Asparagi

Asparagi

 

tipologie di asparagi

Famiglia: Liliaceae

Genere: Asparagus

Specie: Asparagus officinalis L.

 

Storia degli asparagi

Gli asparagi (Asparagus officinalis) sono ortaggi la cui origine è collocata nell’est del bacino del Mediterraneo e nell’Asia Minore.

 

Attualmente a livello mondiale i maggiori produttori sono Cina, Perù, Messico, Stati Uniti e Sudafrica, in Europa Spagna, Francia, Germania e Italia, che presenta le maggiori rese unitarie.

 

Nel Mediterraneo si prediligono gli asparagi verdi, mentre nell’Europa del Nord e nel Veneto dominano i turioni bianchi; il turione è la parte commestibile della pianta.

 

Tipologie di asparagi

Sul territorio italiano esistono diversi Riconoscimenti IGP (Indicazione Geografica Protetta) o DOP (Denominazione di Origine Protetta).

 

I Riconoscimenti IGP

L’”Asparago Bianco di Cimadolmo IGP” presenta dei turioni totalmente bianchi, interi, di aspetto e odore freschi, sani, puliti e praticamente esenti da ammaccature.

Possiede un odore e un sapore particolarmente delicati, è tenero e privo di fibrosità.

La zona di produzione è formata dal territorio di 11 Comuni situati lungo il corso del fiume Piave, in Provincia di Treviso.

 

L’”Asparago di Cantello IGP” ha ottenuto il Riconoscimento UE con Regolamento 26/01/2016 e presenta turioni bianchi, con eventuale punta leggermente rosata, dall’altezza massima di 22 cm.

L’odore è intenso ma delicato nel complesso. Il sapore è dolce, con un lievissimo retrogusto amaro, con aroma di asparago che può variare da medio a deciso.

L’Asparago di Cantello IGP, a differenza di quello di altre zone, se molto fresco può essere utilizzato anche crudo, perché manca quel retrogusto amaro, tipico degli altri asparagi.

La coltivazione dell’Asparago di Cantello IGP ricade nel territorio del comune di Cantello, in provincia di Varese, nella regione Lombardia.

 

L’“Asparago di Badoere IGP” presenta dei turioni di colore bianco-rosato o verde intenso.

Il sapore è dolce e aromatico. Questi asparagi devono essere ben formati, dritti, con apice serrato, interi e non devono essere vuoti, spaccati, pelati o spezzati.

La zona di produzione e di confezionamento comprende delle zone delle province di Padova, Treviso e Venezia.

 

L’“Asparago Verde di Altedo IGP”, che ha ottenuto il Riconoscimento con il Regolamento CE n. 492 del 18.03.2003 (GUCE L. 73 del 19.03.2003), deve essere prodotto esclusivamente nell’ambito delle zone della Provincia di Bologna e di Ferrara.

 

I Riconoscimenti DOP

L’”Asparago Bianco di Bassano DOP” presenta dei turioni di colore bianco-rosato.

Questi inoltre devono essere ben formati, dritti, interi, con apice serrato e non devono essere vuoti, né spaccati, né pelati, né spezzati. Inoltre sono di bassa fibrosità e teneri, in quanto non sono ammessi turioni con principi di lignificazione.

La zona di produzione e di confezionamento ricade nella provincia di Vicenza nei territori dei comuni di Bassano del Grappa, Cartigliano, Cassola, Mussolente, Pove del Grappa, Romano D’Ezzelino, Rosa’, Rossano Veneto, Tezze sul Brenta e Marostica.

 

Proprietà nutrizionali degli asparagi

tabella con i valori nutrizionali degli asparagi

Valori nutrizionali degli asparagi

Gli asparagi sono noti per le loro proprietà diuretiche, attribuibili al loro contenuto in acqua che supera il 90% ed all’effetto di un aminoacido abbondantemente contenuto nell’asparago, l’asparagina.

È proprio questo aminoacido a conferire all’ortaggio il suo particolare odore pungente, ma non è il responsabile dell’altro odore caratteristico che si avverte in bagno dopo un pasto a base di asparagi.

I responsabili sono da definirsi i composti contenenti zolfo che si formano nel nostro organismo.

 

A livello di macro nutrienti, i grassi sono quasi del tutto assenti, mentre buona è la concentrazione di fibra, ferro e vitamina C.

 

Benefici degli asparagi

Per quanto riguarda le molecole, gli asparagi ne contengono due particolarmente importanti: la quercetina, con potenziali effetti di protezione sul sistema cardiovascolare e di interazione con alcuni geni della longevità, e il glutatione, composto che il nostro organismo utilizza per neutralizzare i radicali liberi.

 

La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a ½ piatto.

 

Una porzione di asparagi crudi copre più della metà del fabbisogno giornaliero di vitamina K e quasi tutto il fabbisogno di acido folico facendo riferimento alla popolazione adulta.

 

L’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina K per la popolazione adulta è di 140 µg (sia per gli uomini che per le donne); per i folati invece è di 400 µg (sia per gli uomini che per le donne).

 

Interazioni degli asparagi

Gli asparagi potrebbero interferire con l’azione dei farmaci diuretici.

 

Produzione e tecnologia degli asparagi

Caratteri botanici dell’asparago

L’asparago è una pianta erbacea perenne.

Presenta un apparato radicale costituito da due tipi di radici: principali, disposte a raggiera sulla “corona” che possono raggiungere notevoli profondità e fungono da organo di riserva, e secondarie, fibrose e più sottili, sono presenti lungo le radici principali e specialmente nella parte terminale e hanno funzione di assorbimento.

I fiori sono posti in posizione ascellare, solitari, piccoli, giallo-verdastri.

 

L’asparago è una pianta dioica, ovvero una specie che ha individui maschili e femminili, e l’impollinazione avviene ad opera di insetti.
La pianta maschile è più vigorosa, precoce e produttiva rispetto a quella femminile, ma produce turioni più sottili.

 

Il germoglio, che è la parte commestibile della pianta, si chiama turione ed è di taglie differenti.

Il turione inizia ad accrescersi e a svilupparsi alla fine dell’inverno.

Quando non è ancora spuntato dal terreno è bianco, tozzo, con l’apice tondeggiante; una volta fuoriuscito diventa sempre più rosato fino a diventare violaceo e infine verde per effetto della fotosintesi.

La forma è allungata, più o meno spessa, e si ha la presenza di alcune foglioline caratterizzate dalla forma a scaglie.

 

Coltivazione degli asparagi

La coltivazione dell’asparago è costituita da diverse fasi:

 

  1. i primi due anni l’allevamento, caratterizzato da un forte sviluppo vegetativo;
  2. il terzo e quarto anno la produttività crescente, che corrisponde ai primi due anni di raccolta;
  3. dal quarto al dodicesimo anno la produttività stabile;
  4. ed infine dal dodicesimo al ventesimo anno la produttività decrescente.

 

L’asparago quindi, per la sua permanenza nel terreno per più anni, non può essere inserito in una normale rotazione agraria, ma deve essere coltivato fuori rotazione.

 

La preparazione del terreno viene effettuata in autunno o, al massimo, nell’inverno precedente l’impianto dell’asparagiaia arando ad una profondità di circa 60 cm.

Successivamente si effettua l’impianto creando fosse parallele profonde 20-30 cm e larghe 50-70 cm, alternate a strisce della larghezza di 1-2 m dove viene accumulato il terreno rimosso.

 

L’impianto dell’asparagiaia può essere effettuato mediante:

 

  • semina diretta, metodo poco utilizzato in Italia,
  • con zampe di uno o due anni che possono essere messe a dimora sia in autunno sia all’inizio della primavera,
  • oppure mediante plantule in cubetto dell’età di 60-70 giorni, tecnica sempre più utilizzata in cui dopo 12-18 giorni si ha la germinazione e dopo circa 2 mesi le piantine sono pronte per essere trapiantate in pieno campo.

 

La semina si esegue a marzo, raramente in giugno, in un terreno sciolto e sabbioso.

Si predispongono solchi tracciati ad una distanza di 30-35 cm e profondità di 3-4 cm che, dopo la semina, vengono coperti in modo da formare una “costa” esposta al sole. In questo modo si facilita il riscaldamento del terreno, stimolando la germinazione del seme.

 

Durante la coltivazione vengono utilizzate delle tecniche di forzatura.

La più importante è la pacciamatura con film plastici che, riscaldano gli strati superficiali del terreno, favorisce una produzione anticipata.

La pacciamatura con film nero è utile anche per l‘imbiancamento dei turioni.

 

Inoltre, soprattutto finito il periodo di raccolta, vengono eseguite una serie di cure colturali quali diserbo chimico o meccanico, irrigazioni e concimazioni azotate (distribuite in tutto il periodo estivo) che hanno lo scopo di stimolare la ripresa vegetativa.

 

Produzione dei turioni

La produzione di turioni varia moltissimo da regione a regione (da 30 a 140 q.li/ha) in funzione di vari fattori tra cui la varietà, il tipo di turione, ecc.

 

La raccolta dei turioni è scalare, praticata giornalmente o a giorni alterni.

Si esegue manualmente con un coltello a sgorbia appena il turione è emerso per 10-12 cm o, nel caso dell’asparago bianco, appena spunta dalla baulatura. Se si effettua la raccolta meccanica si utilizzano macchine agevolatrici, alcune anche adatte per la raccolta integrale.

 

Nella raccolta integrale i turioni vengono tagliati ad una certa profondità, sollevati e convogliati su nastri trasportatori ed infine scaricati in appositi contenitori.

Il prodotto raccolto con questi macchinari è destinato soprattutto all’industria conserviera in quanto i turioni non si presentano con una forma ottimale.

 

Dopo la raccolta, i turioni vengono selezionati, dividendoli in scarto, e commerciabili.

Quelli commerciabili a sua volta vengono suddivisi in classi in funzione della lunghezza, del calibro e della presentazione.

In seguito vengono legati in mazzi cilindrici uniformi, del peso di 1-2 kg, e di 20 cm di lunghezza e poi lavati.

Nella grande produzione la selezione viene effettuata con degli appositi macchinari selezionatori.

 

Il prodotto deperisce molto rapidamente e pertanto si ricorre sempre più spesso all’idrorefrigerazione, immergendo i turioni in acqua a 0,5-1°C.

Questa tecnica è indispensabile per poter abbassare in fretta la temperatura aumentando così la conservabilità del prodotto.

 

Il prodotto può essere destinato sia al consumo fresco che all’industria surgelato oppure inscatolato e cotto a vapore.

 

Stagionalità degli asparagi

In Italia gli asparagi sono di stagione da marzo a giugno.

 

Preparazione e Conservazione degli asparagi

Al momento dell’acquisto vi consigliamo asparagi che siano solidi al tatto e di colore verde chiaro, con le punte serrate.

Le punte dal color verde scuro o con un tocco di viola sono sinonimo di qualità, mentre se sono ingiallite o secche, l’asparago non è fresco.

In generale vi consigliamo di evitare quelli avvizziti, macchiati o rovinati, ma se vi servono solo per una zuppa allora potete anche acquistarli.

 

È importante adottare degli accorgimenti in cucina per beneficiare di ciò che apportano gli asparagi.

Anzitutto, devono essere conservati in frigorifero per un massimo di tre giorni, oppure possono essere congelati e successivamente cotti senza bisogno di scongelamento.

 

Per limitare la perdita di nutrienti è sufficiente sbollentarli per meno di 5 minuti in poco liquido e, per massimizzare l’assorbimento di vitamina K e quercetina, servirli sempre con una sostanza grassa prediligendo l’olio extravergine di oliva.

 

Le nostre proposte di ricette con gli asparagi



Mozzarella

Mozzarella

mozzarella di bufala

 

Definizione, storia e aspetto della mozzarella

La mozzarella è un formaggio fresco a pasta filata, molle prodotto con l’utilizzo del latte di bufala; se invece viene prodotto con il latte di vacca si parla di fior di latte.

 

Il nome fa riferimento alla modalità di lavorazione, la cosiddetta “mozzatura” (dal verbo “mozzare”), con cui si intende un’operazione praticata ancora oggi in molti caseifici che consiste nel taglio manuale della pasta filata con indice e pollice.

 

Le origini di questo formaggio in Italia sono legate alla presenza dei bufali sul territorio. Attorno all’XI secolo, con l’impaludamento delle pianure costiere del basso versante tirrenico (del Volturno e del Sele), si sono create caratteristiche ambientali più adatte all’allevamento del bufalo.

 

La mozzarella si riconosce per la sua consistenza elastica, si presenta con una superficie esterna liscia di colore bianco e lucido ed è caratterizzata dalla presenza di una lacrima di siero, la cosiddetta “occhiatura”, che indica la corretta applicazione del procedimento.

 

La mozzarella viene commercializzata immersa in liquido di governo costituito da acqua, eventualmente acidulata e salata, e viene conservata ad una temperatura compresa tra 0 e 4°C.

 

Riconoscimenti DOP  e STG della mozzarella

In commercio si trovano prodotti con riconoscimento DOP (Denominazione di Origine Protetta) e STG (Specialità Tradizionale Garantita).

 

La mozzarella DOP

La “Mozzarella di Gioia del Colle” DOP ha ottenuto il Riconoscimento UE nel 2020.

La zona di produzione, di trasformazione del latte e confezionamento comprende il territorio di alcuni comuni della provincia di Bari, di Taranto e parte del comune di Matera in Basilicata.

Si presenta in tre diverse forme (sferoidale, di nodo e di treccia) e il peso può variare dai 50 ai 1.000 grammi a seconda della forma e delle dimensioni.

Ha una superficie liscia o lievemente fibrosa, lucente, di colore bianco, con eventuali sfumature stagionali di colore paglierino.

Al taglio la pasta, che deve avere consistenza elastica ed essere priva di difetti, presenta una leggera fuoriuscita di siero di colore bianco.

Il sapore e le note odorose sono di latte/yogurt bianco con eventuali sfumature di burro.

 

La “Mozzarella di Bufala Campana” DOP ha ottenuto il Riconoscimento del marchio il 12 giugno 1996 per effetto del Reg. CE 1107/96 ed è prodotta esclusivamente con latte di bufala intero fresco.

La zona di produzione comprende alcune province della Campania (Caserta, Salerno, Napoli e Benevento) e del Lazio (Latina, Frosinone e Roma).

Si presenta sotto diverse forme (tondeggiante, bocconcini, trecce, perline, ciliegie, nodini) e ha un peso variabile tra 20 e 800 grammi a seconda della forma.

Ha una crosta sottilissima dotata di una superficie liscia di colore bianco porcellanato.

La pasta ha una struttura leggermente elastica nelle prime otto-dieci ore dalla produzione che tende a divenire più fondente.

 

La mozzarella STG

La Mozzarella STG ha ottenuto il riconoscimento S.T.G. (Specialità Tradizionale Garantita) dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali in con decreto del 28 giugno 2001.

Per la sua produzione viene impiegato latte vaccino e caglio bovino liquido; si presenta sotto diverse forme (sferoidale o a treccia) e il peso può variare da 125grammi -per la forma a treccia- a 250 grammi.

Ha una superficie con consistenza tenera, superficie liscia e lucente, omogenea, di color bianco latte con possibile presenza di distacchi ma non di occhiatura.

La pasta ha una struttura fibrosa, a foglie sovrapposte, che al taglio e per leggera compressione rilascia liquido lattiginoso; la consistenza è morbida e leggermente elastica.

Il sapore e l’odore sono caratteristici, delicati, di latte lievemente acidulo.

 

Proprietà nutrizionali della mozzarella

tabella con i valori nutrizionali della mozzarella di vacca e della mozzarella di bufala
Tabella con i valori nutrizionali della mozzarella di vacca e della mozzarella di bufala.

Valori nutrizionali della mozzarella di vacca e della mozzarella di bufala

Dal punto di vista nutrizionale, la mozzarella di vacca e quella di bufala presentano un profilo piuttosto simile.

Come in tutti i formaggi freschi, il contenuto di acqua è molto elevato e questo comporta una maggiore deperibilità.

 

A livello di macronutrienti possiamo dire che i carboidrati sono quasi nulli, il lattosio infatti è stato utilizzato dai batteri lattici durante la fermentazione. Le proteine invece sono più presenti nella mozzarella vaccina a discapito di un minore contenuto di grassi, soprattutto acidi grassi insaturi, invece più presenti nella mozzarella di bufala.

 

Il colesterolo non supera i 50/60 mg, inferiore quindi sia alla carne che alle uova.

 

I micronutrienti più interessanti che contiene sono il calcio e, soprattutto, il fosforo.

 

Benefici della mozzarella di vacca e della mozzarella di bufala

La mozzarella apporta proteine ad alto valore biologico. Queste sono proteine che contengono gli aminoacidi che devono essere assunti nell’organismo con la dieta.

 

Tra i minerali il calcio e il fosforo sono contenuti in una discreta quantità. Il calcio partecipa alla formazione ed il mantenimento delle ossa e dei denti, è essenziale per la funzionalità dei muscoli, dei nervi e per la coagulazione del sangue, mentre il fosforo rappresenta un elemento strutturale di ossa, denti e cellule; è essenziale per il buon funzionamento del sistema nervoso, dei muscoli e per la produzione di energia.

 

La porzione di riferimento per la mozzarella è di 100 grammi, che corrisponde a una piccola mozzarella. Il suo consumo deve rientrare nelle 3 volte a settimana indicati dalle linee guida per una sana alimentazione.

 

Una piccola mozzarella contiene 2,1 µg di vitamina B12 e 350 mg di fosforo, ricoprendo per la vitamina B12 quasi completamente la dose giornaliera raccomandata RDA (di 2,4 µg) e per il fosforo la metà della RDA (di 700 mg), facendo riferimento alla popolazione adulta.

 

Interazioni della mozzarella

I latticini in generale possono interferire con l’azione di alcuni antibatterici chinolonici, come la ciprofloxacina, e antibatterici tetraciclinici, come le tetracicline.

In particolare se si assume la tetraciclina durante i pasti e se si avverte mal di stomaco, bisognerebbe evitare il consumo di latte e latticini un’ora prima o due ore dopo.

 

Produzione e Tecnologia delle mozzarelle

Produzione della Mozzarella di Gioia del Colle

La “Mozzarella di Gioia del Colle” viene prodotta utilizzando il latte proveniente da allevamenti in cui le vacche in lattazione devono essere allevate facendole pascolare per almeno 150 giorni per anno su pascoli naturali di erbe spontanee, ovvero erbai monofiti o polifiti autunno-primaverili, composti da essenze leguminose (trifoglio, veccia, favino e pisello proteico) e cereali (avena, orzo, frumento duro, frumento tenero e loietto).

 

Alimentazione del bestiame

L’alimentazione del bestiame è costituita da erba e/o fieno di erbaio polifita, concentrati di cereali (mais, orzo, frumento, avena) carrube e loro sottoprodotti di lavorazione (crusca e cruschello di grano tenero, farinaccio di grano duro), leguminose (soia, fave, favino, pisello proteico), loro farine/fioccati tal quale o sotto forma di mangimi complementari e complessi minerali e vitaminici (integratori).

I prodotti per l’alimentazione degli animali devono provenire per non meno del 60% dalla zona geografica del Disciplinare di produzione.

 

Tecniche di produzione

Per la produzione viene utilizzato solo latte raccolto in due diverse mungiture.

All’arrivo al caseificio il latte non deve essere stato trattato termicamente, deve avere un titolo in grasso minimo del 3,4 % e titolo proteico minimo del 3,2 %, e deve essere trasformato entro 48 ore dalla prima mungitura.

 

Segue il processo di lavorazione in caldaia in cui avviene l’acidificazione mediante aggiunta di siero-innesto naturale detto “cizza” al latte.

In seguito al latte riscaldato (34°C – 36°C) viene aggiunto del caglio di vitello in quantità tale da far avvenire la coagulazione entro 20 minuti.

Dopo alcuni minuti che il latte è rappreso per l’intervento del caglio, si procede alla rottura dei grumi caseosi con un attrezzo denominato “spino” che li riduce fino ad una grandezza di poco più di una noce.

A partire da questo momento si verifica la separazione tra la fase solida -cagliata- e la fase liquida -siero dolce- del latte (sineresi).

 

La cagliata è lasciata acidificare sotto siero fino a quando sarà definita “matura” o “pronta” per la filatura (tempo non inferiore alle 2 ore a partire dall’aggiunta dell’innesto). È vietato l’uso di additivi e conservanti.

 

In seguito si eseguono i processi di filatura, formatura e salatura.

L’estrazione della cagliata infatti avviene in prossimità del raggiungimento del pH di filatura (5.1- 5.4). Al termine della maturazione, la cagliata viene posta sul tavolo spersoio, ridotta in strisce e collocata in appositi contenitori per la filatura.

La filatura viene effettuata con acqua calda (> 85°C ) e con aggiunta di sale. Dopo la modellatura il prodotto viene immesso in acqua fredda per ottenere il rassodamento.

 

Produzione della Mozzarella di bufala campana

La lavorazione della “Mozzarella di bufala campana” prevede l’utilizzo di latte crudo, eventualmente termizzato o pastorizzato, proveniente da bufale allevate nella zona prevista dal Disciplinare.

 

Il latte deve possedere un titolo in grasso minimo del 7,2% e un titolo proteico minimo del 4,2%; deve essere consegnato al caseificio, opportunamente filtrato con mezzi tradizionali e trasformato entro 60 ore dalla prima mungitura.

 

L’acidificazione del latte e cagliata è ottenuta per addizione di siero innesto naturale, derivante da precedenti lavorazioni di latte di bufala; la coagulazione, previo riscaldamento del latte (330°-390°C.) è ottenuta per aggiunta di caglio naturale di vitello.

 

La maturazione della cagliata avviene sotto siero per circa cinque ore dalla immissione del caglio. Al termine della maturazione, dopo sosta sul tavolo spersoio, la cagliata viene ridotta a strisce, tritata e posta in appositi mastelli, anche in acciaio o in filatrici.

 

La cagliata, dopo miscelazione con acqua bollente, viene filata, quindi mozzata e/o formata in singoli pezzi nelle forme e dimensioni previste. Questi ultimi, vengono posti in acqua potabile, per tempi variabili in funzione della pezzatura, fino a rassodamento.

La salatura viene eseguita in salamoia per tempi variabili in base alla pezzatura ed alla concentrazione di sale delle salamoie, a cui segue immediatamente la fase di confezionamento. Se il prodotto viene affumicato solo con procedimenti naturali e tradizionali la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura “affumicata”.

 

Produzione della Mozzarella STG

La Mozzarella STG (Specialità Tradizionale Garantita) viene prodotta utilizzando latte vaccino e caglio bovino liquido.

 

Il lattoinnesto naturale si ottiene per arricchimento selettivo della microflora presente naturalmente nel latte crudo. La filatura viene fatta con acqua calda eventualmente addizionata di sale.

 

La mozzarella in commercio

La mozzarella viene commercializzata preconfezionata all’origine in buste termo-saldate, vaschette e bicchieri; in commercio si trova tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione della mozzarella

La mozzarella di bufala DOP in commercio si riconosce solo se l prodotto è confezionato recante i marchi del Consorzio di Tutela, della DOP e la denominazione “Mozzarella di Bufala Campana”, oltre le indicazioni di legge.

 

In tavola invece si può verificare dal colore bianco porcellana, dalla superficie liscia, dalla consistenza elastica in superficie. Al taglio ci deve inoltre essere la fuoriuscita di sierosità biancastra dal profumo di fermenti lattici con sapore deciso ma delicato.

 

Come conservazione, per la mozzarella fresca di bufala, si consiglia di consumarla il giorno stesso dell’acquisto; altrimenti sarebbe necessario conservarla in ambiente fresco (10°-15°), sempre immersa nel suo liquido.

Se messa in frigo, occorre tirarla fuori con molto anticipo per consumarla a temperatura ambiente e gustare tutto il suo sapore.

