alto contenuto di lisina (amminoacido essenziale).

 

Inoltre la frazione prolaminica, che rappresenta una frazione proteica dei cereali, nota nell’avena come avenina (4-14% delle proteine totali), non determinerebbe effetti dannosi per individui celiaci, come invece accade per altri cereali contenenti glutine quali frumento, orzo e segale.

 

Contiene buone quantità di lipidi, ricchi in acido linoleico, un acido grasso polinsaturo essenziale.

 

Questo cereale presenta anche un buon contento di fibra solubile, la cui componente principale è rappresentata dai β-glucani, polisaccaridi lineari costituiti da molecole di glucosio unite attraverso legami glicosidici β-(1-3) e β-(1-4).

La fibra è presente principalmente nella crusca, in quantità più ridotte nella farina di avena (7%).

 

Nell’avena si riscontra anche un contenuto di ferro più elevato rispetto agli altri cereali e fornisce inoltre un buon apporto di fosforo.

Rappresenta anche una buona fonte di vitamine del gruppo B e di vitamina E.

 

Avena e celiachia

Secondo l’Associazione Italiana Celiachia (AIC) la maggior parte dei celiaci potrebbe inserire l’avena nella propria dieta senza effetti negativi per la salute.

È bene precisare che se si tratta di una questione ancora oggetto di studi e ricerche da parte della comunità scientifica, in particolare sulle varietà di avena con meno problematiche per i celiaci.

Si deve tener conto comunque del problema della cross-contaminazione dell’avena con altri cereali contenenti glutine nella filiera produttiva.

Pertanto l’AIC suggerisce il consumo di avena solo per quei prodotti a base di, o contenenti, avena presenti nel Registro Nazionale dei prodotti senza glutine del Ministero della Salute, che garantisce sull’idoneità dell’avena impiegata.

 

Benefici dell’avena

β-glucani presenti nell’avena svolgono importanti funzioni all’interno dell’organismo, in particolar modo azioni preventive sulle patologie cardiovascolari e sul diabete.

Grazie alla loro capacità di legarsi ad altre molecole riducono l’assorbimento nell’intestino di colesterolo totale, colesterolo LDL e zuccheri assunti con gli alimenti. 

Inoltre, sempre nell’intestino, sembrano stimolare la produzione dei fagociti, una classe di globuli bianchi che svolge un’attività di difesa per l’organismo.

 

La fibra conferisce senso di sazietà e favorisce il transito intestinale mentre l’avenina sarebbe dotata di effetti tonificanti, energetici e riequilibranti.

 

La presenza di avenantramidi, composti fenolici azotati, permette inoltre di ridurre le infiammazioni e di inibire la proliferazione delle cellule tumorali. 

 

Nell’avena è contenuto anche il ferro, un elemento essenziale per un corretto trasporto dell’ossigeno nel sangue, e il fosforo, utile per il mantenimento di ossa e denti.

 

Il consumo di questo alimento risulta utile nel caso di anemia sideropenica.

 

Una porzione di fiocchi d’avena è di 30 grammi, che corrisponde a circa 6 cucchiai.

 

Interazioni dell’avena

Le fibre contenute nella crusca potrebbero essere in grado di ridurre l’assorbimento della lovastatina, una statina utilizzata per il trattamento delle dislipidemie che aiuta a ridurre i livelli di colesterolo LDL nel sangue.

 

Produzione e Tecnologia dell’avena

Caratteri botanici dell’avena

L’avena è caratterizzata da culmi (ovvero fusti) robusti, costituiti da un numero di nodi maggiore rispetto a quello degli altri cereali, con foglie a lamina larga di colore verde bluastro.

 

Le infiorescenze sono pannicoli tipici che presentano numerose ramificazioni che portano spighette con due o tre fiori.

 

Il frutto è una cariosside dalla forma oblunga e affusolata con un profondo solco longitudinale, ricca di amido.

 

La cariosside è costituita da tre regioni: i “tegumenti”, che svolgono una funzione protettiva, l’”embrione” (o germe), in cui è presente la maggior concentrazione dei nutrienti e l’“endosperma amilaceo” (o mandorla farinosa) che rappresenta la parte preponderante della cariosside che contiene i polisaccaridi di riserva.