 

Un piatto molto apprezzato in estate è la “caprese”: mozzarella, pomodoro, basilico, olio extravergine d’oliva.

Un consiglio è sempre quello di abbinare alla mozzarella delle verdure di stagione: oltre ai pomodori, anche melanzane e zucchine.

Il potassio contenuto negli ortaggi infatti contrasta il sodio presente nella mozzarella, purché ridotto nel caso di quella di bufala.



San Pietro

San Pietro

 

pesce san pietro

Famiglia: Zeidae

Genere: Zeus

Specie: Zeus faber

 

Il pesce di san Pietro

Il San Pietro è un pesce di acqua salata conosciuto anche come pesce di san Pietro o pesce sampietro.

 

È un animale solitario che predilige fondali sabbiosi e che spesso è presente anche al livello costiero.

Si trova nelle acque temperate e tropicali dell’Oceano Indiano, dell’Oceano Pacifico, dell’Oceano Atlantico orientale, dalla Norvegia al Sud Africa, del Mar Mediterraneo e del Mar Nero. In Italia, è diffuso in particolare nell’Adriatico.

Spesso non è raro catturarlo in acque basse.

 

La caratteristica che lo rende unico è la presenza di una macchia scura sulle squame a sfondo chiaro posizionata centralmente sui fianchi, la cui particolarità ha dato spunto a molteplici leggende.
La leggenda narra infatti che San Pietro in persona avrebbe catturato questo pesce imprimendogli così l’impronta del pollice e dell’indice.

 

In commercio si trova fresco o congelato.

 

Proprietà nutrizionali del pesce san Pietro

tabella con i valori nutrizionali del pesce san pietro

Valori nutrizionali e benefici del pesce san Pietro

Le proteine contenute in questo pesce sono di alto valore biologico e la presenza di acidi grassi essenziali della famiglia Omega 3 ne fanno un alimento buono per il cuore.

 

Buono è anche il contenuto di potassio che regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule, è fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso. Un buon apporto alimentare è associato alla riduzione della pressione negli ipertesi.

 

Il consumo del pesce san Pietro non presenta controindicazioni a meno che non si soffra di allergia a questo pesce.

 

La porzione di consumo consigliata è 150 grammi di pesce fresco.

 

Produzione e Tecnologia del pesce di san Pietro

Caratteristiche del pesce san Pietro

Il pesce San Pietro ha una forma ellissoidale e particolarmente schiacciata; solitamente ha una lunghezza tra i 30 e i 40 cm ma può raggiungere anche i 90 cm e gli 8 kg di peso.

La testa possiede diverse protuberanze e spine e la bocca è larga.

Dalla spina dorsale si propagano lunghe appendici filamentose.

Le pinne pettorali sono di dimensioni medie, quelle ventrali piuttosto lunghe, mentre quella caudale è trasparente e tondeggiante.

 

Presenta un colore grigio violaceo o verdastro con riflessi argentati su cui ci sono delle striature scure o giallastre.

La caratteristica che rende unico questo pesce è la presenza di una macchia scura, un ocello nero cerchiato in grigio collocato centralmente sui fianchi che ha dato spunto a molteplici leggende.

 

Habitat e riproduzione del pesce san Pietro

L’habitat ideale per questi pesci sono i fondali sabbiosi di acque temperate e tropicali; solitamente si trovano ad una profondità di circa 200 metri.

 

È un animale solitario che si nutre principalmente di piccoli pesci, cefalopodi e crostacei, catturandoli con un’improvvisa apertura della bocca.

 

Si riproduce in diversi periodi dell’anno, in base al luogo in cui vive; nel Mediterraneo la riproduzione avviene fra novembre e maggio.

Inizialmente le uova pelagiche galleggiano, successivamente, durante il periodo di due settimane di incubazione, diventano più pesanti e schiudono in acque profonde.

Le forme larvali fanno parte del plancton mentre i giovani che hanno la forza d’opporsi alle correnti sono bentonici. La maturità sessuale viene raggiunta verso il quarto anno di vita, a 23-29 cm per i maschi e 29-37 cm per le femmine.

Il ciclo riproduttivo è lungo: per raddoppiare la popolazione occorrono, secondo la zona, dai 4,5 ai 14 anni.

 

La pesca del pesce san Pietro

Viene generalmente pescato sia con attrezzi di pesca professionale, come reti a strascico o palangari, che con reti da posta della piccola pesca artigianale.

Il periodo migliore è quello estivo perché il pesce si avvicina alle coste pur restando comunque a profondità non inferiore a 50 metri.

 

Anche se è una specie molto diffusa la sua carne pregiata è molto richiesta, quindi bisognerebbe limitarne la pesca fissando la larghezza minima delle maglie delle reti a 37 cm, per permettere ad ogni esemplare di riprodursi almeno una volta.

 

Stagionalità del pesce san Pietro

Il periodo migliore per acquistarlo è tra gennaio e aprile.

 

Preparazione e Conservazione del san Pietro

Il San Pietro è un pesce considerato pregiato; le sue carni sono molto saporite, è tenero e semplice da pulire.

Oltre ad avere un sapore ricco della carne possiede un valore nutrizionale ottimale: infatti per il suo valore nutritivo piuttosto contenuto viene prediletto da chi è attento alla linea e, spesso, inserito all’interno di diete ipocaloriche e piatti light.

 

Prima di consumarlo è necessario pulirlo accuratamente, lavandolo ed eviscerandolo. Si consiglia di consumarlo nella sua interezza, anche se molti preferiscono cucinare esclusivamente i filetti più carnosi.

 

Questo pesce si conserva a -18° fino alla data di scadenza, a -12° per un mese, a -6° per una settimana e per tre giorni nello scomparto del ghiaccio. In frigorifero può essere conservato per un giorno e si consuma entro le 24 ore, previa cottura.

 

Per il suo gusto deciso, è un alimento estremamente versatile ed al centro di numerose ricette della cucina italiana.



Semi di girasole

Semi di girasole

 

semi di girasole

Famiglia: Asteraceae

Genere: Helianthus

Specie: Helianthus annuus L.

 

Girasole: storia e varietà

Il girasole (Helianthus annuus L.) è una pianta di origine americana, secondo alcuni studiosi peruviana, secondo altri messicana che si diffuse in Europa solamente agli inizi del 1500.

A livello mondiale oggi è largamente coltivata, si trova infatti al secondo posto, dopo la soia, tra le piante produttrici di olio. In Italia è presente soprattutto nell’Italia centrale.

 

Le varietà coltivate sono diverse e sono suddivise in due gruppi:

 

  1. l’uno idoneo per la produzione di semi e per foraggio, comprendente piante monocefaloiche e con acheni grandi,
  2. l’altro per la produzione di fiori ornamentali, caratterizzato da piante ramificate e policefale.

 

Quelli che comunemente vengono definiti semi di girasole sono, in realtà, i frutti secchi, detti acheni. Ogni achenio è costituito da un guscio duro esterno e da una mandorla interna, chiamata impropriamente “seme” e le attuali varietà selezionate danno acheni contenenti anche più del 45% di olio.

 

Per olio di girasole si intende un grasso vegetale ottenuto dalla spremitura dei semi di girasole.

 

Proprietà nutrizionali dei semi di girasole

tabella con i valori nutrizionali dei semi di girasole

Valori nutrizionali dei semi di girasole

A livello di micronutrienti sono presenti minerali e vitamine. I minerali più rappresentati sono il ferro, il magnesio, il fosforo, il potassio e lo zinco, mentre tra le vitamine spiccano la vitamina E e i folati.

 

La presenza di acidi fenolici (acido caffeico, acido gallico) e flavonoidi (quercetina) rendono i semi di girasole ulteriormente utili per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.

 

Benefici dei semi di girasole

A livello di minerali quelli più rappresentati sono il ferro, il cui compito è quello di legare l’ossigeno alla molecola di emoglobina, presente nei globuli rossi, il magnesio fondamentale per la normale funzionalità del tessuto muscolare del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso, il fosforo, elemento strutturale di ossa, denti e cellule, il potassio, che regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule, ed infine lo zinco coinvolto nella produzione, deposito e liberazione dell’insulina, partecipa al metabolismo degli ormoni tiroidei.

 

I semi di girasole sono utili al mantenimento di una buona salute cardiovascolare, grazie alla presenza di acidi grassi mono e polinsaturi che contribuiscono ad abbassare i livelli di colesterolo cattivo LDL e diminuire la pressione arteriosa.

 

L’abbondanza di folati, vitamine essenziali per la regolazione dei processi di proliferazione e differenziamento cellulare, della sintesi di DNA e proteine e per la formazione di emoglobina, fanno dei semi di girasole un cibo ideale da inserire nell’alimentazione delle donne incinte o che si stanno preparando ad una gravidanza.

I folati, infatti, prevengono l’insorgenza delle malformazioni neonatali, in particolare quelle a carico del tubo neurale, come la spina bifida.

 

Tra le vitamine ricordiamo anche la vitamina E, che ha funzione antiossidante. Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

 

La porzione di consumo giornaliera consigliata è 30 grammi.

Una sola porzione di semi di girasole è in grado di fornire quasi tutto il fabbisogno giornaliero di vitamina E, facendo riferimento alla popolazione adulta.

 

Produzione e Tecnologia dei semi di girasole

Caratteri botanici del girasole

Il girasole è una pianta annuale di grande sviluppo, con una lunga radice fittonante, il cui fusto nelle varietà da olio può raggiungere fino a 2 metri di altezza.

Sullo stelo sono presenti le foglie, che si presentano ruvide su entrambe le facce, munite di un lungo picciolo e di forma diversa a seconda della posizione. Il culmo è eretto e solo a maturità si curva nella parte terminale per l’aumento del peso dell’infiorescenza o calatide.

L’infiorescenza esternamente è una corona di fiori sterili dentro cui sono inseriti gli altri fiori, più piccoli, fertili e ermafroditi (da 500 a 3.000). In seguito alla fecondazione si forma un frutto secco indeiscente, detto achenio, costituito in media dal 40-50% di olio. Ogni achenio è costituito da un guscio duro esterno e da una mandorla interna, chiamata impropriamente “seme”.

 

Una caratteristica del girasole è l’eliotropismo, ovvero il fatto di seguire il movimento della luce durante il giorno; tale fenomeno riguarda l’infiorescenza durante la fase di sviluppo e le giovani foglie e cessa al sopraggiungere della fioritura.

 

Coltivazione del girasole

Il ciclo della pianta di girasole è primaverile-estivo e ha una durata variabile, da un minimo di 85-95 giorni per le nuove varietà o i nuovi ibridi a 130-140 giorni fino a un massimo di 180, per le vecchie popolazioni.

È costituito da diverse fasi: germinazione, emergenza, formazione delle foglie, differenziazione dei bottoni fiorali, crescita attiva, fioritura, formazione e riempimento del seme e maturazione.

 

Il girasole è una pianta caratterizzata da un elevato consumo idrico che tollera sia le basse che le alte temperature. È una pianta da rinnovo adatta alla coltura asciutta, è un ottimo preparatore del frumento e tra una coltura e l’altra è consigliabile lasciare un intervallo di 6-7 anni.

Le varietà e gli ibridi presenti sul mercato sono divisi, in funzione della durata del ciclo biologico, in precoci, medi e tardivi.

 

In Italia la semina viene effettuata nella prima metà di aprile al Nord, verso la fine di marzo al Centro e non oltre la metà di marzo al Sud, e viene fatta a file distanti 60-70 cm con seminatrice di precisione.

 

Produzione dei semi e dell’olio di girasole

La raccolta, effettuata con mietitrebbiatrici, inizia quando si verifica la caduta spontanea degli involucri fiorali portati dal frutto, il viraggio al bruno della calatide e la completa secchezza delle foglie basali e di parte di quelle mediane.

 

Dai semi di girasole si ottiene l’olio, che possiede un buon valore alimentare, una buona conservabilità e stabilità ed è disponibile sul mercato tutto l’anno.

Dall’estrazione dell’olio si ha come residuato un panello molto ricco di proteine che viene impiegato nell’alimentazione zootecnica.

 

Preparazione e Conservazione dei semi di girasole

La tecnologia più adeguata a preservare il valore nutrizionale del frutto del girasole per lungo tempo è l’essiccazione, ma per asciugare il seme è possibile utilizzare:

 

  • Essiccatori speciali: Se ci sono molti semi, allora questo metodo è il più adatto. I dispositivi hanno diverse modalità che consentono di tenere conto del contenuto di umidità del frutto e del contenuto di olio in essi contenuto.
  • Essiccatoio elettrico: A casa è utile. I semi di girasole vengono lavorati in esso da un quarto d’ora a venti minuti ad una temperatura di 50-80 gradi. La durata dipende dall’umidità del frutto.
  • Forno. I semi vengono essiccati su una teglia allo stato desiderato a una temperatura di 130-150 gradi per venti o venticinque minuti. La porta del forno deve rimanere socchiusa.
  • Aria fresca: Per asciugare i semi di cui hai bisogno, stendendoli in uno strato sottile su garza o carta. Se il giorno è caldo e soleggiato, il prodotto sarà pronto in tre o quattro ore. I semi devono essere miscelati periodicamente ad asciugare uniformemente.

 

Dopo l’essiccazione, i semi di girasole sono disposti in sacchetti di carta o in tessuto. I contenitori in polietilene non possono essere usati: in esso il prodotto diventerà rapidamente rancido. Pacchetti o sacchetti riempiti con semi di girasole possono essere collocati:

– In una stanza asciutta e fresca. Condizioni di conservazione ideali: temperatura fino a 10 gradi; umidità – 7%. In tali locali, i semi possono essere conservati per un massimo di sei mesi.

– Nel frigorifero in luoghi riservati per le verdure con frutta. I semi rimarranno in buone condizioni fino a un anno.

 

I semi di girasole possono essere per esempio aggiunti allo yogurt, magari con della frutta e dei fiocchi d’avena, oppure aggiunti ad una macedonia come merenda; ancora per arricchire l’impasto e la superficie del pane o cosparsi nelle insalate o sulle vellutate.

 

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Semi di chia

Semi di chia

 

semi di chia

Famiglia: Lamiaceae

Genere: Salvia

Specie: Salvia hispanica L.

 

Chia: cos’è e storia

La chia è una pianta originaria del Guatemala e del Messico centrale e meridionale; ad oggi viene coltivata in Messico, Bolivia, Argentina, Ecuador, Nicaragua, Guatemala e Australia.

 

La pianta appartiene alla famiglia delle Lamiaceae, di cui fanno parte molte piante aromatiche come menta, origano, rosmarino, timo e salvia, con cui condivide la capacità aromatica.

Della chia si consumano i semi interi o la farina, ottenuta dagli stessi semi, e entrambi trovano un largo impiego in cucina.

 

Proprietà nutrizionali dei semi di chia

tabella con i valori nutrizionali dei semi di chia

Valori nutrizionali dei semi di chia

I semi di chia sono composti da un buon quantitativo di fibra, all’incirca un 34% che dona loro la capacità di assorbire acqua fino a 15 volte il proprio peso.

Possiedono anche una discreta quantità di proteine e di minerali come calcio, ferro e selenio. 

 

Questi semi sono anche ricchi in acidi grassi omega 6 ed omega 3, definiti essenziali in quanto non sintetizzabili dall’organismo e perciò da introdurre necessariamente con la dieta.

Contengono anche diversi polifenoli, trai quali la più apprezzabile in quantità è la quercetina, fitocomposto utile al sistema cardiovascolare.

 

Benefici dei semi di chia

Studi di laboratorio e trials clinici hanno indagato le prospettive terapeutiche dei semi di chia, tra le quali si evidenziano gli effetti cardioprotettivi (riduzione della pressione arteriosa, azione ipocolesterolemizzante), il controllo del diabete e la regolarizzazione del transito intestinale.

 

I semi di chia hanno un rapporto ideale di omega 6 e omega 3 che contribuisce a ridurre i problemi cardiovascolari (come scritto precedentemente) e previene alcune forme tumorali. Oltre a queste caratteristiche, i semi di chia hanno anche proprietà antinfiammatorie e antiossidanti.

 

La porzione giornaliera consigliata è 30 grammi.

Una sola porzione di semi di chia è in grado di fornire circa un terzo del fabbisogno giornaliero (riferito alla popolazione adulta) di selenio, elemento utile a proteggere le cellule dallo stress ossidativo e mantenere in salute il sistema immunitario, la funzione tiroidea, cardiovascolare e cerebrale.

 

Produzione e Tecnologia dei semi di chia

Caratteri botanici della pianta di chia

La chia è una pianta erbacea annuale che può raggiungere un metro di altezza.

I fiori sono viola o bianchi, si presentano come infiorescenze composte (racemo), ermafroditi (ovvero presentano sia organi maschili che femminili) che fioriscono da luglio fino a settembre inoltrato.

I semi sono ovali e lucidi, di colore marron/grigiastro o marron scuro, ricchi di acidi grassi polinsaturi, che misurano circa 2 mm di lunghezza per 1,5 mm di larghezza

 

Coltivazione della chia

La pianta di chia per essere coltivata necessita di zone soleggiate, temperature miti, un suolo ben drenato e a medio impasto o terreni sabbiosi. Solitamente la chia viene coltivata in zone tropicali o subtropicali ma oggi esistono anche specie più resistenti al freddo che riescono ad adattarsi nelle zone temperate.

Nelle coltivazioni la produzione di chia avviene in file distanziate 70 – 80 cm e possono essere seminate in ambiente protetto fin dall’inizio di marzo.

 

Il ciclo di coltivazione è strettamente legato al clima e all’altitudine di coltivazione: nel suo habitat ideale il ciclo (inteso dalla semina al raccolto) dura dai 100 ai 130 giorni; la durata si spinge oltre i 180 giorni nei campi situati ad altitudini di 900 – 1500 metri.

 

Stagionalità dei semi di chia

In commercio sono disponibili tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione dei semi di chia

I semi di chia sono molto piccoli ed hanno un gusto piuttosto neutro, pertanto possiamo impiegarli in piatti sia dolci che salati.

Ad esempio possiamo aggiungerli ai cereali per la colazione che useremo nel latte o nello yogurt, nell’ insalata, alle zuppe di legumi, alle vellutate, ai risotti o alle macedonie di frutta. Possono anche arricchire un contorno o possono essere usati per preparare il pane, taralli, biscotti o anche semplicemente come elemento decorativo dei piatti.

L’importante è che non vengano cotti troppo a lungo.

 

Inoltre i semi di chia, un po’ come quelli di lino, se lasciati in ammollo in acqua assorbono molti liquidi e rilasciano un gel (pudding), che può essere assunto di prima mattina, anche per favorire il transito intestinale e limitare il senso di fame.

 

I semi di chia rappresentano anche un importante alleato per i celiaci: la farina che se ne ricava, infatti, è utilizzata per la preparazione di prodotti senza glutine, sia per le sue proprietà addensanti che per il valore nutrizionale aggiunto in termini di proteine, fibra e acidi grassi omega-3.

Oltre a migliorare la consistenza ed il profilo nutrizionale delle farine comunemente impiegate per i prodotti senza glutine, la fibra apportata con i semi di chia contribuisce a ridurre l’impatto glicemico.

 

Questi semi possono essere conservati a lungo nelle nostre dispense, a patto che siano disposti in un contenitore a chiusura ermetica ed al riparo dalla luce. Quando fa caldo, è preferibile trasferire il contenitore in frigo.



Miglio

Miglio

 

Famiglia: Gramineae o Poaceae

Genere: Panicum

Specie: Panicum miliaceum

 

Cos’è il miglio

Il miglio (Panicum miliaceum L.) è il cereale più antico nella storia dell’alimentazione umana anche se rientra nel raggruppamento dei cereali minori.

 

È originario del Nord Africa e tutt’oggi la maggior parte della produzione mondiale proviene da Asia e Nordafrica.

 

Un cereale molto simile al miglio è il panico (Panicum italicum L.), anch’esso pianta erbacea annuale.

 

Il miglio essendo un cereale privo di glutine può essere consumato anche dai celiaci.

 

Varietà di miglio

Esistono diverse varietà di miglio.

Il miglio bianco o Panicum miliaceum album è la varietà più comune in Italia ed Europa; altre varietà di miglio adatte a climi molto caldo-aridi sono ad esempio il Panicum miliaceum luteum, il P. miliaceum nigrum e il P. miliaceum bicolor.

 

Proprietà nutrizionali del miglio

tabella con i valori nutrizionali del miglio

Miglio valori nutrizionali

Il miglio è composto prevalentemente da carboidrati complessi e presenta un buon contenuto di proteine e fibre.

 

Privo di glutine, è ideale per l’alimentazione dei celiaci, che spesso fanno fatica ad assumere il giusto quantitativo di fibra.

 

Grazie al suo elevato apporto di fibra, il miglio possiede un indice glicemico inferiore rispetto ad altri cereali. Per questo motivo gli scienziati stanno studiando l’impiego della sua farina in prodotti che abbiano un ridotto impatto sulla glicemia, adatti quindi anche a soggetti diabetici.

 

Tra i micronutrienti il più rappresentato è il ferro e a seguire il magnesio.

Buono è anche il contenuto di vitamine del gruppo B, soprattutto niacina.

 

Miglio benefici

Il miglio ha particolari effetti positivi sulla salute cardiovascolare. I responsabili di questi benefici sono gli acidi grassi polinsaturi, le fibre e i minerali.

 

Come detto precedentemente, tra i micronutrienti spiccano il ferro, utile nel corretto trasporto dell’ossigeno da parte dei globuli rossi, e il magnesio, fondamentale per la funzionalità del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso.

 

Le fibre in particolare controllano i livelli di colesterolo e zuccheri nel sangue agendo, di conseguenza, con attività preventiva nei confronti del tumore al colon.

 

Il miglio aiuta anche a ridurre malattie cardiovascolari e calcoli alla cistifellea.

 

La porzione di consumo giornaliera consigliata è 80 grammi, che corrisponde a circa 4 cucchiai di miglio.

 

Una porzione di miglio decorticato contiene 128 mg di magnesio, ricoprendo così più di metà della dose giornaliera raccomandata di questo minerale per la popolazione adulta (che è di 240 mg).

 

Produzione e Tecnologia del miglio

Caratteri botanici della pianta di miglio

Il miglio è una pianta erbacea annuale con portamento cespitoso, di altezza variabile dai 50 cm ai 150 cm, caratterizzato da foglie larghe lanceolate, pelose sul lembo e sulla guaina.

L’infiorescenza è una pannocchia, lunga 15-20 cm, pendente su un lato, formata da racemi di spighette. Ciascuna spighetta porta superiormente un fiore ermafrodita ed interiormente uno maschile o neutro.

Il frutto è una cariosside lucida, liscia, ellittica, compressa, di colore bianco oppure variabile dal grigio al bruno al nero. Il peso di 1000 cariossidi è di 5-7 grammi.

 

Coltivazione del miglio

Il miglio ha un ciclo colturale relativamente breve (circa 3-4 mesi) ed è caratterizzato da una prolungata e notevole capacità di accestimento.

Resiste alla siccità ed alle elevate temperature, è invece sensibile al freddo, all’eccessiva umidità e ai ristagni idrici; per questo motivo viene coltivato nelle regioni temperate, a ciclo primaverile-estivo.

 

Per le sue particolari caratteristiche biologiche questa specie viene in genere impiegata come coltura intercalare in terreni leggeri e sabbiosi, scarsamente dotati di umidità durante l’intero periodo estivo.

 

La semina si effettua a partire dalla primavera avanzata (fine aprile). Visto il ciclo produttivo breve il miglio si presta per la semina in secondo raccolto in estate, dopo la raccolta di un cereale o di un erbaio autunno-primaverile.

La semina può essere fatta con seminatrice a righe a file distanti 20-40 cm.

 

Produzione del miglio

La maturazione delle pannocchie è scalare e la raccolta avviene in modo diverso a seconda della destinazione d’uso.

Come cereale da granella il miglio va raccolto prima della maturazione finale in quanto la maturazione è scalare e la pannocchia sgrana facilmente.

Va perciò mietuto precocemente e trebbiato dopo la completa essiccazione.

 

Come cereale da foraggio va raccolto all’inizio della spigatura se utilizzato come foraggio verde, oppure alla maturazione cerosa se destinato all’insilamento. Il prodotto infatti può essere consumato allo stato verde o conservato in silo.

 

Stagionalità del miglio

Il miglio è disponibile sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione del miglio

In commercio è disponibile anche il miglio soffiato, senza zuccheri e sale aggiunti, che può rappresentare una buona alternativa ad altri cereali per la colazione. Insieme ad uno yogurt, vaccino o vegetale, una manciata di frutta a guscio e un frutto fresco è ideale per una colazione completa e equilibrata.

 

La preparazione del miglio decorticato è molto importante.

Non è necessario l’ammollo ma è indispensabile lavarlo accuratamente sotto acqua corrente per molte volte fino al raggiungimento della totale limpidezza dell’acqua stessa, al fine di essere certi di aver eliminato tutte le scorie, le impurità e la polvere che ricoprono i chicchi.

Dopo questo passaggio, vi suggeriamo di riporre il miglio in un colino a maglie strette, lasciandolo scolare e asciugare per circa 15 minuti.

Trascorso questo tempo si può procedere alla cottura: va pesata la quantità di miglio necessaria (dai 50 agli 80 g a persona, a seconda della ricetta) e va messa in una pentola di acciaio dal fondo spesso, portando il tutto su fiamma media e facendolo tostare per qualche minuto.

Quando nell’aria si sarà sprigionato un profumo deliziosamente fragrante, sarà possibile aggiungere acqua, di volume pari al doppio di quello del miglio (es. una tazza di miglio – due tazze d’acqua) e pochissimo sale, alzando la fiamma e lasciandola alta fino al raggiungimento del bollore.

A questo punto il fuoco può essere abbassato e il miglio lasciato cucinare per circa 20 minuti, dopo i quali vi suggeriamo di spegnere il fornello e porre un coperchio sulla pentola, facendo riposare il cereale per qualche minuto.

 

Il miglio è versatile per una moltitudine di preparazioni in cucina: è famosissimo, ad esempio, come ingrediente principale di deliziose polpette, crocchette o sformati, realizzati cuocendolo come indicato sopra, e poi aggiungendovi verdure a piacere.



Amaranto

Amaranto

 

amaranto proprietà

Famiglia: Amaranthaceae

Genere: Amaranthus

Specie: Amaranthus Spp.

 

Storia dell’amaranto

L’amaranto (Amaranthus caudatus) è il seme di una pianta appartenente al genere Amaranthus che comprende circa 60 specie, alcune delle quali suddivise in base alla tipologia di utilizzo.

 

La pianta ha origini antiche ed è originaria dell’America centrale e del Messico.

Ad oggi negli Stati Uniti, Cina e India viene coltivato su grandi superfici ed è considerato ormai al pari di altre colture industriali.

 

I semi di amaranto sono piccoli, assomiglianti a dei granelli, di colore tendente al giallo.

Tra tutte le specie conosciute solo tre sono ritenute buone produttrici di semi: Amaranthus caudatus, Amaranthus cruentus e Amaranthus hypochondriacus.

 

Dell’amaranto, oltre ai semi, si possono consumare anche le foglie che vengono utilizzate alla stregua degli spinaci.

 

Proprietà nutrizionali dell’amaranto

tabella con i valori nutrizionali dell'amaranto

Valori nutrizionali dell’amaranto

I carboidrati complessi ne caratterizzano la composizione, mentre basso è il contenuto di grassi.

 

Le principali caratteristiche sono l’elevato contenuto di proteine (15-18%), di lisina e di calcio rispettivamente con medie di 5,2 e 0,37 g/100 g di sostanza secca.

 

In particolare il contenuto di lisina, amminoacido essenziale importante per la formazione delle proteine, è superiore ad alcuni alimenti di origine vegetale (ad esempio cereali, fagioli, soia) e animale (come carne, latte, uova).

Per questo motivo l’amaranto ha elevate potenzialità di mercato soprattutto dove, fino a questo momento, è confinato quasi esclusivamente nel settore salutistico.

 

Tra i minerali spiccano ferro, potassio, calcio e magnesio.

 

Nei semi è contenuto l’olio di amaranto (in media per il 6,0%) contenente tocoferoli, composti generalmente indicati come vitamina E, che insieme allo squalene, trovano impiego nell’industria cosmetica soprattutto nel settore della cura di pelle e capelli.

 

Il seme è anche un’ottima fonte di fibra. Per questo motivo l’amaranto contribuisce a soddisfare l’apporto raccomandato di circa 25-30 grammi, soprattutto se consumato in abbinamento a verdure.

 

Benefici dell’amaranto

L’amaranto è privo di glutine e quindi idoneo all’alimentazione dei celiaci e dei soggetti intolleranti ad esso.

 

La farina di amaranto non contiene zuccheri semplici permettendo così il suo utilizzo nella dieta di obesi e diabetici (considerato comunque l’elevato contenuto di amilopectina e di zuccheri complessi).

 

Il latte di amaranto invece per l’ottimo bilanciamento a livello di aminoacidi e per l’elevato contenuto di calcio è indicato per l’alimentazione di bambini, anziani e intolleranti al lattosio.

 

Ricordiamo anche che per via dell’elevato contenuto di fibra l’amaranto garantisce il miglioramento del transito intestinale, favorendo il processo digestivo.

 

Interazioni dell’amaranto

Nell’amaranto sono contenute discrete quantità di acido ossalico e, per questo motivo, la sua assunzione può complicare l’assimilazione da parte dell’organismo di alcuni minerali; il consumo di questo alimento è pertanto sconsigliato a chi è affetto da patologie renali.

 

Produzione e Tecnologia dell’amaranto

Caratteri botanici dell’amaranto

L’amaranto è una pianta erbacea annuale di altezza variabile a seconda della specie (da 0,5 a 3,5 m) con foglie che possono avere diverse forme, da ovali a lanceolate.

 

I fiori sono riuniti in infiorescenze (panicoli) che possono essere erette o pendenti, ramificate, lunghe sino a 90-100 cm dalla colorazione tipica rossa, verde o giallognola.

I semi sono di piccole dimensioni (1-1,5 mm di diametro) dalla forma circolare schiacciata e dal colore che può variare dal bianco-latte, al giallo-oro, dal bruno al nero.

 

Nelle aree di origine, Messico e Centro America, la pianta viene coltivata anche in altitudine fino a circa 2.800 m slm utilizzando soprattutto le specie A. caudatus e A. hypocondriacus; in altre aree con clima temperato la specie A. cruentus viene coltivata utilizzando una tecnica colturale adatta a un’agricoltura industriale.

In Italia l’amaranto è una tipica coltura primaverile-estiva che si può inserire in rotazioni con cereali, leguminose e ortaggi.

 

Coltivazione dell’amaranto

L’amaranto predilige un clima temperato-caldo in zone molto ben soleggiate; è una pianta rustica che necessita di alcuni elementi come l’azoto, il fosforo e il potassio.

Le irrigazioni devono essere molto oculate perché soffre terribilmente l’umidità e i ristagni idrici ed esige terreni abbastanza sciolti con pH compreso tra 6 e 7,5.

 

La semina si effettua a fine aprile in sud Italia e a fine maggio nelle regioni del nord, quando il pericolo delle gelate è lontano.

La tecnica più impiegata è quella a file distanti 50-60 cm e si può procedere a fila continua o alla semina di precisione con densità variabile secondo l’architettura della varietà impiegata.

 

Quando le piante hanno raggiunto un’altezza di circa 20-25 cm si procede con una sarchiatura che talvolta deve essere ripetuta insieme a una rincalzatura soprattutto se le piante sono molto alte e con panicoli lunghi e ricadenti.

Il ciclo della specie è variabile tra 100 e 160 giorni dalla semina.

 

Produzione dell’amaranto

La maturazione è scalare e la raccolta, fase più delicata di tutta la tecnica agronomica, si effettua alla fine della fioritura che avviene in estate.

 

I semi quando sono maturi si distaccano facilmente dal panicolo, provocando perdite di una certa consistenza soprattutto se si procede con la raccolta meccanica.

Per ridurre queste perdite si deve raggiungere un compromesso tra maturità e umidità del panicolo oppure procedere tagliando le piante, essiccandole ed infine eseguendo la trebbiatura.

 

Nelle varietà sottoposte a raccolta meccanizzate viene ricercato il «dry down», ovvero la parziale caduta delle foglie in concomitanza con la maturazione del seme.

 

L’amaranto viene impiegato per la formulazione di barrette, snack, muesli, semi soffiati, estrusi e altri prodotti come biscotti e pane, miscelandolo con farine di altri cereali. Dall’amaranto, oltre la farina, viene prodotto anche il latte e l’olio.

 

Stagionalità dell’amaranto

In commercio l’amaranto si trova tutto l’anno in forma essiccata.

 

Preparazione e Conservazione dell’amaranto

L’amaranto è un seme ricco di acidi grassi insaturi, facilmente ossidabili se a contatto con luce e calore.

È quindi buona norma conservare farina, semi o amido di amaranto in luoghi freschi e lontano da fonti di luce.

 

Un ottimo posto dove conservarlo è il frigorifero o il congelatore. Se si prevede di non utilizzare il prodotto per lungo tempo, buona norma è la conservazione sottovuoto.

 

Una volta cotto, come tutti i cereali, può essere conservato in frigorifero ad una temperatura inferiore ai 4°C un paio di giorni ben chiuso oppure può essere conservato sottovuoto nel congelatore e rigenerato nel momento del bisogno come un qualsiasi cereale.

Come per tutti gli alimenti cotti, è bene non tenere gli alimenti fuori dal frigorifero per oltre 2 ore, per scongiurare la prolificazione batterica.

 

In diverse ricette viene preparato con le stesse modalità del cous cous, cioè sfruttando una cottura per assorbimento, calcolando una parte di cereale per due parti di acqua. Ovviamente i tempi di cottura sono notevolmente diversi, nel caso dell’amaranto si attestano sui 40 minuti.

Una volta pronto il suo volume sarà raddoppiato, per cui una porzione corrisponde a circa 40 grammi di prodotto secco.



Bacche di Goji

Bacche di Goji

 

bacche di Goji proprietà

Famiglia: Solanaceae

Genere: Lycium

Specie: Lycium barbarum L. (e Lycium chinense L.)

 

Storia delle bacche di Goji

Le bacche di Goji sono i frutti prodotti da due varietà differenti di arbusti appartenenti alla famiglia delle Solanaceae (di cui fanno parte anche la melanzana, il peperoncino, la patata, il pomodoro), ovvero il Lycium barbarum ed il Lycium chinense.

 

Crescono spontaneamente nelle valli dell’Himalaya, della Mongolia, del Tibet ad una altezza di circa 3.000 metri e nelle province cinesi dello Xinjiang e del Ningxia.

Il L. barbarum cresce anche alle nostre latitudini specie se le temperature invernali non sono troppo rigide (fino a 10-15°C).

 

Varietà di Goji

Esiste anche il Goji giallo (varietà Amber Sweet Gold), una varietà di Goji a frutto giallo ambrato originaria della Cina che produce frutti più grandi e più dolci delle comuni varietà di Goji rosso, senza retrogusto amarognolo. È una varietà autofertile.

 

In Italia in commercio si trovano sotto forma di bacche essiccate.

 

Proprietà nutrizionali delle bacche di Goji

tabella con i valori nutrizionali delle bacche di Goji

Valori nutrizionali delle bacche 

Le bacche di Goji sono frutti disidratati e come tutti i frutti disidratati hanno perso la gran parte del loro contenuto d’acqua mentre rimangono molto concentrati in zuccheri.

Buono è il loro contenuto di fibra.

 

A livello di micronutrienti sono ricche di vitamina A e non meno importante è il contenuto in vitamina C.

 

Le bacche di Goji sono ricche anche di numerosi composti bioattivi, come i carotenoidi e flavonoidi.

 

Benefici delle bacche 

La presenza di fibra contribuisce a ridurre l’aumento della glicemia dopo il pasto ed a mantenere nella norma i livelli di colesterolo.

 

La vitamina A  è essenziale per la visione, la crescita e il normale sviluppo dei tessuti. Una porzione di bacche consente di superare il fabbisogno giornaliero per un anno.

La vitamina C è invece fondamentale per la sua attività antiossidante e per il suo ruolo nell’assorbimento del ferro.

 

Oltre alla presenza di carotenoidi e flavonoidi, recenti studi evidenziano anche il loro contenuto in particolari polisaccaridi.

In questi studi di laboratorio, è stata mostrata una buona attività antiossidante a carico di questi polisaccaridi che sarebbe in grado di prevenire tumori, malattie neurodegenerative e migliorare il metabolismo di zuccheri e lipidi. In ogni caso sono necessari ulteriori studi sull’uomo per saperne di più.

 

La porzione consigliata è 28 gr di bacche.

 

Interazioni delle bacche 

I soggetti che utilizzano il warfarin, un anticoagulante, dovrebbero prestare attenzione nel consumare le bacche di Goji.

 

Produzione e Tecnologia delle bacche di Goji

Caratteri botanici delle bacche 

È una pianta perenne a portamento arbustivo che può raggiungere i 3 m di altezza, con foglie lanceolate verde brillanti o grigio-verdi e fiori di color lavanda o porpora tenue.

 

I frutti sono piccole bacche tenere, dalla forma allungata, di color arancione-rosso contenenti da 10 a 60 semi appiattiti gialli e con un diametro di 1-2 cm.

Le bacche di Goji sono frutti prodotti da due varietà differenti di arbusti caducifogli, il Lycium barbarum e il Lycium chinense, entrambe originarie del Tibet e delle regioni temperate della Cina.

 

  • Il Lycium barbarum è la pianta a cui si fa riferimento quando si parla di bacche di Goji; viene coltivata nella regione autonoma cinese dello Ningxia, ha foglie lunghe e strette, frutti grandi e più dolci rispetto a quelli del Lycium chinense.

 

  • Il Lycium chinense è caratterizzato da foglie più corte e larghe ed è coltivato nelle zone meridionali della Cina; le bacche di questa varietà sono più aspri e per questo meno gradevoli al palato.

 

La pianta di Goji ha bisogno di luce e calore per poter crescere ed è in grado di resistere anche a temperature inferiori allo zero; il terreno più adatto è quello sabbioso e ben drenato.

 

Coltivazione delle bacche 

La stagione ideale per iniziare la coltivazione delle piante di Goji è in primavera, lasciando 2 metri di distanza tra una pianta e l’altra.

La fioritura avviene tra i mesi di maggio e luglio e le bacche maturano tra luglio e ottobre.

 

Due volte all’anno, rispettivamente durante la primavera e in autunno, può essere effettuata una potatura in modo tale che i fiori crescano di più, con maggior vigore e dimensioni maggiori.

 

Produzione delle bacche 

Una volta raccolte le bacche di Goji possono essere essiccate al sole oppure al forno, venendo così disidratate per consentirne la conservazione. Questo processo conferisce loro un aspetto simile a quello dell’uva passa.

In alternativa le bacche possono essere mangiate al naturale o lavorate per ottenere un succo.

 

I frutti si prestano sia per il consumo fresco che essiccati.

 

Stagionalità delle bacche di Goji

Si trovano sul mercato tutto l’anno dopo aver subito il processo di disidratazione.

 

Preparazione e Conservazione delle bacche di Goji

Esistono diverse qualità di bacche di Goji ma la migliore  è rappresentato dai frutti di Goji Prima Qualità Salugea.

Si tratta di bacche raccolte manualmente, fatte essiccare al sole e confezionate in incartamenti sicuri e nel rispetto della materia prima, con adeguati controlli di qualità.

 

Preferibile inoltre escludere bacche essiccate vendute in confezioni trasparenti e per questo non al riparo dalla luce, accorgimento che dovrebbe essere indispensabile per un’adeguata conservazione del prodotto.

 

Le bacche, specie quelle secche, dopo l’apertura della confezione vanno conservate in un luogo fresco e asciutto e lontano da fonti di calore. Le bacche fresche si possono conservare in frigorifero e mangiare entro due o tre giorni.

 

La vitamina C, di cui sono ricche, è sensibile al calore. Per cui è preferibile non cuocerle, ma consumarle magari come spuntino, insieme a della frutta a guscio, o utilizzarle per arricchire un’insalata, uno yogurt o una macedonia di frutta fresca.



Curry

Curry

 

tipi di curry

Cos’è il curry

Il curry (in hindi masala) è una miscela di spezie tostate e ridotte in polvere dal colore giallo intenso, profumata e piccante.

 

Originaria dell’India, la miscela venne poi importata in Europa dagli Inglesi durante il periodo del colonialismo.

 

Composizione del curry

La colorazione del curry normalmente è di una tonalità gialla ma la composizione di tale miscela di spezie è variabile (sono state stimate 660 varianti).

Per questo motivo si possono avere sfumature cromatiche diverse, tendenti all’arancione, al rosso o al verde.

 

Le percentuali degli ingredienti che lo compongono variano in base alla regione di produzione e i principali sono:

 

  • curcuma (che solitamente ne è il costituente principale e che conferisce il caratteristico colore giallo alla miscela),
  • coriandolo,
  • pepe nero,
  • cumino,
  • peperoncino,
  • noce moscata,
  • chiodi di garofano,
  • zenzero,
  • cannella
  • e fieno greco (Helba).

 

Le composizioni più conosciute sono il tandoori masala e garam masala.

 

Proprietà nutrizionali del curry

tabella con i valori nutrizionali del curry

Valori nutrizionali del curry

Come detto in precedenza, il curry racchiude in sé, in base alle diverse miscele, prevalentemente curcuma, coriandolo, pepe nero, cumino, peperoncino, noce moscata, chiodi di garofano, zenzero, cannella e fieno greco.

 

A livello di micronutrienti spiccano alcuni minerali e alcune vitamine.

Tra le vitamine sono presenti soprattutto la vitamina E e le vitamine del gruppo B, mentre a livello di minerali sono presenti buone quantità di potassio, calcio, fosforo e ferro.

 

Il pigmento responsabile del colore giallo ocra è la curcumina, molecola presente nella curcuma.

 

Benefici del curry

Le recenti evidenze mostrano un potenziale ruolo della curcumina nel controllo dell’espressione dei geni dell’invecchiamento, oltre alla sua azione sullo stato infiammatorio.

 

Per di più, la piperina presente nel pepe amplifica le attività della curcumina.

Pertanto, la probabile azione positiva di curry sulla salute è data dalla quantità di curcuma impiegata nella preparazione.

 

Il pepe inoltre stimola la circolazione sanguigna e combattere la ritenzione idrica.

 

Il cumino è utile contro meteorismo e gonfiore addominale.

 

Grazie alla presenza di zenzero e peperoncino, il curry stimola l’attività gastrica e favorisce il consumo di calorie, mentre la cannella lenisce il senso di fame.

 

Inoltre, una spolverata può essere aggiunta in diverse preparazioni, non solo nel classico pollo al curry. Questo può favorire la riduzione del consumo di sale, promuovendo la salute di arterie e cuore abbassando il rischio di ipertensione.

 

L’utilizzo di questa miscela di spezie può essere utile in caso di alterazioni del gusto causate dalle terapie oncologiche.

 

Interazioni del curry

Le persone che soffrono o sono soggette a ulcere gastriche e gastriti dovrebbero evitare il consumo del curry in quanto nella miscela è presente sia il pepe che il peperoncino.

 

Produzione e Tecnologia del curry

Il curry è un prodotto poliforme che può essere preparato e utilizzato in modi differenti.

 

Il curry può essere utilizzato sotto forma di polvere o di pasta.

 

La distinzione tra i due è che nella pasta di curry è assente la curcuma, elemento invece principale della forma in polvere, e per questo motivo la colorazione della pasta di curry varia dal verde, al rosso, al giallo.

La pasta di curry inoltre tende ad avere un sapore estremamente potente.

 

Tipi di curry

I tipi di curry più diffusi sono:

 

– il Curry indiano/anglosassone, che contiene gli ingredienti di base del curry con l’aggiunta di uno o più elementi secondari in proporzioni differenti;

 

– il Curry tailandese, che utilizza ingredienti simili a quelli della tradizione indiana ma con un sapore e un aroma più speziati, avendo quantità più alte di semi di coriandolo e peperoncini, soprattutto sotto forma di pasta.

 

– Il Curry africano e caraibico, in polvere preparato con senape piccante, grani di pepe e peperoncini, è noto per la sua intensa piccantezza;

 

– il curry trinidadiano è una miscela più mite.

In Sud Africa la pietanza caratteristica è il Durban Curry, con colorazioni sui toni del rosso, indice della quantità delle spezie presenti (da piccante a piccantissimo) che accompagna pesce o patate morbide; in Nord Africa invece è presente la “Ras El Hanout”, una miscela di circa 30 diverse piante (non esclusivamente spezie) con numerosissime varietà a seconda dei gusti tutte riconducibili a tre tipi di miscele di Ras el Hanout chiamate Lamrouzia, L’msagna e Monuza.

 

– Il curry giapponese si chiama karē e viene proposto in tre varianti: con il riso (karē raisu o karē), con gli udon, simili agli spaghetti (karē udon) o come farcitura di una specie di bombolone fritto (karē-pan).

 

Stagionalità del curry

In commercio il curry è reperibile tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione del curry

È impossibile determinare una definizione o ricetta standard per il curry in polvere, poiché ogni miscela è completamente distinta e creata con una miscela unica di spezie per adattarsi alle preferenze del singolo.

 

Il curry in polvere ordinario che si trova maggiormente in commercio è quello composto principalmente da curcuma, dall’aspetto decisamente giallo, peperoncino, cumino e coriandolo, che spesso incorpora anche paprika, semi di finocchio, senape e altro ancora.

Da questo elenco di ingredienti fondamentali, è possibile produrre numerose varietà di polvere, come la polvere di curry marrone, che include chiodi di garofano e altri peperoni.

 

Questa miscela può anche essere combinata con l’acqua per creare una sorta di pasta, ma differisce da ciò che si potrebbe pensare comunemente come pasta di curry. Infatti, la polvere viene aggiunta in piatti che sono già in fase di cottura, anziché essere utilizzata come base del piatto, come si usa fare con il curry a base di olio.

 

Il curry in polvere deve essere conservato in un luogo fresco e buio a temperatura ambiente.

Se si è acquistata una miscela di spezie sfusa, si può trasferirla in un contenitore con un coperchio aderente, dove durerà da tre a quattro anni. Ma, quando l’aroma del curry è debole e il sapore a malapena si avverte è bene provvedere a sostituirlo.

 

Le proposte di ricette di FBO con il curry



Cicoria

Cicoria

 

tipi di cicoria

Famiglia: Compositae

Genere: Cichorium

Specie: Cichorium intybus L.

 

Storia della cicoria

La cicoria è un ortaggio del genere Cichorium, a cui appartiene anche l’indivia, originaria delle aree temperate di Europa, Asia e Africa del Nord.

 

Ad oggi è diffusa in Africa Meridionale e nelle Americhe, è molto comune allo stato spontaneo.

 

Tipi di cicoria

Esistono numerose forme coltivate:

cicoria da foglia (Cichorium intybus L. v. foliosum Bischoff); cicoria da radici (Cichorium intybus L. v. sativus Bischoff).

 

Diversi tipi di cicoria sono conosciuti anche con il nome “cicoria asparago”, caratterizzati da cespo a costa dall’altezza variabile e sapore amaro (più o meno forte a seconda delle tipologie).

Una particolare tipologia di cicoria asparago viene chiamata “puntarella” ed è caratterizzata da germogli bianchi, compatti e croccanti.

 

I differenti tipi di cicoria presenti sul mercato si possono suddividere per forma, per colore della foglia o per modalità di raccolta.

 

Della cicoria si consumano le foglie e le radici che possono essere cotte o in insalata.