 

Coltivazione dell’avena

L’avena è un cereale meno resistente al freddo rispetto a frumento tenero ed orzo, privilegia terreni alcalini e tendenzialmente acidi, ma non si adatta bene a terreni troppo sabbiosi e/o caratterizzati da eccessiva umidità invernale.

 

La semina autunnale viene effettuata nel mese di ottobre nelle zone dell’Italia meridionale dove il clima è caldo-arido, quella primaverile tra marzo ed aprile al nord.

 

La raccolta della granella con la mietitrebbia avviene a inizio estate, tra maggio e giugno.

 

Produzione dell’avena

Nell’alimentazione umana l’avena viene utilizzata soprattutto sotto forma di farina e fiocchi.

La farina si ottiene dalla macinazione delle cariossidi decorticate, ovvero private della crusca, e possiede un basso indice glicemico.

I fiocchi derivano anch’essi dalle cariossidi decorticate che successivamente vengono frantumate, cotte al vapore, laminate in scagliette sotto appositi rulli di acciaio, stabilizzate e leggermente tostate.

 

In commercio si trova anche l’avena integrale e la crusca, strato più esterno della cariosside.

 

Stagionalità dell’avena

L’avena si trova sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione dell’avena

L’avena, presentando un quantitativo superiore di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi rispetto agli altri cereali, può irrancidire più facilmente, soprattutto in forma di fiocchi e farine.

La conservazione delle cariossidi integre risulta invece più sicura per la presenza di componenti antiossidanti nella crusca.

 

Questo cereale si conserva per 2 mesi in contenitori ermeticamente chiusi, in luogo fresco, buio e privo di umidità o, in alternativa, può essere congelata e conservata per 1 mese.

 

L’avena in grani viene utilizzata per la preparazione di zuppe e minestre. La farina viene impiegata, miscelata con farine di altri cereali, per la realizzazione di biscotti, pane e prodotti da forno.

I fiocchi di avena invece sono diffusi come alimento per la prima colazione, per la preparazione del porridge o del mϋesli.

 

Le ricette con l’avena proposte da FBO



Albicocca

Albicocca

 

albicocca proprietà

Famiglia: Rosacee

Genere: Prunus

Specie: Prunus armeniaca L.

 

Storia dell’albicocca

L’albicocca (Prunus armeniaca L. o Armeniaca vulgaris Lam.) è il frutto, una drupa, dell’albicocco, una pianta perenne appartenente alla famiglia delle Rosacee di cui fanno parte anche ciliegia, pesca e prugna.

 

L’albicocco è originario della Cina nordorientale al confine con la Russia, in Italia è diffusa principalmente nelle regioni meridionali.

 

Tipologie di albicocca

Esistono diverse varietà di albicocco coltivate in Italia, soprattutto in Campania ed Emilia Romagna.

La varietà “Goldrich”(o “Sungiant”) presenta frutti dalle grosse dimensioni e dalla buccia di color arancio intenso, molto dolci (soprattutto a maturazione avanzata); è una delle varietà più coltivate in quanto i frutti rimangono per un lungo periodo sulla pianta consentendo un tempo di raccolta più lungo, che avviene nella seconda metà di giugno. I frutti di questa varietà sono utilizzati per il consumo fresco.

 

Le albicocche in commercio si possono trovare fresche o trattate in modi diversi (per via della loro facile deperibilità) ottenendo così albicocche secche, disidratate o sciroppate.

 

In commercio si trovano anche numerosi prodotti derivati: succo, marmellata e gelatina di albicocca.

 

Proprietà nutrizionali dell’albicocca

 

tabella con i valori nutrizionali dell'albicocca

Valori nutrizionali dell’albicocca

L’albicocca, in particolar modo quella disidratata o secca, è una buona fonte di potassio.

 

È una fonte anche di carotenoidi quali β-carotene (il principale), licopene e luteina, responsabili del colore rosso-arancio dei frutti.