 

Proprietà nutrizionali della cicoria

tabella con i valori nutrizionali della cicoria

Valori nutrizionali della cicoria

La cicoria presenta un contenuto di acqua superiore al 90% e un basso apporto calorico.

 

Molto buona è la quantità di fibra alimentare e, tra le molecole degne di nota, vi è l’inulina, una particolare tipologia di fibra definita “prebiotica”.

 

Tra i sali minerali è da sottolineare la presenza di calcio, mentre tra le vitamine spicca la vitamina A. 

 

Infine, come tutti i vegetali a foglia verde, la cicoria è ricca in folati. Studi recenti dimostrano come siano utili per la prevenzione del tumore al seno e del pancreas.

 

Benefici della cicoria

La fibra conferisce alla cicoria un buon potere saziante, rallentando anche lo svuotamento gastrico.

Si ricorda che in ½ piatto si trovano 7,2 grammi di fibra e che il livello di assunzione giornaliera ideale per la popolazione adulta è di 25 grammi.

È presente anche l’inulina, che come detto è una fibra “prebiotica”, poiché in grado di nutrire selettivamente alcuni microrganismi intestinali positivi per la salute.

 

La vitamina A risulta fondamentale per un buon funzionamento della vista, per la crescita delle ossa, per la funzione testicolare e ovarica e per un sano sviluppo embrionale.

 

I folati invece hanno un ruolo fondamentale nella crescita e nella riproduzione delle cellule, in particolare dei globuli rossi, per la formazione del sistema nervoso centrale nell’embrione e nel feto. Intervengono anche nella sintesi del DNA e nel metabolismo degli aminoacidi.

 

Questo alimento potrebbe essere utile per contrastare la stipsi o costipazione, un effetto avverso causato dalle terapie oncologiche.

 

La porzione consigliata è di 200 grammi, che equivale a ½ piatto di cicoria.

 

Una porzione di cicoria contiene 438 µg di vitamina A (retinolo equivalenti) e 4,5 mg di vitamina E, soddisfando così parte della dose giornaliera raccomandata.

Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di vitamina A (retinolo equivalenti) per la popolazione adulta è di 700 µg per gli uomini e 600 µg per le donne; per la vitamina E invece è di 13 mg per gli uomini e 12 mg per le donne.

 

Produzione e Tecnologia della cicoria

Caratteri botanici della cicoria

La cicoria è una pianta che presenta fiori riuniti in gruppi di 2-3 capolini, terminali o ascellari, e frutti di forma obovata-piramidale che sono acheni, impropriamente detti semi.

 

Le diverse tipologia di cicoria si adattano bene a diversi tipi di clima e terreno, sono resistenti al freddo ma mal sopportano i ristagni d’acqua.

La temperatura adatta alla crescita e allo sviluppo è di 15-20°C, con la temperatura minima attorno ai 5°C.

 

Coltivazione della cicoria

Il periodo della semina e le tecniche utilizzate sono diverse a seconda del tipo di cicoria e del prodotto che si vuole ottenere.

 

La cicoria a foglie verdi o da taglio (ad esempio Spadona, Migliorata) si semina a righe, a strisce o a spaglio, in tutti i mesi dell’anno eccetto i più freddi.

Il terreno deve essere fresco e molto fertile, ben concimato ed irrigato frequentemente.

La crescita delle piantine è rapida, per cui le foglie si possono tagliare più volte (5 o 6) quando sono ancora tenere e destinarle al consumo fresco come insalata.

 

La cicoria a foglie colorate o radicchio (Rosso di Treviso, Rosso di Verona, Sanguigno di Milano, Variegato di Castelfranco, Variegato di Chioggia) si semina o si trapianta in giugno-luglio, a strisce o a righe.

Richiede terreni fertili, freschi e profondi, lavorazioni profonde e numerose cure colturali quali diradamento (se la semina è stata fatta sul posto), sarchiatura, scerbature ripetute, irrigazioni e concimazioni azotate ripetute.

 

La cicoria da foglie e steli (Brindisina, Catalogna, Pan di zucchero, Bianca di Milano) si semina in luglio-agosto per avere la produzione in autunno-inverno, con 7-10 piante a metro quadrato.

 

La cicoria da radici (la cicoria di Bruxelles o belga o Witloof, di Brabante, di Brunswich, di Magdeburgo) si semina a file a 20-30 cm da fine inverno all’estate, diradando in modo da avere 30-50 piante a metro quadrato.

 

 

Produzione della cicoria

La raccolta per la cicoria a foglie colorate avviene in autunno-inverno quando i cespi hanno raggiunto lo sviluppo completo e le piantine possono essere così destinate al consumo oppure sottoposte a forzatura.

La forzatura è una pratica che consiste nel disporre le piantine complete di radice in ambiente caldo-umido, in modo tale che dopo 10-15 giorni ci sarà l’emissione di nuove giovani foglie tenere e colorate del colore tipico della varietà.

 

Per la cicoria da radici del tipo Bruxelles le piante complete di radice vengono estirpate in ottobre-novembre, e lasciate appassire per 8-15 giorni.

In seguito le foglie vengono tagliate e le radici disposte in una trincea o in un cassone, ricoperte di terriccio e da uno strato di paglia.

Le radici si consumano lessate in insalata o si utilizzano per la “forzatura” o come surrogato del caffè.

In questo caso la forzatura può essere accelerata mediante riscaldamento dei cassoni. In tali condizioni le piccole foglie del cuore si sviluppano andando a costituire il tipico “grumolo” bianco, a forma di sigaro.

 

Per la varietà cicoria da foglie e steli si consumano i cespi interi, costituiti dalle foglie e dai giovani germogli (puntarelle).

 

Stagionalità della cicoria

La cicoria si trova sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione della cicoria

Cercate le foglie croccanti e scartate quelle con le punte molto verdi, che sono molto amare. Se la punta è molle e bianchiccia bisogna tagliarla e poi eliminate le foglie che stanno per staccarsi.

A seconda dell’occorrenza, usate le foglie intere, tagliate in due parti o in quattro.

 

La cicoria può essere conservata in frigorifero, nello scompartimento per le verdure, per 4-5 giorni.

Se si vuole conservare in congelatore sarebbe meglio cuocerla prima. In questo caso vi consigliamo di lavarla accuratamente sotto l’acqua corrente, cuocerla al vapore o lessarla per 3 minuti circa. Far raffreddare in acqua e ghiaccio per fermare la cottura, scolare, asciugare e lasciare raffreddare completamente prima di congelarla.

 

Bisogna fare attenzione ai metodi di cottura utilizzati per la cicoria, in quanto i folati sono sensibili al calore e si disperdono in acqua. Occorre, quindi, abituarsi a cuocere le verdure rapidamente e in poca acqua.

 

Le proposte di ricette di FBO con i vari tipi di cicoria



Porro

Porro

 

porro

Famiglia: Liliaceae

Genere: Allium

Specie: Allium porrum L. (sinonimo: Allium ampeloprasum porrum L.)

 

Porro: cos’è e storia

Il porro è un ortaggio da foglia appartenente al genere Allium, lo stesso di cipolla, aglio e scalogno.

 

È originario del Sud Europa e Nord Africa e la sua coltivazione è diffusa in Europa, America e Asia. In particolare in Italia viene coltivato in tutte le regioni, specialmente al Centro-Nord.

 

Varietà di porro

Esistono diverse varietà di porro classificate in base alla lunghezza del “falso fusto” e in base all’epoca di produzione.

Si distinguono quindi in cultivar estive, con semina a dicembre-gennaio su letto caldo; cultivar autunnali, con semina in marzo-aprile e cultivar invernali, con semina in maggio-giugno.

Del porro viene utilizzata la parte basale delle foglie.

 

Proprietà nutrizionali del porro

tabella con i valori nutrizionali del porro

Porro valori nutrizionali

Il porro è composto principalmente da acqua, contiene poche calorie ed ha un discreto quantitativo di fibra, che esercita effetti di tipo funzionale e metabolico che la rendono un’importante componente della dieta.

A livello di vitamine, buono è il contenuto di vitamina K e di vitamine del gruppo B. Per i minerali quelli più rappresentati sono il fosforo e il magnesio.

 

Come tutti gli alimenti appartenenti alla famiglia delle Amaryllidacee, è di prassi un cenno alla loro composizione in solforati. Questa particolare tipologia di sostanze, in base a recenti studi scientifici, ha azione antibatterica, antitumorale e di protezione del sistema cardiovascolare.

Il porro inoltre contiene l’allicina, contenuta anche nell’aglio, che si forma grazie all’azione di un enzima, l’allinasi. Per permettere l’azione di questo enzima occorre rompere le strutture cellulari nelle quali è confinato, tagliando o tritando l’ortaggio. Questo processo permetterà alla molecola di esercitare azioni positive, come l’inibizione di un batterio, Helicobacter Pylori, che causa ulcere e gastriti allo stomaco e che può portare in certi casi fino allo sviluppo del tumore.

 

Porro benefici

Tra le vitamine spiccano la vitamina K e le vitamine del gruppo B. La prima è coinvolta nella sintesi epatica dei fattori che intervengono nella coagulazione del sangue, mentre le seconde favoriscono invece un buon metabolismo; fra di esse, i folati sono particolarmente importanti per lo sviluppo del sistema nervoso durante la gestazione.

Buona, inoltre, è la quantità di vitamina C che svolge azione antiossidante. Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro organismo dall’effetto dei radicali liberi, ovvero composti reattivi dell’ossigeno, prodotti normalmente durante il metabolismo cellulare che se in eccesso possono provocare stati patologici.

 

Anche i minerali contenuti nel porro esercitano funzioni positive. In particolare il calcio e il fosforo favoriscono la salute di ossa e denti, il potassio regola la pressione arteriosa e il selenio è utilizzato dalle molecole antiossidanti.

 

Per quanto riguarda il ruolo del porro nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, si attendono ulteriori studi sulle sue proprietà antiipertensive.

 

La porzione di consumo standard consigliata per la verdura fresca è di 200 grammi.

 

Produzione e Tecnologia dei porri

Caratteri botanici della pianta del porro

Il porro è una pianta biennale che viene coltivata a ciclo annuale e che non si trova allo stato spontaneo.

Presenta un bulbo poco sviluppato o assente, foglie allungate di colore da grigio verde a verde bluastro con piccioli piegati a doccia ed avvolgenti alla base, formando un falso fusto più o meno allungato (da 15 a 40 cm).

Ha molte radici che si possono spingere fino a 50 cm circa di profondità e il fusto è accorciato a formare un disco appiattito, da cui si dipartono le foglie e le radici.

Lo stelo fiorale viene emesso nel secondo anno, nel periodo tra aprile e maggio. I semi sono neri angolosi e grinzosi. La durata della germinabilità è di 2-3 anni.

 

Coltivazione dei porri

Il porro si adatta bene sia ai climi temperato-caldi che temperato-freddi, con l’impiego di varietà e cicli colturali differenti. L’irrigazione è quasi sempre necessaria, ad esclusione del periodo invernale.

 

La coltivazione viene condotta effettuando il trapianto delle piantine (alte 20-25 cm) ottenute in vivaio; la semina, effettuata con seminatrici di precisione, viene poco praticata perché si ottengono porri di pezzatura non omogenea e perché risulta più difficile il controllo delle infestanti.

La densità colturale varia da 20 a 40 piante al metro quadrato, distanza che è maggiore nelle colture destinate a raccolte precoci. Nelle colture tardive inoltre le piantine vengono sottoposte a rincalzatura, tecnica utile per aumentare la parte bianca del fusto e per ottenere una maggiore resistenza al freddo.

Il diserbo viene praticato sia in semenzaio che durante la coltura.

 

Produzione dei porri

La raccolta ha inizio quando il diametro dei fusti raggiunge i 2-3 cm, ovvero dopo circa 3-4 mesi dal trapianto o 5-7 dalla semina.

Dopo l’estirpazione le foglie vecchie più esterne vengono tolte, tagliate a 15 cm sopra la parte bianca, le radici vengono accorciate e infine i porri vengono lavati.

 

Del porro viene utilizzata la parte basale delle foglie; esse formano un falso fusto di 20-30 cm di lunghezza e 3-5 di diametro che, sottoposto ad eziolatura, costituisce la parte edule.

 

I porri in seguito alla raccolta possono essere conservati in frigorifero, a una temperatura di 0-1°C e umidità relativa (UR) del 90-95%, fino a tre mesi.

Una buona produzione varia dai 400 ai 500 quintali ad ettaro.

 

Stagionalità del porro

Il porro è presente sul mercato specialmente nel periodo autunno-invernale.

 

Preparazione e Conservazione del porro

Acquistati interi, i porri i conservano per circa 6 giorni in frigorifero, nello scomparto della verdura: basterà avvolgere la parte bianca in carta assorbente leggermente inumidita, eliminare parte del gambo verde e chiuderli in un sacchetto da frigo.

 

Per una conservazione più a lungo termine, invece, si possono congelare; in questo modo si manterranno intatti per circa 6/8 mesi.

 

Per pulirli la prima cosa da fare è eliminare la cosiddetta “barba” situata alla loro base (ovvero quei filetti di colore marrone posti all’estremità più bianca) e le foglie esterne di consistenza più fibrosa. Per fare questa operazione è consigliabile utilizzare un coltello in ceramica, perché il metallo tende ad accelerare il processo di deterioramento di questo ortaggio.

Una volta rimosse queste parti, si possono lavare bene con acqua corrente del rubinetto così da eliminare tutte le tracce di terra e le impurità rimaste.



Arachidi

Arachidi

 

arachidi benefici

Famiglia: Papilionaceae

Genere: Arachis

Specie: Arachis hypogaea L.

 

Storia delle arachidi

L’arachide è conosciuta anche come nocciola o pistacchio di terra o nocciolina americana ed è una pianta oleaginosa originaria del Brasile.

 

Le arachidi sono i semi appartenenti all’ordine delle Leguminosae (o Fabaceae), quindi dal punto di vista botanico sono legumi.

Dal punto di vista nutrizionale invece rientra nella famiglia della frutta a guscio.

 

Il genere Arachis comprende una quarantina di specie diverse; infatti in funzione della zona di origine le specie presentano caratteri morfologici diversi.

L’unica ad essere coltivata è l’Arachis hypogaea L.

 

Le arachidi oggi sono fra i semi da olio più coltivati e i principali produttori sono Cina, India, alcune nazioni africane e gli Stati Uniti.

In Europa questa coltura si trova in alcune aree della Grecia, della Spagna e dell’Italia; in particolare nel nostro Paese le regioni più produttive sono il Veneto e la Campania.

 

Proprietà nutrizionali delle arachidi

tabella con i valori nutrizionali delle arachidi

Valori nutrizionali delle arachidi

Il seme è costituito per il 50% da grassi ed ha un elevato contenuto proteico, mentre la percentuale di carboidrati è minima.

 

Il suo contenuto calorico è alto, ma non sono da ritenersi calorie vuote, anche perché l’arachide è ricca di fibra, vitamine e minerali necessari alla salute.

Tra i minerali spiccano particolarmente il fosforo ed il magnesio.

 

Alimento che negli ultimi anni sta prendendo popolarità anche in Italia è il burro di arachidi, che a differenza di quanto si può pensare, non ha niente a che vedere con il burro.

Si tratta semplicemente delle arachidi frullate che grazie al contenuto di grassi formano una crema spalmabile. Perciò, senza esagerare con le quantità, via libera al burro di arachidi fatto in casa.

Occorre invece prestare attenzione all’etichetta del prodotto industriale, spesso addizionato di oli vegetali e sale.

 

Vi consigliamo inoltre di evitare le arachidi salate, il loro contenuto eccessivo in sale, riduce drasticamente gli effetti positivi per il sistema cardiovascolare.

 

Benefici delle arachidi

La composizione dei grassi è da riferirsi alle tipologie che hanno un impatto positivo sulla salute cardiovascolare, principalmente monoinsaturi, acido oleico, e polinsaturi, prevalentemente omega-6.

 

Il buon contenuto di fibra favorisce il transito intestinale, il controllo della glicemia e, insieme ai già citati acidi grassi monoinsaturi, ha effetto ipocolesterolemizzante.

 

La presenza di fosforo è fondamentale per ossa, denti e cellule mentre il magnesio è utile per la normale funzionalità del tessuto muscolare del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso.

 

I benefici per il cuore derivano anche da un aminoacido abbondante nelle proteine di questo alimento, chiamato L-arginina. Nell’organismo viene trasformato in ossido nitrico in grado di fluidificare il sangue e abbassare la pressione arteriosa.

 

Il consumo di arachidi risulta utile in caso di anemia sideropenica, nuetropenia e pancitopenia causate dalle terapie oncologiche.

 

La porzione consigliata, come per tutta la frutta secca in guscio, è di 30 grammi che equivale a 3 cucchiai rasi di arachidi.

 

Produzione e Tecnologia delle arachidi

Caratteri botanici delle arachidi

L’arachide è una pianta cespitosa annuale, ovvero costituita da numerosi steli, foglie o fiori che derivano da un’unica radice o sono strettamente uniti, alta 40-60 cm.

 

I fusti sono lunghi 60-80 cm, a portamento eretto, procombente o strisciante, mentre le foglie sono alterne, paripennate, ovali.

I fiori possono essere maschili (visibili e caduchi) o ermafroditi (nascosti); il loro numero varia in funzione del tipo e dell’ambiente di coltivazione.

 

Il frutto dell’arachide può essere mono o polispermo ed è costituito da un legume indeiscente, ovvero che giunto a maturità non si apre spontaneamente. Ha una forma reticolata, tuberosa, oblunga e presenta alcune strozzature che determinano la formazione di logge in cui sono racchiusi i semi.

Quest’ultimi hanno una forma cilindrica-globosa, sono rivestiti da una sottile pellicola protettiva di colore rossastro e il numero di semi contenuti nel frutto corrisponde al numero delle logge esistenti.

Solitamente sono in numero variabile da uno a quattro, eccezionalmente cinque.

 

Coltivazione delle arachidi

L’arachide predilige un clima caldo e asciutto quindi, per poter crescere, necessita di una temperatura superiore a 16°C durante la germinazione, di 20°C al momento della fioritura e di 18°C durante la maturazione.

 

La richiesta idrica è elevata durante le fasi di germinazione, fioritura, interramento e accrescimento dei frutti, mentre è carente durante la fase di maturazione; l’irrigazione può essere per aspersione o infiltrazione.

 

Predilige terreni sciolti e sabbiosi ed è una specie miglioratrice del terreno: apporta infatti in modo naturale azoto atmosferico al terreno e lo rende disponibile per le colture successive.

Essendo una coltura da rinnovo è necessaria un’aratura profonda e successive lavorazioni del terreno. Inoltre è una coltura sensibile nei confronti delle infestanti, per cui dovranno essere controllate con diserbo chimico o sarchiature.

 

La semina avviene in aprile-maggio, impiegando seme sgusciato ma con il tegumento arancione, a file distanti 60 cm e a 15 cm lungo la fila e il seme si sviluppa e arriva a maturazione sotto terra.

 

Produzione delle arachidi

La raccolta in Italia viene effettuata tra settembre e ottobre, ovvero quando le foglie della pianta di arachidi cominciano a ingiallire, mediante l’utilizzo di macchine che estirpano le piante e le dispongono in andane per la successiva essiccazione.

La resa si aggira intorno ai 20-30 quintali ad ettaro.

 

In commercio le arachidi sono presenti tutto l’anno e in diversi modi: si trovano arachidi con il guscio, arachidi sgusciate spellate e salate o arachidi tostate, largamente utilizzate nell’industria dolciaria.

Dall’arachide inoltre vengono ottenuti diversi derivati molto impiegati come la farina, il burro, l’olio e la granella di arachidi.

 

Stagionalità delle arachidi

Le arachidi si trovano sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione delle arachidi

Vi consigliamo di scegliere arachidi croccanti, con baccelli legnosi integri.

 

Le arachidi fresche devono essere conservate a temperatura ambiente, in un luogo fresco e asciutto, mentre quelle tostate devono essere conservate in un contenitore a chiusura ermetica.

 

La durata di conservazione delle arachidi è di circa un anno. Se conservi il prodotto senza gusci, in una stanza fresca e buia, rimarranno fresche per sei mesi.



Castagna

Castagna

 

tipi di castagna

Famiglia: Fagaceae

Genere: Castanea

Specie: Castanea vulgaris o sativa

 

Storia della castagna

Le castagne sono i frutti del castagno, albero originario dell’Europa meridionale, Nord Africa e Asia occidentale, che è presente anche sulle coste atlantiche del Marocco, sulle rive del mar Caspio e nel sud dell’Inghilterra.

 

Le regioni in Italia in cui si trovano importanti castagneti sono la Campania, la Sicilia, il Lazio, il Piemonte e la Toscana.

 

Tipi di castagna

Il genere Castanea comprende diverse specie: Castanea vulgaris o sativa diffusa in Europa, Castanea dentata in Nord America, Castanea mollissima in Cina e Castanea crenata in Giappone, che risulta resistente al mal dell’inchiostro e al cancro della corteccia.

 

Riconoscimenti IGP e DOP delle castagne

In Italia sono presenti diversi Riconoscimenti IGP (Indicazione Geografica Protetta).

 

La “Castagna del Monte Amiata IGP” ha ottenuto il riconoscimento con il Regolamento CE 1904/00 e la zona di produzione comprende dei comuni toscani della provincia di Grosseto e Siena nella fascia compresa tra i 350 e i 1000 m.s.l.m., in terreni derivanti in massima parte da rocce vulcaniche e arenacee, a prevalente o abbondante componente silicea. Il riconoscimento IGP designa le castagne riferibili alle varietà correntemente conosciute come Marrone, Bastarda Rossa, Cecio.

 

La “Castagna di Cuneo IGP” viene prodotta in 110 Comuni della Provincia di Cuneo e rientrano le seguenti varietà di castagne, riferite alla specie “Castanea Sativa“: Ciapastra, Tenpuriva, Bracalla, Contessa, Pugnante, Sarvai d’Oca, Sarvai di Gurg, Sarvaschina, Siria, Rubiera, Marrubia, Gentile, Verdesca, Castagna della Madonna, Frattona, Gabbana, Rossastra, Crou, Garrone Rosso, Garrone Nero, Marrone di Chiusa Pesio, Spina Lunga. Attualmente il disciplinare prevede che i castagneti siano situati in posizioni soleggiate e riparati dal vento, con il periodo di raccolta che inizia a settembre e termina a novembre.

 

La “Castagna di Montella IGP” è coltivata nell’area del Terminio-Cervialto e limitata in particolare ai territori dei comuni di Montella, Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, Nusco, Volturara Irpina e Montemarano (contrada Bolifano). L’Indicazione geografica protetta “Castagna di Montella” è riferita alle castagne prodotte per il 90% dalla varietà Palummina e per il restante 10% dalla varietà Verdole.

 

La “Castagna di Serino/Marrone di Serino IGP” è presente in alcuni comuni della provincia di Salerno e di Avellino e la varietà utilizzata è la “Montemarano” detta anche “Santimango” o “Santomango” o “Marrone di Avellino” o “Marrone avellinese” e la varietà “Verdola” o “Verdole” autoctone dell’areale di produzione.

 

È stata riconosciuta anche una DOP (Denominazione di Origine Protetta) alla “Castagna di Vallerano DOP” che viene prodotta nel territorio del comune di Vallerano in provincia di Viterbo.

 

In commercio si trovano sia le castagne che la farina di castagne.

 

Proprietà nutrizionali della castagna

tabella con i valori nutrizionali delle castagne e della farina di castagne
Tabella con i valori nutrizionali delle castagne e della farina di castagne

Valori nutrizionali delle castagne

Le castagne si differenziano dalle altre tipologie di frutta a guscio. Presentano infatti una percentuale minima di lipidi ed una alta di carboidrati, di cui la maggior parte sotto forma di amido.

 

Presentano anche un buon apporto di fibra; a livello di micronutrienti troviamo il potassio e buono è anche il contenuto di magnesio.

 

Le castagne sono inoltre una fonte di acido oleico, lo stesso acido grasso monoinsaturo cui sono imputabili diversi benefici per la salute associati al consumo di olio d’oliva.

 

Benefici delle castagne

La fibra è utile a mantenere nella norma i livelli di colesterolo nel sangue ed a conferire alla castagna un buon potere saziante, che la rende adatta ad essere consumata anche come spuntino.

Il potassio presente è utile a mantenere sotto controllo la pressione arteriosa, contrastando l’azione ipertensiva del sodio.

L’acido oleico è un acido grasso monoinsaturo (C 18:1) in grado di abbassare i livelli del complesso lipoproteico che trasporta il colesterolo dal sangue alle cellule, detto comunemente colesterolo cattivo (LDL).

 

Al contrario, rispetto ad altra frutta a guscio, questi frutti sono meno ricchi in ossalato, molecola che può favorire la formazione di calcoli renali.

 

La farina di castagne, inoltre, è priva di glutine, quindi i dolci o le preparazioni che la contengono possono essere consumati anche da persone celiache.

 

La porzione consigliata è di 30 grammi, che corrisponde a circa 5-6 castagne.

 

Produzione e Tecnologia della castagna

Caratteri botanici del castagno

Il castagno europeo (Castanea vulgaris o sativa) è una pianta longeva, alta fino a 25 metri, con chioma espansa e molto ramificata. Le foglie sono caduche di forma ellittico-allungata a margine seghettato, quasi coriacee, di colore verde intenso e lucide, più chiare nella parte inferiore.

 

Le infiorescenze maschili sono rappresentate da spighe lunghe 10-20 cm di color giallo-verdastro; quelle femminili sono costituite da fiori singoli o riuniti a gruppi di 2-3 posti alla base delle infiorescenze maschili.

 

La fioritura avviene in piena estate e il frutto è rappresentato da una noce detta castagna, interamente rivestita da una cupola spinosa, detta riccio.

 

Coltivazione delle castagne

Il castagno richiede terreni profondi, leggeri, permeabili, ricchi di elementi nutritivi, con pH tendenzialmente acido, con poco o privi di calcare.

È una pianta eliofila, ama i climi temperati, pur sopportando freddi invernali anche molto intensi.

 

La tecnica colturale più adatta è il vaso piuttosto libero, molto vicino alla forma naturale, ottenuto con un’impalcatura piuttosto alta (120-150 cm) e successivamente una ridottissima potatura, per evitare i rischi di infezione che ogni taglio comporta.

In queste forme a vaso alla fine del 4° anno le piante sono in genere ben formate per cui, negli anni successivi, la potatura si potrà limitare a sfoltimenti per permettere la penetrazione della luce, l’eliminazione dei rami secchi, rotti e deperiti, e a tagli di rinvigorimento a seconda dello sviluppo raggiunto dalla pianta.

 

Produzione delle castagne

La raccolta avviene in modo scalare, come la maturazione, mediante la raccattatura o una leggera bacchiatura.

La produzione può variare dai 10 q.li/ha nei castagneti delle zone marginali ai 40-50 q.li/ha in quelli intensivi.

 

Una volta raccolto il prodotto dovrà subire diversi trattamenti di conservazione.

La conservazione può essere effettuata mediante cure in acqua fredda («cura a freddo») in appositi contenitori situati in idonei ambienti per alcuni giorni senza aggiunta di alcun additivo, o mediante sterilizzazione con bagno in acqua calda e successivo bagno in acqua fredda («cura a caldo»), sempre senza aggiunta di nessun additivo.

 

Nella “cura a freddo” le castagne curate, ancora umide, vengono ammucchiate e dopo un breve periodo vengono distese al suolo e selezionate per eliminare i frutti ammuffiti. Quindi vengono stese per l’asciugatura in strati non superiore a 20 cm di spessore. Questa tecnica permette, in condizioni idonee, una buona conservazione dei frutti per almeno tre-quattro mesi.

 

Nella “cura a caldo” il prodotto viene scaricato in una tramoggia e caricato, attraverso un nastro elevatore, in una vasca.
All’interno della vasca i frutti, in continuo movimento, vengono a contatto con acqua calda (temperatura controllata 47°-55°C) per un tempo di 35-40 minuti; dopo il lavaggio le castagne cadono in una vasca di raffreddamento in cui stazionano per circa 15-30 minuti, subendo contemporaneamente un’azione di schiumatura automatica per eliminare i frutti difettosi che vengono a galla e sono separati da un’apposita attrezzatura.

Un nastro trasportatore raccoglie le castagne rimaste e le convoglia immediatamente alla fase di sgocciolatura ed asciugatura per ventilazione forzata. Successivamente si ha la fase di spazzolatura, cernita, calibratura e confezionamento.

 

Le castagne possono essere destinate alla trasformazione industriale (marrons glaces, marmellate di castagne, farine e frutti secchi) o al consumo fresco.

 

Stagionalità della castagna

In Italia le castagne si trovano in commercio da ottobre a dicembre.

 

Preparazione e Conservazione della castagna

Le castagne appena acquistate, e ancor più quelle appena raccolte, richiedono una piccola selezione all’ingresso, per scartare i frutti che già a prima vista risultano essere poco freschi o non integri.

Il passo successivo è immergere le castagne in acqua e lasciarle in ammollo dai 4 ai 9 giorni, cambiando l’acqua quotidianamente ed eliminando quelle che galleggiano, indizio di aria al loro interno.

 

Questa operazione preliminare è utile quando si intende conservare le castagne crude, per evitare sorprese a distanza di mesi e limitare gli scarti al momento del consumo. Le castagne che superano la prova dell’ammollo vengono asciugate con cura e poi si può scegliere se conservarle in frigorifero oppure in freezer.

 

Sia le castagne lessate che le castagne arrosto possono essere conservate in freezer, già sbucciate, per circa 6 mesi.

 

Metodi di cottura

Per lessare le castagne, dopo avere sciacquate, immergerle in una pentola piena d’acqua, accendere il fuoco e portare a ebollizione. Per i tempi di cottura è necessario regolarsi in base alle dimensioni dei frutti. In media serviranno circa 40-50 minuti di bollore. I marroni, di dimensioni maggiori, potrebbero richiedere più tempo.

 

Mentre per arrostirle, oltre che con l’apposita padella forata per caldarroste, le castagne possono essere cotte in forno. In entrambi i casi è necessario prima inciderle una ad una con un taglio orizzontale sulla buccia.

 

Un’altra soluzione per conservarle è utilizzare un essiccatore per frutta e verdura. Le castagne disidratate si conservano fino a 12 mesi in un luogo fresco e asciutto all’interno di contenitori con tappo ermetico.

 

Come avviene per tutti gli alimenti fonte di amido, i metodi di cottura e lavorazione ne modificano la struttura chimica, e questo ha un effetto differente sui livelli di glucosio nel sangue.

Le castagne bollite, quindi, hanno un impatto maggiore sui livelli di glicemia dopo il consumo, seguite da quelle arrostite e, per ultime, dalle castagne secche, alimento tipico della tradizione orientale ma diffuso ampiamente anche in Italia.

 

I dolci o le preparazioni contenenti la farina di castagne possono essere consumati anche da persone celiache.

 

Le proposte di ricette di FBO con le castagne



Barbabietola rossa

Barbabietola rossa

 

barbabietola rossa stagionalità

Famiglia: Chenopodiaceae

Genere: Beta

Specie: Beta vulgaris L. var. cruenta L. Salisb.

 

Storia della Barbabietola rossa

La barbabietola rossa, o bietola da orto, è un ortaggio da radice appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae, da non confondere con la barbabietola bianca (Beta vulgaris L. var. saccharifera L.) utilizzata per la produzione dello zucchero.

 

È originaria del bacino del Mediterraneo ed è diffusa in tutta Italia, specialmente nelle regioni del Nord.

 

Varietà di barbabietola

Ne esistono diverse varietà e le cultivar vengono classificate in base alla forma della radice ed alla precocità del ciclo colturale (precoci, medio-precoci, medio-tardive).

 

Sul mercato è presente sia per il consumo fresco che per l’industria in cui viene inscatolata o confezionata in contenitori di plastica sottovuoto.

 

Proprietà nutrizionali della barbabietola rossa

tabella con i valori nutrizionali della barbabietola rossa

Valori nutrizionali delle barbabietole rosse

Le barbabietole presentano molta acqua, poche calorie ed un buon quantitativo di fibra alimentare, caratteristiche che le rendono depurative e digestive.

 

Per quanto riguarda i micronutrienti spicca il contenuto in potassio, ferro, manganese e di folati.

 

Benefici delle barbabietole rosse

Grazie all’elevato contenuto di sali minerali, le barbabietole sono considerate rimineralizzanti e ricostituenti.

 

Infatti, come citato precedentemente, i micronutrienti maggiormente contenuti sono: il manganese; il potassio che regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule ed è fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso.

Ricordiamo anche il ferro che viene utilizzato per la costituzione dei globuli rossi.

 

Le barbabietole inoltre sono ricche di folati che hanno un ruolo fondamentale nella crescita e nella riproduzione delle cellule, in particolare dei globuli rossi, per la formazione del sistema nervoso centrale nell’embrione e nel feto.

 

A livello di molecole è opportuno citare le betalaine.

Diversi studi hanno fatto emergere come queste molecole, assieme ad altri composti fenolici, possano esercitare effetti protettivi nei confronti delle malattie cardiovascolari, riducendo l’effetto ossidativo dei radicali liberi sui lipidi e riducendo la pressione sanguigna.

In questo caso uno studio che ha valutato diverse tecniche di preparazione del vegetale conclude che la cottura sembra non ridurre il contenuto di queste sostanze.

 

Vi consigliamo, per beneficiare di queste vitamine, di consumarle crude, magari tagliate molto sottili, o previa rapida cottura per evitarne la distruzione al calore o la perdita in acqua.

 

Inoltre alcuni composti chimici presenti nell’ortaggio sembrano essere in grado di rivitalizzare i globuli rossi. Per questo motivo il consumo di barbabietole è raccomandato nei soggetti anemici.

 

La porzione consigliata è di 200 grammi, che corrisponde a circa una barbabietola.

Consumare solo una porzione di questo ortaggio permette di soddisfare un quinto dell’apporto raccomandato di fibra che, per la popolazione adulta, è di 25 grammi.

 

Interazioni delle barbabietole rosse

Il consumo di questo alimento è sconsigliato sia per i soggetti con problemi renali, data la quantità di sali minerali e ossalati che contengono, che per chi soffre di acidità di stomaco, perché stimola la produzione di succhi gastrici.

 

Produzione e Tecnologia della barbabietola rossa

Caratteri botanici delle barbabietole rosse

La barbabietola rossa (o bietola da orto) è una pianta erbacea biennale, che diventa annuale in coltura.

 

Si differenzia dalla bietola da coste per la dimensione della radice, può infatti raggiungere 12 cm di diametro, e per la forma delle foglie poiché provviste di un lungo picciolo.

 

Il lembo è liscio, spatoliforme, di colore verde o verde sfumato di rosso. La radice è carnosa e può essere globosa, rotonda, appiattita o cilindrica; esternamente è di colore rosso, la polpa invece può variare da rosa a rosso a rosso-violaceo.

La radice ingrossata prosegue con una radichetta sottile che non raggiunge grandi profondità.

Le caratteristiche biologiche e riproduttive sono simili a quelle della bietola da coste.

 

Coltivazione delle barbabietole rosse

La sua coltivazione richiede zone a clima temperato umido; presenta una buona resistenza al freddo ma a temperature inferiori a 5°C la sua crescita si interrompe.

Si adatta a tutti i tipi di terreno, anche se preferisce quelli profondi, freschi, ben drenati e dotati di sostanza organica, con pH neutro o subalcalino; tollera bene elevati gradi di salinità.

Anche la siccità e gli stress idrici determinano un arresto della crescita delle radici e il loro indurimento.

 

È una coltura sarchiata con semina scalare da marzo a ottobre.

L’impianto può essere fatto per semina diretta o trapianto delle piantine, anche se quest’ultimo metodo viene utilizzato solo negli orti familiari per il pericolo di ottenere radici deformi o biforcate.

 

I semi vengono distribuiti a spaglio (se si tratta di singole aiuole) o meccanicamente, in file distanti 30-40 cm a una profondità di 1-2 cm. La densità è di circa 15-20 cm se si vogliono ottenere radici di grosse dimensioni. Ad ettaro si impiegano circa 10 kg di semente.

 

Produzione delle barbabietole rosse

La raccolta si effettua dopo 60-90 giorni dalla semina, nel periodo compreso tra agosto e febbraio, in relazione alla precocità della cultivar e delle condizioni climatiche.

La qualità migliore si ottiene con radici che hanno raggiunto un minimo di 5-8 cm di diametro.

 

Le piante, una volta raccolte, vengono ripulite dalle foglie più vecchie, lavate e riunite in mazzetti da 3-6.

La produzione può raggiungere e superare i 400 quintali ad ettaro in buone condizioni colturali e le radici, private delle foglie, possono essere conservate in frigo (a 0°C e 95% di umidità relativa) per circa 2 mesi.

 

Stagionalità della barbabietola rossa

La barbabietola rossa si trova sul mercato da agosto a febbraio.

 

Preparazione e Conservazione della barbabietola rossa

La barbabietola fresca ha ancora foglie e radici e può essere conservata in frigorifero o in un luogo fresco e umido per un massimo di 4 settimane.

 

Vi consigliamo di scegliere le barbabietole rosse e giovani che siano tenere, ma non morbide. Una volta pulita e sbollentata, la rapa rossa può essere conservata in freezer dai 6 agli 8 mesi.

 

Dalla spremitura delle barbabietole rosse (in particolare dalla varietà rubra) si ottiene un colorante costituito da differenti pigmenti, tutti appartenenti alla classe delle betalaine, che può essere utilizzato come additivo alimentare e deve essere indicato in etichetta con la sigla E162.

 

Le proposte di ricette di FBO con la barbabietola rossa



Ciliegie

Ciliegie

 

tipi di ciliegie

Famiglia: Rosaceae

Genere: Prunus

Specie: Prunus avium

 

Storia del ciliegio

Le ciliegie sono il frutto del ciliegio dolce (Prunus avium L.), un albero originario dell’Est Europa e dell’Asia minore, molto diffuso in Italia e dal portamento assurgente.

 

Esiste anche il ciliegio acido (Prunus cerasus L.), che è un albero con un elevato bisogno di freddo, diffuso nel Nord Italia e nell’Europa centro settentrionale, dal portamento più cespuglioso e pollonifero.

I suoi frutti sono amarene, marasche e visciole, che sono drupe simili a quelle del ciliegio dolce ma dal sapore più acidulo, talvolta quasi amaro.

 

Altra specie è il magaleppo o ciliegio di S. Lucia (Prunus mahaleb), la cui origine è collocata tra il Mar Nero e il Mar Caspio.

È caratterizzato da frutti piccoli, non eduli, gialli o rossi, talvolta molto scuri.

La varietà dolce è prodotta in Europa e USA, mentre la varietà acida è prodotta principalmente negli Stati Uniti. In Italia si trova soprattutto in Campania, Puglia, Veneto, Emilia-Romagna.

 

Tipi di ciliegie

Le cultivar di ciliegio si dividono in:

 

  • duracine, che produce duroni con polpa soda, in genere più facili da snocciolare e adatti al congelamento,
  • tenerine, dalla polpa tenera

 

A seconda della varietà e della cultivar, la polpa della ciliegia coltivata può essere chiara o scura e la colorazione può variare dal giallo chiaro screziato di rosso (ad esempio Graffione bianco del Piemonte) al rosso scuro quasi nero (ad esempio durone nero di Vignola).

 

La ciliegia dolce viene utilizzata sia per il consumo fresco sia per la trasformazione industriale mentre amarene, marasche e visciole sono utilizzate soprattutto per la trasformazione industriale.

 

Esistono anche dei Riconoscimenti DOP e IGP.

 

I Riconoscimenti DOP e IGP della ciliegia

 

  • La “Ciliegia di Marostica IGP” (Riconoscimento ottenuto nel 2012) presenta forma cuoriforme, peduncolo e ha un calibro compreso tra i 21 e i 30 mm.
    La buccia e la polpa sono mediamente sode, di colore variabile dal rosa al rosso scuro. È succosa, dal gusto pieno, dolce e molto gradevole.
    Viene prodotta nella Provincia di Vicenza nei comuni di Salcedo, Fara Vicentino, Breganze, Mason, Molvena; Pianezze, Marostica, Bassano, limitatamente al territorio che si estende alla destra orografica del fiume Brenta ed infine in parte del territorio del comune di Schiavon.

 

  • La “Ciliegia di Vignola IGP” ha una polpa consistente e croccante (ad esclusione della Mora di Vignola). La buccia è lucente di colore giallo e rosso brillante per la varietà Durone della Marca; dal rosso brillante al rosso scuro per tutte le altre varietà. Il sapore è dolce e fruttato.
    La zona di produzione è nella fascia formata dal tratto pedemontano del fiume Panaro e altri corsi d’acqua minori, dai 30 metri s.l.m. fino alla quota di 950 metri e comprende il territorio di diversi Comuni delle Province di Modena e Bologna.

 

  • La “Ciliegia dell’Etna DOP” (Riconoscimento ottenuto nel 2011) ha una pezzatura medio-grossa, croccante all’esterno, con una polpa compatta e un peduncolo lungo.
    Il colore rosso brillante è dovuto al luogo in cui viene coltivata, infatti il suolo di origine vulcanica e le notevoli escursioni termiche ne determinano la colorazione tipica.
    Il frutto possiede un buon tenore zuccherino e la presenza di una bassa acidità, caratteristica distintiva rispetto alle altre varietà, permette di conferire un sapore gradevole ed equilibrato senza percepire la sensazione stucchevole tipica dei prodotti ad elevata concentrazione zuccherina.
    Un’ altra particolarità riguarda i tempi di maturazione, ovvero più ampi rispetto ad altre ciliegie perché proporzionati al progressivo innalzamento rispetto al livello del mare (fino ad altitudini di 1 600 metri) dei terreni di coltivazione della zona del vulcano Etna.
    La zona di produzione si estende dal mare Ionio fino ad altitudini di 1 600 metri s.l.m. sui versanti Est e Sud-Est dell’Etna e comprende diversi comuni in provincia di Catania.

 

Proprietà nutrizionali delle ciliegie

tabella con i valori nutrizionali delle ciliegie

Valori nutrizionali delle ciliegie

Le ciliegie apportano acqua, zuccheri e fibra alimentare, mentre sono povere di proteine e grassi.

 

Per quanto riguarda i micronutrienti, tra i minerali spiccano potassio, fosforo e magnesio, mentre tra le vitamine, la vitamina C.

Buona è anche la percentuale di melatonina, un ormone prodotto principalmente dall’ipofisi o dalla ghiandola pineale che regola il ciclo “sonno-veglia”.

 

Le ciliegie sono un concentrato di antocianine, responsabili anche della loro colorazione. Numerosi studi hanno approfondito il ruolo di questi composti per la salute e i risultati sembrano dire che una dieta ricca di antocianine sia utile in particolar modo per la prevenzione cardiovascolare.

 

Non solo le antocianine, ma anche altri composti fenolici, principalmente derivati dagli acidi idrossicinnamici, sembrano mostrare un ruolo anti-proliferativo nei confronti di cellule tumorali. Tali risultati derivano da studi di laboratorio, servono conferme, intanto si possono aggiungere alla lista di buoni motivi per incoraggiare il consumo di ciliegie.

 

Benefici delle ciliegie

La fibra presente è della tipologia solubile, per questo le ciliegie sono un ottimo alimento utile per promuovere la salute dell’intestino, in quanto i microrganismi presenti in quest’ultimo sono in grado di nutrirsene, producendo composti con attività antiinfiammatorie ed antitumorali.

 

La vitamina C, o acido ascorbico, contribuisce a rafforzare il sistema immunitario, è uno dei più importanti antiossidanti, favorisce l’assorbimento intestinale del ferro e del cromo, favorisce la cicatrizzazione delle ferite e protegge i capillari.

 

La melatonina invece, oltrepassando la barriera ematoencefalica, sembra poter esercitare un effetto lenitivo sul sistema nervoso e aiutare a combattere problemi come il mal di testa e l’insonnia.

 

Infine le antocianine, molecole appartenenti alla famiglia dei flavonoidi, in grado di svolgere ruoli protettivi per la salute: sono in grado di abbassare la pressione, aumentare l’elasticità dei vasi sanguigni e diminuire gli stati infiammatori.

 

La porzione consigliata è di 150 grammi, che corrisponde a circa 20 ciliegie.

 

Produzione e Tecnologia delle ciliegie

Caratteri botanici del ciliegio

Il ciliegio dolce (Prunus avium L.) è un albero che raggiunge più di dieci metri di altezza, originario dell’Asia minore e molto diffuso in Italia.

Presenta rami a legno e rami a frutto.

Il frutto è la ciliegia che dal punto di vista botanico è una drupa con polpa tenera e dolce.

 

Coltivazione del ciliegio

Per quanto riguarda la coltivazione ha un elevato fabbisogno in caso di freddo ed è molto sensibile ai ristagni idrici. La pioggia porta a spaccature del frutto oltre ad essere vettore di Monilia; inoltre una siccità prolungata danneggia la formazione dei fiori. È in aumento la fertirrigazione.

 

La potatura mira a contenere lo sviluppo vegetativo rivolto verso l’alto, a rinnovare le formazioni fruttifere che hanno già prodotto e a portare luce nella chioma.

 

La propagazione avviene principalmente per talea mentre da seme e propaggine si ottengono portinnesti.

 

Produzione delle ciliegie

A seconda del tipo di raccolta si utilizzano tipologie di coltivazione differenti.

 

Con la raccolta meccanica si utilizzano vaso o monocono;

con la raccolta manuale vi sono forme a parete come la palmetta con densità bassa, oppure bandiera, ventaglio semplificato,

mentre per le forme in parete c’è il vaso a tre branche.

Oggi si tende a creare impianti ad alta densità, tra 800-1.000 piante/ha utilizzando ad esempio un vasetto basso.

 

La raccolta delle ciliegie avviene tra maggio e luglio in base al colore della buccia e del residuo secco rifrattometrico.

Queste devono essere raccolte a maturazione completa in quanto una volta staccate dall’albero la maturazione si ferma.

Il rendimento è maggiore effettuando la raccolta meccanica a discapito della qualità; solitamente si ottengono rese di 10 t/ha.

 

Una volta raccolte le ciliegie devono essere sottoposte a cernita per eliminare i frutti di scarto e con pezzatura insufficiente.

 

Fino al momento della consegna per la commercializzazione i frutti devono essere mantenuti in luoghi freschi e ombreggiati per evitare perdite di qualità e conservabilità.

 

Per l’immissione al commercio le ciliegie devono essere confezionate in apposito contenitore di legno, plastica, cartone o altro materiale idoneo al massimo di 10 kg di prodotto.

 

Il periodo di conservazione è limitato nel tempo e, nel caso in cui non vengano commercializzate entro 48 ore dalla raccolta, i frutti devono essere sottoposti a raffreddamento anche con la tecnica dell’idrocooling.

 

Stagionalità delle ciliegie

Le ciliegie si trovano in commercio da maggio a luglio.

 

Preparazione e Conservazione delle ciliegie

Quando scegliete le ciliegie fate attenzione ai dettagli seguendo alcuni criteri: evitate i frutti che presentano ammaccature, buchi, tagli provocati da intemperie o parassiti.

La cosa migliore, per essere sicuri che le ciliegie siano davvero buone, è quella di assaggiarle: evitate quelle troppo acerbe che quindi sapranno di poco o le ciliegie sovra mature che avranno un sapore eccessivamente dolce e un leggero gusto fermentato.