 

Benefici dell’albicocca

I carotenoidi vengono utilizzati dall’organismo per la produzione di vitamina A, svolgendo importanti funzioni protettive.

 

La biodisponibilità di licopene e β-carotene inoltre aumenta con la concomitante assunzione di sostanze grasse, essendo molecole liposolubili; pertanto è consigliabile abbinare il consumo di albicocche con, ad esempio, della frutta a guscio.

 

La porzione consigliata per il frutto fresco è di 150 grammi, che equivale a 2 frutti piccoli.

Per il frutto secco zuccherino invece è di 30 grammi, che corrisponde a 3 albicocche secche.

 

Produzione e Tecnologia dell’albicocca

Caratteri botanici dell’albicocca

L’albicocco presenta una fioritura precoce e, per questo motivo, i ritorni di gelate nel periodo primaverile provocano danni importanti; i frutti necessitano di 3-6 mesi per la maturazione e lo sviluppo.

La fruttificazione inizia già dal secondo anno, anche se la piena produzione si ha a partire dal terzo-quinto anno.

 

Questi alberi da frutto prediligono zone dal clima temperato ed asciutto e vengono coltivati principalmente negli Stati Uniti, in Italia (nelle regioni di Campania, Emilia-Romagna, Basilicata, Sicilia e Piemonte), Francia, Spagna, Grecia e Turchia.

 

Produzione dell’albicocca

La raccolta delle albicocche si effettua dai primi di maggio fino alla metà di luglio nell’area del Mediterraneo; quelle reperibili sul mercato nei mesi di dicembre e gennaio vengono invece importate da Cile e Nuova Zelanda.

Le albicocche, una volta raccolte, in attesa della vendita vengono conservate a temperature compresa tra -1 e 0°C e in presenza di elevata umidità per 3 settimane.

 

I frutti con una polpa consistente, arancioni o giallo lucenti, che presentano un gusto gradevole ed un nocciolo di ridotte dimensioni sono adatti per essere sciroppati; quelli con forma, pezzatura, colore e maturazione omogenea ed un nocciolo piccolo sono destinati all’essiccazione.

Le albicocche con drupe di grandi dimensioni, gialle-arancioni, con tonalità rosse, sode e con polpa fragrante, con buoni requisiti organolettici sono destinate al consumo fresco.

I frutti lesionati durante la raccolta invece sono destinati alla preparazione di succhi e marmellate.

 

L’ottenimento delle albicocche essiccate prevede diversi passaggi:

inizialmente le drupe vengono lavate, asciugate e snocciolate; in seguito possono essere trattate con anidride solforosa, che permette di mantenere il colore chiaro e brillante anche dopo l’essicazione.

Vengono quindi disposte su graticci o griglie in un luogo ben esposto al sole ed aerato o, in alternativa, vengono poste in forni con programmi termici che raggiungono la temperatura di 100°C.

 

Stagionalità dell’albicocca

In Italia le albicocche destinate al consumo fresco sono di stagione nei mesi estivi, tra giugno e luglio.

 

Preparazione e Conservazione dell’albicocca

Un’albicocca è fresca e matura quando presenta un colore giallo-arancio, una buccia vellutata e una polpa che, se premuta, cede leggermente.

È immatura se ha un colore giallo ed è dura al tatto; troppo matura quando è molle e pastosa.

 

Le albicocche fresche che non hanno raggiunto una completa maturazione andrebbero conservate a temperatura ambiente, quelle mature invece bisogna tenerle in frigorifero tra 0 e 3°C, al massimo per 6-7 giorni, in sacchetti o contenitori di plastica.

 

Le albicocche secche si conservano per 12 mesi e possono essere consumate come tali o in seguito a reidratazione in acqua tiepida per almeno due ore.

 

I semi dell’albicocca invece sono usati in pasticceria come essenza negli amaretti, in sciroppi o liquori avendo un leggero gusto amarognolo.

Tuttavia il loro consumo è limitato ad un uso aromatico in quanto contengono (come le foglie e i fiori dell’albicocco) un derivato dell’acido cianidrico che, ad alte dosi, risulta tossico.