 

Una volta acquistate, le ciliegie vanno conservate in frigorifero, meglio se all’interno di un sacchetto di carta o in un cestino così che l’aria abbia modo di circolare e si eviti la formazione di muffe.

Lavatele solo poco prima di gustarle e cercate di consumarle entro 3 o 4 giorni dall’acquisto.



Polpo

Polpo

 

polpo fresco

Famiglia: Octopodidae

Genere: Octopus

Specie: Octopus vulgaris

 

Cos’è il polpo

Il polpo (Octopus vulgaris) è un mollusco cefalopode che si caratterizza per avere piede e testa uniti e per la presenza di estensioni (fa parte appunto della famiglia degli Octopodidae).

Gli ottopodi infatti sono cefalopodi senza conchiglia interna con otto braccia cefaliche.

 

È una specie presente in tutti i mari e oceani del mondo, prediligendo le acque calde temperate.

 

Il polpo viene commercializzato fresco o congelato.

 

Proprietà nutrizionali del polpo fresco e congelato

tabella con i valori nutrizionali del polpo fresco e del polpo congelato
Tabella con i valori nutrizionali del polpo fresco e del polpo congelato.

Valori nutrizionali polpo fresco e congelato

Il polpo è fonte di proteine ad alto valore biologico, sali minerali e vitamine, bassa è invece la percentuale di grassi.

 

Per quanto riguarda i minerali fosforo e calcio sono importanti per la salute di ossa e denti; il potassio aiuta a mantenere la pressione della norma, può ridurre il rischio di calcoli renali ricorrenti e la perdita di tessuto osseo durante l’invecchiamento.

 

Buone le quantità presenti di niacina, folati, vitamina A e vitamina B12. Attenzione invece al contenuto elevato di sodio, non è necessario infatti aggiungere sale.

 

Benefici polpo

Il polpo è costituito da una buona fonte di minerali come il calcio, il fosforo, il potassio e il selenio. I primi due sono importanti per la salute per le ossa, il potassio aiuta a regolare la pressione arteriosa e il selenio serve alle molecole coinvolte nei processi antiossidanti.

Nel polpo sono presenti anche la vitamina B12 utile per lo sviluppo del sistema nervoso fetale, la vitamina A che è coinvolta nei processi visivi e la vitamina C che ha funzione antiossidante, è coinvolta nei processi del collagene e aiuta le difese immunitarie.

 

La porzione standard consigliata è 150 grammi di polpo fresco o congelato, che corrisponde a circa un piatto.

 

Una porzione di polpo contiene 7,7 mg di Zinco, ricoprendo così quasi la dose giornaliera raccomandata di questo minerale per le donne (RDA 9 mg) e più della metà per gli uomini (RDA 12 mg), facendo riferimento alla popolazione adulta.

In un piatto di polpo si trovano anche 112,5 µg di selenio, valore che rappresenta più del doppio della RDARecommended Daily Allowance, dose giornaliera raccomandata) di questo minerale per la popolazione adulta (che è di 55 µg).

 

Interazioni polpo

Il polpo potrebbe contenere piccole tracce di metilmercurio. In esso si può anche riscontrare l’Anisakis, un parassita facilmente annientabile con la cottura o dopo specifiche tecniche di congelamento del polpo.

 

Produzione e Tecnologia del polpo

Caratteristiche del polpo

Il polpo è una specie priva di scheletro che presenta una testa molto grande separata dal corpo per la presenza di una strozzatura e occhi piccoli e sporgenti lateralmente. La bocca si trova sotto la testa, al centro dei tentacoli.

Possiede otto appendici, chiamate tentacoli, dotate ventralmente di due file di ventose che vengono usate per catturare le prede e per la riproduzione; una delle estensioni infatti ha la funzione di organo riproduttivo maschile.

 

Il polpo, grazie al sifone posizionato nel mantello dietro la testa, riesce ad espelle l’acqua per l’espirazione e a dirigere il movimento.

Questo mollusco inoltre possiede un’alta capacità di mimetizzazione, grazie a degli speciali pigmenti, e un liquido nero prodotto da una ghiandola, chiamato “inchiostro”, che viene usato per depistare il predatore in caso di aggressione.

 

Habitat del polpo

Questa specie si può trovare nei mari e negli oceani in acque calde del Mediterraneo, dell’Oceano Pacifico, Atlantico e Indiano.

Si nutre prevalentemente di crostacei, cozze, vongole e ostriche, invece i principali predatori sono cernie, gronchi e murene.

Durante il periodo estivo lo si trova su fondali bassi, prevalentemente vicino alla costa; d’inverno invece migra in profondità. I fondali infatti sono un terreno utile per deporre le uova.

È una specie solitaria che di giorno rimane nel nascondiglio per poi uscire di notte per andare a caccia.

 

La pesca del polpo

Nel Mediterraneo viene pescato da settembre a dicembre e da maggio a luglio, periodo nel quale è di taglia più grossa, utilizzando reti a strascico, attrezzi da posti e ami.

Solitamente si trovano specie che non superano 1 kg di peso, anche se esistono alcuni polpi che raggiungono i 5-6 kg.

 

Stagionalità del polpo

In commercio si può trovare tutto l’anno sia il polpo fresco che il polpo congelato.

 

Preparazione e Conservazione del polpo

Il polpo fresco e pulito si conserva in frigorifero per un giorno.

Se si vuole congelare in questo caso va pulito e poi messo in un sacchetto per alimenti chiuso ermeticamente. Può essere conservato per due mesi. Il polpo si può congelare anche da cotto. Fatelo raffreddare, tagliatelo a pezzettini, disponetelo sopra un vassoio ricoperto da carta da forno e fatelo congelare. Una volta congelato trasferite i pezzi in un sacchetto per alimenti, richiudete e riponete in freezer.

 

È bene consumare il polpo dopo averlo cotto: la cottura infatti annienta l’Anisakis, un parassita presente anche nel Mar Mediterraneo.

Invece, se si sceglie di consumarlo crudo, è importante sapere che la normativa europea Regolamento CE 853/2004, sulla «Vendita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi», obbliga chi vende o somministra pesce fresco a congelarlo a -20 gradi per almeno 24 ore. A casa è bene congelare il polpo per almeno 96 ore a -18°C in un congelatore.

 

Il polpo si abbina a verdure come fagiolini, pomodori, patate, ed è perfetto come antipasto o come secondo.

Si può cucinare in moltissimi modi; il più comune è lessarlo per poi preparare gustosissime insalate.

Per fare questa operazione occorre preparare dell’acqua aromatizzata con cipolle, alloro, sedano e carota. Dovete immergere il polpo nell’acqua fredda e lasciarlo cuocere per un’ora a fuoco dolce. Una volta cotto lasciatelo raffreddare nella sua acqua, per evitare che si indurisca.

 

La proposta di ricetta di FBO con il polpo



Fagiolini

Fagiolini

 

tipi di fagiolini

Famiglia: Fabaceae

Genere: Phaseolus

Specie: Phaseolus vulgaris

 

Storia dei fagiolini

I fagiolini sono i baccelli non maturi della specie Phaseolus vulgaris e sono conosciuti anche come cornetti.

 

La zona di produzione è l’area Mediterranea, dall’Italia alle coste del nord Africa.

I  fagiolini da consumo fresco infatti per crescere necessitano di temperature calde, tra i 18 e i 26°C.

 

Tipi di fagiolini

Esistono diverse varietà di fagiolini che differiscono nella forma e nel colore; in Italia vengono coltivate soprattutto due tipi di fagiolini, che vengono raccolti nel periodo estivo.

 

Le varietà coltivate hanno un baccello dalla consistenza croccante e sono prive di filo.

I fagiolini più comuni presentano un baccello di colore verde e la forma allungata, più o meno sottile, mentre altre varietà locali poco diffuse hanno baccelli anche di colore giallo o violaceo.

 

In commercio i fagiolini si trovano freschi o in scatola.

 

Proprietà nutrizionali dei fagiolini

tabella con i valori nutrizionali dei fagiolini
Tabella con i valori nutrizionali dei fagiolini e dei fagiolini in scatola.

Fagiolini valori nutrizionali

I fagiolini sono ricchi di acqua e poveri di calorie, proprio per questo si prestano molto nella stagione estiva ad essere utilizzati nelle insalate.

 

Anche il loro contenuto di fibra è buono, infatti una porzione soddisfa all’incirca il 25% della quantità raccomandata per un adulto.

 

Per quanto riguarda i micronutrienti, i fagiolini sono noti per il loro contenuto in folati.

 

Buono è anche il loro contenuto di vitamina A, vitamina C e delle vitamine del gruppo B (in particolare la vitamina B12).

 

Fagiolini benefici

I fagiolini migliorano la funzione intestinale grazie alla presenza di fibre che favoriscono il regolare funzionamento dell’intestino e aiutano a proteggere la mucosa del colon da sostanze potenzialmente dannose, riducendo così il rischio di tumore; inoltre aiutano a ridurre i livelli di glicemia e colesterolo.

 

Anche le vitamine contenute nei fagiolini apportano benefici all’organismo. La vitamina A ha funzione antiossidante ed è utilizzata nei processi della visione; anche la vitamina C ha funzione antiossidante e aiuta le difese immunitarie. 

Le vitamine del gruppo B contribuiscono a garantire il buon funzionamento del metabolismo e in particolare la vitamina B12, che è fondamentale per la sintesi del DNA e la divisione cellulare, e i folati sono essenziali per la crescita e la riproduzione delle cellule e per la formazione del sistema nervoso nel feto.

 

La porzione di consumo consigliata per i fagiolini freschi o in scatola è di 150 grammi che corrisponde a mezzo piatto.

 

Una porzione di fagiolini contiene 160 µg di folati (vitamina B9), ricoprendo così più di un terzo della dose giornaliera raccomandata di questa vitamina per la popolazione adulta.

Infatti l’assunzione giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Daily Allowance) di folati per la popolazione adulta è di 400 µg.

 

Produzione e Tecnologia dei fagiolini

Caratteri botanici dei fagiolini

I fagiolini sono i baccelli della pianta annuale a rapido sviluppo. Le prime foglie sono semplici, le altre trifogliate con foglioline cuoriformi.

I fiori sono riuniti a grappoli di colore per lo più bianco e la fioritura è cleistogama.

Il frutto è un legume pendulo, pluriseminato, che può essere compresso o cilindrico, di colore verde o giallo e dalla lunghezza variabile (da 60 a 220 mm).

 

All’interno del baccello possono essere presenti o meno dei tessuti fibrosi ed è in base a questa caratteristica che si determina il tipo di utilizzazione:

 

  • nei baccelli con filo in questo caso le valve si separano con facilità proprio per la presenza di un cordone fibroso lungo le linee di saldatura (“filo”) e hanno strati di tessuto fibroso (“pergamena”) entro ciascuna valva; vengono utilizzati per seme.

 

  • I baccelli senza filo e senza pergamena, ovvero i fagiolini, sono invece teneri e carnosi a lungo.

 

Coltivazione dei fagiolini

I fagiolini vengono seminati dall’inizio della primavera fino all’estate inoltrata in quanto per crescere hanno bisogno di una temperatura che va dai 18 ai 26°C.

Nel caso in cui ci si trovi in una zona particolarmente fredda, è meglio attendere il mese di maggio, quando sarà terminato il periodo delle gelate notturne.

 

Per la semina si effettuano delle buche nel terreno, profonde circa venti centimetri e distanti almeno quindici centimetri; in ogni buca viene posto un seme.

 

Produzione dei fagiolini

Nella piccola coltura i fagiolini e i baccelli freschi si raccolgono a mano scalarmene, mentre nella grande coltura la raccolta è meccanizzata e i fagiolini si raccolgono con apposite macchine raccoglitrici (pettinatrici).

Durante la raccolta manuale è importante staccare i fagiolini quando sono ancora teneri, prima che i semini all’interno si ingrossino troppo.

 

Una volta raccolto il prodotto raggiunge lo stabilimento nell’arco di poche ore per evitare qualsiasi tipo di deterioramento.

 

Mediante l’utilizzo di un sistema di nastri trasportatori il prodotto passa prima attraverso un sistema di ventilazione che consente la separazione dei baccelli dalle parti inerti e successivamente raggiunge un primo banco cernita vibrante, dove alcuni operatori, eseguono una cernita per separare i fagiolini intatti dalle impurità (foglie, strocchi etc.) e dai fagiolini spezzati.

 

Successivamente il prodotto viene imbustato e confezionato in magazzino e può quindi essere conservato, se necessario, in celle frigorifere per alcuni giorni senza deteriorarsi.

 

Stagionalità dei fagiolini

In Italia i fagiolini si trovano in commercio da maggio a settembre.

 

Preparazione e Conservazione dei fagiolini

Esistono molti tipi di fagiolini, da quelli più grossi, corposi e croccanti a quelli più piccini, privi di filamento e tenerissimi, ma sceglieteli sempre in base a queste caratteristiche:

 

  • colore: i fagiolini dovranno essere verdi e privi di macchie gialle;
  • consistenza: il baccello dei fagiolini dovrà essere integro e sodo, se fagiolini non sono duri al tatto, non acquistateli.

 

Pulire i fagiolini è molto semplice: eliminate con una lama liscia entrambi gli estremi e privateli dell’eventuale filetto che risulterebbe fibroso al palato.

 

Per conservarli correttamente è importante osservare alcuni accorgimenti.

Scegliete dei fagiolini verdi freschi e teneri, cercando anche di preferire le varietà prive di filo. Se i fagiolini che avete scelto sono piccoli, potete tranquillamente conservarli interi, mentre se sono più grandi potete dividerli in 3 o 4 parti.

 

Per conservare i fagiolini al naturale il metodo più adatto è la congelazione: al momento dell’uso, è necessario solo scongelarli. Forse non tutti sanno che è possibile congelare i fagiolini sia da cotti che da crudi. In alternativa, un ottimo metodo di conservazione è il sott’olio.

 

In commercio si trovano facilmente fagiolini surgelati i quali, una volta cotti, perdono buona parte del loro contenuto di vitamina C.

Alcuni studi scientifici si sono concentrati su come i metodi di cottura influenzino questa perdita: le strategie migliori per preservare la vitamina C dell’alimento sono risultate la cottura al vapore oppure in una pentola antiaderente con poca acqua.

 

Le proposte di ricette di FBO con i fagiolini



Totani

Totani

 

totani

Famiglia: Ommastrephidae

Genere: Todarodes

Specie: Todarodes sagittatus

 

Cos’è il totano e differenza con il calamaro

Il totano (Todarodes sagittatus) è un cefalopode che appartiene alla famiglia dei molluschi, come il calamaro e la seppia.

È una specie che vive sui fondali sabbiosi nelle acque dell’Oceano Atlantico, del Mare del Nord e del Mar Mediterraneo.

 

Viene spesso confuso con il calamaro (Loligo vulgaris) da cui si distingue per forma e dimensione delle pinnette o ali, per la presenza di un paio di “uncini” sui tentacoli, per il colore e per le dimensioni molto più grandi.

 

Le carni del totano sono tenere e squisite e viene commercializzato fresco o congelato.

 

Proprietà nutrizionali dei totani

tabella con i valori nutrizionali dei totani

Totani proprietà nutrizionali

I totani presentano proteine di elevata qualità ed acidi grassi della serie omega 3.

 

A livello di micronutrienti spiccano il contenuto in potassio, calcio, fosforo e magnesio.

Per quanto riguarda le vitamine, le più presenti sono quelle del gruppo B.

 

Ricchi anche di sodio, non richiedono quindi aggiunta di sale durante le preparazioni.

Inoltre questo pesce contenendo grassi saturi, sodio e colesterolo, non bisognerebbe consumarlo in quantità eccessive.

 

Totani benefici

Il totano è una buona fonte di proteine, acidi grassi insaturi e per la precisione di omega-3, e di minerali.

I minerali maggiormente presenti sono il potassioalleato della salute cardiovascolarecalcio, fosforo e magnesioimportanti per la salute di ossa e denti.

Tra le vitamine spiccano quelle del gruppo B alleate del buon funzionamento del metabolismo, inclusi i folati e la vitamina B12.

 

La porzione standard consigliata è 150 grammi di totani freschi.

 

Produzione e Tecnologia dei totani

Caratteristiche del totano

Il totano presenta un corpo allungato, piuttosto stretto, con testa grossa e una bocca dotata di due mascelle.

La parte caudale è affusolata ed è provvisto di due pinne triangolari che lo aiutano nel nuoto formanti una punta a lancia.

I dieci tentacoli sono dotati di ventose pungenti e due di essi si protraggono all’esterno; i tentacoli aiutano il totano ad imprigionare le prede di cui si nutre, ovvero crostacei e piccoli pesci.

Presenta una colorazione a striature rosso-violacee dorsalmente che diviene più pallida, con sfumature giallastre, ventralmente.

 

Generalmente sono lunghi 30/40 centimetri ma in alcuni casi si possono raggiungere delle lunghezze che sfiorano anche il metro; il peso varia a seconda della dimensione dai 500gr per i piccoli totani, a esemplari in alto mare che arrivano anche a 15 kg.

 

Habitat del totano

Il totano, come il calamaro, vive su fondali misti, fangosi e sabbiosi e si sposta molto rapidamente sia strisciando sul fondo servendosi dei tentacoli che in sospensione sfruttando la pressione dell’acqua che immagazzina ed espelle dal corpo con un meccanismo di propulsione.

Questa specie nei mesi freddi, da novembre a marzo, si avvicina a riva per riprodursi e si muove soprattutto di notte.

Sono proprio le ore notturne, con il mare calmo, il momento più favorevole per pescarlo, soprattutto da dopo il tramonto fino a poco prima dell’alba; tuttavia è possibile riuscire a pescare i totani anche di giorno, tra le 4 del pomeriggio e poco dopo il tramonto.

 

Tecniche di pesca

Viene pescato nel Mediterraneo per mezzo di reti a strascico dette “totanare”.

Questo tipo di pesca consiste in un oggetto luminoso che all’estremità è costituito da una serie di ganci a punta circolari molto pungenti. Tale strumento si lega ad un pezzo di lenza molto lunga che viene calata in mare fino al fondale; quando la lenza viene tirata su i totani, attirati dalla luce, rimangono impigliati a questi spunzoni.

I grandi pescherecci utilizzano invece delle reti apposite per la pesca del totano.

 

Stagionalità dei totani

In genere i totani si pescano dall’inizio di giugno alla fine di agosto.

 

Preparazione e Conservazione dei totani

Quando acquistate dei totani valutate con attenzione il loro aspetto: riconoscere quelli freschi non è difficile. La pelle dei totani freschi è infatti lucente e integra; un colore opaco e poco brillante, invece, è in genere indice di poca freschezza.

 

Se siete poco avvezzi ad acquistare il pesce potreste inoltre avere delle difficoltà a riconoscere un totano da un calamaro: in effetti questi 2 molluschi hanno un aspetto molto simile, ma alcune differenze sostanziali fanno evitare di cadere in errore.

Anzitutto, i calamari hanno pinne laterali più lunghe di quelle del totano: le pinne di quest’ultimo sono, fra l’altro, più terminali che laterali, perché poste in fondo alla sacca. Inoltre, il totano ha più tentacoli del calamaro e in genere sono più dritti e sviluppati in lunghezza, mentre quelli del calamaro risultano maggiormente arricciati.

Un’altra differenza riguarda la consistenza della carne: quella del totano è in genere più dura rispetto a quella del calamaro.

Tuttavia i totanetti, ovvero i totani più piccoli, sono di solito molto teneri.

 

Per pulirli la prima cosa è tirate via la pelle: per essere facilitati in questa operazione, effettuatela sotto un filo di acqua corrente. Praticate un piccolo taglietto sul corpo del totano, quanto basta per alzare un piccolo lembo di pelle, che poi andrete a tirar via con le mani.

Ora togliete gli occhi del totano: è sufficiente infilzarli con la punta del coltellino, per poi schiacciare con le dita per farli fuoriuscire. Sempre con il coltellino tirate via anche i tentacoli e il dente. Pulite quindi l’interno del totano: con il coltellino eliminate la cartilagine interna, dopodiché, infilando un dito, estraete le interiora e, se presente, anche la sacca dell’inchiostro.

Sciacquate quindi con cura il totano sotto un getto di acqua corrente, eliminando ogni eventuale rimanenza di viscere interne.

 

Una volta puliti, i totani possono essere cucinati subito (o al massimo entro un giorno, se conservati in frigorifero, coperti da pellicola trasparente) oppure possono essere congelati: in tal caso, si conservano per circa 3-4 mesi.

Surgelati mantengono le caratteristiche nutrizionali, i molluschi difatti resistono bene alle basse temperature. Al contrario le alte temperature, ad esempio la frittura, inducono la perdita di alcuni nutrienti, che invece si preservano con le cotture a vapore o al forno.

 

È bene non esagerare con il consumo di totani perché contengono grassi saturi, colesterolo e sodio in una certa quantità.



Indivia

Indivia

 

indivia o scarola

Famiglia: Compositae

Genere: Cichorium

Specie: Cichorium endivia L.

 

Cos’è l’indivia

L’indivia (Cichorium endivia L.) è un ortaggio originario del bacino del Mediterraneo del genere Cichorium, a cui appartiene anche la cicoria, e comprende diverse sottospecie: l’indivia scarola (Cichorium endivia latifolium), l’indivia ricciuta (Cichorium endivia crispum) e l’indivia belga.

 

Tipi di indivia

Esistono diversi tipi di indivia.

 

– L’indivia scarola è la più importante delle indivie sia per qualità che per diffusione ed è coltivata per le produzioni autunno-invernali.

Il cespo a rosetta è formato da foglie allungate di colore verde chiaro o scuro, con margine intero o dentato e nervatura marcata di colore bianco.

Ha un sapore leggermente amarognolo e una discreta croccantezza.

È diffusa soprattutto nel centro-sud Italia e esistono diverse varietà di indivia scarola, tra cui: la Bubikopf, la Bionda a cuore pieno, la Cornetto di Bordeaux, la Dilusia, la Full Heart, la Gigante degli ortolani e la Verde Fiorentina.

 

– L’indivia ricciuta è un’insalata di tipo invernale con foglie di colore bianco-giallo e verdi, lembi sfrangiati ed arricciati e i cespi non formano un grumolo.

Rispetto alla scarola, la riccia ha un sapore più amarognolo ed è molto croccante.

Le varietà si distinguono in precoci e tardive e le più diffuse sono: la Mantovana, la Riccia d’Italia, la Riccia fine d’estate, la Riccia romanesca, la Riccia a cuore d’oro, la Riccia grossa di Pancalieri, la Ruffec, la Riccia d’inverno.

 

– L’indivia belga è un ortaggio originario del Belgio e viene anche chiamata Cicoria witloof, che in olandese significa “a foglia larga”.

Ha un tipico sapore amarognolo e le foglie si presentano sode e croccanti, piuttosto affusolate, di colore bianco chiaro con le punte tendenti al verde.

 

 

L’indivia, insieme alla lattuga, costituisce il gruppo di da foglie per consumo crudo in insalata; l’indivia può essere consumata anche lessa.

 

Proprietà nutrizionali dell’indivia

tabella con i valori nutrizionali dell'indivia

Valori nutrizionali dell’indivia

L’invidia belga è composta principalmente da acqua e fibre, che la rendono un alimento ideale nei soggetti che debbano migliorare il transito intestinale.

Il limitato apporto energetico la rende adatta a regimi alimentari a basso introito calorico e grazie alla consistenza croccante, aumenta il senso di sazietà.

 

L’indivia belga è una buona fonte di vitamine A, C e del gruppo B ed un’ottima fonte di acido folico (vitamina B9). Povera di sodio e ricca di acqua, è diuretica e depurativa.

 

Interessante anche la presenza di calcio, minerale essenziale all’organismo umano.

 

Benefici dell’indivia

Nell’indivia è presente una discreta quantità di vitamina A che ha un ruolo importante a livello visivo, e di vitamina C che ha funzione antiossidante. 

Risulta un’ottima fonte di acido folico (vitamina B9), essenziale per il benessere dell’apparato cardiovascolare ed è molto importante in gravidanza per uno sviluppo ottimale del nascituro.

 

Tra i minerali invece è presente una buona quantità di calcio che è essenziale nei meccanismi di contrazione e rilasciamento dei muscoli, nella coagulazione del sangue, nella regolazione della permeabilità cellulare e nella trasmissione dell’impulso nervoso.

 

La porzione standard di indivia consigliata è 80 grammi, che corrisponde a una ciotola.

 

Il consumo di questo ortaggio potrebbe essere utile in caso di gonfiore sottocutaneo o edema, un possibile effetto collaterale legato al trattamento oncologico.

 

Produzione e Tecnologia dell’indivia

Caratteri botanici della pianta di indivia

L’indivia è una pianta biennale a produzione prevalentemente autunnale.

 

Il prodotto è costituito dal “cespo” ovvero dalla rosetta di foglie che coronano il brevissimo fusto e che nell’accrescimento si sovrappongono e si serrano in un grumolo, detto cuore, più o meno compatto.

 

I fiori solitamente sono 18-20 con colore bluastro; i frutti sono piccoli acheni (commercialmente i semi) allungati, angolari, muniti di pappo, in genere bianchi nella indivia riccia, grigi in quella scarola.

 

Coltivazione dell’indivia

L’indivia nella piccola coltura viene seminata in semenzaio e successivamente trapiantata, mentre nella grande coltura viene praticata la semina diretta, impiegando seme normale o confettato.

La sua coltivazione avviene in avvicendamento con altre colture erbacee.

 

La semina viene eseguita a file distanti 30-40 cm, con distanze tra le piante sulla fila di 25-35 cm.

La lotta alle erbe infestanti viene fatta con sarchiature e diserbanti.

 

Solitamente la semina avviene nel periodo di luglio-agosto, con la raccolta che va dall’autunno fino al termine dell’inverno a seconda del clima.

Per favorire l’imbianchimento del grumolo a volte i cespi vengono legati circa 2 settimane prima della raccolta.

Le rese ad ettaro variano da 200 a 300 quintali.

 

Stagionalità dell’indivia

In commercio l’indivia si può trovare da ottobre ad aprile.

 

Preparazione e Conservazione dell’indivia

Tra le insalate è l’unica che richiede un trattamento particolare per via della forma del cespo con foglie molto compatte.

Per questo vi consigliamo di scegliere solo cespi freschi, nel caso siano flosci e macchiati acquistano un sapore amaro ed una consistenza fastidiosa al palato.

 

Come prima operazione introducete un coltellino alla base facendolo penetrare e facendolo girare con un movimento circolare, togliendo il torsolo centrale.

Successivamente sfogliate il cespo eliminando le prime foglie esterne, lavatelo accuratamente sotto l’acqua corrente, sovrapponetele alcune sul tagliere e tagliatele a striscioline.

 

Come la maggior parte degli ortaggi si conserva in frigorifero per un paio di giorni, preferibilmente avvolta in un foglio di giornale, che previene l’eccessiva refrigerazione delle foglie.

 



Gamberi

Gamberi

 

valori nutrizionali gamberi

Definizione del termine generico “gamberi”

Il termine generico “gambero” identifica diverse specie di crostacei, sia marine che d’acqua dolce, appartenenti a differenti ordini (prevalentemente all’ordine dei Decapodi).

 

Tra essi è presente il gambero d’acqua dolce (Austropotamobius pallipes italicus), piccolo crostaceo appartenente alla famiglia degli Astacidi, che si trova nell’Europa occidentale, dal Portogallo alla Svizzera e alla Dalmazia e dall’Inghilterra alla Francia fino alla Liguria.

 

Tra i gamberi d’acqua salata fa parte il gamberetto (Palaemon serratus), specie presente nel Mar Mediterraneo su fondali rocciosi e ricchi di alghe fino a circa 15 metri di profondità.

Un’altra specie che si trova nel Mediterraneo ed è autoctona della zona è la mazzancolla (Penaeus kerathurus Forskäl).

 

Una specie simile nella pigmentazione alla mazzancolla è il gamberone giapponese (Penaeus japonicus), noto anche col nome di “mazzancolla imperiale” o “mazzancolla giapponese“.

E’ allevato in Giappone, Corea del Nord e Taiwan e, tra i Peneidi, è il più allevato nell’area del Mediterraneo (Spagna, Italia, Francia, Portogallo, Grecia, Albania, Turchia ed Egitto).

Grazie alla capacità di sopravvivere per tempi lunghi fuori dall’acqua, la resistenza alle basse temperature (< 5°C) ed allo stress consente agli esemplari adulti di questa specie di sopravvivere al freddo invernale ed ai vari stress di pesca permettendogli di giungere vivo sui banchi di pesca e di essere facilmente esportabile.

 

Esiste anche il gambero tigre gigante (Penaeus monodon Fabricius), nome che deriva dalle notevoli dimensioni raggiunte (36 cm) e per le bande verticali che percorrono i segmenti addominali.

Questa specie non è presente nel Mediterraneo ed è originaria dell’Oceano Indiano e dell’Oceano Pacifico sud occidentale, con estensione dal Giappone all’Australia.

E’ largamente prodotto in quasi tutti i paesi asiatici e sono state condotte delle prove di allevamento intensivo ed estensivo in Italia nell’Adriatico del Nord.

 

Proprietà nutrizionali dei gamberi

tabella con i valori nutrizionali di gamberi e gamberetti
Tabella con i valori nutrizionali di gamberi e gamberetti

Valori nutrizionali di gamberi e gamberetti

I gamberetti appartengono alla famiglia dei crostacei, quindi dal punto di vista nutrizionale presentano un basso apporto energetico ed un buon contenuto di proteine.

La quantità di grassi è molto bassa, con prevalenza di mono e polinsaturi.

 

Anche se in percentuali molto ridotte rispetto al pesce azzurro, i gamberi presentano EPA e DHA, acidi grassi essenziali a lunga catena della serie omega-3 che aiutano a salvaguardare il sistema cardiovascolare.

I livelli di colesterolo sono relativamente alti, per questo vi consigliamo di limitarne il loro consumo.

 

I gamberi sono buona fonte di vitamine del gruppo B e di minerali come selenio, iodio, zinco, fosforo e magnesio.

 

Benefici dei gamberi

I gamberi contengono buona fonte di vitamine del gruppo B che svolgono azioni positive a livello del metabolismo.

Di minerali sono presenti il calcio e il fosforo che favoriscono la salute delle ossa e il ferro che è un componente dell’emoglobina e della mioglobina. Ricordiamo inoltre il selenio, un minerale cofattore di enzimi con un ruolo importante nella difesa antiossidante dell’organismo.

 

La porzione standard consigliata è di 150 grammi, che corrisponde 6 gamberi e circa 20 gamberetti.

 

Una porzione di gamberi copre quasi la totalità del fabbisogno giornaliero di selenio (45 µg), facendo riferimento alla popolazione adulta (55 µg).

 

Produzione e Tecnologia dei gamberi

Caratteristiche del gambero d’acqua dolce

Il gambero d’acqua dolce è un gambero dall’aspetto piuttosto robusto che raramente supera i 12 cm di lunghezza totale ed i 90 g di peso.

Il corpo è di colore bruno-verdastro sul dorso e sui fianchi mentre biancastro sul ventre e sugli arti e, proprio per questa caratteristica, questa specie è nota anche con il nome di “gambero dai piedi bianchi“.

 

I maschi rispetto alle femmine sono più grandi, hanno chele più sviluppate, l’addome più stretto con le prime due appendici (dette pleopodi) modificate in organi sessuali che, all’atto dell’accoppiamento, si uniscono a formare un unico organo copulatore. Nella femmina le appendici dell’addome sono invece tutte uguali.

 

Questa specie vive lungo fiumi e torrenti ed è onnivoro.

Si nutre infatti di insetti, lombrichi, molluschi, larve, piccoli pesci, animali morti, radici di piante acquatiche e anche detriti vegetali e animali di vario genere. È un predatore notturno mentre trascorre la maggior parte del giorno nascosto.

I gamberi giovani e gli adulti in muta sono preda di Salmonidi e anguille.

 

Acquacoltura del gambero di fiume

L’allevamento del gambero di fiume, viene fatto utilizzando vasche con argini e fondale in terra, costruite quasi sempre in aree limitrofe ai luoghi di pesca sui circostanti fiumi.

È condotto solo ai fini di ripopolamento dei corsi d’acqua in cui tale specie risulta naturalmente presente. Il gambero d’acqua dolce autoctono è una specie protetta, presente nella red list dell’ Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).

 

Caratteristiche del gambero d’acqua salata

Il gambero d’acqua salata presenta l’intero corpo rivestito da una corazza (detta carapace).

La parte anteriore del corpo (cefalotorace) è costituita dalla fusione della testa col torace; in essa sono contenuti sistema nervoso, branchie, cuore, stomaco e presenta un rostro dentato e una serie di carene, solchi e spine.

Dal carapace partono le antenne, recettori meccanici sensibili alle vibrazioni e le antennule con funzione olfattiva e di equilibrio rispetto alla gravità.

 

La parte edibile dell’animale è l’addome, che è suddiviso in sei segmenti.

Le appendici anteriori (pereiopodi) hanno funzione esplorativa e prensile, le appendici al disotto dell’addome (pleopodi) sono utilizzate per il nuoto, mentre la parte caudale formata da quattro segmenti (uropodi) hanno funzione di timone nel nuoto e di remo nella tipica fuga all’indietro.

Al termine è presente una spina appuntita, il telson.

 

Stagionalità di gamberi e gamberetti

I gamberi sul mercato si trovano in diversi periodi dell’anno a seconda della specie e della zona; in Italia ad esempio i gamberetti rosa sono tipici della primavera (da marzo a giugno).

 

Preparazione e Conservazione di gamberi e gamberetti

In fase di acquisto i gamberi devono avere un odore delicato, gradevole, non ammoniacale.

Se li acquistate freschi state attenti che i gamberi siano vivi e l’occhio, le zampe e le antenne siano mobili, il colore poi deve essere vivido e brillante.

 

Sono alimenti estremamente delicati, che devono essere consumati o congelati il prima possibile.

Potete conservarli in frigorifero, ben coperti da pellicola alimentare o chiusi in un sacchetto freezer, per 1 giorno al massimo. Se sono molto freschi, è possibile congelarli, a -18°C, in appositi sacchetti ben chiusi, avendo l’accortezza di eliminare quanta più aria possibile. Si possono così conservare 3 mesi.

 

Per pulire i gamberi, per prima cosa sciacquateli sotto l’acqua corrente, posizionatevi su un tagliere e staccate la testa. Sempre utilizzando le mani staccate le zampette e il carapace, ovvero la corazza che protegge le carni.

Potete decidere in questo caso, a seconda della preparazione che intendete fare, se lasciare la parte finale della coda.

 

Una volta pulito esternamente, procedete a compiere un’operazione molto delicata ovvero quella di togliere l’intestino interno: incidete il dorso del gambero con un coltellino ed eliminatelo tirando delicatamente, cercando di non romperlo. Potete fare questa operazione anche con uno stecchino: inseritelo nella carne del gambero, individuate l’intestino e tirate per eliminarlo.

 

I gamberi si possono pulire anche da cotti: sbollentateli per qualche minuto in acqua bollente, lasciateli immersi per 4-5 minuti e scolateli con una schiumarola. Quindi fateli raffreddare per un paio di minuti e poi procedete con la pulizia. Eliminate la testa, le zampe e il carapace, anche in questo caso potete lasciare anche la coda.

 

Poi potrete cuocerli al vapore, lessarli o saltarli in padella.

Vi ricordiamo che non è necessario aggiungere sale in cottura, il loro contenuto di sodio è già di per sé alto.

 

Le proposte di ricette di FBO con i gamberi



Ostriche

Ostriche

 

specie di ostriche

Famiglia: Ostreidae

Genere: Ostrea

Specie: Ostrea edulis L.

 

Specie di ostriche

L’ostrica piatta (Ostrea edulis L.) è un mollusco bivalve, vive attaccata alle rocce ed è la specie più diffusa e coltivata nel Mediterraneo.

 

Esistono diverse specie di ostriche.

 

  • L’ostrica piatta (Ostrea edulis L.) è presente in tutti i mari d’Europa, nel Mar Nero e nell’ Atlantico orientale, dalla Norvegia fino al Marocco, si distingue facilmente dalle altre ostriche presenti sul mercato per la forma tondeggiante delle valve.

 

  • L’ostrica portoghese (Crassostrea angulata Lamarck) e l’ostrica giapponese o del Pacifico (Crassostrea gigas Thunberg), entrambe conosciute con il nome di ostriche concave, hanno invece le valve a forma di ovale allungato.

 

Inoltre alcune specie di ostriche producono pregiate perle.

 

Proprietà nutrizionali delle ostriche

tabella con i valori nutrizionali delle ostriche

Valori nutrizionali delle ostriche

L’ostrica è un mollusco bivalve, che contiene proteine ad alto valore biologico, sali minerali e vitamine del gruppo B.

 

Benefici delle ostriche

L’ostrica è composta da diversi minerali che apportano benefici all’organismo.

Tra questi spiccano il calcio ed il fosforo, fondamentali per lo sviluppo e per la salute delle ossa e dei denti, il ferro, fondamentale per la composizione dell’emoglobina e che contribuisce alla produzione di alcuni ormoni e di tessuto connettivo.

Lo zinco invece è coinvolto nella risposta immunitaria, nella guarigione delle ferite e nella riparazione dei tessuti, mentre il potassio aiuta a mantenere la pressione della norma.

 

La porzione standard consigliata è 150 grammi di ostriche.

 

Il consumo di questo mollusco può essere utile in caso di carenza di vitamina D.

 

Produzione e Tecnologia delle ostriche

Caratteristiche delle ostriche

L’ostrica concava è una specie di mollusco endemica costituita esternamente da una conchiglia, al cui interno si trova il mollusco.

La conchiglia è formata da due valve con forma variabile a seconda dell’ambiente in cui vive, in cui la valva inferiore è concava mentre quella superiore è piatta.

Il guscio è di colore avorio mentre la parte esterna è marroncina, con diverse varianti fino al giallino, caratterizzata da un elevato numero di striature, macchie violacee e da ampie scanalature.

L’interno della conchiglia si presenta di colore bianco e il mollusco in essa presente ha il corpo dalla forma tondeggiante con i margini dei due lembi del mantello frangiati.

 

Le ostriche in genere misurano dai 6 ai 9 cm e alcune possono arrivare fino a 15 cm.

 

Habitat delle ostriche

Si nutrono principalmente di alghe e vivono attaccate a rocce, conchiglie e detriti anche se alcuni esemplari si possono trovare su fondali sabbiosi e fangosi.

Prediligono acque non molto profonde con una salinità compresa tra 20 e 25‰, anche se è una specie molto resistente che riesce a sopravvivere a diverse temperature (tra -1,8 e 35°C) e con differenti livelli di salinità (inferiori al 10‰ o superiori al 35‰).

 

Allevamento delle ostriche

L’ostrica è una specie ermafrodita proterandra. Nelle zone con un buon approvvigionamento alimentare si ha una prevalenza di sesso femminile, mentre dove c’è scarsa disponibilità di cibo viene riscontrato un numero maggiore di individui maschi.

 

La gametogenesi ha inizio in condizioni di temperatura prossime ai 10°C e salinità compresa tra 15 e 32‰; la deposizione delle uova invece avviene generalmente a temperature superiori a 20°C.

Dopo la schiusa delle uova le larve, utilizzando il piede larvale, iniziano a cercare un luogo adatto per l’insediamento a cui vi si attaccano in maniera permanente tramite una secrezione cementizia prodotta da una ghiandola presente sul piede.

Una volta avvenuto l’insediamento inizia la metamorfosi allo stadio giovanile; la crescita è molto rapida.

 

Per l’allevamento i sistemi utilizzati sono analoghi a quelli impiegati nella mitilicoltura, tanto che talvolta vengono allevate entrambe le specie.

 

Il seme può essere reperito tramite captazione su banchi naturali in prossimità dell’allevamento, tramite acquisto da altri allevamenti o da schiuditoi. Le giovani ostriche vengono poste a dimora sul fondale o in appositi contenitori mantenuti in sospensione.

 

Ostriche: prodotti presenti sul mercato

In commercio si trova il prodotto fresco, la cui commercializzazione risulta molto complicata a causa della shelf-life relativamente breve, mentre il prodotto trasformato e venduto in scatola, surgelato, sottovuoto o sottoforma di vari tipi di preparati o salse risulta meno complicato da conservare.

 

Stagionalità delle ostriche

Sul mercato le ostriche sono disponibili tutto l’anno, in particolare da ottobre ad aprile.

 

Preparazione e Conservazione delle ostriche

Per riconoscere la loro freschezza, le ostriche devono essere e rimanere chiuse quando si utilizzano.

 

Le ostriche concave possono essere conservate in frigorifero per solo un giorno. Le ostriche di buona qualità possono mantenersi fino a 10 giorni dalla raccolta, tutte ben chiuse, ben vive e freschissime dalla spedizione e mantenute poi in frigo e ad un massimo di temperatura di 2–4°C, tenute in posizione orizzontale perché non perdano il loro liquido.

Per consumare l’ostrica bisogna aprirla; per fare ciò occorre inserire la punta del coltello tra le due valve dell’ostrica e affondare fino a staccare il muscolo all’interno. In seguito si deve proseguire scorrendo con il coltello lungo tutto il perimetro del guscio fino a staccare completamente il guscio interno e poi aprire le due parti facendo attenzione a non far cadere il liquido interno all’ostrica.

Una volta eliminata una parte del guscio, riponete l’ostrica sul palmo della mano e con il coltello passate sotto il mollusco per staccare anche l’altra parte del muscolo.

 

Le ostriche possono essere consumate cotte o crude, anche se il calore annienta eventuali sostanze tossiche.

Vi ricordiamo che, prima di consumarle crude, al momento dell’acquisto è bene informarsi se sia stato effettuato il congelamento preventivo. Infatti il Regolamento CE 853/2004 obbliga chi vende o somministra pesce fresco a congelarlo a -20°C per almeno 24 ore.



Vongole

Vongole

 

vongole

Famiglia: Veneridae

Genere: Ruditapes

Specie: Ruditapes spp.

 

Cos’è la vongola?

La vongola è un mollusco bivalvo appartenente alla famiglia dei Veneridae.

È quindi dotata di due conchiglie ovoidali-triangolari ellittiche combacianti tra loro dalla colorazione variabile (bianco, grigio o marrone).

 

Tipi di vongole

Esistono diversi tipi di vongole. La vongola verace nostrana (Ruditapes decussatus) è una specie difficile da allevare e, per questo motivo, poco diffusa.

Al suo posto si trova la vongola filippina (Ruditapes philippinarum o Ruditapes semidecussatus), specie originaria del Pacifico, molto coltivata nelle lagune dell’Alto Adriatico dove ha trovato un habitat ottimale per la riproduzione.

 

La vongola verace nostrana

La vongola verace nostrana (Ruditapes decussatus) ha una conchiglia robusta di colore bianco-grigio-giallastro con macchie e striature più scure. Internamente invece è biancastra con un’eventuale macchia violacea. La valva, nella parte interna, è liscia.

Questa specie può raggiungere una dimensione massima di circa 6 cm ma generalmente la dimensione media degli esemplari si aggira attorno ai 3-4 cm.

 

La vongola filippina

La vongola filippina (Ruditapes philippinarum o Ruditapes semidecussatus) ha un guscio robusto di forma ovale, che può raggiungere i 6 – 8 cm di diametro, e un colore solitamente molto vivace.

Rispetto alla vongola verace, dove i sifoni appaiono separati, nella vongola filippina essi risultano uniti alla base e divisi all’estremità.

 

Proprietà nutrizionali delle vongole

tabella con i valori nutrizionali delle vongole

Vongole valori nutrizionali

Le vongole contengono pochi lipidi, tracce di carboidrati ed una buona quantità di proteine ad alto valore biologico e diversi minerali, tra i quali spiccano il potassio, il calcio e il ferro.

 

Sebbene le vongole siano caratterizzate da un contenuto calorico non molto elevato, è bene non consumarle spesso per via del notevole contenuto di colesterolo e sodio.

 

Vongole benefici

I benefici delle vongole sono da ricondurre ai minerali che queste contengono e alla buona quantità di proteine di cui dispongono.

Tra i minerali spiccano soprattutto il potassio e il calcio. Il primo contribuisce a regolare la pressione sanguigna ed è fondamentale per mantenere un corretto bilancio idrico, mentre il secondo favorisce la salute dei denti e delle ossa, favorisce una corretta funzionalità dei muscoli e dei nervi e agisce a livello della coagulazione del sangue.

 

Le vongole sono anche ricche di ferro e di vitamina B12.

Una sola porzione soddisfa ampiamente il fabbisogno giornaliero di questo prezioso minerale e di questa vitamina, sia per la popolazione maschile che femminile.

Il consumo di questo alimento può essere quindi utile in caso di anemia sideropenica e ipovitaminosi di vitamina B12.

 

Ricordiamo che la porzione standard di consumo per i molluschi freschi o surgelati è di 150 grammi, che corrisponde circa a un piatto di vongole fresche o surgelate.

 

Vongole controindicazioni

È bene ricordare che le vongole sono molluschi filtratori e possono quindi essere veicolo di microrganismi patogeni per l’uomo; è consigliabile dunque acquistare solo vongole dalla provenienza sicura per scongiurare il rischio di contrarre malattie come salmonellosi, tifo, epatite A e colera. Infatti, sebbene la cottura elimini la carica microbica, per ridurre al minimo il rischio di contagio è consigliabile comunque acquistare solo prodotti certificati e garantiti.

È sconsigliato inoltre il consumo del prodotto crudo, soprattutto per i soggetti con problemi di colesterolo, pressione alta e per chi soffre di epatite.

 

In gravidanza e in allattamento se ne sconsiglia in generale il consumo.

Produzione e Tecnologia delle vongole

Caratteristiche e habitat delle vongole

La vongola è un mollusco bivalve che vive in acque poco profonde sepolto a 15-20 cm di profondità sotto la sabbia e sotto fondali di tipo limaccioso.

È una specie che si nutre filtrando detriti e fitoplancton dall’acqua tramite i sifoni e le sue branchie sono costituite da due coppie di piastre composte di filamenti.

 

La riproduzione è esterna ed avviene prevalentemente nella stagione estiva, sia in natura che negli incubatoi.

La deposizione delle uova solitamente ha luogo in condizioni di temperatura comprese tra i 20-25°C e nel tardo autunno-inizio inverno viene comunemente osservato un periodo di riposo sessuale.

Dopo la schiusa delle uova, le larve fuoriuscite nuotano liberamente per un periodo di circa 10-15 giorni e successivamente si stabiliscono sul fondo tramite l’attacco di un bisso ad una piccola roccia o ad un pezzo di guscio.

 

Allevamento delle vongole

L’allevamento delle vongole viene praticato direttamente sul fondo e la prima fase è quella del reperimento del seme.

Il sito scelto per iniziare l’allevamento delle vongole è costituito da un misto di sabbia e fango, anche se possono essere ottenuti buoni risultati su sedimenti completamente sabbiosi o fangosi a condizione che vi sia una buona ossigenazione.

Il periodo ottimale per effettuare la semina è quello primaverile, quando la temperatura dell’acqua è superiore a 14°C e cominciano a manifestarsi le prime “fioriture” di microalghe.

 

La semina viene effettuata a spaglio in condizioni di bassa marea, in maniera da facilitare il lavoro e consentire di monitorare l’infossamento delle giovani vongole, che in genere avviene entro 5-15 minuti.

 

La raccolta viene effettuata manualmente, con rastrelli a mano o rasche o con la rasca meccanica con fuoribordo, il rastrello vibrante, la draga turbosoffiante o la motorasca. Questi ultimi strumenti però causano danni al fondale.

 

In seguito alla raccolta il prodotto viene selezionato tramite l’utilizzo di setacci manuali o meccanici.

In Italia la gran parte delle vongole allevate viene commercializzata come prodotto fresco.

 

Stagionalità delle vongole

Le vongole sono disponibili durante tutto l’anno in commercio e la loro shelf-life, in presenza di condizioni esterne ottimali, appare piuttosto lunga rendendo questa specie molto gradita sul mercato.

 

Preparazione e Conservazione delle vongole

Per pulire le vongole, innanzitutto fate una cernita delle vongole, eliminando quelle aperte o rotte, perchè essendo morte, potrebbero essere rischiose o comunque avere un cattivo sapore.

Poi battete su di un piano o un tagliere ogni singola vongola, in modo da far perdere già un po’ di sabbia ed impurità.

Ponetele in un colapasta poggiato su una ciotola (assicuratevi che non tocchi il fondo) e sciacquatele più volte sotto acqua corrente. Potete lasciarle a mollo per alcuni minuti, poi cambiare l’acqua più volte, fino a quando sul fondo della ciotola non ci saranno più residui di sabbia.

 

Un altro metodo di pulizia è quello che prevede l’uso del sale: potete aggiungere il sale grosso alle vongole in ammollo in questo modo ricreerete una condizione simile all’acqua di mare e le vongole spurgheranno facilmente la sabbia.

Lasciatele spurgare così per almeno 5-6 ore, controllando di tanto in tanto se rilasciano la sabbia, e in caso affermativo, scuotetele e cambiate l’acqua, almeno un paio di volte e comunque fino a quando non vedrete più tracce di sabbia.

 

Una volta che le vongole saranno pulite, saranno pronte per essere cucinate. Per far aprire le vongole, è necessario metterle a cuocere in un tegame capiente; solitamente si usa insaporire con uno spicchio d’aglio e un filo d’olio.

 

Se le vongole non vengono consumate subito, mettetele in un recipiente coperte con acqua fredda, oppure avvolte in un panno umido e riponetele in frigorifero sino al momento della preparazione. Si consiglia di utilizzarle in giornata o al massimo entro le 24 ore.

Le vongole possono essere congelate previa cottura semplice, mettendole in un contenitore di vetro, con la loro acqua di cottura. Consumatele entro 2-3 mesi.



Datteri

Datteri

 

palma da dattero

Famiglia: Arecaceae (Palmae)

Genere: Phoenix

Specie: Phoenix dactylifera L.

 

Storia dei datteri

I datteri sono i frutti della palma da dattero (Phoenix dactylifera L.), specie originaria del Nordafrica.

 

Le palme da dattero vengono coltivate nelle aree a clima caldo di tutti i continenti.

Le possiamo trovare infatti in Nordafrica, in Arabia, nel Golfo Persico, dove forma la caratteristica vegetazione delle oasi, nelle Canarie, nel Mediterraneo settentrionale e nella parte meridionale degli Stati Uniti.

È presente anche in Italia dove viene impiegata anche come pianta ornamentale.

 

Tra le varietà più coltivate ricordiamo: Majhool, Deglet noor, Ameri, Deri, Halawi e Zahidi, Berhi e Hiann.

 

Proprietà nutrizionali dei datteri

tabella con i valori nutrizionali dei datteri
Tabella con i valori nutrizionali dei datteri freschi e dei datteri disidratati

Valori nutrizionali e benefici dei datteri

I datteri sono i frutti ricchi di fibre, utili a ridurre il colesterolo, a regolare l’intestino e proteggere dal cancro il colon.

I tannini sono invece antinfettivi, antinfiammatori, antiossidanti e antiemorragici.

 

Per le vitamine, buono è loro contenuto di vitamina A, che protegge la vista, la pelle e sembrerebbe essere utile nella prevenzione del tumore al polmone ed alla cavità orale.

 

Beta carotene, luteina e zeaxantina potrebbero invece proteggere da tumori a prostata, seno, endometrio, polmone e pancreas.

 

Le vitamine B sono importanti per il metabolismo, così come la vitamina K, che inoltre favorisce una buona coagulazione.

 

Fra i minerali buono è il contenuto di ferro, utile per il trasporto dell’ossigeno, di potassio, fondamentale per la salute cardiovascolare, di calcio, utile alle ossa.

 

Oltre la ricchezza di fibra alimentare, di vitamine e sali minerali, i datteri sono composti da proteine ricche di aminoacidi essenziali, necessari per il corretto funzionamento del nostro organismo.

 

La porzione giornaliera del dattero (frutto secco zuccherino) è di 30 grammi.

 

Interazioni dei datteri

I datteri possono interferire con l’utilizzo di diuretici ed inoltre possono causare allergie crociate con i pollini delle betulle.

 

Produzione e Tecnologia dei datteri

Caratteri botanici della palma da dattero

La palma da dattero presenta un tronco molto slanciato, alto fino a 30 m, coperto dai resti delle guaine delle foglie cadute.

 

Le foglie sono riunite in un numero massimo di 20-30 a formare una corona apicale. Sono pennate, lunghe fino a 6 m e di colore verde-glauco; se posizionate in alto sono ascendenti mentre sul fondo sono ricurve verso il basso, con segmenti coriacei, lineari, rigidi e pungenti.

 

È una pianta dioica, ovvero che possiede gli organi riproduttivi maschili su una pianta e quelli femminili su un’altra.

I fiori sono unisessuali, piccoli, di colore biancastro, fragranti, riuniti e fortemente ricurvi per il peso dei frutti.

 

I frutti sono noti come datteri e sono bacche oblunghe di colore arancione scuro a maturità. Possono essere lunghe fino a 5 cm nelle varietà coltivate, hanno una polpa zuccherina e contengono un seme di consistenza legnosa.

 

Coltivazione dei datteri

I frutti, perché giungano a completa maturazione richiedono temperature piuttosto elevate (40°C).

 

La palma da dattero è sensibile al freddo e necessita di clima mite. Richiede una notevole disponibilità di acqua che, in coltura, viene fornita anche per irrigazione e cresce bene su terreni di qualsiasi natura.

 

Viene coltivata all’aperto in posizioni esposte al sole ed è molto importante la potatura delle foglie vecchie per evitare l’insorgere di malattie e attacchi ad opera di parassiti.

 

La moltiplicazione avviene per polloni o per semina in primavera.

La produzione dei primi frutti si ha tra il 6° e il 7° anno d’età.

 

Produzione dei datteri

La raccolta dei datteri avviene tagliando interamente il grappolo a cui segue un trattamento per proteggere la pianta dall’attacco d’insetti dannosi.

 

In seguito alla raccolta quasi tutti i datteri vengono fatti seccare al sole; in questo modo si ha un aumento della concentrazione degli zuccheri diventando così più dolci.

Tale tecnica permette di conservarli più a lungo rendendoli disponibili sul mercato tutto l’anno.

 

Alcune varietà invece, come la Berhi e la Hiann, sono commercializzate fresche.

 

I datteri secchi si distinguono da quelli freschi in quanto i primi sono più scuri, grinzi e di forma oblunga irregolare, mentre quelli freschi sono lisci e perfettamente cilindrici.

La palma da dattero inoltre è utilizzata anche come pianta ornamentale per via del suo portamento slanciato e del fogliame.

 

Stagionalità dei datteri

I datteri sono reperibili sul mercato tutto l’anno.

 

Preparazione e Conservazione dei datteri

In commercio si trovano i datteri sia freschi che essiccati. Considerando il loro elevato apporto calorico non devono essere mangiati in quantità eccessive.

Generalmente si consumano durante le festività natalizie ma è bene evitare di accompagnarli a creme di mascarpone o formaggi.

 

Sono ottimi per preparare un decotto dolce e delicato, utile per lenire i sintomi infiammatori dell’apparato gastrointestinale, piuttosto comuni durante le feste natalizie.

 

Si possono tenere a temperatura ambiente all’interno di un contenitore chiuso se si mangiano entro pochi giorni. Se si vuole invece conservarli più a lungo si possono mettere in frigorifero, dove durano anche per un anno, oppure in congelatore (se li hai comprati in grande quantità).



Melone

Melone

 

melone d'inverno

Famiglia: Cucurbitaceae

Genere: Cucumis

Specie: Cucumis melo L.

 

Storia del melone

Il melone è un frutto rotondeggiante, dolce e profumato originario dell’Africa che ad oggi è diffuso in tutto il mondo.

 

Attualmente i principali produttori di meloni sono la Turchia, l’Iran e l’Egitto.

In Italia viene coltivato su circa 23.000 ettari in pieno campo, in coltura semi-forzata o in serra.

 

Varietà di melone

Si distinguono tre diverse varietà di melone in base alle caratteristiche del frutto.

 

I meloni cantalupi hanno frutti sono globosi, con buccia liscia o leggermente verrucosa, di colore verde-grigio, con solchi ben marcati. Presentano una polpa dal colore aranciato o salmone e sono molto profumati. I meloni cantalupi sono precoci, di media pezzatura (peso da 0,6 a 1,5 Kg) e poco serbevoli, ovvero che non si conservano bene a lungo.

 

I meloni retati hanno frutti ovali o tondeggianti, con buccia fittamente reticolata, e con costolatura mancante o poco marcata. La polpa è di colore verde-giallo o arancione, molto profumata; il peso dei frutti oscilla da 1 a 2,5 Kg e la serbevolezza è scarsa. Questa varietà di melone è conosciuta anche come melone americano in quanto molti di questi frutti provengono dagli Sati Uniti.

 

Il melone d’inverno ha frutti lisci e senza costole di colore giallo o verde scuro, con polpa bianca, verde chiaro o gialla, dolce e poco profumata. Ha frutti di medie e grandi dimensioni (peso da 1,5 a 4 Kg) ed è coltivato principalmente nelle regioni meridionali dove l’ambiente caldo e secco favorisce la dolcezza e la serbevolezza dei frutti (possono essere infatti conservati per molti mesi, fino all’inverno).

 

Proprietà nutrizionali del melone

tabella con i valori nutrizionali del melone d'inverno e d'estate
Tabella con i valori nutrizionali del melone d’inverno e d’estate.

Valori nutrizionali del melone d’inverno e d’estate

Il melone è un frutto che contiene una buona componente di acqua e la restante parte è costituita prevalentemente da zuccheri semplici. Poca è la fibra alimentare presente.

 

Per i minerali quello più presente è il potassio.

Il melone è anche fonte di vitamina C, con azione antiossidante, e vitamina A, sotto forma del suo principale precursore, il beta carotene.

 

Benefici del melone

Grazie alle molecole di cui è composto, il melone gode di proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.

Il minerale presente in quantità maggiore è il potassio che regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule ed è fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso. Inserire nella dieta alimenti ad alto contenuto di potassio e basso di sodio aiuta a mantenere un corretto equilibrio tra questi due minerali.

 

Con il consumo del melone è associato un minor rischio di sindrome metabolica, ovvero un quadro clinico complesso caratterizzato dalla presenza contemporanea di diverse problematiche quali diabete, pressione alta e obesità.

 

I fitonutrienti presenti nel melone inoltre possono migliorare il metabolismo dell’insulina e degli zuccheri nel sangue e che potrebbero, in caso di diabete, aiutare a ridurre lo stress ossidativo e a migliorare la resistenza all’insulina.

 

La porzione giornaliera di consumo consigliata è 150 grammi, che corrisponde a circa 2-3 fette di melone.

 

Interazioni del melone

Il consumo di questo frutto potrebbe interferire con l’azione dei diuretici.

 

Produzione e Tecnologia del melone

Caratteri botanici della pianta di melone

Il melone è una pianta annuale costituita da un fusto principale strisciante che si ramifica e con radici molto sviluppate in superficie, che possono scendere di molto anche in profondità.

 

La pianta di melone è di norma monoica, ovvero prima si sviluppano fiori maschili e successivamente quelli femminili (anche se non sono rari tipi andromonoici con fiori maschili e fiori ermafroditi).

Le foglie sono arrotondate, reniformi o divise in lobi, ruvide al tatto.

Il frutto è un peponide di notevoli dimensioni e peso (1-4 Kg). È costituito da una parte esterna o buccia (epicarpo) saldata a una parte intermedia (mesocarpo) carnosa, che rappresenta la parte edibile, al cui interno si forma una cavità riempita da un massa spugnosa e flaccida nella quale sono inseriti numerosi semi. I semi si presentano allungati, appuntiti a un’estremità, bianchi e di peso variabile da 20 a 70 mg.

 

Coltivazione del melone

Il melone, per essere coltivato, esige alte temperature, teme l’eccessiva umidità e richiede un terreno profondo e perfettamente drenato (l’irrigazione avviene a pioggia, a solchi, a goccia o con manichette forate disposte sotto la pacciamatura).

Inoltre, per quanto riguarda l’avvicendamento, la coltura del melone non può tornare su un terreno prima che siano passati diversi anni.

 

La coltivazione del melone avviene in pieno campo, in coltura semi-forzata o in serra.

La semina viene effettuata in primavera avanzata (aprile-maggio) quando la temperatura ha raggiunto i 14-15°C.

 

Nella coltura in serra le piantine vengono posizionate molto vicine in quanto non vengono lasciate strisciare a terra ma sono allevate in verticale mediante fili o reti in modo da sfruttare meglio lo spazio disponibile.

 

La semina in campo in pien’aria è il sistema più diffuso e si realizza con la pacciamatura di film plastico steso a terra. La coltura del melone pacciamata e semi-forzata invece si realizza con la pacciamatura e con piccoli tunnel che ricoprono ogni fila di piante.

L’obiettivo di questa tecnica colturale è quello di anticipare l’impianto di 20-30 giorni e la maturazione dei frutti di 10-20 giorni.

Questi sistemi di forzatura vengono maggiormente utilizzati nel Centro-Nord Italia e utilizzano piantine allevate in fitocelle e trapiantate attraverso i fori aperti sul film plastico della pacciamatura per la realizzazione dell’impianto.

 

Produzione del melone

La raccolta inizia 90-110 giorni dopo la semina e prosegue scalarmene per 15-30 giorni. I meloni vanno raccolti ad uno stadio di sviluppo ben preciso in quanto un ritardo compromette la serbevolezza, un anticipo compromette la qualità (almeno 10% di contenuto zuccherino).

I segni visibili della maturazione sono ad esempio il distacco del peduncolo dal frutto (in certe varietà retate), la comparsa di screpolature concentriche intorno al peduncolo, la scomparsa della peluria dal peduncolo, ecc.

 

Le produzioni di frutti commerciabili sono di 20-35 t/ha in pien’aria, di 30-40 t/ha in quelle semi-forzata.

 

I frutti raccolti nelle ore calde dovrebbero essere prerefrigerati con acqua fredda.

Per le varietà cantalupo e retato la conservazione è superflua perché sono destinati al consumo immediato, anche se potrebbero essere conservati per 10-15 giorni a 2-5 °C con umidità relativa del 90-95%; per il melone d’inverno la conservazione arriva fino ai 5 mesi a 7-10°C e con 85-90% d’umidità relativa.

 

Stagionalità del melone

La stagionalità del melone riguarda il periodo estivo, da maggio a settembre.

 

Preparazione e Conservazione del melone

Quando acquistate il melone, sceglietelo sempre di stagione: esistono infatti varietà estive e invernali. Riguardo alla scelta al momento dell’acquisto, controllate la consistenza e il profumo: battete la buccia con la mano e, se avvertite un suono sordo, allora il frutto è maturo al punto giusto, se rimbomba, è ancora acerbo. Il profumo poi non deve essere troppo intenso, altrimenti vuol dire che il melone è troppo maturo.

 

Il melone appena acquistato può essere conservato intero in luogo fresco o in frigo, in base alle esigenze di consumo. Se dovete consumarlo in giornata o, al massimo, il giorno seguente, potete conservarlo in dispensa o comunque in un luogo fresco e asciutto. Se invece è ancora acerbo, mettetelo nel cestino della frutta, così da farlo maturare in fretta.

In alternativa potete conservarlo in frigo: avvolgetelo nella pellicola trasparente, sigillatelo in un sacchetto frigo e mettetelo nel cassetto della frutta. In questo modo non si propagheranno cattivi odori: consumatelo comunque entro una settimana a non meno di 5°C. Tiratelo fuori dal frigo almeno mezz’ora prima di gustarlo.

 

Il gusto dolce e, al tempo stesso, particolare del melone lo ha portato ad essere anche inserito in insalate e ricette salate. È ideale da consumare come spuntino, come dopo pasto, ma anche per la preparazione di antipasti, dolci e gelati per stimolare l’appetito e rinfrescare la bocca.

Per esempio potete sfruttarlo negli aperitivi. Potete anche congelare il melone già aperto: scavate nella polpa con l’apposito strumento e formate delle palline. Congelatele negli stampi del ghiaccio con un po’ di acqua e qualche fogliolina di menta, e utilizzatelo per i vostri aperitivi. Una volta congelato potrete conservarlo per tutta l’estate.

 

Le proposte di ricette di FBO con il melone



Cocomero o Anguria

Cocomero o Anguria

 

cocomero o anguria

Famiglia: Cucurbitaceae

Genere: Citrullus

Specie: Citrullus lanatus (Thunb.) Matsum e Nakai

 

Storia del cocomero

Il cocomero è il frutto del Cocos nucifera, una specie appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae; è conosciuto anche come anguria, nelle regioni padane, o melone d’acqua, in quelle meridionali.

 

La pianta è originaria dell’Africa tropicale e ad oggi è diffusa in tutto il mondo, sia nella fascia tropicale che in quella temperata-calda.

Attualmente il principale produttore a livello mondiale è la Cina.

 

Tipologie di cocomero

In commercio esistono diverse varietà di cocomero:

la Crimson sweet (medioprecoce con frutti di grossezza media), la Sugar baby (ibrida F1 precoce), la Charleston gray 133 (a frutto oblungo, tardiva), la Blue Belle (Ibrido F1 rotonda e molto produttiva), l’imperial (Ibrido F1 rotonda, precoce), la Florida Giant, La Blue Ribbon, la Ashai Miyako (Ibrido F1 precoce con frutto rotondo).

 

Proprietà nutrizionali del cocomero o anguria

tabella con valori nutrizionali del cocomero o anguria

Valori nutrizionali del cocomero

Il cocomero è il frutto con maggior contenuto di acqua, molto consumato in estate per reidratare l’organismo ebuono è anche il suo contenuto in fibra alimentare.

 

A livello di minerali, buono è il suo quantitativo in potassio.

 

L’anguria contribuisce anche alla quota di antiossidanti derivanti dalla nutrizione, grazie al suo contenuto in vitamina C, licopene e beta-carotene, che aiutano la proliferazione di radicali liberi.

 

Benefici del cocomero

Questo frutto ha proprietà diuretiche, per via dell’elevato contenuto di acqua, un modesto potere saziante, dovuto alla presenza di fibra, ed è considerato poco allergenico.

 

Il potassio invece regola il contenuto ed il flusso di acqua dentro e fuori dalle cellule, ed è fondamentale per la normale funzione del cuore, dei muscoli e del sistema nervoso. Un buon apporto alimentare è associato alla riduzione della pressione negli ipertesi.

 

Insieme ai pomodori, il cocomero è uno dei frutti a più elevato contenuto di licopene, carotenoide dalle proprietà benefiche nei confronti dell’apparato cardiovascolare e, secondo alcune più recenti ricerche, delle ossa.

 

Inoltre questo frutto è fonte di citrullina, un aminoacido che una volta nell’organismo viene convertito ad arginina; quest’ultima può promuovere la buona salute cardiovascolare.

 

La porzione consigliata è di 150 grammi, che corrisponde a circa una fettina di anguria.

 

Produzione e Tecnologia del cocomero o anguria

Caratteri botanici del cocomero

Il cocomero è il frutto di una pianta erbacea annuale costituita da uno stelo che rapidamente si ramifica in altri steli striscianti sul terreno, lunghi fino ad alcuni metri, muniti di viticci.

Le foglie sono grandi, spicciolate, di colore verde grigiastro.

 

I fiori maschili (solitamente la pianta di cocomero è monoica, ossia porta fiori maschili e femminili separati) compaiono per primi e superano in numero quelli femminili in un rapporto di 7:1, l’impollinazione è entomofila (api) e l’allogamia è la regola, dopo 40-50 giorni dalla fecondazione i frutti raggiungono la maturazione.

 

Il frutto è un peponide in cui epicarpo, mesocarpo ed endocarpo sono un tutt’uno, che si presenta esternamente liscio e coriaceo, e internamente pieno di polpa in cui sono immersi numerosi semi appiattiti del peso di 35-100 mg.

 

L’aspetto, la forma e le dimensioni dei frutti sono variabili a seconda della varietà e delle condizioni di coltura: il peso di un frutto varia da 2 a 15 Kg, la forma può essere sferica o allungata, il colore esterno verde-chiaro, verde scuro o con striature dei due colori, la polpa è generalmente rossa, ma esistono anche tipi a polpa gialla o bianca.

 

Coltivazione del cocomero

Il cocomero richiede una temperatura minima di germinazione di 15°C e per questo motivo deve essere seminato in primavera avanzata, aprile-maggio, per poter essere raccolto in estate.

Inoltre, vista la scarsa piovosità durante la stagione di crescita, l’irrigazione è quasi sempre indispensabile e i terreni più adatti sono quelli profondi e sciolti.

 

Il cocomero è una coltura da rinnovo ma non deve ritornare sullo stesso terreno prima di 4-5 anni per ridurre i rischi d’attacchi parassitari.

 

L’impianto si fa con semina diretta in campo, metodo adottato sia per la coltura in pien’aria che per quella forzata, o con trapianto di piantine allevate in fitocella, solo per la coltura forzata. Solitamente vengono lasciati 2-3 m tra le file e 1,5-2 m tra le postarelle.

 

Produzione del cocomero

I frutti una volta maturi presentano il disseccamento del peduncolo e del cirro che lo accompagna, suono cupo e sordo alla percussione, scomparsa totale della pruina che ricopre il frutto immaturo.

 

La raccolta è eseguita a mano ponendo particolare attenzione per evitare ferite o abrasioni che comprometterebbero la conservabilità del frutto. Le produzioni variano da 30 a 50 t/ha in funzione dell’ambiente, della cultivar, della tecnica colturale seguita.

 

La conservazione dei frutti maturi una volta raccolti è limitata nel tempo: resistono infatti per 15 giorni a 15°C.

 

Stagionalità del cocomero o anguria

In Italia la stagione del cocomero è nel periodo estivo nei mesi di luglio e agosto.

 

Preparazione e Conservazione del cocomero o anguria

Vi consigliamo come prima cosa di comprarlo di stagione, scegliendolo intero.

 

I cocomeri maschio sono più allungati e acquosi, mentre le femmine sono più tondi e dolci.

La buccia deve essere scura e opaca: se è verde e lucida il frutto non è maturo. Le striature devono essere ravvicinate e ben definite: verde scuro anziché verde pallido, e color crema anziché giallino.

 

A parità di dimensioni, scegliete quello più pesante: ha una maggiore quantità d’acqua ed è più dolce.

 

Potete tagliarlo a palline scavandolo con la paletta del gelato, o in rondelle sottilissime da usare come carpaccio, ma il taglio più comodo resta in spicchi.

Per tagliarlo a spicchi vi consigliamo prima di lavare la buccia per togliere eventuali batteri, asciugarlo e metterlo su un tagliere.

Tenete fermo il cocomero con una mano e con l’altra tagliate le due estremità fino a far comparire il rosso della polpa. Ora appoggiate il cocomero su una estremità e formate una base stabile. Poi tagliate il frutto in quattro quarti nel senso della larghezza e tagliate poi ogni quarto in spicchi larghi 2-3 centimetri alla buccia

 

Il cocomero è sempre più spesso usato in piatti salati, per creare un po’ di contrasto di sapore.

 

Le proposte di ricette di FBO con l’anguria: